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Su Orelli che traduce otto versi di Lucrezio

2.3. Nähe des Geliebten

Passo ora all’ultimo specimen testuale che ho scelto di trattare in questo contri-buto. Se per ricostruire il rapporto dialettico instaurato col Valeri nelle tradu-zioni orelliane di Meeres Stille e Heidenröslein abbiamo potuto giovarci, per così dire, di ghiotti assist serviti da Orelli stesso (bastava leggere con accortezza i suoi

“attraversanDo” valeri. il goetheDi giorgio orelli

Appunti informativi per trovare una prima chiave d’accesso alla dichiarata cor-relazione intertestuale), nel caso di Nähe des Geliebten occorrerà invece affidarsi in toto a meno espliciti, ma non meno sintomatici, indizi testuali.

Innanzitutto il titolo scelto da Orelli per la sua traduzione, Presenza dell’a-mata, spiazza già sulle prime chi mastichi un po’ di tedesco. Nell’intestazione goethiana, il determinante des Geliebten è infatti un sintagma genitivale che la grammatica autorizza ad interpretare esclusivamente o come maschile o come neutro: “(presenza, vicinanza) dell’amato”, dunque.51 L’apparente stranezza del-la dicitura al maschile – considerata (sia detto con un sorriso) l’intonsa fama di tombeur de femmes del Goethe uomo e soprattutto poeta – è presto spiegata: lo squisito Lied nasce come cover di un testo scritto da Friederike Brun – poetessa allora di qualche rinomanza – e messo in musica dal compositore berlinese Carl Friedrich Zelter. Incantato dalla melodia, ma evidentemente non dalle parole, Goethe aveva deciso di accompagnare alla partitura dello Zelter lyrics di propria fattura, massicciamente rimaneggiando il prototipo (invero un po’ scolastico) della Brun.52

È possibile che Orelli, non conoscendo la preistoria di Nähe des Geliebten, l’abbia annoverata tra le tante liriche d’amore dell’autore francofortese, e abbia pertanto fatto coincidere con quest’ultimo, senza troppo elucubrare, l’io poe-tante.53 Ma se non si è interrogato troppo sulle ragioni di quel genitivo maschile (o neutro), forse è stato anche per il conforto che gli veniva dalla versione di Valeri, non a caso parimenti intitolata Presenza dell’amata. Sebbene non le si possa attribuire la valenza probatoria che l’ecdotica assegnerebbe a un errore congiuntivo, l’identità del titolo, a fortiori per la “licenza” che la femminilizza-zione sottintende, davvero suscita qualche sospetto d’interdipendenza.54

Prima di demandare a un fascio organico di rilievi testuali il compito di ve-rificare la legittimità di tale sospetto, converrà però leggere per intero i testi su cui verterà il discorso.

Nähe des Geliebten

Ich denke dein, wenn mir der Sonne Schimmer vom Meere strahlt;

ich denke dein, wenn sich des Mondes Flimmer in Quellen malt.

Ich sehe dich, wenn auf dem fernen Wege 5 der Staub sich hebt;

in tiefer Nacht, wenn auf dem schmalen Stege der Wandrer bebt.

Ich höre dich, wenn dort mit dumpfem Rauschen

die Welle steigt. 10

Im stillen Haine geh ich oft zu lauschen, wenn alles schweigt.

aliCe sPinelli

Ich bin bei dir, du seist auch noch so ferne, du bist mir nah!

Die Sonne sinkt, bald leuchten mir die Sterne, 15

o wärst du da!

Valeri (V) Orelli (O2)

Presenza dell’amata

Io penso a te se, raggiante dal mare, il sol mi batte in fronte;

io penso a te se un barlume lunare si specchia nella fonte.

Vedo te se la polvere si leva 5 da lungi a nembi folti;

se a notte fonda il viandante trema varcando aerei ponti.

Odo te se con murmure sommesso laggiù si gonfia il flutto; 10 nel cheto bosco sto in ascolto spesso, allor che tace il tutto.

Sono con te, con me sei tu, se bene lungi tu sia così!

Si cala il sole, brilleran le stelle 15 tosto. Oh fossi tu qui!

Presenza dell’amata

Io penso a te se la brace del sole mi sfavilla dal mare;

penso a te se in sorgive si riverbera il chiarore lunare.

Vedo te se lontano sulla strada 5 la polvere si leva;

e a notte fonda, se sul ponticello il viandante trema.

Odo te se laggiù con rumorìo

sordo sale il frangente. 10 Spesso nel quieto bosco vado e spio, quando tutto è silenzio.

Io son con te; benché tu sia così lontana, sei con me.

Cade il sole, or mi brillano le stelle. 15 Ah, se tu fossi qui!

Basterà mettere puntualmente a confronto le corrispettive rese di qualche stesso locus goethiano per trarre ennesima e risolutiva conferma dell’opposizio-ne di fondo tra i due atteggiamenti traduttivi.

All’inizio della seconda strofa, ad esempio, Valeri enfatizza il poco marca-to auf dem fernen Wege del v. 5, trasformandolo in un da lungi a nembi folti (v. 6) che non solo abroga l’asciutta denotatività spaziale del tedesco (auf dem […] Wege, “sulla strada”) per intromettere un’apocrifa (e piuttosto conven-zionale) specificazione intensificativa (a nembi folti), ma opta anche, nella resa di ferne, per l’aulicismo lungi, evidentemente aspirando a una classicheggiante sostenutezza tonale. Al contrario Orelli, oltre a scansare qualsiasi tentazione interpolatoria, fa ricorso al sinonimo più quotidiano (lontano sulla strada, v. 5);

e la medesima allotropia si ripropone nell’ultima quartina (du seist auch noch so ferne, v. 13 → se bene / lungi tu sia così, vv. 13-14 V ≠ benché tu sia così / lontana, vv. 13-14 O2).55

Implica un’analoga polarità diafasica – tra arcaizzante elevatezza di registro e più ordinaria colloquialità – l’allofonia consonantica nella coppia cheto (v. 11 V) ~ quieto (v. 11 O2), per il tedesco stillen (v. 11).

“attraversanDo” valeri. il goetheDi giorgio orelli

Ancora riconnotante è infine l’interpretazione valeriana di un altro sintagma locativo, in parallelismo rimato con l’auf dem fernen Wege (v. 5) di cui si è appe-na detto. Al v. 7 G, auf dem schmalen Stege (“sul ponte stretto”) è indicazione scevra di sovrasignificati evocativi. Per converso, la sobria referenzialità goethia-na tende a rarefarsi in un’atmosfera nobilmente immaginifica nella traduzione di Valeri (varcando aerei ponti, v. 8). Con la diminutivizzazione del costrutto tedesco, Orelli si assesta invece su toni di più dimessa confidenzialità (sul pon-ticello, v. 7).

Se questi rilievi congiunti possono valere da experimentum crucis in grado di discriminare con nettezza tra l’uno e l’altro atteggiamento traduttivo, ribadendo la destituzione orelliana dell’anticheggiante “letterarietà”56 di Valeri, essi non detengono però un significato filologicamente separativo: non esimono cioè dal setacciare le due versioni alla ricerca di raccordi e dipendenze genetiche. I con-tatti sembrano qui anzi – al di là del già non irrilevante titolo condiviso – ingenti e persuasivi, perché non si limitano a sparse chiazze di superficie, ma ineriscono al pattern metrico-formale stesso delle due traduzioni, e quindi alla loro “gram-matica profonda”.

Il Lied goethiano si articola in quartine rette da sinergiche alternanze: i fünf-hebige Jamben (pentametri giambici) di collocazione dispari sono intervallati, in sede pari, da Zweiheber con ritmo analogamente ascendente (tesi – arsi – tesi – arsi); le misure isometriche sono allacciate dalla rima, di nuovo con avvicenda-mento di uscite femminili e maschili: ne risulta uno schema iterato AbAb, con A pentametro giambico piano e b dimetro giambico tronco.

A differenza che nella traduzione di Meeres Stille e nella maggioranza delle sue versioni goethiane, Valeri non persevera qui in una restituzione epidermica-mente esatta del ritmo originale, ma lavora a una più morbida equivalenza cul-turale, che seleziona all’interno della tradizione lirica italiana una forma metrica latamente affine a quella goethiana. Elabora così quattro quartine di endecasil-labi e settenari a rima alternata. Per giunta, discostandosi in ciò di nuovo dalle altre due prove sopra analizzate, Valeri supplisce talvolta alla rima perfetta con più o meno ricche assonanze e accanto alla corrispondenza piuttosto sostanzio-sa folti : ponti (vv. 6 : 8) avalla legami più deboli, come leva : trema (vv. 5 : 7) e soprattutto bene : stelle (vv. 13 : 15).

Un Valeri metricamente meno “fondamentalista”, dunque; intento a una più discreta evocazione del soffuso clima lirico e della musicalità cangiante del mo-dello goethiano, anziché deciso a copiarne religiosamente le fattezze. Ed è que-sta incarnazione più modernamente “empatica” del Valeri traduttore che Orelli può avvertire come a lui più congeniale, e che può perciò agire più a fondo sui suoi stessi meccanismi di resa. Anche in O2 compaiono infatti quartine di ende-casillabi e settenari. E la forma prescelta dai due traduttori italiani incide sensi-bilmente sul rapporto metro-sintassi e sugli equilibri strofici stabiliti da Goethe:

mentre per i versi dispari la misura endecasillabica collima suppergiù con quella tedesca, i settenari pari espandono notevolmente i corrispettivi Zweiheber, a cui meglio si attaglierebbero, a rigore, dei quinari. Probabilmente anche per

aliCe sPinelli

via di quest’amplificazione mensurale i due traduttori si trovano talvolta ad in-trodurre ex novo dettagli qualificativi, o a redistribuire il materiale poetico tra i due versi di ogni coppia: per rimpolpare il secondo membro, vi fanno slittare degli elementi collocati da Goethe nel primo, così ingenerando enjambements eccedenti rispetto al testo tedesco (dove melos e logos combaciano pressoché senza eccezioni).57

Non soltanto lo scheletro strutturale di O2 – inteso come astratto concetto architettonico – sembra tuttavia discendere dalla traduzione di Valeri (oppure, più prudentemente, trovarsi con questa in indicativa sintonia).58 A rinsaldare il nodo intertestuale provvede la trasmigrazione dall’una all’altra versione di forme e sintagmi puntuali, spesso situati in rima, ossia nella posizione più carat-terizzante e memorabile del verso. Anche in questi casi, riesce difficile pensare a sviluppi indipendenti, tanto più in quanto questi loci paralleli non risultano da trasposizioni interlineari – per così dire obbligate, imposte dalla lettera dell’an-tigrafo –, ma trascelgono concordemente una soluzione possibile tra più alter-native adiafore, o addirittura prevedono un certo grado di riformulazione del dettato goethiano. Ecco elencate le coincidenze rimiche tra i due testi:

• mare : lunare, vv. 1 : 3 V = vv. 2 : 4 O2, dove lunare implica la condensazione in aggettivo relazionale del genitivo di specificazione des Mondes ‘della luna’

(v. 3);

• (la polvere) si leva : (il viandante) trema, vv. 5 : 7 V = vv. 6 : 8 O2, con un’ugua-glianza che non si ferma ai rimanti, ma coinvolge gli interi segmenti frastici (emistichi in Valeri, versi completi in Orelli);

• così : qui, vv. 14 : 16 V = vv. 13 : 16 O2, secondo due piani ritmico-sintattici diversi, ma entrambi comportanti la scissione di così – mediante iperbato o enjambement – dall’elemento che intensifica (so ferne, v. 13 → lungi tu sia così, v. 14 V; così / lontana, vv. 13-14 O2).

Non pare infine da tacere il fatto che in entrambe le versioni si respiri, direb-be Orelli, un “ozono”59 pascoliano. Se Valeri incastona nella sua traduzione un tassello estratto tale e quale da Primi poemetti (murmure sommesso, v. 9),60 così instaurando col Pascoli un legame intertestuale sintagmatico, nel dettato orel-liano le risonanze coinvolgono piuttosto l’asse paradigmatico della costruzione poetica: non affiorano cioè in superficie ben documentabili innesti testuali, ma alcuni stilemi e moduli espressivi effondono, per così dire, un’aura pascoliana, o comunque mettono a frutto le più celebrate innovazioni tecniche di Myricae e dei Canti di Castelvecchio. In rima con spio (v. 11), ecco in Orelli rumorìo (v. 9), sostantivo che, seppur di per sé mai attestato nell’opera omnia del Pascoli, sfu-ma in quel suffisso attenuativo -ìo che la critica61 ha giustamente annoverato tra le cifre più caratteristiche del suo impressionismo linguistico.62 Per il sintagma la brace del sole del v. 1 O2 (dal goethiano der Sonne Schimmer, “il bagliore del sole”), Mengaldo ha evidenziato a buon diritto la memoria sottotraccia di «un costrutto postsimbolistico con inversione di determinante e determinato (e si

“attraversanDo” valeri. il goetheDi giorgio orelli

veda, ad esempio, Ungaretti: “Un fiore di pallida brace”)»;63 e tuttavia, sia pure mutatis mutandis, sembrano almeno echeggiare in lontananza locuzioni propria-mente simbolistiche, e tipiche in particolare dell’evocativo pittoricismo pasco-liano, come un nero di nubi, un’alba di perla,64 ecc.

Certo, il concomitante (seppur tipologicamente difforme) richiamo al Pa-scoli di Valeri e Orelli non è qui stringente come ci è parso, nel caso di Meeres Stille, l’accordo leopardiano; non gli si può attribuire un’incontrovertibile for-za dimostrativa. Puntualizfor-zato che non si esclude la poligenesi delle rispettive, più o meno cogenti correlazioni pascoliane, non parrebbe comunque illecito congetturare – dato il precedente del più sicuro leopardismo e accertata ormai l’intensità e la produttività dello scambio tra i due traduttori – che di nuovo per intercessione del Valeri si sia innescato in Orelli un “effetto domino” di remi-niscenze interculturali originalmente rivitalizzate.65 E se anche queste memorie letterarie in certo modo confluenti non apparissero troppo degne di nota, se pure cioè si volesse interpretarle come fortuite coincidenze anziché ricondurle a un fenomeno che si potrebbe tentativamente definire di “co-intertestualità”, o

“intertestualità mediata”; ebbene, credo che tuttavia gli altri elementi apportati, che un’analisi più distesa potrebbe integrare ulteriormente, dimostrino come l’Orelli traduttore di Goethe abbia “attraversato” Valeri – intendendo il verbo in un’accezione simile a quella che gli assegnava Montale nel riferirsi al rap-porto di Gozzano (e, sotto mentite spoglie, suo proprio) con d’Annunzio. Un rapporto di contrastata aemulatio, nel quale il distanziamento a tratti polemico e infine il cosciente superamento del modello non esclude – e anzi presuppone – una frequentazione ravvicinata, capace di carpire e metabolizzare escamotages stilistici e soluzioni linguistiche o strutturali già sperimentate dal predecessore e ritenute funzionali, con i dovuti accorgimenti, a un pur ben distinto progetto poetico.