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Le sillabe di Orelli

2. Petrarca, oralità, memoria

Come omaggio e ricordo, dopo la scomparsa del poeta, si è reso disponibile on line un tesoro di riproposte della RSI, la Radiotelevisione Svizzera: si raggiungono facilmente interviste, colloqui e lezioni, sia recenti sia più lontani nel tempo. Una

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meraviglia, per riavere la sua viva voce o addirittura la vista e la presenza. Qui mi importa parlare della voce. L’ho riascoltata nella registrazione di cinque trasmis-sioni della rete LA1, Obiettivo Petrarca (19-22 ottobre 2004): cinque lezioni sul Canzoniere petrarchesco (si tratta dei sonetti 35 Solo et pensoso i più deserti campi;

180 Po, ben puo’ tu portartene la scorza; 9 Quando ’l pianeta che distingue l’ore;

335 Vidi fra mille donne una già tale; 364 Tennemi Amor anni ventuno ardendo), di dieci minuti l’una, indimenticabili. La voce di Orelli, immutata negli anni, recita i testi con misurato pathos. Nel recitare scandisce e separa le singole sillabe, che vengono potenziate. L’eleganza sobria delle definizioni adibisce un lessico critico personale (che ospita anche espressioni di Contini, Mallarmé, Valéry). Nel ritmo alacre della pronuncia orale, le sue definizioni acquistano spessore, paiono cre-ate, inventate sul momento. Qualche esempio: svelto spostamento delle sillabe;

sdrucciolo che ha dell’inesorabile; scansione di dolente gravezza; riprende torcendo (e tutta la declinazione di torcere, torsioni); una frotta di parole; asperitas dei gruppi /tr/ e /sc/; concentrare la sostanza fonica delle parole; una scrittura fatale; gruppo alato; passaggio dal corporeo all’incorporeo. Una tesi più volte affermata: la forte inclinazione isofonica dei grandi poeti che rafforza il significato. I modi preferiti di formulare le proprie reazioni di lettore: non sembra insulso dire; non è stolto aspettarsi; non tardiamo ad avvederci; me ne sono accorto.

In questa dimensione orale, il critico Orelli è persuasivo e avvincente: nei saggi scritti, gli accertamenti risultano spesso così intricati e molteplici da fra-stornare; mentre nella lezione solo i fenomeni più vistosi sono selezionati con una speciale efficacia. Proviamo a fare una piccola verifica. Nel primo libro cri-tico, Accertamenti verbali, sono due i saggi di materia petrarchesca: Un verso del Petrarca (si tratta di 303, 5 fior’, frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi), e Dantismi del Canzoniere.9 Noto di passaggio che in tutto questo volume il lin-guaggio attinge allegramente a un registro naturalistico e venatorio: Dante piglia almeno due rigogoli a un fico (p. 14); mi limito a scuotere la rete (p. 68); incorag-giando (per così dire) gli uccelli di passo come me ad assaltare altri frutti (p. 159);

poesie… vive come lucertole al sole (p. 169).

Nel libro successivo Il suono dei sospiri, Orelli rifonde quei due primi espe-rimenti in un insieme più ampio e organico, riservato soltanto a Petrarca.10 Ci importa sapere se vi siano esaminati testi che saranno commentati a distanza di tempo nelle lezioni alla radio del 2004. In sostanza non c’è ricalco di materia, salvo quattro casi, di cui due molto parziali. Si incontra nel libro il sonetto 335, considerato solo per la disseminazione sillabica della parola ALma (pp. 6-7); e il sonetto 9, di cui è analizzato accanitamente solo l’ultimo verso primavera per me pur non è mai (pp. 12-14). C’è invece, come oggetto di indagine di un intero capitolo, il sonetto 35 Solo et pensoso (pp. 45-50). E c’è il sonetto del Po, 180 (pp. 63-68). Le esecuzioni dei testi in comune appaiono molto diverse: il dispie-gamento analitico, minuziosissimo, degli accertamenti nei saggi lascia il posto, nelle lezioni orali, a una visione sintetica: qui Orelli gerarchizza i fenomeni, «tira dritto» (per usare una sua espressione) su una quantità di riscontri minuti e minimi, addita solo le linee di forza della struttura. Commenta il contenuto con

silvia longhi

rapidi cenni riassuntivi, elegantissimi. Non viene meno, anzi si intensifica, il pa-ragone continuo con la Commedia: la lingua poetica di Dante appare l’alimento che Petrarca ha trasformato in sua carne e sue ossa.11 Ormai indistinguibile, se non fosse che Orelli lo distingue benissimo. E si rallegra, si congratula con se stesso, quando con soddisfazione uncina un riscontro sempre passato inosserva-to prima. Insomma, non è solo una questione di tempo, i minuti contati a dispo-sizione, che obbligano l’autore a «crudamente contrarre» il suo discorso: ma è la natura diversa dell’oralità, che prescrive una comunicazione più graduata, ed evidente, e affabile: e l’esame ci guadagna assai.

Del resto, motivando il titolo Il suono dei sospiri nella prima pagina del vo-lume («Intitolo questo esercizio Il suono dei sospiri […] giusto per attirare col poeta stesso l’attenzione sull’accordo profondo di suono e senso»), Orelli tro-vava opportuno citare un passo di una delle epistole di Petrarca (Sen. II 3):

«Quando poi quel che tu hai concepito sarà interamente trasformato in parole o in scritture continuate, leggi ad alta voce, sì che tu possa ascoltarti, e quasi tu non fossi l’inventore ma il giudice, chiama in tuo aiuto l’orecchio e l’animo».

E così ci si imprime nella mente la sua voce, che con devozione ed entusia-smo, con ammirazione infinita per il grande artefice, sillaba quei versi petrar-cheschi in cui il lavoro della lettera realizza «una scrittura fatale»: per esempio il sonetto 335, definito «sonetto de l’alma», perché tutto imperniato sul sintagma l’alma, con il suo «nesso alato» AL. Nella seconda quartina, il verso 7 è detto

«brace sibilante»:

Nïente in lei terreno era o mortale, sì come a cui del ciel, non d’altro, calse.

L’alma ch’arse per lei sì spesso et alse, vaga d’ir seco, aperse ambedue l’ale.

In generale si può affermare che il critico Orelli attua decine di riconosci-menti. Individua campi di tensione, e correnti di parole come corsi d’acqua. Gli riesce facile la scoperta delle parole nascoste sotto, o in mezzo ad altre parole:

les mots sous les mots di Saussure e Starobinski.12 Ricordiamo un caso bellissi-mo: si accorge che dietro il reiterato Addio di Promessi sposi VIII, si cela il nome Adda, ultima parola del capitolo.13

E poi produce nella sua poesia legami analoghi: parole segrete nascoste den-tro altre parole. Constatiamo che nei titoli Il cOllo dELL’anItRa e L’ORlo dELLa vIta è contenuto per intero il suo nome, ORELLI (parziale in L’ORa deL tEmpo, e in SpiRacOLI). Forse anche per questa firma interna agisce il modello di Pe-trarca, visto quello che Orelli scrive del primo sonetto del Canzoniere:

Ma, nelle solide borchie del verso che chiude la fronte, non sarà paragrammato il nome del poeta? Il primo a dirmelo è stato Furio Brugnolo dell’Università di Padova. Il so-netto essendo proemiale, inclino a crederlo anch’io: spPEro TRovAR pietà, non CHE perdono (PE-TR-AR-CHE).14

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Ricordiamo bene certi suoi grovigli di anagrammi: È grama, Mauro, al Muro di Grammont!; le dure mele di Kafka, due merli.15 Le catene di sillabe ripetute, in versi come sei scosceso per costa così subdola e Certo d’un merlo il nero; o magari un intero componimento artificioso, che sembra una delle strofette di Toti Scialoja:

Un giorno caldo di luglio un corvo dopo accurate curve digradanti si accorse che non c’erano carcasse tra quei tronchi e scusandosi quasi lasciò che mi corresse il sole in pace.16

Orelli era dotato di una memoria fuori del comune, anche perché allenata fin dall’inizio. Una volta ha raccontato in un’intervista che il suo dominio della metrica era dovuto al fatto che conosceva e recitava a memoria le Odi di Orazio.

Una memoria “parlata”, dunque: in grado di resuscitare e sgranare sul momento centinaia di versi danteschi. Queste pregevoli abitudini scolastiche purtroppo si sono perse. Quando ero al liceo “Alessandro Volta” di Como, il professore di italiano ci imponeva di imparare a memoria lunghe tirate di terzine: un’interro-gazione poteva consistere nella recita di un canto della Commedia, che lui ascol-tava rapito, a occhi chiusi. Si chiamava Gelpi, Giacomo Gelpi. La mia mente è rimasta impressionata per sempre da questo esercizio.