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Le sillabe di Orelli

3. Parole animate, parole come azioni, e la parola «cosa»

Orelli tratta le parole, che dànno corpo fisico al «disegno del pensiero»,17 alla stessa stregua di esseri animati: usa «fare festa» agli animali – che lo ricambia-no con perfetta reciprocità – e ugualmente «festeggiare» (verbi entrambi ben suoi)18 un nesso, un costrutto, una rima, un dantismo.

Per lui le parole fanno azioni concrete: pungono, scottano, si chiamano, si inseguono, si attraggono, si attaccano, fanno coppia, si torcono, si aggrovigliano, e via dicendo. In un’intervista del 2012, Orelli ripete una definizione dantesca della poesia che gli è cara, e che ha citato in varie occasioni: «Fabricatio verbo-rum armonizatoverbo-rum. Costruzione di parole armonizzate. In poesia le parole si chiamano. Questo è uno dei segreti della poesia ed è di importanza enorme. A volte è inconscio, a volte consapevole. È un’avventura mai finita».19

Sfogliamo l’ultimo libro di critica, La qualità del senso,20 e puntiamo l’atten-zione sui saggi ariosteschi, alla ricerca di esempi che mostrino questa consape-volezza delle parole che compiono azioni.

Occupandosi della prima ottava dell’Orlando furioso, Orelli devia sull’inizio della Gerusalemme liberata: per misurare la differenza tra il discreto io canto col-locato in una posizione riparata dall’Ariosto, e l’esibito Canto piazzato del Tasso nella posizione più esposta; quindi soppesa e valuta il secondo verso tassiano:

«un verso tra i più scricchianti che si conoscano, che il GRan sepolCRo liberò di

silvia longhi

CRisto, atto (si direbbe) a scoperchiare il sepolcro consumando fin dal principio l’impresa» (p. 34).21

A proposito del verso ch’in bel giardin su la nativa spina (Orlando furioso I 42, 2) Orelli annota: «subito colpisce l’attività straordinaria di /i/, lettera della luminosità e della trafittura» (p. 45). Una precisazione: questa sensibilità agli effetti della lettera i è una costante. In Sinopie si legge questo passo intarsiato di dialetto del Mendrisiotto e di latino:

gli chiede una ragazza da un muretto Che ur a in? dalla u alla i

quasi come in Virgilio o nel Folengo:

barathrùm oculìs; e la i della massaia che forse litiga col marito,

Dìu Dìu (dopo un silenzio, crepa), trafigge anche più in dentro.22

E nel libro Il suono dei sospiri è intitolato Sonetto in «i» il capitolo dedicato a Petrarca 191 Sì come eterna vita è veder Dio. Con massima evidenza poi, in una delle lezioni su Petrarca, Orelli scandisce e prolunga con enfasi quella che chiama la «figura per VI» di un luogo dantesco: Dal primo giorno ch’i’ VIdi il suo VIso / in questa VIta, infino a questa VIsta (Par. XXX, 28-29); e si rallegra dell’effetto speciale, quasi ridendo: «è incredibile! è incredibile!»

Aggiungo pochi altri prelievi ariosteschi di La qualità del senso: ci sono paro-le scivolose, come il «viscido» (p. 55) del sintagma peSCI uSCIr nel verso Alcina i pesci uscir facea de l’acque (Orlando furioso VI 38, 1).23 E ci sono parole pesanti, come il grosso tonno di vi venìa a bocca aperta il grosso tonno (Orlando furioso VI 36, 2): «Dopo la lunga riga dei delfini trionfano /o/ e /a/ per questo tonno molto divertente: grosso tonno è sintagma compatto e grave che fa dimenticare la mezzaluna della coda» (p. 62).

Come ultima curiosità, vorrei sostare sulle implicazioni di una parola impre-cisa, indistinta, e massimamente accogliente, la parola cosa. Che impiego ne fa Orelli? Nelle sue poesie è una parola primaria, del linguaggio iniziale: una paro-la tipica dell’uso dei bambini. Esempi divertenti in Sinopie: «Devo dire una cosa alla tua ascella / una cosa pochissimo da ridere» e «Vedo una cosa che comincia per gn / Cosa? / Gnente» (Dal buffo buio, pp. 36-37); «Mia figlia ha un bel dir-mi: dimmi una cosa / che comincia con la r in mezzo» (Strofe di marzo, p. 71).24 Come lettore, Orelli prende in considerazione gli usi della parola cosa nei suoi grandi modelli: Petrarca e Dante. In Il suono dei sospiri (p. 52), commen-tando il sonetto petrarchesco Erano i capei d’oro a l’aura sparsi, accosta al v. 9

«Non era l’andar suo cosa mortale» il rinomato «e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra» di Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare, vv. 7-8. Più avanti (p. 139), si ferma sul nesso cosa-oscuro-(n)ascondere nel finale del sonetto 218

«tanto et più fien le cose oscure et sole, / se Morte li occhi suoi chiude et ascon-de»: «cose – afferma – è subito ingoiato da OSCurE, a sua volta prolungato come

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caligine da aSCOndE». E porta il riscontro di Par. XXIII, 3 la notte che le COSE ci NASCONDE, e dei primi versi dell’Inferno, dove selva OSCURA rima con COSA dura.

Ma l’indagine più proficua riguarda Manzoni, col saggio Una cosa manzonia-na.25 Nel capitolo VI dei Promessi sposi, i dialoghi perplessi e incerti tra Agnese, Renzo e Lucia si avvolgono ripetutamente intorno a uno stesso sintagma, la cosa: che sostituisce (velandolo, tenendolo a distanza) un concetto difficile da pronunciare a chiare lettere, il cosiddetto “matrimonio di sorpresa”, cioè l’e-spediente estremo che Agnese raccomanda, che Renzo accoglie con eccitazione, ma a cui Lucia oppone resistenza. Di battuta in battuta: «la cosa è facile», «la cosa mi par troppo bella», «i religiosi dicono che veramente è cosa che non istà bene», «Se è cosa che non istà bene, non bisogna farla», «quand’è così, la cosa è fatta», «o la cosa è cattiva, e non bisogna farla; o non è, e perché non dirla al padre Cristoforo?», «vedo che, per far questa cosa, come dite voi, bisogna an-dar avanti a furia di sotterfugi, di bugie, di finzioni». L’analisi insistita di Orelli mostra come una parola così neutra si colmi di allusioni ambigue, di timori, di pensieri riposti.

Noto, per controprova, che il termine evitato, matrimonio, sottinteso a tutto l’insieme, esce fuori di necessità solo in contesti esplicativi: come quando Renzo (sempre nel capitolo VI) illustra a Tonio il servizio che vuole da lui, cioè che gli faccia da testimone:

Il signor curato va cavando fuori certe ragioni senza sugo, per tirare in lungo il mio ma-trimonio; e io in vece vorrei spicciarmi. Mi dicon di sicuro che, presentandosegli davanti i due sposi, con due testimoni, e dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è bell’e fatto.

Vorrei insinuare che, a partire dalla proibizione dell’inizio «questo matri-monio non s’ha da fare», l’interdizione di fare diventi anche veto e censura, o almeno grosso ostacolo, a dire. Mi permetto anche un’osservazione scherzosa:

I promessi sposi è un titolo reticente, evasivo, che non dice niente dell’azione.

Manzoni avrebbe ben potuto intitolare il romanzo: Il matrimonio impedito, sull’esempio di La Gerusalemme liberata, o La secchia rapita; oppure Le nozze di Renzo, come Le nozze di Figaro (data la sua familiarità con il libretto di Lorenzo Da Ponte, in cui Figaro e Susanna sono, appunto, «promessi sposi»).

Nel seguito del suo saggio, Orelli snida una seconda occasione di impiego

“forte” della parola cosa, entro i capitoli XXVI e XXXVI: dove la cosa, questa cosa, significa il voto di Lucia, che è un fatto penoso, difficilissimo da comunica-re alla madcomunica-re, e poi a Renzo. Una cosa che una volta fatta è fatta, «una cosa che, quand’anche dispiacesse, non si può cambiare»; e che – dopo la sopraffazione di un prepotente – costituisce il secondo impedimento della storia al matrimonio dei due promessi. E dunque cosa di nuovo è parola piena di paura e di angoscia.

silvia longhi

1 s. longhi, Anitre, acqua e fonti letterarie, in “Quaderni di critica e filologia italiana”, 1 (2004), pp. 257-268. La raccolta poetica esaminata è Il collo dell’anitra, Garzanti, Milano 2001.

2 g. orelli, Da «Rendevous», in Studi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo per i suoi settant’anni, a cura degli allievi padovani, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2007, vol. I, pp. 9-10.

3 iD., L’orlo della vita, a cura di P. De Marchi e P. Montorfani, in “Poesia”, 289 (2014), gennaio, pp. 30-38: i testi che ci interessano a p. 36 (senza numero d’ordine).

4 Mi servo dell’edizione: Dante alighieri, Il Fiore – Detto d’Amore, a cura di L.C. Rossi, Mondadori, Milano 1996, di cui sfrutto anche il ricco commento.

5 Consigliere per la Sicurezza nazionale di George W. Bush dal 2000 e poi Segretario di Stato degli Stati Uniti dal 2005 al 2009.

6 Riprodotta nel già citato numero della rivista “Poesia”, p. 38.

7 g. orelli, Un sonetto del «Fiore», in iD., Accertamenti verbali, Bompiani, Milano 1978, pp. 33-50; Tornando al «Fiore», in Carmina semper et citharae cordi. Etudes de philologie et de métrique offertes à Aldo Menichetti, a cura di M.-C. Gérard-Zai, P. Gresti, S. Perrin, Ph.

Vernay, M. Zenari, Slatkine, Genève 2000, pp. 261-279; Dante del «Fiore»: son. CVII, in La ricerca e la passione come metodo. Omaggio a Romano Broggini, a cura di G. Margarini, F.

Panzera, A. Sargenti, Alberti Editore, Verbania-Intra 2005, pp. 471-476. Ma una delle novità maggiori che emergono dal presente convegno è il ponderoso studio inedito sul Fiore di cui dà conto Ottavio Besomi.

8 Della sua vecchia Olivetti parla la poesia In memoria, in Il collo dell’anitra, p. 29.

9 g. orelli, Accertamenti verbali, pp. 51-65 e 67-81.

10 iD., Il suono dei sospiri. Sul Petrarca volgare, Einaudi, Torino 1990.

11 Petrarca riconosceva questa appropriazione per altri autori (Virgilio, Orazio, Boezio, Cicerone), da lui letti non una volta ma mille, e entrati nel suo sangue, e fatti tutt’uno con il suo ingegno, in un passo celebre delle Familiares (XXII 2, 12-13): Orelli lo ricorda in Il suono dei sospiri, p. 125.

12 J. starobinsKi, Les mots sous les mots. Les anagrammes de Ferdinand de Saussure, Galli-mard, Paris 1971. Orelli fa menzione di questo saggio in Accertamenti verbali, p. 129 e nota.

13 g. orelli, Quel ramo del lago di Como e altri accertamenti manzoniani, Casagrande, Bellinzona 1990, p. 63.

14 iD., Il suono dei sospiri, p. 29: ma Gilberto Lonardi rivendica questa trouvaille. Di por-tata generale lo studio di P. De MarChi, Petrarca nella poesia di Giorgio Orelli e di altri poeti della Svizzera italiana, in Un’altra storia. Petrarca nel Novecento italiano, Atti del convegno (Roma 4-6 ottobre 2001), a cura di A. Cortellessa, Bulzoni, Roma 2004, pp. 255-270.

15 g. orelli, Il collo dell’anitra, pp. 21 e 75.

16 iD., Spiracoli, Mondadori, Milano 1989, pp. 49, 95, 71.

17 Negli Accertamenti verbali, il primo capitolo si intitola Ritmi, timbri, il disegno del pensiero.

18 Ripeschiamo il verbo nel Fiore 172, 14 Po’ dimora con lui e fagli festa (“fagli festose accoglienze”).

19 Intervista rilasciata a Guido Grilli, apparsa su “La Regione Ticino” del 21 aprile 2012, in occasione dell’uscita del libro La qualità del senso (vedi la nota seguente). L’intervista è accessibile sul sito delle Edizioni Casagrande.

20 iD., La qualità del senso. Dante, Ariosto e Leopardi, Casagrande, Bellinzona 2012.

21 Già lo affermava in Il suono dei sospiri, p. 11: «Del pari accade che il 2° verso della Liberata, che il GRan sepolCRo liberò di CRisto, sembri espressionistico nel consumare, come fa, scricchiando tre volte – come stessimo di colpo davanti al sepolcro nell’attimo che lo scoperchiano –, tutta l’attesa psicologica e metafisica che la crociata importa, e la crociata stessa».

22 iD., Sinopie, Mondadori, Milano 1977, p. 29.

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23 Orelli aveva una predilezione anche per il sintagma appiccicoso tenace pece dell’arzanà dei Veneziani (Inf. XXI, 8), «che sembra designare, si direbbe continuare materialmente […]

la sozza merce appiccicaticcia in cui poi vediamo immersi i barattieri» (Accertamenti verbali, p. 11; e vedi Il suono dei sospiri, p. 161).

24 Sempre in Sinopie, ma su un registro serio: «Certo, se penso cose tristissime […] se penso / cose bellissime» (A un filologo, p. 45).

25 iD., Quel ramo del lago di Como, pp. 65-80.

silvia longhi

CLELIA MARTIGNONI