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Su Orelli che traduce otto versi di Lucrezio

3. Palinsesti orelliani: quando il classico “vive ancora”

Questa breve rassegna analitica ci ha permesso di incontrare il macrofenomeno dell’intertestualità a diversi livelli e nelle manifestazioni più varie. Innanzitutto, inevitabilmente relazionale è l’atto stesso del tradurre, poiché sorge e viene re-cepito in continua tensione dialettica (in praesentia, nel caso del testo a fronte) con l’originale alloglotto. Non è però solo il basso continuo della voce goethiana ad accompagnare le versioni di Orelli come loro stessa condizione d’esistenza.

La penna del poeta-traduttore assorbe le tracce del passaggio di colleghi-rivali come Valeri (o almeno, «il più bel fior ne coglie»), e le fonde con altre memorie attinte dalla propria biblioteca personale, o motu proprio (come nel caso della reminiscenza montaliana innestata nella traduzione di Nähe des Geliebten), o col presumibile tramite del precedente traduttore (in un procedimento reticolare di risalita ad fontes “per links successivi” che abbiamo definito qui, constatando l’accordo Orelli-Valeri nel vario richiamo a Leopardi e Pascoli,

“co-intertestua-aliCe sPinelli

lità” o “intertestualità mediata”). Le versioni goethiane di Orelli convogliano e armonizzano dunque più voci, livellando distanze linguistiche e anacronismi storico-letterari nel revival interculturale di un testo espanso in profondità e capace di rifrangersi in un dotto caleidoscopio di evocazioni incrociate.

Tale plurivocità addomesticata, reincanalata entro l’alveo della propria espressione poetica, è in linea d’altronde con la docta contaminatio che sostanzia molte poesie originali di Orelli, e che non è mai classificabile come citazionismo esibizionistico o horror vacui fine a se stesso. Stralci dei suoi “autori del cuore”

(Dante su tutti, ma anche Leopardi e Pascoli, per citare due poeti che abbiamo visto intrufolarsi nelle traduzioni analizzate) s’impigliano tra i suoi versi o assur-gono a titolo di componimenti e intere raccolte,66 traendo aggetto dallo strania-mento linguistico-stilistico, ma allo stesso tempo colorando di nuove sfumature il proprio Fortleben, il proprio “vivere ancora”, prerogativa di un classico che, con Calvino, «non ha mai finito di dire quel che ha da dire».67 Questa densità memoriale positivamente “vischiosa” e mai succube rispecchia un’idea viva e vi-vificante della letteratura come possesso identitario collettivo e fruibile; un’idea umanistica, comunitaria ed espansiva, che vede nell’interazione (anche agonisti-ca) tra le voci non una minaccia, ma un valore aggiunto.

Allo stesso modo, Orelli non si pèrita a introdurre nel suo laboratorio tradutti-vo materiali di varia provenienza, per immergerli – opportunamente risagomati – nel crogiolo di testi che, in quanto traduttivi, sono già costituzionalmente etero-genei, nati dal connubio di universi linguistici e poetici in proficuo attrito.

In fondo, alla base di quest’apertura polifonica si può scorgere quella stessa idea di “socialità” che permea la sua visione del mondo, e conseguentemente la sua scrittura. Ostile a ogni ripiegamento autoreferenziale, Orelli non fugge mai «via dalla pazza folla», nella turris eburnea del poeta laureato, ma trova proprio nella parola scambiata e condivisa la scintilla che anima molti suoi versi;

nell’accavallarsi delle voci, l’alimento di un dialogo coesteso alla vita, in ogni sua dimensione.

1 Riprendo e approfondisco qui un discorso critico avviato anni fa, nella tesi di diploma discussa all’Istituto Universitario di Studi Superiori (IUSS) di Pavia nell’ottobre 2012 sotto il titolo Variazioni a più voci. Giorgio Orelli traduttore del Goethe lirico: dinamiche intra- e intertestuali. Ai direttori di quel lavoro, la prof.ssa Maria Antonietta Grignani e il prof. Pietro De Marchi, spetta la mia più sincera gratitudine: il loro costante incoraggiamento e la loro meticolosa supervisione mi hanno permesso di chiarire e sviluppare molti degli spunti qui raccolti. Non posso inoltre passare sotto silenzio il contributo come sempre attento e gene-roso della prof.ssa Silvia Isella, mia mentore degli anni pavesi e a tutt’oggi mio irrinunciabile punto di riferimento (non solo) scientifico. Resta comunque inteso che eventuali mende e inesattezze contenute in queste pagine sono di mia esclusiva responsabilità.

Le riflessioni qui proposte vanno lette inoltre in ideale continuità con un mio breve arti-colo al quale mi permetto di rimandare (Giorgio Orelli traduttore di Goethe lirico: dinamiche intra- e intratestuali, in “Versants”, 60 [2013], 2, pp. 117-127). In gran parte diverso, o

quan-“attraversanDo” valeri. il goetheDi giorgio orelli

tomeno più circoscritto, sarà però in questo caso il focus analitico: se quella prima pubbli-cazione si prefiggeva di contestualizzare a grandi linee la pluridecennale attività traduttoria intrapresa da Orelli sul corpus lirico di Goethe per poi ricostruirne le direttrici variantistiche in diacronia e accennare a qualche punto di contatto con le versioni goethiane di Diego Vale-ri, esclusivamente quest’ultima rotta d’indagine, come presto si dirà, sarà qui percorsa e scan-dagliata più nel dettaglio – sebbene giocoforza sulla base di singoli sondaggi rappresentativi.

Rivolgo infine il mio più vivo ringraziamento al prof. Massimo Danzi, organizzatore del convegno Giorgio Orelli e il “lavoro” sulla parola, tenutosi a Bellinzona tra il 13 e il 15 no-vembre 2014, per avermi invitata a presentare una versione abbreviata di questo studio in un’occasione così speciale, che ha riunito nell’omaggio e nel ricordo tanti illustri amici di un indimenticato maestro.

2 J.W. goethe, Cinquanta poesie, tradotte da D. Valeri, Sansoni, Firenze 1954 (d’ora in poi V).

3 Cfr. g. orelli, Su alcune versioni d’una poesia di Hölderlin, in “Studi Urbinati”, XLV (1971), 1-2 [= Studi in onore di Leone Traverso], tomo II, pp. 727-747.

4 J.W. goethe, Poesie, a cura di G. Orelli, Mondadori, Milano 1974 (d’ora in poi, quan-do necessario, O2).

5 iD., Poesie scelte, tradotte da G. Orelli, Mantovani, Milano 1957 (O1).

6 Cfr. g. orelli, Appunti informativi, in o2, pp. 15-23: 18: «Quando cominciai a tradur-re Goethe, quasi ttradur-rent’anni fa, ignoravo del tutto le versioni altrui».

7 Prosegue Orelli ibidem, accennando a qualche inevitabile difformità qualitativa tra i vari “pezzi” del florilegio: «Alle versioni “felici” non potevano non affiancarsi quelle diligenti ed alcuni esercizi molto a freddo, dove la “gara” è pure col traduttore che mi ha preceduto»

(corsivo mio).

8 Alcuni potenziali termini di confronto sono espressamente nominati da Orelli stes-so, sempre prodigo di annotazioni critiche e autoriflessive. Nel discutere una crux testuale-esegetica di Harzreise im Winter (und mit den Sperlingen / haben längst die Reichen / in ihre Sümpfe sich gesenkt, vv. 21-23), Orelli dà ad esempio qualche ragguaglio circa altre traduzioni dell’inno a lui note: «Conobbi alcune versioni italiane (del Tecchi, se non m’inganno, di Ore-ste Ferrari, che venne a morire qui, a Bellinzona): nessuno aveva detto, o avuto il coraggio di dire, “i ricchi”, optando con evidente smorzatura semantica per “fasto” e simili; fino a Giuliano Baioni, che non esita (si vedano le sue versioni degli Inni, Torino 1967» (g. orelli, Appunti informativi, p. 22).

9 Cfr. ibi, p. 19: «Ho in mente le osservazioni del Fubini (v. Critica e Poesia, Bari 1966) sulla versione di Meeres Stille fatta da Diego Valeri, e devo dire che da esse sono stato mosso a provarmi a mia volta con questo breve componimento, come già documenta la scelta del titolo Mare calmo in luogo di Bonaccia. Giustamente afferma per esempio il Fubini che “il sistema di accenti e suoni dell’italiano mal riesce a rendere accenti e suoni tedeschi, sì che chiuse tronche come ‘mare sta’, ‘immensità’, ‘il suo sopor’ danno alcunché di secco al discor-so e posdiscor-sono farci pensare a un Goethe, il Goethe di questa cosmica poesia!, costretto dentro i limiti di una canzonetta settecentesca”».

10 Cfr. s. barelli, Note sulla traduzione poetica. A proposito delle traduzioni di alcune liriche di Goethe, in “Cenobio”, XLVII (1998), 1, pp. 13-21.

11 In particolare cfr. P.v. MengalDo, Giorgio Orelli traduttore di Goethe, in Goethe tra-duttore e tradotto, Atti del XXVIII convegno sulla traduzione, Il Poligrafo, Padova 2003, pp. 245-253 (Edizioni del Premio Monselice nn. 28-30), e iD., Diego Valeri traduttore di lirici francesi e tedeschi, in Diego Valeri e il Novecento, Atti del convegno di studi nel 30° anniver-sario della morte del poeta (Piove di Sacco 25-26 novembre 2006), a cura di G. Manghetti, presentazione di P.V. Mengaldo, Esedra, Padova 2007, pp. 87-94.

12 Un’indagine sulle versioni orelliane da Goethe non può prescindere da P. De MarChi, La fedeltà alla poesia. Sul Goethe di Giorgio Orelli, in iD., Dove portano le parole. Sulla poesia di Giorgio Orelli e altro Novecento, Manni, Lecce 2002, pp. 92-110 (e dello stesso autore, Ut poësis translatio. Sul “quaderno di traduzioni” di Giorgio Orelli, in ibi, pp. 111-136).

13 P.v. MengalDo, Giorgio Orelli traduttore di Goethe, p. 250.

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14 iD., Diego Valeri traduttore di lirici francesi e tedeschi, p. 92.

15 Ibidem.

16 Preme precisare che si fa qui esclusivo riferimento alla (ricercata) monotonia prosodica delle misure versali; perché sarebbe ingeneroso liquidare come insufficiente tout court la ver-sione del Valeri, la quale anzi si distingue, ad esempio, per la perizia nel calcolo dei rapporti fonematici. Come già intuiva il Leopardi fautore del vago e dell’indefinito, un effetto acusti-camente “espansivo” scaturisce dal nesso nasale + dentale, la cui propagazione nella seconda strofa è disciplinata – chissà se casualmente – dal pareggio chiastico tra variante sorda e variante sonora (veNTo v. 5; steNDe v. 6; oNDa v. 7; loNTanissimo v. 8; nella prima strofa, foN-Da v. 1 e navigaNTe v. 3). L’allitterazione tra Mare e Moto, al v. 2, regge poi brillantemente il confronto con Goethe, che giustappone Regung e Ruht, v. 2; mentre alcune sonorità-cardine della stringa sintagmatica beKÜmmerT SiehT, v. 3 riaffiorano, con raffinati incastri, nell’equi-valente ScrUTa inQUieTo, v. 3.

17 Cfr. g. orelli, Appunti informativi, p. 20.

18 Sempre che nel verso esplicitario non si muove neanche un’onda sia «da leggere alla set-tentrionale neanche bisillabo» (P.v. MengalDo, Giorgio Orelli traduttore di Goethe, p. 250).

19 Collabora con la corrispondenza perfetta fiato : interminato ai vv. 5 : 7, e con l’accaval-larsi di rima identica – quasi in epanadiplosi, tra secondo e ultimo verso – e rima inclusiva nel reticolo interstrofico onda v. 2 : circonda v. 4: onda v. 8, la quasi consonanza spaventa : onda dei vv. 6 : 8, screziata soltanto dall’avvicendarsi, alla dentale sorda /t/, della sua omologa sulla serie sonora, la /d/. Sull’assonanza acque : navigante dei vv. 1 : 3 torneremo più oltre.

20 P.v. MengalDo, Diego Valeri traduttore di lirici francesi e tedeschi, p. 89.

21 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 17.

22 Benché lo stesso Orelli ci faccia sapere che, «dietro a Valeri, aveva sulle prime aggirato herrscht […]» (g. orelli, Appunti informativi, p. 20).

23 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 18.

24 A dire il vero, una lettura in episinalefe dei vv. 2-3 di Orelli (posa il mare senza un’onda,/

e vede inquieto il navigante […]) permetterebbe qui di ortopedizzare la misura; ma l’acroba-zia non pare necessaria né pertinente, se è vero che, come qui si sostiene, la scompaginazione orelliana dell’intransigente ordine metrico di Meeres Stille ha tutta l’aria di essere program-matica.

25 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 18.

26 Ibidem. La glossa più articolata ed esaustiva si deve però, come di frequente, all’intelli-genza (auto)critica del coltissimo Orelli: «“Tiefe Stille” con le sue i rende bene la “profondeur de la surface” (Bachelard), facendo pensare a certi esiti danteschi (penso adesso a “Fitti nel limo dicon: Tristi fummo” Inf. VII, 121). Con “Grande pace” si compie un salto vocalico

“fondamentale”, che reca tuttavia un “peso” notevole (si pensi al dantesco “parve carca” Inf.

VIII, 27)» (g. orelli, Appunti informativi, p. 20). Grande ha inoltre il vantaggio di contenere quel nesso “dilatante” -ND- già ampiamente sfruttato da Valeri (cfr. supra, n. 16) e ripro-posto da Orelli in rima (oNDa v. 2: circoNDa v. 4: oNDa v. 8). Sempre nell’attacco, inoltre, l’irriproducibilità fonetica di herrscht – «che rumoreggia bene accanto a Wasser ma non può agevolmente rendersi in italiano (i noti verbi dell’Onda dannunziana qui non servono» – non basta a far desistere il poeta-traduttore dalla ricerca di una ben orchestrata evocatività acusti-ca: ecco così spiegato il verbo tiene, «bisillabo semanticamente adatto che ha un’utile e finale»

(ibidem).

27 Si tenga anche presente che l’ottonario è probabilmente il metro principe della tradi-zione popolare italiana: spadroneggia nelle nenie per bambini tanto quanto nelle strofe da osteria.

28 Ciò detto, alle traduzioni goethiane di Valeri non si può negare una pregevole statura artistica, che ha meritato loro, oltre a quello di Mengaldo, l’apprezzamento di un germanista del rango di Cases (cfr. C. Cases, Diego Valeri traduttore di poesia tedesca, in Omaggio a Diego Valeri, Atti del convegno Internazionale promosso dall’Associazione degli Scrittori Veneti, dalla Fondazione Giorgio Cini, dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti (Venezia 26-27 novembre 1977), a cura di U. Fasolo, Olschki, Firenze 1979, pp. 76-91). D’altronde, non è

“attraversanDo” valeri. il goetheDi giorgio orelli

certo compito di quest’intervento stilare una classifica di merito (che come tutte le valuta-zioni estetiche rimarrebbe del resto opinabile) tra i due traduttori presi in esame; molto più modestamente, se ne vuole indagare l’effettivo rapporto, mostrando quindi in questo caso da quale punto di vista Orelli abbia potuto ritenere insoddisfacente la proposta del collega, e sia perciò stato spinto a contrapporle un’alternativa. Si vedrà però subito che la relazione tra i due è molto meno conflittuale di quanto superficialmente si sarebbe indotti a concludere.

29 Nonché messa in chiaro già dalla scelta del titolo (cfr. supra, n. 9), in cui Barelli indi-vidua «il primo elemento di divaricazione semantica […]: Meeres Stille è reso da Valeri con Bonaccia (un’accezione autorizzata dai dizionari) e da Orelli con Mare calmo, formula più generica ma anche più ricca di implicazioni simboliche: è anche probabile che Orelli abbia così inteso eliminare l’accezione di positività racchiusa nella radice “bon-”, che contrasta con lo sviluppo della lirica (si pensi ad esempio al v. 5, dove Stille ritorna in unione con Todes-)»:

s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 17.

30 Dove navigante richiama alla mente il famoso incipit di Purgatorio, VIII: «Era già l’ora che volge il disio/ ai navicanti e ’ntenerisce il core / lo dì c’han detto ai dolci amici addio», vv. 1-3.

31 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 18.

32 Sciolto da Valeri con una doppia connotazione attributiva e con la marcatura assiolo-gica implicita in squallor (nell’uguale / lontanissimo squallor, vv. 7-8; si noti inoltre l’enjambe-ment “dilatante”).

33 D’altro canto, il leopardismo è in Orelli studiato e dichiarato: «Stupirà forse “intermina-to” per ungeheuren, ma dopo Leopardi mi par lecito scostare da sé un aggettivo pittoresco per usarne uno che contenga uno spavento più metafisico» (g. orelli, Appunti informativi, p. 20).

34 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 18.

35 Le Cinquanta poesie di Goethe scelte e tradotte da Diego Valeri si distribuiscono nei seguenti comparti: Canzonette; Ballate; Elegie romane; Epigrammi veneziani; Poesie varie; Spi-golature; Tempi dell’anno e del giorno; Divano occidentale-orientale.

36 Per una più dettagliata descrizione della genesi e delle vicende editoriali di Hei-denröslein rimando, frammezzo alla sovrabbondante strumentazione bibliografica a dispo-sizione, almeno a J. boYD, Notes to Goethe’s poems, Blackwell, Oxford 1966-1967, pp. 21 ss.; si vedano anche i cappelli di commento alla poesia nelle edizioni critiche tedesche delle opere goethiane, in particolare nelle Gesamtausgaben cosiddette “Frankfurter” e “Hambur-ger” (rispettivamente: J.W. goethe, Gedichte 1756-1799, hrsg. von K. Eibl, in iD., Sämtliche Werke. Briefe, Tagebücher und Gespräche, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am Main 1985, pp. 820 ss.; iD., Gedichte und Epen I, textkritisch durchgesehen und kommentiert von E. Trunz, in Goethes Werke, hrsg. von E. Trunz, Verlag Christian Wegner, Hamburg 1948, pp. 490 ss.).

37 «E così posso ora regalare a Giorgio Caproni – cui rincresceva che non l’avessi tradotta (fino al ’57, anno della pubblicazione delle mie prime versioni goethiane) – la notissima e senza dubbio deliziosa Heidenröslein»: g. orelli, Appunti informativi, pp. 18-19.

38 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 15.

39 Ibidem.

40 Ma comunque ingegnosi: si pensi in Orelli alla quasi-rima colgo : voglio dei vv. 8 : 10, con assonanza piena e scambio metatetico tra <lg> e <gli>.

41 Altrove Valeri raggiunge però risultati di più persuasiva immediatezza: si veda la dislo-cazione “a destra” dei vv. 15-16, con tematizzazione del sintagma oggetto e sua anticipazione in catafora pronominale (il selvaggio se la prese, la rosa di bosco).

42 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 17.

43 La forma adocchiò riusciva probabilmente gradita ad Orelli anche in ragione della sua facies fonetica, che permetteva di creare una rispondenza “chioccia” con la parola-refrain macchia.

44 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 16.

45 Congruo equivalente del generico dass modale-consecutivo a cui faceva ricorso Goethe (ich steche dich, / dass du ewig denkst an mich, vv. 10-11).

46 S. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 16.

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47 Subito prima di annunciare la traduzione di Heidenröslein (cfr. supra, n. 37), e dopo aver fatto riferimento alle versioni nate “a gara” con altre già comparse (cfr. supra, n. 7), Orelli esemplifica: «Basta un vogl’io degli anni Trenta per eccitare, con un io voglio, un impulso a tradurre fondamentalmente diverso, secondante un gusto diverso» (g. orelli, Appunti infor-mativi, p. 18). Anche se la princeps Sansoni delle Cinquanta poesie è del 1954, non degli anni trenta, e benché nel v. 10 O2 si legga lo voglio e non io voglio (che ribalterebbe esattamente il deprecato vogl’io), l’allusione a questo passo di Rosellina di macchia come contraltare alle corrispettive pose “manieristiche” del Valeri pare qui manifesta. Se l’interpretazione è corret-ta, se ne ricava allora la conferma di un’altra traduzione – oltre a quella già vagliata di Meeres Stille – sorta in aperta (seppur rispettosa) polemica con lo scrittore padovano. Si tratterà di vedere anche qui se lo scontro è davvero frontale e irriducibile, o se non viene piuttosto rias-sorbito in una più sfaccettata dinamica di assimilazione e superamento.

48 s. barelli, Note sulla traduzione poetica, p. 15.

49 Ibi, p. 16.

50 Ibidem. Nel commentare la traduzione di Orelli, Mengaldo esprimeva qualche riserva sull’“infantilizzazione” lessicale del protagonista, ma soprattutto sulla traduzione (in effetti un po’ deviante) del v. 15: «Io ad esempio non capisco bene perché, traducendo il Hei-denröslein (Rosellina di macchia), egli abbia reso “der wilde [selvaggio] Knabe” con “il bimbo ignaro” (e forse anche “bimbo” si può discutere)»: P.v. MengalDo, Giorgio Orelli traduttore di Goethe, p. 250. Si muove qui più rasente all’originale Valeri, che cassa però del tutto il sostantivo (il selvaggio, v. 15).

51 O tutt’al più, con un processo di astrazione generica che l’ambiguità referenziale del neutro tedesco ammette, “dell’oggetto amato”; ma non certo “dell’amata” sic et simpliciter.

52 Goethe in persona racconta l’episodio in una lettera a Frau Unger datata 13 giugno 1796: «Seine Melodie des Liedes: Ich denke dein, hatte einen unglaublichen Reiz für mich, und ich konnte nicht unterlassen selbst das Lied dazu zu dichten, das in dem Schillersten Musenalmanach steht» (“la sua [di Zelter] melodia del Lied Ich denke dein esercitava su di me un incredibile fascino, e non ho potuto fare a meno di comporre su di essa una mia pro-pria poesia, che si trova nel Musenalmanach di Schiller”; cito da J. boYD, Notes to Goethe’s poems, p. 44). Il suo rifacimento ha poi a sua volta conosciuto numerose Vertonungen, alcune delle quali di firma illustre (ad es. Beethoven, 1805; Schubert, 1821).

53 La poesia è comunque sedimentata in profondità nella sua capace e sempre fruttifera memoria, tanto che l’incipit Ich denke dein s’infiltra – triplicato – nella prima poesia “con i nipoti” del Collo dell’anitra (sezione VIII): Ich denke dein se il treno, scosso un branco […], v.

1; Ich denke dein / quando mi torna a mente l’elicottero […], vv. 4-5; Ich denke dein / mentre un velivolo riga di bianca […], vv. 9-10.

54 Senza contare che la traduzione di Nähe con presenza non è affatto un’opzione obbli-gata: si presterebbero altrettanto bene (e anzi richiamerebbero più letteralmente il sostantivo tedesco) forme come “prossimità”, “vicinanza” e sinonimi.

55 Contribuiscono a innalzare la trasposizione valeriana a quote di più ricercato lirismo un preziosismo fonografico (la scrizione analitica della congiunzione concessiva se bene, v. 13 V) e la dispositio iperbatica dei componenti sintattici. Si noti en passant che entrambi i traduttori inarcano il verso-frase goethiano, sia pure esponendo in contre-rejet due diversi elementi (se bene v. 13 V, così v. 13 O2). D’altronde, l’introduzione di frequenti enjambements è un tributo che quasi tutti i traduttori-poeti italiani regolarmente pagano al linguaggio poetico nazionale, e trova qui tra l’altro una sua logica giustificazione strutturale (se ne riparlerà infra, p. 101).

56 L’«elevato tasso di letterarietà delle traduzioni (in particolare poetiche)» (f. fortini, Lezioni sulla traduzione, a cura e con un saggio introduttivo di M.V. Tirinato, premessa di L.

Lenzini, Quodlibet, Macerata 2011, p. 83) non è del resto caratteristica esclusiva di Valeri. Al contrario, Mengaldo, che si diffonde a enumerarne modalità e sfaccettature (con inequivo-cabili addentellati montaliani) nelle versioni di Solmi, lo ritiene un aspetto congenito all’atto stesso del tradurre: «quale che sia la precisa colorazione del fatto (aulicismo, lessico più risen-tito, lessico con una precisa intertestualità letteraria), noi cogliamo qui qualcosa che, al di là del caso individuale che pur rende il fenomeno particolarmente istruttivo, mi pare tipico del

“attraversanDo” valeri. il goetheDi giorgio orelli

tradurre poetico in generale. Intendo l’inevitabile risultato di “far mente locale”, di illumina-re di una luce più forte, impillumina-reziosendoli, taluni dettagli, sempillumina-re in forza dell’intellettualizzaillumina-re sopra il rigo […] e forse – ancora una volta – compenso di quanto altrettanto inevitabilmente va perduto d’intensità e ricchezza fonico-formale»: P.v. MengalDo, Aspetti delle versioni poetiche di Solmi, in iD., La tradizione del Novecento. Nuova serie, Vallecchi, Firenze 1987, pp.

345-356.

57 Forse questa può essere, se non la motivazione principale, almeno una credibile con-causa dell’inarcatura creata sia da Valeri che da Orelli tra i vv. 13 e 14.

58 Non stupirà certo, né vale a inficiare quanto osservato, il fatto che Orelli scardini an-cor più decisamente di Valeri il sistema rimico originario. Nella sua traduzione, non solo

58 Non stupirà certo, né vale a inficiare quanto osservato, il fatto che Orelli scardini an-cor più decisamente di Valeri il sistema rimico originario. Nella sua traduzione, non solo