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Il corridoio centrale: “le rotte letali” dall’Egitto e dalla Libia

mobilità, attori, politiche

1. Rifugiati siriani attraverso il Mediterraneo: rotte e corridoi migratori

1.1. Il corridoio centrale: “le rotte letali” dall’Egitto e dalla Libia

A partire dall’estate della primavera del 2013, un numero crescente di cittadini siriani ha iniziato a raggiungere l’Italia attraverso le rotte via mare facenti parte del corridoio Mediterraneo centrale. Sin dagli anni 2000, dunque in seguito alla chiusura delle rotte dell’Adriatico, che prevedevano la traversata dall’Albania all’Italia, esso si è configurato come corridoio migratorio prevalente. Esso si compone storicamente di tre rotte fondamentali, che ne prevedono l’attraversamento a bordo di imbarcazioni di fortuna, in condizioni di altissimo rischio per la vita: la rotta tunisina, la rotta libica e la rotta egiziana.

Dal punto di vista cronologico la prima rotta via mare ad aprirsi fu quella tunisina, negli anni 90: solo 145 Km dividevano Cap Bon da Mazzara del Vallo, dove ancora oggi risiede la maggiore comunità tunisina in Italia e il percorso era ben conosciuto dai pescatori. L’attività di pesca in acque contingenti aveva portato negli anni all’instaurazione di un legame forte tra i pescatori delle due nazionalità, dando luogo a veri e propri fenomeni di pendolarismo tra le due sponde del Mediterraneo. Le imbarcazioni utilizzate per le traversate erano prevalentemente pescherecci, piuttosto antichi, quasi mai destinati a tornare indietro. L’arrivo sulle coste italiane era spontaneo, eccetto nei casi di difficoltà nella navigazione e problemi particolari che richiedevano l’intervento della Guardia Costiera Italiana o della marina militare. Sin dal 1998 le rotte tunisine iniziarono a essere battute anche da migranti egiziani, marocchini e subsahariani. Le maggiori località di partenza alla fine degli anni novanta erano Klibia, Hawariya, Qorba, il “Cap Bon”, Hammam Lamf, mentre in seguito ai primi accordi bilaterali tra Tunisia e Italia, che prevedevano una maggiore sorveglianza anche da parte delle autorità tunisine, esse si spostarono verso il sud, divenendo anche Mahdia e Monastir, che distavano comunque circa 160km da Lampedusa, ovvero circa 8 ore di navigazione.

La rotta libica iniziò a essere percorsa all’inizio degli anni 2000, in seguito al progressivo spostamento verso sud delle località di partenza delle rotte tunisine. La prima località di partenza sorse poco oltre il confine tra Tunisia e Libia nella città costiera di Al Zuwarah: i viaggi verso l’Italia lungo quella rotta avevano l’isola di Lampedusa come tappa obbligatoria.

Durante i decenni successivi la geografia delle località di partenza iniziò a includere altri porti libici, verso il centro e il sud del paese: Sabratah, Tripoli, Misurata, Sirte, Benghazi.

Regolarmente battute nei primi anni 2000, le rotte libiche iniziarono ad essere percorse in maniera altalenante a partire dal 2004, in seguito all’entrata in vigore dei primi accordi bilaterali con l’Italia (2003), confermati nel 2008 e rientrati in vigore nel 2009 (Monzini, 2007, Cuttitta, 2010; Paoletti, 2011). Nel quadro di questi accordi la Libia provvide al rafforzamento della sorveglianza dei confini marittimi e terrestri, e restrinse le possibilità di accesso legale e permanenza degli stranieri nel paese. Tra questi gli egiziani, la cui presenza lavorativa in Libia era abbastanza rilevante, iniziarono ad essere espulsi e respinti nei tentativi di attraversare i confini con la Libia, che utilizzavano come corridoio verso l’Europa (Zohri, 2007). Fu a partire dal 2005 che le località di partenza dei viaggi via mare verso l’Europa iniziarono a spostarsi nuovamente verso il sud, oltre il confine libico, nel nord dell’Egitto.

Damietta, Rosetta, Port Said, Alessandria iniziarono a configurarsi come nuove località di partenza, dando luogo a nuove rotte egiziane verso l’Italia, maggiormente lunghe e pericolose, quali alternative alle rotte libiche.

La Libia sin dagli anni ’70 e ’80 si era configurata come paese di immigrazione per lavoratori provenienti da tutta l’Africa, il Medio Oriente e non solo.

Quando si aprirono le rotte via mare verso l’Italia a percorrerle erano prevalentemente cittadini africani del Nord, dell’Ovest, dunque Africa Subsahariana, e del Corno d’Africa.

Sabha costituiva un importante luogo di smistamento sia per le rotte provenienti dal Mali e dal Senegal, attraverso Agadez (De Haas, 2006; Hamood, 2006, Liberti, 2008) che per quelle provenienti dal Corno d’Africa attraverso il Sudan e l’Egitto. La Libia si era configurata come importante paese di transito verso l’Europa, eppure le condizioni di vita dei lavoratori africani durante gli anni 2000 andavano progressivamente peggiorando.

La rotta egiziana, come surrogato di quella libica nei periodi di incremento dei controlli in frontiera e di chiusura del valico di Al Salloum, era anch’essa battuta da migranti del Medio Oriente (prevalentemente palestinesi) e del Corno D’Africa, oltre che da egiziani stessi.

La siglatura degli accordi bilaterali con Libia ed Egitto tra il 2008 e il 2009 avviò un processo di progressiva riduzione della percorrenza delle rotte.

La principale interruzione della rotta libica seguì gli accordi bilaterali con l’Italia, siglati nel 2009, quando la sorveglianza congiunta delle coste da parte delle autorità Italiane e Libiche, volte a “bloccare le partenze delle imbarcazioni” degenerarono nella prassi dei respingimenti in mare. La corte europea per i diritti umani condanno duramente questa epoca con la sentenza riguardo il caso Hirsi Jamaa et al. contro l’Italia (CEDU, 2012), in cui l’Italia veniva accusata di aver violato la Convenzione di Ginevra (principio di non-refoulement) e la CEDU. Nel biennio 2009-2010, il numero di persone che raggiunsero l’Italia via mare subì una netta decrescita, sino all’inizio del 2011, quando il 14 gennaio, in concomitanza con la

caduta del presidente tunisino Zine el Abidine Ben Ali, le rotte tunisine si riaprirono. In questa occasione le località di partenza delle imbarcazioni si estesero al sud del paese, oltre Mahdia e Monastir, sino a Gabes e Zarzis: circa 25.000 tunisini raggiunsero le coste italiane durante il 2011.

Nei mesi successivi, la caduta di Mubarak causò alcuni tentativi di partenze dall’Egitto (Abdelfattah 2011), ma le rotte più battute di migranti egiziani rimasero nel complesso quelle libiche che riaprirono il mese successivo, in seguito alle proteste in Libia, l’intervento militare e la caduta di Mu’ammar Ghaddafi. Queste rotte erano prevalentemente percorse da migranti Sub Sahariani, del West Africa e del Corno d’Africa che non cessarono di arrivare sino alla fine del 2011, portando il totale degli sbarchi a superare le 60.000 persone (Ministero dell’Interno, 2015).

Tab.5 – Rifugiati siriani e arrivi via mare in Italia (2010 – 2016).

Anno 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

Totale arrivi

4.406 64.261 13.200 42.900 170.100 153.842 174.962

Rifugiati siriani

581 11.503 39.651 7.444 - 53

Mentre le rotte tunisine cessarono quasi completamente di essere percorse in seguito al ripristino dei controlli delle coste, seguiti agli accordi siglati il 5 aprile e confermati alla fine di settembre 2011, le rotte libiche continuarono a essere battute negli anni successivi: 13.200 persone giunsero in Italia nel 2012, 42.900 nel 2013 e oltre 170.100 nel 2014; nel 2015 ci fu un decremento con 153.842 persone sbarcate e quasi 175.000 nel 2016 (174,962 8 nov, UNHCR, 2016c).

Tra le componenti che hanno contribuito all’incremento degli arrivi in Italia attraverso le rotte del mediterraneo centrale, libica ed egiziana fu la presenza crescente di rifugiati siriani e siro-palestinesi (Tab.5): da 581 nel 2012 divennero 11.503 nel 2013 e crebbero a 39.651 nel 2014, per poi calare a 7.444 nel 2015 (Ministero dell’Interno, 2016), in concomitanza con la riapertura del corridoio orientale, tra la Turchia e la Grecia.

In particolare, il processo di vera e propria riapertura della rotta egiziana avvenuto nell’estate 2013 fu quasi totalmente causato dal peggioramento delle condizioni dei rifugiati siriani, avvenuta in seguito alla deposizione del presidente formalmente eletto Mohamed Morsi (Human Rights Watch, 2014, Denaro, 2016d). Dalle narrazioni dei rifugiati siriani intervistati, la rotta egiziana era pericolosa. La sua percorrenza poteva durare sino a 14 giorni,

53 Rifugiati siriani non presenti nelle prime 10 nazionalità.

e la dinamica della rotta prevedeva diversi trasbordi in alto mare. La spiaggia veniva lasciata a bordo di piccole imbarcazioni, che bisognava raggiungere tuffandosi in acqua.

Successivamente esse si ricongiungevano per incontrare una barca di grandi dimensioni, piuttosto nuova e veloce, generalmente destinata a tornare indietro. Trasbordi successivi avvenivano a bordo di pescherecci piuttosto antichi, e spesso malfunzionanti, a bordo dei quali le condizioni di sovraffollamento erano ancora peggiori.

La seconda tappa è quella dei trafficanti che portano la gente fino al mare.

[…]Arrivare al mare è stato troppo difficile, perché il mare ci è arrivato fino al collo (sotto la testa). Le donne, i bambini, tutti devono passare da questa tappa.

[…] Dopo di che, siamo saliti su delle piccole barche e lì è iniziata la fregatura.

Hanno preso tutte le borse che avevamo, io personalmente avevo…mi è rimasto soltanto il passaporto con pochissimi soldi, hanno rubato tutto, cellulari, computer, anche il latte dei bambini lo hanno rubato. […] Da quella piccola barca siamo saliti su una barca più grande in mezzo al mare. […] Con questa barca, che era abbastanza grande, non da pesca, ma da “divertimento”, siamo andati avanti.

Ci ha portati in alto mare, ovviamente senza luce. Erano quasi le due di notte, quando siamo stati trasferiti su una barca di pesca. Era lunga circa 17 metri, mentre la larghezza era quasi di 7-8 metri. Era di ferro. E siamo saliti su con una grandissima difficoltà. È stata una cosa traumatica. […] Era tutto sporco di benzina. […] Finché dopo due giorni, giovedì, nel tardo pomeriggio abbiamo visto la barca che ci aspettava. Era in condizioni terribili. Era bianca. Non era funzionante, neanche per fare un giro in mare! E invece c’erano dentro circa 230-240 persone, che erano troppo deboli, affamate, terrorizzate. Ci hanno detto che aspettavano la morte, perché il motore della loro barca era rotto da due giorni. Lì, abbiamo capito che questa barca era partita dall’Egitto circa tre giorni prima di noi. Quando abbiamo visto che il motore non funzionava e che la barca era in pessime condizioni, abbiamo anche provato a legarla alla nostra barca. Ma ogni volta che provavamo a legarla da qualche parte il legame non reggeva e si staccava. [Intervista a A., rifugiato siriano di Deraa, 40 anni, 9.06.2014, Stazione di Catania].

Ciascun trasbordo era estremamente pericoloso, e molti migranti provenienti dalla rotta egiziana sbarcavano feriti.

E dove si è rotta la tua gamba? Si è rotta mentre salivo dalla barca piccola alla seconda più grande. È rimasta incastrata tra le due barche. Poi siamo rimasti sulla

seconda barca per circa tre ore, finché siamo arrivati a una terza barca, che ci ha portati in Italia. [M., rifugiato siriano di Aleppo, 20.5.2015, Stazione di Catania]

La rotta libica non era meno pericolosa. Prevedeva comunque 2 o 3 giorni di viaggio in pessime condizioni. Il costo si aggirava tra i 1000 e i 1500 dollari a persona, mentre quella egiziana costava tra i 2000 e i 2500.

La sensazione di molti intervistati era di essere trattati come animali. E di essere sopravvissuti alla morte.

Abbiamo pagato mille dollari a persona. Abbiamo viaggiato come animali.

Wallahi, ti giuro, animali. Ci hanno messo sulla barca come degli animali. Ci avevano riuniti in più di una casa. E il giorno del viaggio ci hanno messo in una fattoria. Poi hanno iniziato ad arrivare altri gruppi nella fattoria. Qui eravamo tutti riuniti e ci hanno portato correndo fino al mare, di notte. Ci hanno messo su delle barche piccole sulle quali abbiamo raggiunto la barca grande, sulla quale abbiamo fatto il viaggio verso l’Italia. Eravamo circa 250. Era una barca piccola. […] In mare stavamo per capovolgerci due volte. Lo scafista non sapeva guidare la barca, non aveva esperienza… stavamo per cadere due volte. Alla fine siamo arrivati vivi. Non è caduto nessuno e non è morto nessuno, hamdoullillah, grazie a Dio. [Intervista a A., rifugiato siriano di Homs, 44 anni, 23.5.2014, Stazione di Catania]

Probabilmente fu per questo altissimo rischio di perdere la vita che un grandissimo numero di cittadini siriani decise di spostarsi sul corridoio orientale, attraversando il mar Egeo per raggiungere la Grecia.

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