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6. Discussione dei risultati dell’analisi

6.1 La presenza dell’inglese

La presenza del termine originale in inglese in un testo tradotto è generalmente indicata come anglicismo. Questa nozione è pertinente nel nostro caso? Per rispondere è innanzitutto necessario definire che cos’è un anglicismo e se i termini in inglese riscontrati nei documenti in italiano e in tedesco possano essere considerati tali. Di seguito viene riportata la definizione del Vocabolario Treccani ( Simone 2009) :

1Parola, locuzione o costrutto proprio della lingua inglese, importato in altra lingua, sia nella forma originale (per es., blue jeans, sandwich), sia adattato (come tranvai).

2Parola impropriamente usata col significato che la parola corrispondente ha in inglese (per es., il verbo confrontare adoperato nel senso di «affrontare» o «stare a faccia a faccia» che ha l’inglese to confront)

Gli anglicismi rientrano nella più ampia categoria dei prestiti. Secondo la Grammatica italiana di

Treccani (2012), “Il prestito (o forestierismo) è una parola, una locuzione o una costruzione sintattica di una lingua straniera che entra nel lessico di un’altra lingua”.

Tuttavia, benché la Grammatica italiana di Treccani utilizzi prestiti e forestierismi come sinonimi, bisogna considerare che esistono varie accezioni del termine “forestierismo”: Fanfani (2010), ad esempio, rileva che nel linguaggio comune “forestierismo" è impiegato per indicare un qualsiasi fenomeno di interferenza con una lingua straniera, ma in realtà designa i prestiti integrali, che siano non adattati o adattati ma non del tutto acclimatati, differenziandoli dai prestiti completamente assimilati e dai calchi.

Secondo la suddivisone di Treccani, leggermente diversa da quella di Fanfani, è possibile distinguere tra diversi tipi di prestito: i prestiti non adattati o integrali, in cui non viene modificata la forma della parola originale; i prestiti adattati, che hanno invece subito mutamenti formali per adattarsi alla lingua di arrivo e i calchi. Quest’ultima categoria viene considerata un tipo di prestito particolare e si divide a sua volta in calco formale o semantico: per calco formale si intende una parola o una struttura sintattica tradotte in modo letterale nella lingua di arrivo; nel calco semantico, invece, una parola già esistente nella lingua di arrivo acquisisce un nuovo significato per l’influenza di una lingua straniera. Classici esempi sono rispettivamente “grattacielo” (ripreso dall’inglese skyscraper) e “stella” nel senso di “diva” (star in inglese) (Treccani 2012).

I prestiti ricoprono un ruolo fondamentale per quelle che Cortelazzo e Scarpa definiscono “lingue speciali”, il cui lessico ha come caratteristiche principali la tendenza alla monoreferenzialità, la trasparenza e la concisione. Monoreferenzialità significa che in un determinato contesto specialistico ad ogni concetto corrisponde un solo termine e viceversa, in modo da non creare equivoci. Per rispondere alla necessità di denominare i concetti in modo univoco, le lingue speciali utilizzano vari procedimenti, tra cui il più diffuso è l’impiego di prestiti e calchi. La presenza della lingua straniera si avverte anche nei fenomeni di composizione e derivazione, nonché nelle sigle e negli acronimi (Cortelazzo 1994; Scarpa 2008).

Nell’analizzare la ragione della predominanza dei prestiti nella formazione del lessico delle lingue speciali, va considerata innanzitutto la diffusione del sapere a livello internazionale che caratterizza storicamente le lingue speciali soprattutto in ambito scientifico. Infatti, come ricorda Cortelazzo (1994: 12), “[…] le lingue speciali sono state caratterizzate da una circolazione internazionale della terminologia sia attraverso l’uso di un’unica lingua di comunicazione (oggi l’inglese, un tempo il latino), sia attraverso le traduzioni”. Inoltre l’utilizzo di termini in lingua straniera ha un ruolo non indifferente nella tendenza alla monoreferenzialità: tenuto conto del fatto che nelle lingue speciali c’è un legame univoco tra un concetto e il termine che lo identifica, l’utilizzo di prestiti

permette di mantenere tale univocità anche nel passaggio alle altre lingue (Dardano 1991: 53, cit. in Scarpa 2008: 63). Tuttavia, sebbene la tendenza delle lingue speciali sia appunto quella di arrivare a un rapporto univoco tra concetto e termine, sono a volte presenti casi di sinonimia causati proprio dall’utilizzo di un prestito. Ciò accade, ad esempio, quando vi sono più termini in circolazione, tra cui prestiti, che vengono usati parallelamente alle varianti nella lingua di arrivo (Scarpa 2008).

Uno degli ambiti in cui l’influsso dell’inglese è più presente è senz’altro l’informatica, ma anche nel campo della medicina il ricorso ad anglicismi diventa sempre più frequente. Secondo De Mauro (2007: 9, cit. in Gualdo 2009) “la capacità che l’italiano ha conquistato nel Novecento per rispondere con proprie neoformazioni alle esigenze dei diversi campi delle tecniche e delle scienze continua a essere evidente. Ma è anche indubbio che sono proprio i linguaggi specialistici la principale porta d’accesso di anglicismi e altri esotismi”. Prendendo in considerazione la comunicazione scientifica, l’inglese è sempre più diffuso come lingua delle pubblicazioni nelle riviste scientifiche e l’italiano ha un ruolo marginale e viene impiegato più che altro nella divulgazione. Inoltre, vista l’evoluzione rapida dei “linguaggi specialistici”, come vengono definiti da De Mauro e Gualdo, in italiano mancano gli strumenti per tradurre di volta in volta tutto il lessico proveniente dalle altre lingue, rinunciando così a prestiti e calchi. L’italiano appare più sensibile all’influsso dei prestiti rispetto ad altre lingue, come ad esempio il francese (Gualdo 2009). Le lingue speciali dell’italiano appaiano permeabili soprattutto ai prestiti non adattati, quali ad esempio “bypass” nella medicina o “stock options” nel lessico finanziario. In particolare, per quanto riguarda i prestiti di necessità, ovvero nei casi in cui un determinato termine tecnico non esiste nella lingua di arrivo, utilizzare un anglicismo permette di identificare in modo univoco il concetto a cui ci si riferisce (Scarpa 2015).

Nel definire se i termini riscontrati nei documenti sull’accordo di Basilea 3 possano essere considerati come anglicismi, è certo necessario considerare che ci troviamo all’interno del contesto delle lingue speciali, in cui la presenza dell’inglese è più marcata rispetto al linguaggio comune. Si potrebbe quindi pensare che, date le funzioni specifiche dell’impiego dell’inglese tipiche di quest’uso della lingua (si pensi in particolare alla monoreferenzialità), il termine “anglicismo” sia inadatto. Tuttavia, nella letteratura citata sul tema, sia il termine più generale “prestito” (che sia adattato o meno) sia quello più specifico “anglicismo” vengono impiegati correntemente per descrivere la presenza di termini in inglese all’interno delle lingue speciali. Per questa ragione è a mio avviso possibile utilizzare il termine “anglicismo” per definire le espressioni in inglese rilevate all’interno dei testi analizzati. E’ bene precisare che nell’ambito di questo mémoire “anglicismo”

non viene impiegato con una connotazione negativa, nel senso di “offesa alla purezza della lingua”, ma verrà utilizzato semplicemente per descrivere i termini in inglese inseriti nei documenti

analizzati accanto o al posto delle corrispettive espressioni in lingua italiana.

I termini in inglese riscontrati nei documenti delle varie istituzioni sono sempre prestiti non adattati.

Per comprendere le ragioni del loro utilizzo è essenziale fare alcune considerazioni sulla funzione particolare svolta dall’inglese nei testi presi in esame: la lingua originale dei testi dell’accordo di Basilea 3 è l’inglese; è in questa lingua che sono stati redatti i testi principali dell’accordo, infatti nelle traduzioni nelle altre lingue presenti sul sito della BRI è ben specificato che si tratta di una traduzione e in caso di dubbio si rimanda al testo originale. Di conseguenza si può dire che i concetti principali di Basilea 3 “nascano” in lingua inglese: ciò è importante quando si analizza la presenza dell’inglese nelle altre lingue, poiché il fatto di menzionare il termine originale, anche solo tra parentesi o tra virgolette, funge da rimando ai termini usati in origine e assicura la monoreferenzialità di cui si parlava sopra. Come osservato nell’analisi, i termini impiegati in italiano e in tedesco sono numerosi, quindi il fatto di ricorrere all’inglese serve a fugare ambiguità togliendo ogni dubbio sul concetto cui ci si riferisce.

Si assiste ad una sorta di “gerarchia terminologica” a livello istituzionale: l’accordo è stato discusso e sviluppato nel contesto della BRI, con i documenti principali redatti in lingua inglese.

Successivamente questi documenti sono stati tradotti nelle altre lingue e i principi del nuovo accordo sono stati inseriti nella legislazione europea e nelle normative nazionali. Anche all’interno dell’Unione europea stessa la legislazione è stata prodotta verosimilmente in lingua inglese o francese per poi essere tradotta nelle altre lingue. A sua volta la legislazione europea è stata introdotta nella normativa italiana e tedesca. Per la Svizzera invece i principi non vincolanti del Comitato di Basilea vengono applicati senza la mediazione dell’UE. In ogni caso anche in Svizzera si pone il problema della traduzione, poiché la normativa viene redatta in una lingua nazionale (generalmente il tedesco) e poi tradotta nelle altre due. Con tutti questi passaggi tra le diverse istituzioni e le lingue impiegate si assiste a una sorta di “dispersione” nell’impiego dei termini: se nei testi originali della BRI in lingua inglese un determinato concetto viene solitamente identificato con un termine solo, in italiano e in tedesco c’è una maggiore variabilità all’interno delle istituzioni considerate. Per questo motivo il fatto di menzionare il termine inglese può essere considerato come un rimando ai testi originali di Basilea 3 sui nuovi principi per la regolamentazione bancaria.

Abbiamo già rilevato la variabilità del ricorso all’inglese come strumento di disambiguazione secondo gli argomenti di Basilea 3. In linea generale, infatti, il ricorso all’inglese, ed in particolare alle sigle, è più frequente nella presentazione dei provvedimenti sulla liquidità.

Sembra legittimo considerare ragioni storico-politiche come plausibile spiegazione di questa variabilità, andando a riprendere il particolare contesto all’origine dell’introduzione dell’LCR e

dell’NSFR. Prima della crisi del 2007-2008, che ha messo in luce le carenze degli istituti bancari riguardo alle riserve di liquidità, mancava una regolamentazione in questo ambito che si basasse su standard internazionali. L’errata valutazione del rischio di liquidità da parte delle banche e le carenze di liquidità che si sono trovate ad affrontare hanno spinto il Comitato di Basilea a sviluppare due requisiti di liquidità (LCR e NSFR) affinché le banche possano rispondere in modo adeguato a questo tipo di rischio (CBVB 2011). Se i requisiti patrimoniali hanno una tradizione più lunga negli standard elaborati dal Comitato, l’introduzione di requisiti sulla liquidità è quindi più recente. Gli standard vengono sviluppati di norma in lingua inglese, quindi non sorprende che le altre lingue ricorrano all’inglese per descrivere i nuovi requisiti, poiché in italiano e tedesco la traduzione di questi termini è piuttosto recente e ha dato luogo all’impiego di molte espressioni diverse. Questa idea è inoltre rafforzata dal fatto che, secondo Scarpa (2008: 59), quando ci si trova davanti alla compresenza di più termini i prestiti vengono spesso preferiti perché più brevi.

Nell’ambito dei testi analizzati ciò risulta evidente soprattutto per i provvedimenti sulla liquidità, in cui le sigle vengono spesso preferite sia al termine completo in inglese che ai vari termini in italiano e tedesco.

Considerando i documenti esaminati nell’ambito di questa tesi, si possono fare alcune distinzioni nell’impiego degli anglicismi da parte delle istituzioni analizzate. In linea generale si può affermare che i termini in inglese siano maggiormente impiegati in italiano rispetto al tedesco: questo fenomeno si osserva soprattutto nei documenti della BRI e in minor misura nella normativa italiana rispetto a quella tedesca, in cui gli anglicismi sono del tutto assenti.

Esaminando più attentamente i testi della BRI, nei requisiti patrimoniali gli anglicismi sono più utilizzati in italiano che in tedesco: in particolare l’italiano utilizza di frequente “Common equity Tier 1”, cosa che avviene in tedesco solo in modo sporadico. Per i buffer patrimoniali, l’italiano presenta abitualmente il termine in inglese, mentre in tedesco non viene mai menzionato. Infine, per i provvedimenti riguardanti la liquidità, entrambe le lingue privilegiano le sigle in inglese LCR e NSFR.

Prendendo in considerazione i testi della legislazione europea, la rinuncia agli anglicismi appare in generale piuttosto evidente: in italiano non vengono mai menzionati, mentre in tedesco appaiono in modo molto sporadico (cfr. 5.1.1 e 5.1.4).

Per quanto riguarda le legislazioni nazionali è opportuno fare qualche distinzione: nella normativa italiana i termini in inglese vengono menzionati, ma non impiegati abitualmente. Come anticipato al paragrafo 4.1, la presenza di termini in inglese funge più che altro da rinvio ai termini dei testi originali. Al contrario, nella normativa tedesca i termini in inglese non sono mai presenti. Infine

nella normativa svizzera la presenza di anglicismi non è maggiore in italiano o in tedesco. Per entrambe queste lingue è interessante notare la sistematicità nell’utilizzo del termine in inglese nella presentazione dei requisiti patrimoniali; quando il concetto viene menzionato per la prima volta vengono inseriti il termine in inglese e la sigla tra parentesi accanto al termine in italiano o tedesco, secondo il seguente schema: termine in italiano / tedesco (« termine in inglese », sigla). Questa sistematicità giova sicuramente a una migliore comprensione del testo da parte del lettore, poiché accanto al termine che verrà usato abitualmente nel resto del testo sono presenti rinvii alla denominazione del concetto impiegata dal Comitato di Basilea. E’ importante considerare che, nell’ambito dei requisiti patrimoniali, tanto nei testi in italiano quanto in quelli in tedesco i termini in inglese non sono quelli utilizzati più frequentemente, cosa che invece avviene nei provvedimenti riguardanti la liquidità: in questo caso sia italiano che tedesco privilegiano infatti le sigle LCR e NSFR.