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Riflessioni a margine delle narrazioni sulla “lotta al terrorismo”

Percorsi di fuga dalla Siria, verso e attraverso l’Europa

1. Dalla rivoluzione alla guerra: una contro-narrazione

1.3. Riflessioni a margine delle narrazioni sulla “lotta al terrorismo”

Se da un lato la dipendenza economica dai paesi del Golfo aveva modificato l’immagine dell’Esercito Siriano Libero, dall’altro la diffusione di estremismi religiosi trovò un territorio fertile nella repressione brutale della rivoluzione Siriana. Secondo Yassin-Kassab e Al-Shami (2016) uno dei luoghi di maggiore attaccamento alla religione era il carcere: se per un verso la fede si configurava come uno degli strumenti essenziali alla sopravvivenza e al mantenimento di una sanità psichica, per l’altro, mesi di tortura quotidiana, e l’esposizione continua alla violenza, cui i cittadini siriani erano esposti anche in condizioni di libertà, generavano rabbia e frustrazione che cercavano sfogo e giustizia in altra violenza. 8 I gruppi di estremisti

8 Al momento dello scoppio della rivolta in Siria era in vigore lo stato di emergenza, che permetteva l’applicazione di un sistema di giustizia privo di garanzie per i detenuti e fondato sulla non perseguibilità degli abusi da parte delle forze di polizia. A chi veniva accusato di voler “indebolire il sentimento di unità nazionale” non era garantito alcun diritto di difesa e il suo processo avveniva all’interno di una corte militare. I fondamenti legislativi di tali pratiche furono abrogati il 20 marzo 2012 e sostituiti con altri strumenti ancora più repressivi, giustificati dalla presunta lotta al terrorismo

islamici avrebbero fatto leva su questa rabbia, così come sul sentimento di confusione e abbandono che si diffondeva nel popolo siriano: da un lato non comprendevano come un governatore stesse distruggendo il suo popolo, dall’altro constatavano che nonostante l’evidenza di alcuni crimini contro l’umanità compiuti dal regime, nessun intervento internazionale sembrava utile a migliorare la situazione.

D’altra parte all’escalation di violenza seguiva uno sforzo da parte dei LCC per documentazione delle violazioni commesse a danno della popolazione, indipendentemente dalla fazione dei carnefici. Dal momento che l’ESL non aveva un leader unico ma si componeva di decine e decine di milizie con codici di comportamento distinti, nell’agosto 2012 i LCC sotto la direzione di Razan Zeytounah decisero di redigere un codice di comportamento per le milizie ribelli, che fu sottoscritto da oltre il 60% delle stesse (2016:93).

Nonostante la rilevanza di alcune prese di posizione “simboliche” contro le violazioni perpetrate dal regime di Assad, nessun paese occidentale supportò mai le milizie dell’ESL da un punto di vista economico. Inoltre il mancato rispetto di promesse da parte del governo statunitense contribuì ad alimentare il senso di abbandono già dilagante nella popolazione siriana. Le dichiarazioni del Presidente Obama, riguardo la red line dell’utilizzo di armi chimiche, non trovarono riscontro nella realtà, l’utilizzo del gas nervino a Damasco che causò circa 1.700 morti (2016:105).

Questo senso di abbandono, fa certamente parte del background in cui la chiamata dell’ISIS trovò risposte. Secondo gli autori di Burning Country il discorso di presentazione dell’ISIS si fece strada per una serie di ragioni abbastanza definite, tra cui la totale perdita di fiducia in qualunque intervento estero e il senso di abbandono, l’appetibilità di un sistema dotato di forti regole in opposizione a un “sistema corrotto” (la corruzione rappresentava una caratteristica chiave del governo siriano), la possibilità di sovvertire i sistemi di potere

“classici” mediante una meritocrazia altra rispetto a quella tradizionale. ISIS proponeva una

“rottura con strutture di potere tradizionali permettendo al contadino non scolarizzato così come a un beduino di raggiungere posizioni di massimo potere” (2016:138). Ciò nonostante l’ISIS non ebbe molti proseliti e, nel mese di gennaio l’Esercito Siriano Libero con Jabhat Al Nusra9 erano effettivamente riusciti ad allontanarlo dalle sue roccaforti di confine tra Idlib e Aleppo, da Aleppo stessa, e a indebolirlo fortemente a Deir el Zor e Raqqa (2016:132). Le proteste contro ISIS erano iniziate in seguito all’uccisione di Abu Rayyan (3 gennaio 2014) ed erano contro i due stati “al-dowlatain”, riferito al governo di Al-Assad e ISIS. Nei mesi successivi ISIS sembrava essere in via di uscita e i media non ne parlavano più, sino a quando

(Yassin-Kassab e Al Shami, 2016:18)

9 Jabhat Al Nusra era il ramo siriano di Al Qaeda. Successivamente prese le distanze, alleandosi ad altri gruppi sempre contro il regime di Assad.

non ricomparve in Iraq; anche la sconfitta subita dall’ISIS per mano dell’Esercito Libero e la cacciata da Aleppo erano rimaste assenti dalle narrazioni mediatiche occidentali.

“This was a popular intifada against Daesh, but nobody wanted to see it. The west ignored it.” (ibid.)

Pochi mesi dopo, nel mese di giugno, il fatto che Mosul fosse caduta nelle mani dell’ISIS dopo soli quattro giorni di battaglia, in seguito alla fuga del generale e la diserzione delle truppe, alimentò nella popolazione siriana la sensazione di essere vittime di un complotto.

Non pareva infatti possibile che “l’esercito Iracheno, alleato degli USA, sul quale gli USA avevano speso bilioni di dollari, fosse meno capace di cacciare ISIS di quanto non fossero i contadini e i dentisti siriani” (2016:134).

Nel mese di agosto l’ISIS era nuovamente in Siria, e veniva presentato dai media come “il gruppo di ribelli di maggior successo” (European University Institute, 2016). Questo tipo di narrazioni contribuivano a confondere le acque, dando luogo a una simbiosi tra “ribelli” e

“terroristi” che non rispecchiava la realtà: ISIS infatti combatteva i ribelli.10 Tale simbiosi coincideva con quella proposta da Bashar Al-Assad nelle prime fasi della rivoluzione, facendola apparire come una profezia auto avverantesi.

Il mese successivo gli Stati Uniti intervenivano in Siria, nel pubblico intento di bombardare ISIS. Le ricostruzioni di questo episodio da parte dei diretti testimoni dipingevano l’intervento come piuttosto ambiguo in quanto gli USA: non fecero pressione sul regime, nonostante il recente utilizzo di sarin gas e barrel bombs; non combatterono ISIS;

non prevennero l’ingresso dei terroristi stranieri controllando il confine; non supportarono in alcun modo l’ESL nel nord. La ricostruzione acquistava verosimiglianza alla luce dei fatti, secondo cui l’ISIS nel maggio 2015, ovvero dopo la conquista di Palmira, controllava il 50%

della Siria, dunque oltre 95.000 km quadrati.

Nel settembre 2015 cominciavano dunque i bombardamenti russi in Siria, anch’essi volti a distruggere veicoli e abitazioni presumibilmente appartenenti a ISIS. In realtà la missione russa di supporto al presidente Bashar Al Assad sembrava essere volta ad annientare “i ribelli”, dunque l’ESL e altri gruppi armati. Alla loro ritirata da Homs, nel mese di dicembre, e alla fuga verso Aleppo, seguiva l’offensiva del regime, che comportava la fuga di circa 70.000 persone.

Aleppo è stata riconquistata dal regime con il supporto delle forze russe e iraniane lo scorso 12 dicembre 2016, e due giorni dopo l’evacuazione dei civili non era ancora inizata.

Secondo il portavoce delle Nazioni Unite Rupert Colville, il giorno stesso dell’entrata del

10 Vedi Al Jazeera (2014).

regime 82 civili erano stati uccisi dalle forze pro regime tra cui 11 donne e 13 bambini, e numerosi corpi giacevano sulle strade. Molti cittadini siriani hanno iniziato a lasciare sui social media messaggi di saluto al mondo, tra cui Lina Alshami che dice “Esseri umani di tutto il mondo, non dormite! Potete fare qualcosa, protestate! Fermate il genocidio.” (BBC, 2016)

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