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Le sillabe di Orelli

1. Annunci matrimoniali (leggendo il Fiore)

Con una lettera del 15 giugno 2003, Giorgio Orelli mi ringraziava di un breve saggio sulla raccolta Il collo dell’anitra, che gli avevo sottoposto per avere il suo giudizio prima di pubblicarlo.1 Caloroso e spiritoso, come era sua natura, si divertiva a snidare allegramente altri riscontri in aggiunta; e mi mandava come dono due graziose poesie, a quella data inedite. Le due poesie sono autografe, trascritte con un’inclinazione diagonale al centro di un foglio; sono precedute da una nota in parentesi: «[da “rendezvous”, fascina in italiano, francese e te-desco]»; e portano un numero d’ordine che segnala la loro appartenenza a un insieme maggiore (rispettivamente I e VII): Possibile che non ci sia (due strofe di sei versi ciascuna); Né giovane né malbalita (una strofa di sei versi). Anche così nude e sole, si leggono subito come un’imitazione dei piccoli annunci giornali-stici di chi cerca, come si suol dire, l’anima gemella.

Vengono pubblicate la prima volta da Orelli nella miscellanea in onore di Pier Vincenzo Mengaldo (2007),2 insieme con altre due della medesima serie (numerate VIII e XVIII): Non sei più giovanissima e folletta; e Sarà che non son io. Tre su quattro (Né giovane né malbalita; Non sei più giovanissima e folletta;

Sarà che non son io) figurano nel bellissimo omaggio postumo a Orelli della rivista “Poesia”, a cura di Pietro De Marchi e Pietro Montorfani. Insieme ad altri componimenti di diverso carattere, rappresentano un anticipo della nuova raccolta, L’orlo della vita, che era in fase avanzata di elaborazione al momento della morte del poeta.3

Trascrivo qui le quattro poesie:

«Possibile che non ci sia in questo felice paese un uomo libero serio solare con un po’ di cultura

che abbia desiderio di combattere con me la solitudine

Ho 52 anni, una biondina ero, sono tuttora

bella saggia cortese

silvia longhi

un tantino lunare adoro la Natura

hobby tarocchi pendolo MAGIA».

*

«Né giovane né malbalita cerco un gentile compagnone che stia comeco non dico per tutta la vita, che sarebbe meta ardita, ma per provare come va, se va come per tutta la vita».

*

«Non sei più giovanissima e folletta ma sempre un po’ volaggia?

Volaggiamente provo

ad esibirmi e far quel che ti piace tralasciando le infinte druderie che insegnano alla scuola dell’amore.

Non conta che tu sia d’angelico sembiante, ricca e ben foderata,

e in erbaggio i capelli tinga e all’uovo.

Io non sono che un oste trapassante, ma son presto ad aprire la maletta».

*

«Sarà che non son io, non son io che ti manco, donna smagata e matura, ma posso starti al fianco perfino con dolcezza, purché tu non sia dura come Condoleezza che quel che vuole ottiene, magari con doglienza;

sì che t’aspetto, senza rincorrermi però,

nella speranza di passare insieme questo tempo che passa, che non ho».

È sempre emozionante raccapezzarsi all’interno di un insieme mobile, anco-ra non del tutto assestato: ma a orientarmi tanco-ra edito e inedito, proganco-rammato e incerto, è stato indispensabile l’aiuto cortesissimo di Pietro De Marchi. A pro-posito dello stato variabile di questa coroncina dei Rendezvous mi informa:

lesillabeDi orelli

Ora, nel dattiloscritto del volume rimasto inedito e incompiuto, e cioè L’orlo della vita, la sezione che raccoglie le poesie che fanno il verso alle inserzioni per cuori solitari è collocata (provvisoriamente?) alla fine e porta un altro titolo, o un titolo nuovo, se si vuole: Riserva protetta. Le poesie comprese in tale sezione sono solo undici, e tra di esse Possibile che non ci sia è in seconda posizione; Né giovane né malbalita in quarta; Non sei più giovanissima e folletta in undicesima.

Mimma Orelli dice che l’estate scorsa Giorgio aveva ripreso in mano il dattiloscritto delle sue poesie, togliendo alcuni testi che non lo convincevano fino in fondo. Tra le sacrificate o eliminate, o almeno sospese nel limbo, c’era anche Sarà che non son io, che pure compariva nella miscellanea per Mengaldo. A parte, rispetto al dattiloscritto con-servato in un raccoglitore, Mimma ne ha trovate per ora due: Tu viaggi sui 70 e Sarà che non son io, la prima con il n. IX e la seconda con il n. XI (numeri romani, questa volta).

Dove siano finite le altre, non saprei (forse nel cestino).

Un’altra cosa che forse ti può servire: Riserva protetta è accompagnata da un’epigrafe tratta dalla lettera di un emigrante ticinese in America: «Il mondo è corioso e lo sarà sempre ed io non ho voglia di mangiarmi il fìdaco» (Lettera dall’America). Era una frase che Giorgio ripeteva spesso con gusto (in particolare per via quel corioso con la o e per il fìdaco).

Che dirti d’altro? Delle 11 sopravvissute, quelle che portano ora il numero 1, 3, 5, 7 e 8 sono in tedesco; la numero 10 contiene un paio di espressioni in francese.

Un grande grazie a Pietro De Marchi; e grazie alla signora Mimma Orelli.

E dunque: la coroncina plurilingue si è ridotta nel corso del tempo da 18 a 11 elementi; qualcosa ancora era in sospeso nel giudizio dell’autore; e il titolo più diretto Rendezvous era intanto cambiato nel più metaforico Riserva protetta.

Come andrà inteso? Mi pare che più d’uno sia il significato possibile. Una ri-serva protetta (parchi, aree protette ecc.) ha lo scopo di difendere flora e fauna, proteggendo in particolare specie viventi in pericolo di estinzione: Orelli allude forse agli individui che scrivono, o meglio scrivevano, questo tipo di annunci, e alla pratica stessa? Una pratica che ormai sta cadendo in disuso, soppiantata da altre forme di comunicazione e ricerca più funzionali, in numerosi siti on line di dating; e che quindi è un relitto del passato.

Per coincidenza, sfogliando “la Repubblica” di martedì 18 febbraio 2014, ho incontrato un articolo riguardante la rivista “Le chasseur français”: storica rivista di natura e caccia, attiva dal 1885, che ha sempre pubblicato annunci matrimo-niali. Si parla di un libretto appena uscito, La grande histoire des petites annonces (pubblicazione hors série della rivista stessa), che valuta l’imponenza di questa produzione (qualcosa come 450 000 inserzioni); ed esamina come siano cambiati nel corso degli anni gli annunci, nella sostanza delle richieste e nello stile, a spec-chio del mutamento della società e dei costumi. Un’escursione assai divertente.

Vien da pensare che Riserva protetta possa significare anche “riserva di cac-cia” (zona in cui sono regolamentate le limitazioni e le modalità imposte all’eser-cizio venatorio): posto che la caccia, come la guerra, con tutto l’armamentario connesso, è da sempre campo metaforico preferenziale della tematica amorosa.

Ma istituire un’area protetta ha avuto spesso anche implicazioni archeolo-giche: assicurare alla conservazione – oltre che gli ultimi frammenti di passati ecosistemi naturali – anche tracce della cultura umana: arte, storia, insediamenti

e attività tradizionali. E allora la Riserva protetta di Orelli può mirare a man-tenere un ecosistema non naturale ma letterario. Quale? Con ogni evidenza il linguaggio a base quotidiana e neutra di queste “inserzioni” (costruite su schemi convenzionali di descrizione di sé e di richieste al partner auspicato) si impenna ripetutamente su vocaboli e sintagmi preziosi della lingua letteraria delle Origi-ni. Un impressionante ricalco di linguaggio, e di grande coerenza, una volta che ci si accorge che Orelli deruba, anzi saccheggia il Fiore di Dante (che il Fiore sia opera di Dante, per lui è incontestabile).4

Cominciamo, per maggiore efficacia dimostrativa, con il secondo testo della nostra scelta, la poesia della malbalita:

«Né giovane né malbalita cerco un gentile compagnone che stia comeco non dico per tutta la vita, che sarebbe meta ardita, ma per provare come va, se va come per tutta la vita».

Malbalita è un francesismo, significa “malridotta”, ed è prelevato da due luoghi del Fiore: 24, 10 e gli dirén com’e’ fia malbalito, e 98, 2 la Santa Chiesa si è malbalita. Quindi abbiamo un equivalente della formula cara a Orelli né giovane né vecchio, agghindata all’antica. Anche il gentile compagnone, nel senso di “no-bile amico”, viene dritto dal Fiore 70, 5 Ma sì·tti priego, gentil compagnone. E dallo stesso sonetto 70, 10 viene la forma assimilata comeco: e menerò comeco tal aiuto (anche a 80, 2; 99, 5; 192, 13). La grazia di questa poesia sta nella misura del suo breve giro scandito di echi insistenti (la vita… la vita; come va, se va; le tre rime in -ita); e nel garbo di quell’attenuazione: «non dico per tutta / la vita […] come per tutta la vita».

E ora la voce maschile, nel terzo testo:

«Non sei più giovanissima e folletta ma sempre un po’ volaggia?

Volaggiamente provo

ad esibirmi e far quel che ti piace tralasciando le infinte druderie che insegnano alla scuola dell’amore.

Non conta che tu sia d’angelico sembiante, ricca e ben foderata,

e in erbaggio i capelli tinga e all’uovo.

Io non sono che un oste trapassante, ma son presto ad aprire la maletta».

L’impertinente folletta “spensierata, pazzerella” discende dall’incipit di Fiore 148, 1 I’ era bella e giovane e folletta (dove parla la Vecchia, che ricorda i suoi bei

silvia longhi

tempi); mentre il gallicismo volaggia “volubile” si tira dietro l’avverbio volaggia-mente nel sonetto 61, 5-6 E se·ttu ami femina volaggia / volaggiavolaggia-mente davanti le vieni. Orelli deve aver adorato queste parole «alate», come usava dire. E la voce continua – entro un dominante ritmo endecasillabico – a sciorinare le sue risorse, tesori prelevati dall’arca del Fiore: le infinte druderie sono le false tenerezze, le simulate smancerie, che la Vecchia consigliava alla giovane Bellacoglienza in 169, 14 e fa co·llui infinte druderie. Anche un sintagma apparentemente neutro come scuola dell’amore ha il suo riscontro, nel già citato sonetto 148, 2 ma non era a la scuola de l’amore. Tralasciamo pure angelico sembiante, un topos di repertorio;

invece il verso «e in erbaggio i capelli tinga e all’uovo» è proprio ricalcato su Fiore 166, 5-6 Se non son bionde, tingale in erbaggio / e a l’uovo (sì perché le belle bionde treccie, v. 4, devono essere bionde per forza). Naturalmente in erbaggio significa-va nel Duecento “con infusi d’erbe”, e significa adesso una colorazione vegetale, che non fa danno ai capelli. Infine, il nostro uomo conclude gloriosamente la sua inserzione proponendosi con due memorabili endecasillabi: «Io non sono che un oste trapassante, / ma son presto ad aprire la maletta». Dove oste trapassante è il

“forestiero di passaggio” di Fiore 169, 9 Né non amar già oste trapassante (che là però è sconsigliato come amante); e la maletta è la “borsa”, da 171, 8 s’e’ non iscio-glie prima la maletta. Perfino l’attitudine son presto “sono pronto, sono disposto”

è calco di Fiore 2, 9 Ed i’ risposi:«I’ sì son tutto presto» (e 132, 14).

L’ultimo testo dei quattro è quello dal destino rimasto in sospeso:

«Sarà che non son io, non son io che ti manco, donna smagata e matura, ma posso starti al fianco perfino con dolcezza, purché tu non sia dura come Condoleezza che quel che vuole ottiene, magari con doglienza;

sì che t’aspetto, senza rincorrermi però,

nella speranza di passare insieme questo tempo che passa, che non ho».

Certo, il nome di Condoleezza Rice,5 su cui tutto il componimento ruota fonicamente, è una brusca intrusione dell’attualità politica che non concorda col resto. Si sa dalle biografie della Rice che il suo nome deriva dall’espressione con dolcezza, una delle indicazioni, in lingua italiana, impiegate nella musica classica.

Nella poesia si trapassa da con dolcezza a con doglienza: parrebbe sull’esempio di Fiore 4, 13 un’ora gioia avrai, altra, doglienza. Mentre donna smagata, cioè

“disillusa”, potrebbe venire da Fiore 2, 1 Sentendomi ismagato malamente (dove però l’aggettivo vale “indebolito”). Qualcosa comunque stona nella compattez-za dell’insieme; tanto più che l’inizio della poesia «Sarà che non son io, / non

lesillabeDi orelli

son io che ti manco» ricorda piuttosto un verso ariostesco, di un luogo famoso:

Non son, non sono io quel che paio in viso (il lamento di Orlando che sta impaz-zendo, Orlando furioso XXIII 128, 1).

Ci rimane da considerare rapidamente il primo testo:

«Possibile che non ci sia in questo felice paese un uomo libero serio solare con un po’ di cultura

che abbia desiderio di combattere con me la solitudine

Ho 52 anni, una biondina ero, sono tuttora

bella saggia cortese un tantino lunare adoro la Natura

hobby tarocchi pendolo MAGIA».

Questo ha connotati più scialbi, e si adegua più tranquillamente al linguag-gio di repertorio delle inserzioni per la ricerca di un compagno: come dichiara l’abituale formula combattere con me la solitudine. Solo grazie al legame con gli altri individui della serie, a riscontro di una biondina / ero si può richiamare Fiore 143, 10 e ’n su le treccie bionde; o 166, 4 le belle bionde treccie. E per bella saggia cortese funziona Fiore 18, 5-6 ch’egli è giovan e bello e avenante, / cortes e franco; oltre a 143, 13-14 e disse: «Vien’ qua, figliuola cortese. / Riguàrdati se·ttu se’ punto bella», e 146, 7 com’i’ era cortese e gente e bella.

Come possiamo definire queste poesie? Non vorrei chiamarle una parodia del Fiore. Piuttosto un esercizio di imitazione. Il Fiore è la storia di una con-quista amorosa, la lenta, combattuta, travagliata vicissitudine di una concon-quista amorosa. I due lunghi discorsi di Amico (sonetti 49-72) e della Vecchia (sonetti 144-193) sono pura ars amandi, precettistica di seduzione, rispettivamente a vantaggio dell’uomo e della donna. Orelli si diverte a mettere alla prova la du-rata plurisecolare di quel linguaggio seduttivo. Certo, una corretta lettura della coroncina Riserva protetta richiederà – quando i testi saranno disponibili – che si esamini e valuti la serie nella sua interezza.

Per restare alla mimesi del Fiore, è utile considerare anche una poesia estra-nea a questa serie, ma ugualmente destinata alla raccolta L’orlo della vita: quella intitolata Sasso Corbaro (leggendo il «Fiore»):

Sulla soglia di Sasso Corbaro mia figlia esultante

avrebbe voluto spogliare ogni rovo, cogliere tutte le drupe,

le coccole, le bacche, specialmente le rosse d’agrifoglio,

silvia longhi

e lontano i bagliori del fiume che si perde nel lago.

Le piaceva infogliarsi anche più su delle caviglie

con voglia di castagne che si stanno sdiricciando; fermarsi a contemplare la nuda meraviglia

d’un albero foltissimo di cachi.

Ma il sole basso l’abbagliava, la costringeva a schermare gli occhi con la mano; finché non l’attrasse uno scompiglio d’ombre

scagliate da una sùbita famiglia di corvi, ed esultante

disse: «Ci giacigliamo nelle foglie».6

Questo esperimento virtuosistico di uso del garbuglio, dove il nesso GL si appoggia a diverse combinazioni vocaliche, in alternanza vorticosa (oglia - iglia - oglie - oglio - aglio - iglie - aglia - iglio), si ispira a parecchi sonetti del Fiore (spe-cialmente il trio 47-49; e inoltre 36, 69, 103). Un esempio: «Non ti maravigliar s’i’ non son grasso, / Amico, né vermiglio com’i’ soglio, / ch’ogne contrario è presto a ciò ch’i’ voglio» (48, 1-3).

Sono tre gli studi principali che Orelli, in veste di critico, ha dedicato al Fiore, importanti per il contributo dei numerosi riscontri e dettagli nuovi a fa-vore della paternità dantesca: sulla quale, a suo giudizio, non è lecito nutrire dubbi.7 La sua frequentazione del poemetto resta intensa fino agli ultimi anni.

Si può trovare ancora su Internet il filmato del colloquio con Maurizio Canetta, intitolato Stupore e meraviglia (trasmesso sulla Rete Svizzera La2, il 24 maggio 2011, per festeggiare i novanta anni del poeta): vediamo un Orelli invecchiato, ma pieno di energia, brillante, divertito nel raccontare aneddoti, stringato nelle osservazioni critiche, senza esaltazioni, con una sua semplicità esatta, sempre fedele a se stesso («pratico tutti i giorni la critica inventata da Contini, critica verbale; continuo su questa strada perché non ce n’è un’altra»). Subito all’inizio è inquadrato il suo tavolo: su cui stanno le sue carte, gli occhiali, la penna, la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22; e il libro del Fiore, aperto alla pagina del sonetto 202, che per un attimo si distingue contornato da un reticolo di segni e postille. Alla fine dell’intervista, Orelli è al lavoro, e lavora sul Fiore, battendo a macchina dei riscontri.8