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Atene, Salonicco, Idomeni: luoghi di transito verso la rotta balcanica

accesso al territorio, alla procedura, alla prima accoglienza

CPSA/CARA/

2. L’isola di Lesbo: un campo profughi a cielo aperto (2015)

2.4. Atene, Salonicco, Idomeni: luoghi di transito verso la rotta balcanica

Secondo i dati pubblicati da Eurostat le richieste di asilo in Grecia (first application) fino al mese di ottobre 2015 sarebbero state solo 9.200, a fronte di circa 600.000 sbarchi registrati da Unhcr nello stesso periodo, ovvero meno del 2%.91Alla luce di questi dati è possibile stabilire che la Grecia è stata durante il 2015 un paese prevalentemente di transito e questo paragrafo analizza in maniera sintetica la principale rotta che permetteva il raggiungimento del confine con la Macedonia dall’isola di Lesbo.

87 Intervista collettiva (nell’ambito di Summer School ‘Culture Migration and Borders – 2015, Aegean University) a T., UNHCR, 15 Luglio 2015.

88 Intervista a E.L., Methadrasi, 15 luglio 2015, Mitylene– Lesbo.

89 Tale procedura è stata una delle principali vittorie dei rifugiati siriani che hanno partecipato alle proteste di Piazza Syntagma nel novembre 2014.

90. Intervista a K.T., ex-Pro Asyl, 2 settembre 2015, Atene.

91. http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/submitViewTableAction.do

Al Porto del Pireo assisto a uno sbarco. I rifugiati arrivano da Lesbo. Sono circa 600 persone. All’uscita del porto c’è un uomo che grida ‘Makedonia, Makedonia’! Distribuisce fotocopie: da un lato una cartina della Grecia in bianco e nero, antica, si legge a stento. Dall’altro gli orari dei bus per Salonicco, in greco. Dei nomi scritti a mano “Idomeni”, ‘Evzonoi’‘Hotel Hara’ in cima, poco più sotto ‘Tessaloniki’ e i prezzi dei bus ‘adults, 50 euro, children 6-18, 30 euro, babies 0-6, free. In basso, indicazioni per la stazione degli autobus. Prendo una fotocopia e seguo la massa. Andiamo verso la metro. Scendiamo a Omonia. In cima alle scale mobili altri trafficanti di terra assalgono i Siriani proponendo viaggi. Quasi nessuno si ferma. Si dirigono in piazza e si siedono al centro. Di nuovo in attesa. Domando se andranno agli appuntamenti per la registrazione presso la Polizia di Atene. Mi mostrano i documenti con appuntamenti per il mese di dicembre, e si dicono intenzionati a proseguire il viaggio [Estratto da diario di campo, 2 settembre 2015].

Nel mese di agosto 2015 gli appuntamenti per la sola registrazione presso l’Ufficio di Polizia di Atene erano fissati a distanza di 3 mesi dallo sbarco sulle isole. La quasi totalità dei rifugiati decidevano di proseguire il viaggio verso la Macedonia, con tempi e modalità diverse ma senza alcuna possibilità di insediarsi stabilmente ad Atene né a Salonicco a causa delle carenze sistemiche del sistema di accoglienza greco. Atene, Salonicco e Idomeni si configurarono come tappe fondamentali in una rotta di transito attraverso la Grecia, che per essere compiuta da chi aveva disponibilità economiche richiedeva dai 3 ai 5 giorni.

Nonostante l’assenza di statistiche ufficiali in merito agli arrivi quotidiani di richiedenti asilo nella capitale (Kuschminder, 2015) Atene è la destinazione fondamentale delle navi con cui i rifugiati lasciano l’Isola di Lesbo (Ferry Line, HellenicSeaways). Secondo la normativa Greca le autorità dovrebbero prevedere misure volte a fornire alloggio ai richiedenti asilo ma, come sottolineato dal Greek Refugee Council, nel 2014 la Grecia disponeva di un totale di 1.160 posti di accoglienza su tutto il territorio: tale capienza appare fortemente insufficiente dinanzi a oltre 856.723 arrivi via mare nel 2015. La gestione di questi centri è affidata a Ong che in molti casi ne limitano l’accessibilità a minori non accompagnati, nuclei familiari e casi vulnerabili. Dunque, le soluzioni abitative utilizzate dai migranti variano in base alla loro disponibilità economica (Kuschminder, 2015): piazza Victoria (ad Atene) ospitava centinaia di rifugiati in prevalenza afghani e pachistani92, così come parcheggi e parchi; profughi in maggioranza siriani trascorrevano poche notti in ostelli della gioventù e piccoli hotel.

Secondo quanto osservato durante il lavoro di campo ed emerso dalle interviste, il tempo di

92 Vedi anche http://www.refugees.gr/en/latest-news/468-from-pedio-areos-to-victoria-square.

permanenza dei profughi ad Atene è strettamente dipendente dalla disponibilità economica per proseguire il viaggio. La maggioranza dei profughi siriani intercettati in seguito allo sbarco al Pireo si dirigeva immediatamente alla stazione e cercava bus per raggiungere Salonicco. Nel mese di settembre erano stati organizzati dalle autorità locali in via informale anche bus diretti a Evzoni, altra località di frontiera nei pressi di Idomeni.

La stazione di Salonicco è uno snodo centrale. Da li partono i bus per Policastro.

Il 2 luglio c’è una lunga fila alla biglietteria. I siriani hanno in mano i fogli rilasciati dalle autorità delle isole. L’impiegato della biglietteria non vende biglietti per Policastro. La fila scorre. Le persone avanzano. Mostrano i fogli, e ricevono un ‘No!’, avanza il prossimo ‘No!’, ancora una donna presenta i fogli

‘No!’. Gli impiegati discutono, qualcuno grida ‘these papers are fake! How much did you pay for these?’ Sono bloccati di nuovo a Salonicco [estratto dal diario di campo, 2 luglio 2015].»

La stazione di Salonicco è un esempio della moltiplicazione dei confini all’epoca del monde-frontière (Cuttitta, 2007). Tra le caratteristiche di questo confine puntiforme, incarnato nel dipendente pubblico, impiegato presso la biglietteria, vi è la discrezionalità nell’applicazione di una disposizione normativa controversa, ovvero il divieto di risiedere nei luoghi di confine sovra indicati, tra cui Policastro e Kilkis. Tale disposizione appare in contrasto sia con il principio di libera circolazione dei richiedenti asilo nel paese, sia con l’invito ad abbandonarlo entro sei mesi, rilasciato ai profughi siriani che non presentano domanda di asilo. Una seconda caratteristica è la rapida mutevolezza nel tempo dei meccanismi che regolano la frontiera.

Il 3 settembre la situazione è già diversa. L’ufficio vende i biglietti per Policastro, anzi, era apparso un nuovo cartello scritto a penna: “Kilkis – Idomeni” [estratto dal diario di campo, 3 settembre 2015].

Anche nella città di Salonicco non era presente un sistema di accoglienza che permettesse ai profughi di fermarsi a riposare prima di riprendere il viaggio. Secondo quanto osservato durante lo studio di campo e secondo le testimonianze dei rifugiati e di attivisti delle società civile (es. Refugee Solidarity Movement) la permanenza dei profughi durava al massimo un paio di notti e si svolgeva o direttamente alla stazione degli autobus, o in un parco nei pressi della stazione dei treni. Dall’inizio del 2015 il Refugee Solidarity Movement aveva iniziato a organizzare una sorta di “prima accoglienza” alla stazione nelle prime ore del mattino provvedendo a fornire una sorta di colazione, acqua e altri generi di prima necessità a chi

attendeva i bus per Policastro e Kilkis. Solo nei pressi della frontiera macedone esisteva un luogo dove i profughi siriani sapevano di poter trovare ospitalità, seppur a pagamento: l’Hotel Hara. L’Hotel era divenuto un luogo di accoglienza organizzata da volontari dove diverse realtà associative provvedevano alla fornitura di beni di prima necessità.

Entro nella zona di frontiera con il Refugee Solidarity Movement di Salonicco.

Portiamo cibo per centinaia di persone, oltre 300 bottigliette d’acqua, alimenti per neonati, vestiti, scarpe. Lo scenario sembra quello di una zona di frontiera africana o mediorientale. Circa 1.600 persone sono sedute a terra, accalcate, in prossimità della ferrovia. Attendono il passaggio. In fondo a destra un chiosco bianco vende Coca Cola, acqua e panini. Accanto alcune tende di Medici Senza Frontiere e un camper. In fondo a sinistra, in mezzo ai campi, un’autoclave di Msf rifornisce una serie di 10 lavabi e circa 20 bagni chimici. Le persone fanno la spola verso i bagni, in aperta campagna. Superato il checkpoint della Polizia greca e seguendo la ferrovia si va verso la frontiera. […] Un ragazzo vestito di bianco fa la spola tra il confine e le centinaia di rifugiati sulla ferrovia. I rifugiati sono chiamati in gruppi da 50 per attraversare il confine. “One by one” grida.

“Wahed w wahed”, “shueyya bi shueyya” (uno ad uno, piano piano) fa eco l’interprete di una Ong. Procedono verso il banchetto con l’acqua. Poi il cibo.

Qualche vestito. Si siedono a mangiare. Alcuni hanno la forza di ridere, scherzare, ringraziare Dio. Altri mangiano con lo sguardo fisso nel vuoto. Esausti.

La sosta all’ombra non ha una durata fissa. E finalmente riescono ad attraversare.

Passano attraverso un valico aperto nel filo spinato con una ruspa, che di tanto in tanto torna a spianare il terreno. Il filo spinato a spirale porta i segni di quanti lo hanno materialmente attraversato, ferendosi, o lasciando vestiti impigliati negli spuntoni. Dall’altro lato altra Polizia, a bordo di piccoli carri armati o a piedi, armati, osservano il transito [estratto dal diario di campo, 30 Agosto 2015].

L’attraversamento della frontiera macedone da parte di migliaia di cittadini siriani va letto nel quadro di normative che regolano l’Area Schengen e la materia dell’asilo politico. Esso sta a indicare la consapevolezza dei rifugiati della legal finction su cui il Regolamento Dublino si fonda, ovvero l’esistenza di un Common European Asylum System (Ceas) privo di rilevanti differenziazioni tra paesi. L’osservazione del transito di queste migliaia di persone permette di cogliere l’estensione della rivendicazione in gioco: dal diritto di fuga, affermato nel momento della scelta migratoria, al più ampio diritto di scelta del paese in cui vivere, che si afferma attraverso forme di resistenza o di superamento dei limiti che le leggi impongono.

La zona di frontiera rappresenta a tutti gli effetti uno spazio politico (Lefebvre, 1974), del

quale le relazioni tra gli attori in gioco determinano la configurazione, così come in un campo, nell’interpretazione di Bourdieu (1989). L’attraversamento sembra regolato dalle forze dell’ordine in termini decisionali (quante persone passano e quando), ma è di fatto attuato grazie al lavoro tecnico di molti altri attori, tra cui molti non istituzionali: associazioni locali provvedono alla fornitura di acqua e cibo, vestiti, scarpe e altri generi di prima necessità (Refugee Solidarity Movement Thessaloniki, Eidomeni Coordinating Refugees Help).

Mentre distribuiamo bottigliette d’acqua incontro M. Mi dice: ‘vedi, quella è mia madre. Ha la gamba bruciata dall’anca al piede. Mentre eravamo in mare è stata bruciata con la benzina. Si vede la fasciatura, gliel’hanno fatta i dottori qui al campo. Anche mio figlio piccolo è bruciato. Ho chiesto ai dottori di poter tornare indietro, a un ospedale greco. Ho paura che non troveremo ospedali in Macedonia. Ma mi hanno detto che da qui indietro non si torna. Se Dio vuole troveremo un ospedale in Macedonia. Ma ti prego puoi chiedere se ci fanno passare prima? Siamo qui dalle 7 di mattina, sotto il sole. E la ferita le fa male”.

Segnalo la questione all’Unhcr ma non hanno potere di farli passare avanti [estratto dal diario di campo, 30 agosto 2015].

L’UNHCR, che generalmente in Europa ha un ruolo di monitoraggio delle procedure di accesso all’asilo e del sistema di accoglienza, in questo contesto svolge funzioni di aiuto umanitario (distribuzione di cibo e acqua). Le associazioni locali (Methadrasi e Praxis) forniscono servizi di interpretariato in supporto agli attori non istituzionali che materialmente organizzano il transito. Medici Senza Frontiere si occupa di assistenza sanitaria, in maniera coerente con il suo mandato in Europa e nei paesi extra-europei. Il peso delle associazioni di attivisti e volontari locali nella gestione dell’attraversamento del confine greco-macedone è molto rilevante. Probabilmente perché si tratta di un attraversamento non possibile secondo la legge, almeno non in questi termini e con queste cifre. Si tratta di una prassi di superamento del Regolamento Dublino, monitorata dalle autorità.

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