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Il corridoio orientale: dalla Turchia alla Grecia, verso i Balcani 54

mobilità, attori, politiche

1. Rifugiati siriani attraverso il Mediterraneo: rotte e corridoi migratori

1.2. Il corridoio orientale: dalla Turchia alla Grecia, verso i Balcani 54

Le mobilità umane tra la Grecia e la Turchia, hanno una storia molto antica, e un carattere storicamente bidirezionale. Baldwin-Edwards (2006), a partire dall’episodio dello “scambio di popolazioni” avvenuto negli anni ‘20, analizza la complessità delle relazioni tra i due paesi, dovuta a questioni di l’identità e fedeltà nazionale, di appartenenza etnica, nonché riguardanti l’esistenza di confini nazionali definiti e condivisi. 55 Le prime migrazioni irregolari verso la

54 Vedi anche Denaro (2016b).

55 Per “scambio di popolazioni” si intende l’accordo tra Grecia e Turchia per cui circa 1.3 milioni di cittadini turchi di religione greco-ortodossa vennero spostati forzatamente in Grecia, mentre circa 500.000 greci musulmani, vennero deportati in Turchia (Hirchon, 2003 Baldwin-Edwards, 2006)

Grecia attraverso la Turchia risalgono agli anni 2000. Già all’epoca la Turchia veniva definita nella letteratura come “paese di transito” per migranti irregolari, provenienti principalmente dal confine Iraniano e da quello Iracheno. Secondo İçduygu (2004) i migranti provenivano dal Medio Oriente (Iran e Iraq, ma anche Siria), dall’Asia (Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka) e dall’Africa (Nigeria, Somalia, Congo). Già all’epoca, le principali località di partenza delle imbarcazioni erano nella provincia di Izmir, mentre i confini terrestri venivano attraversati in provincia di Ederna (İçduygu and Toktas, 2002) nei pressi del fiume Evros;

verso la metà degli anni 2000 iniziava a essere battuta anche la rotta attraverso il confine Bulgaro e poi verso la Grecia (Yaghmaian, 2005, cit. in Baldwin-Edwards, 2006), che fu la prima ad essere utilizzata dai profughi siriani in seguito al conflitto. La percorrenza delle rotte variava in parallelo con l’efficacia dei controlli nelle diverse aree, anche se le relazioni problematiche tra Grecia e Turchia non permettevano l’applicazione sistematica degli accordi bilaterali firmati faticosamente nel 2000 (Baldwin-Edwards, 2006).56

Fu solo a partire dal 2006, con l’operazione Poseidon di Frontex, che i governi greci iniziarono ad attuare una politica di stretto controllo delle frontiere terrestri e marittime, fondata sull’implementazione sistematica di respingimenti in mare e lungo i confini di terra.

La portata delle operazioni di sorveglianza del confine greco-turco, fu nel tempo incrementata in termini di budget e di risorse materiali e umane, sino a rendere sempre più difficile il suo attraversamento. Come riportato da Amnesty International (2014b) e Pro Asyl (2007, 2013) i migranti rintracciati nel mar Egeo a bordo di imbarcazioni dirette verso le isole venivano sistematicamente intercettati da unità navali di Frontex: «ufficiali con indosso maschere nere provvedevano a respingere le imbarcazioni in acque turche e a prelevare il motore delle stesse, lasciando i migranti a bordo in pericolo di vita» (Kosmopoulos, 2014). Nel report Pushed back, dell’Organizzazione Pro Asyl (2013) si parlava esplicitamente di respingimenti di rifugiati siriani verso la Turchia. Nello stesso periodo dell’uscita del report (novembre 2013) la Bulgaria iniziava a costruire i primi 30km di una barriera alta 3 metri e mezzo, al confine con la Turchia. Il primo tratto veniva ultimato l’anno seguente, ma i lavori sarebbero proseguiti in successive estensioni sino a un totale di 146km (Novinite, 2016).

Nel biennio tra 2013 e 2014, alle sistematiche violazioni del principio di non-refoulement effettuate sia a terra che in mare, ad opera del governo Greco e degli ufficiali di Frontex, corrispondevano altrettanto sistematici tentativi di attraversamento, da parte di rifugiati di diversi paesi tra cui appunto i siriani.

L’autista esce nei campi, non prende una vera e propria strada, esce dalla “strada giusta” prende sinistra, destra, eccetera, e a un certo punto arriviamo in un posto,

56 Agreement on Combating Crime, Especially Terrorism, Organized Crime, Illicit Drug Trafficking and Illegal Immigration (İçduygu, 2004)

dove dobbiamo scendere e camminare. E camminiamo, a volte un’ora, a volte due ore, dipende. Fino a quando non arriviamo al punto dove bisogna attraversare il fiume. Ok. Quindi arriviamo lì, nel buio. Di notte. All’1, o alle 2 di notte.

Dipende. Questo se siamo riusciti ad attraversare l’esercito turco […] che sta ovunque nell’area del confine. […] Se percorriamo la campagna e passiamo l’esercito turco arriviamo nel punto dove dovremmo attraversare il fiume. E portiamo un gommone. Un gommone che non può portare più di 9 o 10 persone.

Quindi se siamo tanti bisogna fare andata e ritorno. Anche 2 o 3 volte. […] Il fiume non è troppo largo. È abbastanza breve il tratto, diciamo 10 minuti, però è molto lungo, ma per arrivare sulla sponda Greca non ci vuole molto tempo.

Quindi attraversiamo il fiume e poi saliamo nei boschi. Camminiamo. Dove loro hanno deciso di portarci. E poi aspettiamo che la macchina viene. Ovviamente c’è un accordo con altri dalla Grecia che vengono a prenderci. Aspettiamo che la macchina viene per portare tutti ad Atene. Ma quello che succede è che a volte la macchina non può arrivare. Perché ci sono controlli da parte della Polizia Greca.

A volte ci sono bambini, ci sono donne, passiamo tutta la notte lì, e magari la macchina non viene. Noi chiamiamo, chiamiamo, e nessuno risponde.. Appena arriviamo al punto di incontro lui scappa. E noi rimaniamo lì ed aspettiamo una telefonata. Perché i trafficanti prendono un numero di telefono. Il numero di qualcuno. E noi aspettiamo una telefonata. A volte chiama e ci dice “non è possibile, la macchina non viene oggi”. E noi? Come facciamo? L’acqua magari è già finita, il mangiare è quasi finito, dobbiamo dormire un’altra notte nel bosco.

C’è un freddo assurdo, e questo se la polizia greca non ci scopre. […] Io ho provato a passare il confine in questo modo sette volte. […] Quelli che ti mandano indietro sono sicuramente tedeschi. E tu devi stare zitto, altrimenti ti picchiano. Tu hai visto molta gente picchiata? Sì. Sì. Ho visto, sì. Certo che ho visto. [Intervista con J., rifugiato siriano di Damasco, 30 anni, Roma, 30.12.2013].

I respingimenti sull’Evros e nel Mar Egeo, rappresentavano una interessante cartina di tornasole delle politiche Europee di gestione delle frontiere, finalizzate a ‘tenere i richiedenti asilo lontani dai luoghi ove potrebbero trovare protezione’ (Campesi, 2014). Inoltre tali respingimenti verso la Turchia, effettuati in nome dei suddetti accordi di riammissione, avevano all’epoca comportato una riflessione anche in ambito accademico sull’incompatibilità degli stessi con la normativa della CEDU e sull’asilo politico a causa delle violazioni evidenti degli articoli 3 e 4 protocollo 4, concernenti il principio di

non-refoulement e il divieto di espulsioni collettive (Archer, 2014; Kirişci, 2003; Goodwin-Gill, 2011; Yelmaz, 2014).

L’inizio del 2015 portò alcuni cambiamenti fondamentali in termini di mobilità umane nel mediterraneo. Si assistette a una progressiva riapertura delle rotte turche verso la Grecia attraverso il Mar Egeo, preceduta dall’apertura di una nuova rotta diretta, dal sud della Turchia all’Italia. La località di partenza era Mersin, e la rotta si svolgeva a bordo di ex navi mercantili. Il costo della traversata era esorbitante, e poteva raggiungere anche gli 8.000 euro a persona. In seguito ad all’emersione nei media di alcuni episodi, tra i quali una traversata effettuata con il pilota automatico innescato, l’Europa inviò una task-force nelle località di partenza, sul modello “albanese”, allo scopo di distruggere le imbarcazioni e fermare la rotta.

Secondo i dati pubblicati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR, 2016c) i migranti giunti in Europa via mare nel 2015 erano 1.014.836 di cui 856.723 in Grecia (a fronte di circa 43.500 nel 2014) e 153.600 in Italia (a fronte di 170.100 nel 2014). Era dunque avvenuto uno stravolgimento nella gerarchia delle rotte, determinato dalla nuova importanza del corridoio orientale e delle rotte via mare attraverso l’Egeo. Dei migranti giunti via mare in Grecia al 31 dicembre 2015 il 56% erano siriani, 24% afghani, 10% iracheni (UNHCR, 2016c)57. Leggendo il cambiamento avvenuto nella gerarchia delle rotte alla luce dello schema proposto da Monzini (2007, 2008), è possibile procedere in una sua, pur non esaustiva, interpretazione. Due delle tre variabili interdipendenti rilevate dagli autori come determinanti nei processi di evoluzione dei flussi migratori58 hanno infatti subìto dei mutamenti importanti nel contesto greco-turco: innanzitutto si era configurato un aumento di pressione migratoria, legato al raddoppio delle presenze di profughi siriani in Turchia (+

1.350.000 nel 2015, rispetto al 2014, UNHCR, 2016b); in secondo luogo si era riscontrato un mutamento, se non delle politiche istituzionali (greche) di contrasto all’immigrazione, almeno delle prassi di respingimento in mare, che a partire dall’inizio del 2015 persero sistematicità59. Le principali località di partenza delle rotte turche verso la Grecia erano essenzialmente la cittadina di Ayvalik, nella rotta verso Lesbo, il distretto di Cesme o l’area di Izmir, nelle rotte verso Chios, il distretto di Kusadasi verso Samos o più a sud Didim verso Leros e

57 Vedi il file “Mediterranean Sea Arrivals Greece (Screenshot)” aggiornato al 31 dicembre 2015, disponibile nella sezione “Latest Documents” della pagina web “Refugees/Migrants Emergency

Response-Mediterranean”, http://data.unhcr.org/mediterranean/

documents.php?page=14&view=grid&Country%5B%5D=83.

58 La pressione migratoria, in questo caso di rifugiati; l’agire delle organizzazioni di trafficanti; le politiche istituzionali di pressione e contrasto dei traffici e di assistenza ai migranti.

59 Durante il 2015 sono stati documentati dai rifugiati diversi episodi di respingimento in mare, o di attacco alle imbarcazioni da parte di ufficiali che indossavano maschere nere, o a volto scoperto, ma non è mai stata fatta chiarezza sull’accaduto. Vedi, ad esempio, “Masked Commandos are attacking refugee boats”, http://www.huffingtonpost.com/ entry/greek-migrant-boats-attacked_us_55cbabf1e4b0898c488664e6

(erroneamente) Farmakonisi, infine, la costa in prossimità della città di Bodrum verso l’isola di Kos e il Dodecaneso.

Secondo i dati pubblicati dal Dipartimento di Polizia delle Frontiere relativi ai primi 7 mesi del 2015 erano giunte a Lesbo via mare 61.636 persone (a fronte di 5.178 nello stesso periodo dell’anno precedente), di cui 28.100 nelle isole del Dodecaneso del sud (a fronte di 2.340 nel 2014) e 21.925 persone a Chios (a fronte di 1.873 nel 2014).

Tab.6 – Maggiori luoghi di sbarco in Grecia, primi 7 mesi 2014-201560 Luogo/

Periodo

Lesbo Dodecaneso Chios Samos

7 mesi del 2015

61.636 28.100 21.925 14.604

7 mesi del 2014

5.178 2.340 1.873 2.887

Le traversate venivano compiute per lo più a bordo di gommoni o, raramente, imbarcazioni di piccola taglia. A bordo vi erano circa 30-50 persone, per lo più nuclei familiari. Infine, trattandosi di imbarcazioni che non erano destinate a tornare indietro, nella grandissima maggioranza dei casi non erano presenti scafisti a bordo, ma guidavano i rifugiati. Le richieste di soccorso venivano lanciate da comuni telefoni cellulari alla guardia costiera e, tra gli aspetti più problematici di queste rotte vi era la questione dell’intervento di ricerca e soccorso in mare, a causa di difficoltà geografiche e politiche nell’individuazione delle acque di competenza di ciascun paese.

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