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La relazione fra Giorgio Orelli e Mario Luzi, legati da un’amicizia e da una stima reciproca di cui offrono una parca, ma significativa testimonianza le let-tere recentemente esposte nella mostra mendrisiense intitolata Mario Luzi. Le campagne, le parole, la luce,1 è anche il rapporto fra due raffinatissimi lettori di poesia, che si sono esercitati, sia pure con frequenza e intensità disuguale, l’uno sulla pagina dell’altro. La prima parte del nostro intervento sarà dedicata a questo aspetto del sodalizio Orelli-Luzi, che riteniamo possa offrire delle indi-cazioni preziose anche in vista di un’analisi dei rapporti profondi esistenti fra i due percorsi poetici individuali.

Luzi è intervenuto una sola volta pubblicamente sulla poesia di Orelli, in una testimonianza apparsa sul “Corriere del Ticino” il 3 settembre del 1988 in occa-sione del conferimento al poeta ticinese del prestigioso Gran Premio Schiller.2 Lodato «il lavoro serio e concentrato di un’esistenza discreta», Luzi attira l’at-tenzione su quella che gli appare la qualità principe dell’Orelli poeta, lo «spirito di precisione», invocato non per «introdurre surrettiziamente il sigillo dell’el-veticità, a cui forse neppure lui darebbe eccessiva importanza, ma per esaltare quell’estrema delicatissima esattezza che consente a un qualunque dato del sen-so e dell’esperienza di essere per un attimo, in quell’attimo, vero, cioè pieno di esistenza (di realtà, diciamo pure) e tracimante quanto al significato». «Molto», prosegue Luzi, «il non detto perché il geloso e affabile dire» di Orelli «non si lasci sfuggire la grazia istantanea di quella precisione che lo fa essere tale. Quella di Orelli è essenzialmente un’assidua sottile fervida vigilanza affinché quella di-sattenzione non accada. La esercita sul proprio corso e discorso, essa a sua volta sottilmente li provoca e li alimenta. La istituisce come criterio e la mobilita come animatissima caccia nei suoi straordinari saggi, nelle sue mirabili analisi testuali, che rispondono così bene alle ragioni del suo poetare».

L’Orelli di cui si ragiona in quest’articolo è essenzialmente l’autore di Sino-pie, colto alla vigilia della pubblicazione della sua terza, grande raccolta (Spira-coli, 1989); eppure le categorie critiche con cui Luzi misura la sua esperienza sembrano tarate ancora su L’ora del tempo, come rivelano gli impliciti rimandi all’“esercizio nomenclatorio”, alla “precisa designazione del dato” di ascenden-za pascoliana e montaliana, all’“intensità emblematica” (non simbolica) degli oggetti che la poesia ritaglia, su cui si sono soffermati molti lettori3 – categorie che, pur applicandosi in parte anche a Sinopie, non rendono pienamente

ragio-giovanni fontana

ne della complessità e della ricchezza della raccolta. C’è, è vero, in questa pro-sa d’occasione un (timido) segnale d’apertura alle peculiarità del nuovo corso orelliano (il riferimento a un dire «affabile»), ma, nel complesso, lo sguardo del lettore appare (quasi nostalgicamente) volto all’indietro, a un Orelli che sempre più appartiene al passato.

Più folte le testimonianze dell’interesse critico di Orelli per Luzi, distribuite sull’arco di più di quarant’anni, a testimonianza di una “lunga fedeltà”.

Il primo intervento appartiene al versante “sommerso” della produzione cri-tica di Orelli su cui ha attirato – meritoriamente – l’attenzione la ricchissima Bibliografia allestita da Pietro Montorfani in occasione del primo anniversario della scomparsa del poeta:4 su una delle testate locali con cui inizia a collaborare nel dopoguerra – “L’educatore della Svizzera italiana” – Orelli pubblica infatti nel 1954 una lettura di Notizie a Giuseppina dopo tanti anni (da Primizie del deserto, 1952)5 che sarà ripresa, qualche mese più tardi, con alcune varianti, su

“La Fiera letteraria” e su “Gazzetta ticinese”,6 ma, come tutti i saggi di questa fase aurorale, non supererà il severo vaglio critico degli Accertamenti verbali.

Diversa sorte tocca al secondo contributo critico luziano di Orelli, lo splen-dido Sul «mentre» nella poesia di Mario Luzi, che appare su “Strumenti critici”

nel febbraio del 19707 e otto anni più tardi, dopo essere stato «rimesso in can-tiere» dall’autore, subendo modifiche e aggiunte che ne fanno in gran parte un testo diverso, non solo è ammesso fra gli Accertamenti, ma è investito del com-pito di suggellare la raccolta a cui Orelli consegna la propria prima immagine coerente di critico letterario allineato alle tendenze più innovative della ricerca italiana ed europea.8

Nel 1995, infine, in occasione di una giornata di studio organizzata dall’Uni-versità di Firenze per celebrare gli ottant’anni del poeta, Orelli tiene una confe-renza intitolata significativamente Accertamento luziano: «Dalla torre», che due anni più tardi sarà pubblicata negli atti del convegno.9

I tre (o, se si vuole, i quattro) interventi orelliani sono assai diversi nel taglio, nell’approccio critico ai testi (come vedremo fra breve), ma testimoniamo in ma-niera coerente di un interesse per la grande stagione post-ermetica di Primizie del deserto, Onore del vero, Dal fondo delle campagne e Nel magma: il che, sia detto subito (anticipando le conclusioni di un ragionamento che svilupperemo minutamente più avanti) non è senza importanza, dato che questo segmento del percorso di Luzi presenta più di un’affinità con la produzione orelliana degli anni cinquanta-sessanta, fra Poesie, L’ora del tempo e le prime Sinopie.

L’Orelli lettore di Notizie a Giuseppina dopo tanti anni:10 Che speri, che ti riprometti, amica,

se torni per così cupo viaggio fin qua dove nel sole le burrasche hanno una voce altissima abbrunata,

di gelsomino odorano e di frane? 5

orellie luzi

Mi trovo qui a questa età che sai, né giovane né vecchio, attendo, guardo questa vicissitudine sospesa;

non so più quel che volli o mi fu imposto,

entri nei miei pensieri e n’esci illesa. 10

Tutto l’altro che deve essere è ancora, il fiume scorre, la campagna varia, grandina, spiove, qualche cane latra, esce la luna, niente si riscuote,

niente dal lungo sonno avventuroso. 15

è un critico attento alla dimensione formale dei testi, indagata con gli strumenti della critica stilistica e auscultata con l’orecchio del poeta. L’attacco del saggio è, da questo punto di vista, assai eloquente:

Luzi esita tra un linguaggio che non rifiuta, anzi sembra esigere l’“incompiuto” (sugge-rirei, per usare la metafora regalatami da Vittoria Guerrini, di pensare alla Pietà Ron-danini) e un linguaggio in cui il presupposto ideologico coincide rapido con una forma perfettamente conclusa, sferica: Primizie del deserto, forse il libro più importante, il suo punto medio, concilia un viaggio in queste due direzioni.

Nella seconda cadono le liriche più brevi, come Notizie a Giuseppina dopo tanti anni, componimento striato di un’angoscia esistenziale che par stemperarsi in una malinconia piena di nerbo. Voce d’uomo solo che assiduamente interroga e si confessa con toni dimessi (non crepuscolari), naturalissimi e insieme toccati da un’eleganza rara.

Il primum è dunque l’individuazione di un timbro di «voce» (vera parola-chiave del saggio) – il tono «limpidamente accorato» di un «canto che non sin-ghiozza», posto, fin dalle prime battute, sotto la costellazione di Petrarca e (più sorprendentemente) di Kafka.11

I paragrafi che seguono mirano da lato a illuminare il carattere metafisico-esistenziale del bilancio stilato dall’io lirico di Notizie, in cui il termine «vicissi-tudine […] si sfronda di ogni senso di esterna avventura» e fotografa una preca-ria condizione «dello spirito», sospesa «fra essere e non essere» («né giovane né vecchio»), e dall’altro a inventariare le strutture formali, gli stampi “naturalissi-mi” in cui è colata questa materia incandescente.

Così la figura femminile che innesca la riflessione può dirsi «presente e insie-me remota», colta «auf halbem Weg, viva in una zona che lo stupore, un’insop-primibile gratitudine e la pietà di sé, nonché “l’ora del tempo”, isolano prodi-giosamente», sullo sfondo di «burrasche» che non hanno nulla di «pittoresco»

e parlano esclusivamente all’«intelletto» – mentre i versi della prima strofa (una

“quartina” dilatata «da una segreta piena che la fa traboccare») assecondano il ritmo del «cupo viaggio».12

Analogamente, l’apertura al «mondo» della strofa finale («a un mondo di cui tutto può rattristare, fuor del quale tutto può rattristare») è letta sulla falsariga

del Dialogo di un folletto e di uno gnomo di Leopardi e di un passo di una lettera di Foscolo al Giovio come un riaffacciarsi agli «inganni consueti» e auscultata nella sua partitura ritmica, sottilmente mimetica.13

Nel passaggio da “L’educatore della Svizzera italiana” a “La Fiera Lettera-ria” il saggio è amputato di un paragrafo su cui val la pena di soffermarsi. Appe-na prima della conclusione, Orelli così descrive l’andamento della terza strofa:

Scorre, varia: verbi della «vicissitudine sospesa». «Tutto l’altro», rammentato con una se-rie così rapida di avvenimenti (come molti giorni in uno), riporta la mente a certe «liste»

del Petrarca. Pure, tutto cade in un ordine preciso, sicché non è distrutta l’impressione d’uno che coglie una realtà vera fuori dalla mente e la registra senza violare le leggi che la governano. Una visione esatta: lo sguardo segue il fiume che scorre (tornano a memoria certo disegni di Leonardo), poi spazia sulla campagna (l’a di campagna ulteriormente aperto dall’a di varia). Ciò vale anche per «qualche cane latra».14

L’espunzione del riferimento al mondo «fuori della mente» rende più coe-rente la lettura “anti-naturalistica” (metafisico-esistenziale) del testo luziano, ma occulta un rilievo prezioso sulla scaturigine nascosta della poesia, su quel corto-circuito fra esperienza e scrittura senza il quale il verso, pur internamente modellato dentro gli stampi della tradizione (le condensatissime «liste» di Pe-trarca), non potrebbe darsi. È l’appunto di un poeta in margine al testo di un poeta, che illumina una zona del laboratorio creativo inaccessibile a occhi meno esercitati dove si definisce non solo una grammatica della visione, ma anche un rapporto fra immagini e suoni, che è indagato qui per la prima volta con un approccio cauto, sperimentale, non ancora affinato nella fucina formalistico-strutturalista.

Questa riflessione che Orelli sembra fare fra sé e sé, ragionando su Notizie, certo, ma anche sulla propria poesia (così affine – come vedremo – a quella di Primizie del deserto…), può trovare spazio nella dimensione domestica e appar-tata della rivista pedagogica ticinese, ma non nella sede più esposta e prestigiosa della “Fiera Letteraria”, dove il critico torna a prevalere sul poeta.15

Nell’una e nell’altra sede manca qualsiasi riferimento esplicito al nume tu-telare del Luzi di Primizie, T.S. Eliot, da cui deriva l’immagine «né giovane né vecchio» che Orelli negli stessi anni di Notizie inserisce nella sua Prima dell’an-no nuovo…16

Sul «mentre» nella poesia di Mario Luzi rappresenta, da più punti di vista, un unicum all’interno degli Accertamenti verbali. Proviamo a definire i contorni di questa felice anomalia. In primo luogo, quello sul mentre è l’unico saggio fra quelli raccolti nel volume che insegua il percorso poetico di un quasi-coetaneo, intervenendo sull’attualità di una ricerca in fieri, con progressive messe a pun-to e tempestivi aggiornamenti. Secondo. Diversamente da tutti gli altri pezzi confluiti negli Accertamenti – e in parziale dissonanza rispetto all’introduzione teorica Ritmi, timbri, disegno del pensiero – il saggio pone sotto la lente

d’in-giovanni fontana

grandimento non il lavoro sul significante, bensì la funzionalità di una struttura sintattica riconosciuta come mot clé della raccolta Nel magma17 (e delle raccolte limitrofe) e connessa con una nuova visione del mondo, con una singolare di-sposizione nei confronti del tempo, della natura, dell’altro.18 Terzo. Il discorso procede, per larghi tratti del saggio, per micro-esegesi testuali che mettono in primo piano l’istanza semantica, la struttura tematica dei componimenti in esa-me, quale si definisce, appunto, attraverso usi peculiari del mentre o di legamen-ti affini (una delle parlegamen-ticolarità dell’arlegamen-ticolo è, per inciso, quella di studiare non solo i casi in cui il mentre è effettivamente impiegato, ma anche tutti i contesti in cui la sua presenza è puramente virtuale e la congiunzione «funziona per il vuoto che lascia»).

Non possiamo in questa sede ricostruire minutamente il diagramma di que-sto splendido saggio: basti dire che, dopo aver riconosciuto nell’impiego del mentre un comportamento stilistico premeditato che s’inserisce «nella prospet-tiva semiotica più caratteristica del nostro tempo», in relazione alle «esigenze di una profonda tematica dell’essere, del tempo, del movimento, ecc.», Orelli ne verifica presenza e funzionalità nell’Eliot dei Quattro quartetti, nel Montale di Satura e nel Rebora dei Frammenti lirici, per poi passare a una minuta classifica-zione dei suoi usi nel Magma. Ne emerge «l’inusitato potenziale concettuale ed evocativo-sentimentale» di una congiunzione che:

[è] segno certo di un’attenzione penetrante nella «trista scienza del male» (Manzoni), indizio del bisogno di spiritualità trascendente […] quanto dello sforzo di riempire i vuoti della memoria, ponte fra sé e l’altro (uomo), fra sé e sé non dissociati […], tra sé e la natura, la quale può improvvisamente riempire di sé il vuoto della mente e del cuore […], congiunzione che attesta l’impulso cristiano di umana solidarietà, per cui circola nelle poesie del Magma un senso pungente di pietà per l’umana condizione, per questo istante di vita incompleta, una profonda, fraterna comprensione attiva, una «finestra sulla strada», vorrei dire ripensando uno di quei raccontini così intensi di Kafka («Chi vive derelitto e vorrebbe avere amicizia, chi, avendo riguardo ai mutamenti dell’ora, del tempo, dei rapporti professionali e altro, vuol vedere un braccio qualsiasi al quale ap-poggiarsi: questi non potrà rimanere privo per molto d’una finestra sulla strada»), fulcro ubbidiente alle permutazioni dell’io lirico, lungo una successione di presenti in cui è possibile sentir confluire, agostinianamente, il passato e il futuro, […] momento di com-presenza […] per cui si tende alla più larga (a un’infinita) coordinazione col «resto»…19 Il saggio prosegue interrogando le raccolte immediatamente precedenti e quelle immediatamente successive al Magma, con rapidi e illuminanti sposta-menti sull’asse temporale. Da un esame di Dal fondo delle campagne emerge al-lora il nesso fra l’uso di mentre e il tema della «tolleranza dell’umano» (cioè della difficile apertura all’alterità), mentre l’esplorazione di Su fondamenti invisibili (la raccolta del 1971, che si va componendo sotto gli occhi di Orelli), permette di illustrare il nodo che lega il mentre a una poesia in cui l’esigenza narrativa, con le sue implicazioni riflessive, «prevale non di rado sull’impulso propriamen-te lirico», a un sermo merus che propriamen-tende alla prosa, che si desublima…20

orellie luzi

Da ciò che siamo venuti dicendo su questo saggio si possono intuire le ragio-ni dell’anomalia d’impianto segnalata in apertura: il saggio sul mentre ha queste peculiarità, crediamo, perché presuppone una forte implicazione di chi scrive nell’oggetto della propria riflessione critica, un coinvolgimento umano, emoti-vo, oltre che intellettuale, nella vicenda poetica che sta ricostruendo, in cui – in qualche misura – il critico-poeta si specchia, in cui riconosce qualcosa di sé, del proprio cammino poetico.

Tutt’altra prospettiva è quella in cui nasce l’«accertamento luziano» del 1995, dedicato a uno dei testi capitali della raccolta Dal fondo delle campagne (1965), Dalla torre:21

Questa terra grigia lisciata dal vento nei suoi dossi nella sua cavalcata verso il mare,

nella sua ressa d’armento sotto i gioghi e i contrafforti dell’interno, vista

nel capogiro degli spalti, fila 5

luce, fila anni luce misteriosi, fila un solo destino in molte guise, dice: «guardami sono la tua stella»

e in quell’attimo punge più profonda

il cuore la spina della vita. 10

Questa terra toscana brulla e tersa ove corre il pensiero di chi resta o cresciuto da lei se ne allontana.

Tutti i miei più che quarant’anni sciamano

fuori del loro nido d’ape. Cercano 15

qui più che altrove il loro cibo, chiedono di noi, di voi murati nella crosta

di questo corpo luminoso. E seguita, seguita a pullulare morte e vita

tenera e ostile, chiara e inconoscibile. 20

Tanto afferra l’occhio da questa torre di vedetta.

Già il titolo del saggio è rivelatore: la lettura di Dalla torre invera, infatti, un metodo ormai collaudato e per così dire canonizzato dai volumi del ’78 (Accer-tamenti verbali) e dell’84 (Accer(Accer-tamenti montaliani),22 di cui esemplifica lumino-samente le linee guida. E l’oggetto di questo raffinato esercizio di lettura non è più, a vent’anni di distanza, il compagno di strada nelle cui vicissitudini umane e poetiche specchiarsi, ma lo scrittore ormai assurto a classico del Novecento, al pari di Montale, da affrontare con gli strumenti riservati ai poeti del suo rango.

Da questo atteggiamento discendono affermazioni come questa, posta in calce a una lunga esplorazione della «cava di pietrisco» dei versi centrali di Dalla torre, densi di echi danteschi, petrarcheschi, leopardiani e addirittura manzoniani:

giovanni fontana

Sto evidentemente parlando di Luzi come d’un classico in quanto, si direbbe inevita-bilmente, disposto a usare le «risorse estetiche innate del linguaggio» (Sapir), peculiari della più illustre tradizione.23

Da questa matrice derivano i rilievi sulla struttura metrico-ritmica-timbrica del testo che costituiscono l’asse portante del saggio: la prevalenza dell’ende-casillabo, il legame assiale fra i versi lunghi che aprono e chiudono il componi-mento, attraverso la stazione intermedia del v. 11, che riprende anaforicamente l’incipit «Questa terra»; il valore della «zona mediana» compresa fra il v. 11 e il v. 13, caratterizzata da una singolare «concordia metrico-timbrica» che è messa in relazione con la tematica del nido, della terra materna in cui rifugiarsi; il valo-re delle iterazioni “ansiose” di cui è punteggiato il testo; ecc.

Ai fini del nostro discorso conviene, però, ritornare su quel che nell’accerta-mento orelliano è solo una breve, per quanto densissima, introduzione all’eser-cizio di critica verbale: alludiamo alla rapida ricognizione del retroterra tematico di Dalla torre, che, sulla scorta di indicatori lessicali (la parola «vento», l’imma-gine degli “anni sciami”) e prosodici (la sequenza di sdruccioli) e di indizi relati-vi all’impianto del discorso (l’auto-allocuzione), consente a Orelli di ricondurre questo bilancio esistenziale sollecitato dal raggiungimento dell’Hälfte des Le-bens a prototipi rinvenibili nel corpus stesso della poesia luziana (Notizie a Giu-seppina dopo tanti anni in Primizie del deserto, Nell’imminenza dei quarant’anni in Onore del vero, Api in Dal fondo delle campagne), ma anche a modelli eliotiani (Gerontion per il motivo del «né giovane né vecchio», East Coker, dai Quattro quartetti, per il tema della «saggezza dell’umiltà» che illumina la comunione dei vivi e dei morti), benniani (Aprèslude per l’esortazione a immergersi nell’alterna vicenda della vita che l’io lirico rivolge a se stesso) ecc. Siamo, come ognun vede, nello stesso orizzonte tematico delineato dal saggio sul mentre.

Ora è tempo di verificare se le preferenze del lettore coincidano con quelle del poeta in proprio o, detto in altri termini, se le tangenze fra i percorsi poetici di Orelli e di Luzi – se esistono, come crediamo – si collochino veramente in quella stagione straordinaria per le sorti della poesia italiana che va dall’inizio degli anni cinquanta alla fine degli anni sessanta.

Il campione su cui intendiamo soffermarci è costituito da due testi apparte-nenti all’ultima sezione de L’ora del tempo che, per certi versi, costituiscono un dittico: Nel cerchio familiare e Prima dell’anno nuovo.24

Nel cerchio familiare esce a stampa per la prima volta sulla rivista “Botteghe oscure” nel 1958,25 quindi è accolto (con varianti) nella plaquette omonima pub-blicata nel 1960 a Milano da Scheiwiller26 e di qui passa nel volume mondado-riano del 1962:

Una luce funerea, spenta, raggela le conifere

dalla scorza che dura oltre la morte,

orellie luzi

e tutto è fermo in questa conca

scavata con dolcezza dal tempo: 5

nel cerchio familiare

da cui non ha senso scampare.

Entro un silenzio così conosciuto i morti son più vivi dei vivi:

da linde camere odorose di canfora 10

scendono per le botole in stufe

rivestite di legno, aggiustano i propri ritratti, tornano nella stalla a rivedere i capi

di pura razza bruna.

Ma,

senza ferri da talpe, senza ombrelli 15

per impigliarvi rondini;

non cauti, non dimentichi in rincorse, dietro quale carillon ve ne andate, ragazzi per i prati intirizziti?

non cauti, non dimentichi in rincorse, dietro quale carillon ve ne andate, ragazzi per i prati intirizziti?