• Aucun résultat trouvé

Un'analisi dei principali termini specifici all'accordo di Basilea 3 nei testi della BRI, dell'UE e della normativa italiana, tedesca e svizzera

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Partager "Un'analisi dei principali termini specifici all'accordo di Basilea 3 nei testi della BRI, dell'UE e della normativa italiana, tedesca e svizzera"

Copied!
96
0
0

Texte intégral

(1)

Master

Reference

Un'analisi dei principali termini specifici all'accordo di Basilea 3 nei testi della BRI, dell'UE e della normativa italiana, tedesca e svizzera

CONTE, Eleonora

Abstract

Ce travail porte sur l'analyse terminologique de certains mots clés des accords de Bâle 3 à propos de la règlementation bancaire. Ce mémoire relève les cohérences et différences de la terminologie de la Banque des règlements internationaux et de l'Union européenne, ainsi que celle de la législation italienne, allemande et suisse. Les textes les plus significatifs pour chaque institution ont été sélectionné selon dix mots clés qui ont été préalablement défini.

Nous avons dans un premier temps analysé la présence de termes en anglais, très répandus dans le milieu financier, puis nous avons comparé les termes italiens et allemands utilisés dans les textes. Les différences relevées nous ont permis d'identifier le tendances de chaque langue et de chaque institution, ainsi que de formuler des hypothèses à ce propos.

CONTE, Eleonora. Un'analisi dei principali termini specifici all'accordo di Basilea 3 nei testi della BRI, dell'UE e della normativa italiana, tedesca e svizzera. Master : Univ.

Genève, 2016

Available at:

http://archive-ouverte.unige.ch/unige:80791

Disclaimer: layout of this document may differ from the published version.

(2)

Eleonora CONTE

Un’analisi dei principali termini specifici all’accordo di Basilea 3 nei testi della BRI, dell’UE e della normativa italiana, tedesca e

svizzera

Directrice : Mme Rosita FIBBI

Jurée :

Mme Annarita FELICI

Mémoire présenté à la Faculté de traduction et d’interprétation (Département de traduction, Unité d’italien) pour l’obtention de la Maîtrise universitaire en traduction, mention traduction spécialisée.

Université de Genève Année académique 2015-2016

Janvier 2016

(3)

J’affirme avoir pris connaissance des documents d’information et de prévention du plagiat émis par l’Université de Genève et la Faculté de traduction et d’interprétation (notamment la Directive en matière de plagiat des étudiant-e-s, le Règlement d’études de la Faculté de traduction et d’interprétation ainsi que l’Aide-mémoire à l’intention des étudiants préparant un mémoire de Ma en traduction).

J’atteste que ce travail est le fruit d’un travail personnel et a été rédigé de manière autonome.

Je déclare que toutes les sources d’information utilisées sont citées de manière complète et précise, y compris les sources sur Internet.

Je suis conscient-e que le fait de ne pas citer une source ou de ne pas la citer correctement est constitutif de plagiat et que le plagiat est considéré comme une faute grave au sein de l’Université, passible de sanctions.

Au vu de ce qui précède, je déclare sur l’honneur que le présent travail est original.

Nom et prénom : Conte Eleonora

Lieu / date / signature : Genève, le 15 décembre 2015

(4)

Indice

Introduzione ... 5

1. Cenni storici sulla BRI e gli accordi di Basilea ... 7

1.1 La Banca dei regolamenti internazionali e il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria . 7 1.2 Le prime modalità di intervento ... 9

1.2.1 Basilea 1 ... 9

1.2.2 Basilea 2 ... 11

2. Basilea 3 ... 14

2.1 Cambiamenti nei requisiti patrimoniali ... 15

2.2 Provvedimenti riguardanti la liquidità ... 18

2.3 G-SIFI e G-SIB ... 19

2.4 Critiche a Basilea 3 ... 21

3. L’analisi terminologica dei testi di Basilea 3 ... 23

3.1 L’obiettivo di un’analisi terminologica ... 23

3.2 La scelta delle lingue ... 23

3.3 Applicazione di Basilea 3 e modifiche legislative ... 24

3.3.1 Applicazione di Basilea 3 nell’UE ... 24

3.3.2 Germania ... 26

3.3.3 Italia ... 26

3.3.4 Svizzera ... 27

3.4 Il corpus analizzato ... 28

3.4.1 I testi della BRI ... 28

3.4.2 Testi dell’UE ... 29

3.4.3 Testi di applicazione a livello nazionale ... 31

3.5 Metodologia ... 33

3.6 Piano dell’analisi terminologica ... 34

4. Analisi dei termini in lingua italiana ... 36

4.1 Testi internazionali e italiani ... 36

4.1.1 Requisiti patrimoniali ... 36

4.1.2 Buffer anticiclico e di conservazione del capitale ... 39

4.1.3 Leva finanziaria ... 41

4.1.4 Provvedimenti riguardanti la liquidità ... 41

4.1.5 Sintesi ... 45

4.2 Normativa svizzera in lingua italiana ... 46

4.2.1 Requisiti patrimoniali ... 46

4.2.2 Buffer anticiclico e di conservazione del capitale ... 47

4.2.3 Leva finanziaria ... 48

4.2.4 Provvedimenti riguardanti la liquidità ... 49

4.2.5 Sintesi ... 50

5. Analisi dei termini in lingua tedesca ... 52

5.1 Testi internazionali e tedeschi ... 52

5.1.1 Requisiti patrimoniali ... 52

5.1.2 Buffer anticiclico e di conservazione del capitale ... 54

5.1.3 Leva finanziara ... 55

5.1.4 Provvedimenti riguardanti la liquidità ... 56

5.1.5 Sintesi ... 59

5.2 Normativa svizzera in lingua tedesca ... 59

5.2.1 Requisiti patrimoniali ... 60

5.2.2 Buffer anticiclico e di conservazione del capitale ... 61

5.2.3 Leva finanziaria ... 61

5.2.4 Provvedimenti riguardanti la liquidità ... 62

(5)

5.2.5 Sintesi ... 63

6. Discussione dei risultati dell’analisi ... 65

6.1 La presenza dell’inglese ... 65

6.2 Coerenza nell’uso dei termini in italiano e tedesco ... 70

6.3 Il ruolo della terminologia nei testi dell’UE ... 71

6.3.1 La redazione dei testi legislativi europei ... 72

6.3.2 Le specificità della terminologia dell’UE ... 73

6.3.3 Ipotesi sulle differenze nei termini in lingua italiana ... 74

6.3.4 Le differenze nell’uso dell’inglese ... 77

6.4 Osservazioni sulle normative nazionali ... 77

Conclusioni ... 80

Allegato 1 ... 82

Allegato 2 ... 83

Allegato 3 ... 85

Ringraziamenti ... 86

Bibliografia ... 87

(6)

Lista delle abbreviazioni

AS-BRI Approccio standard internazionale per il calcolo dei fondi propri AS-CH Approccio standard svizzero per il calcolo dei fondi propri BRI Banca dei regolamenti internazionali

CBVB Comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria CRD Capital requirements directive

CE Commissione europea

CET1 Common equity Tier 1: categoria di capitale con la migliore capacità di copertura delle perdite

CRR Capital requirements regulation DFF Dipartimento federale delle finanze

FINMA Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari FSB Financial Stability Board

G-SIB Global systemically important banks

G-SIFI Global systemically important financial institutions GHOS Group of governors and heads of supervision

HQLA High quality liquid assets: attività liquide di alta qualità che possono essere trasformate facilmente in contanti

IOSCO International organisation of securities commissions

IRB Internal-Ratings-Based: sistema di calcolo del capitale proprio necessario in base al rischio di credito fondato sull’impiego di rating interni

KWG Kreditwesengesetz: legge tedesca sul sistema creditizio

LCR Liquidity coverage ratio: requisito minimo riguardante la liquidità a breve termine

MAG Macroeconomic assessment group

NSFR Net stable funding ratio: requisito minimo riguardante il finanziamento stabile sul lungo termine

OFoP Ordinanza sui fondi propri e sulla ripartizione dei rischi delle banche e dei commercianti di valori mobiliari

OLiq Ordinanza sulla liquidità delle banche

RWA Risk-weighted asset: attività ponderate per il rischio TUB Testo Unico Bancario

TUF Testo Unico della Finanzia

VaR Value at risk: modelli impiegati per la valutazione del rischio in un determinato spazio di tempo

(7)

Introduzione

La crisi economica del 2007-2008 ha portato in primo piano la questione della solidità del sistema bancario e la necessità di attuare riforme per evitare il ripetersi delle stesse condizioni che l’hanno causata. Nell’introduzione al documento “Basilea 3 – Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, il Comitato di Basilea ha messo in evidenza come una leva finanziaria eccessiva, unita a carenze riguardanti il capitale proprio e le riserve di liquidità, sia da considerare uno degli elementi che hanno maggiormente contribuito allo scoppio della crisi. Inoltre, come illustrato nel testo “La risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al G20” la valutazione del rischio inefficace e l’utilizzo di prodotti finanziari particolarmente complessi hanno avuto un ruolo fondamentale. Infatti la copertura insufficiente di capitale proprio e liquidità non ha consentito agli istituti di assorbire le perdite e reagire agli shock in modo adeguato. Inoltre la crisi non è rimasta confinata al settore finanziario ma si è propagata anche all’economia reale, rendendo sempre più difficile l’accesso al credito. (CBVB 2010; CBVB 2011).

L’entità di questa crisi ha suscitato anche un grande interesse mediatico (non a caso è sempre sulle prime pagine dei giornali) e ha avuto un forte impatto anche sulle nuove generazioni, basti pensare alle conseguenze in termini di disoccupazione. È quindi un tema di grande attualità, così come lo sono le discussioni relative ai possibili provvedimenti finalizzati a scongiurarne altre. In questo ambito s’inserisce l’importanza di sviluppare delle norme volte a contenere i rischi corsi dalle banche e a compensarli con adeguate quantità di capitale proprio. Inoltre è fondamentale che tali norme vengano ideate e attuate a livello internazionale, considerata l’interconnessione tra gli istituti bancari e i sistemi finanziari dei diversi paesi.

L’idea di questo elaborato è nata proprio da un marcato interesse per le tematiche riguardanti la crisi finanziaria e dalla consapevolezza dell’importanza di una regolamentazione efficace, acquisita anche grazie alla lettura del libro “Freefall. America, free markets and sinking of the world economy”di Joseph E. Stiglitz nell’ambito del corso di economia 2. Inoltre, poiché la regolamentazione del sistema bancario coinvolge molti paesi e varie istituzioni internazionali, la documentazione prodotta in questo ambito rappresenta terreno fertile per uno studio più approfondito nel campo della traduzione e della terminologia. L’attenzione è stata diretta in particolare all'accordo di Basilea 3, a cui si è accennato nei corsi di traduzione economica. È proprio nella raccolta di informazioni sull’accordo che sono state riscontrate le prime differenze terminologiche tra i testi in italiano del Comitato di Basilea e la legislazione prodotta dall’Unione europea. Partendo da queste differenze si è poi sviluppata l’idea di prendere in considerazione un numero più ampio di istituzioni, per analizzarne le tendenze terminologiche, e mettere a confronto

(8)

più lingue a seconda dei paesi esaminati. La scelta delle lingue è ricaduta sull’italiano e sul tedesco, che permettono un paragone con le normative di varie istituzioni e paesi; in particolare sono stati analizzati determinati testi del Comitato di Basilea e della legislazione europea e i documenti della normativa nazionale in Italia, Germania e Svizzera per mettere in evidenza l’eventuale coerenza o divergenza nella terminologia impiegata.

Nella parte iniziale di questa tesi si è scelto di inserire un’introduzione teorica all’accordo di Basilea 3, in modo da fornire un quadro più completo prima di passare allo studio dei termini principali dell’accordo. A partire da uno schema in inglese sull’applicazione di Basilea 3, disponibile sul sito della Banca dei regolamenti internazionali (BRI), sono stati ricavati 10 termini principali riguardanti il nuovo accordo; successivamente è stato analizzato un corpus di testi della BRI, dell’UE e delle normative nazionali per trovare gli equivalenti di questi termini in italiano e in tedesco. Dopo l’analisi dei testi in italiano e in tedesco, l’ultima parte è dedicata ai risultati, illustrati in un capitolo a sé per renderli più comprensibili, dato l’elevato numero di termini riscontrati nei documenti.

Il presente elaborato è suddiviso in 6 capitoli: i primi due sono dedicati a un’introduzione generica agli accordi di Basilea, con particolare attenzione a Basilea 3. Nel capitolo 3 viene invece illustrato il metodo impiegato per l’analisi e la scelta delle lingue e del corpus. Nei capitoli 4 e 5 si arriva all’analisi vera e propria: il capitolo 4 si concentra sui testi in lingua italiana, mentre il capitolo 5 è dedicato all’analisi dei documenti in lingua tedesca. Infine, il capitolo 6 presenta i risultati, con la ricerca di possibili spiegazioni per le differenze individuate nei testi.

(9)

1. Cenni storici sulla BRI e gli accordi di Basilea

1.1 La Banca dei regolamenti internazionali e il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria

La Banca dei Regolamenti internazionali (BRI) è ad oggi la più antica organizzazione finanziaria internazionale ed è un punto di riferimento sia per le banche centrali, di cui promuove la cooperazione, che per il mantenimento della stabilità finanziaria e monetaria. La BRI, che ha sede a Basilea, conta attualmente tra i suoi membri 60 banche centrali ed è composta da 3 dipartimenti principali: il Dipartimento economico e monetario, il Dipartimento bancario e la Segreteria generale1. Inoltre ospita vari comitati e gruppi di lavoro tra cui il Comitato sul sistema finanziario globale, il Comitato sui sistemi di pagamento e di regolamento, il Comitato sui mercati, il Comitato Irving Fisher e il Central Bank Governance Group (BRI 2014).

La Banca dei regolamenti internazionali viene fondata nel 1930 alla Conferenza dell’Aia nell’ambito del cosiddetto “piano Young”, che prevede il pagamento di un’indennità di guerra agli Alleati da parte della Germania e degli altri stati che hanno perso la guerra. Al momento della creazione gli obiettivi principali sono la gestione del pagamento dell’indennità e il coordinamento delle operazioni delle banche centrali. Con la cancellazione del pagamento dell’indennità nel 1932, dovuta alla crisi economica, questo secondo obiettivo acquisisce maggiore importanza e i governi dei paesi industrializzati iniziano a sentire la necessità di un’istituzione che promuova la stabilità finanziaria internazionale, garantendo la vigilanza sul sistema bancario. Fino agli anni ’40 la BRI ha un ruolo essenziale in varie operazioni, tra cui lo scambio di valute e di oro, tuttavia la sua importanza si riduce con l’avvento della seconda guerra mondiale a causa delle tensioni politiche tra i vari paesi membri.

Dopo la seconda guerra mondiale, la conferenza di Bretton Woods delle Nazioni Unite decide l’abolizione della BRI e il trasferimento dei suoi compiti alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (oggi Banca mondiale) e al Fondo monetario internazionale. Gli stati europei però si oppongono a questa decisione, ottenendo il mantenimento dell’istituzione. La BRI continua quindi la sua attività di coordinamento tra le banche centrali negli anni ’50 e ’60, partecipando attivamente al funzionamento del sistema Bretton Woods con la convertibilità delle valute a tassi di cambio fissi rispetto al dollaro, a sua volta legato all’oro. Inoltre, a partire dagli anni ’60, ha un ruolo importante nella cooperazione monetaria europea, diventando il luogo in cui si

1http://www.bis.org/about/orggov.htm?m=1%7C2 (consultato il 24/02/15)

(10)

incontrano i membri del Comitato dei governatori, trasformatosi successivamente nell’Istituto monetario europeo, oggi Banca centrale europea.

Negli anni ’70 la BRI, che fino a quel momento si è occupata prevalentemente dei rapporti tra le varie banche centrali, inizia ad interessarsi al settore bancario privato. Il fallimento della Franklin National Bank a New York e della Bankhaus Herstatt2 in Germania attirano infatti l’attenzione sulla questione della stabilità finanziaria e della supervisione bancaria. A seguito di questi due fallimenti, sentendo la necessità di creare un’istituzione che si occupasse della vigilanza bancaria, i governatori della banche centrali del G10 decidono la fondazione del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CBVB) nel 1974, allo scopo di migliorare la stabilità finanziaria attraverso una costante cooperazione tra i paesi membri (Baker 2002; BRI 2005).

Inizialmente il Comitato è composto dai paesi del G10; dopo un primo ampliamento nel 2009 e un altro nel 2014, ora ne fanno parte 28 membri (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Corea, Francia, Germania, Giappone, Hong Kong SAR, India, Indonesia, Italia, Lussemburgo, Messico, Paesi Bassi, Regno Unito, Russia, Singapore, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Sudafrica, Turchia e Unione europea), rappresentati da varie istituzioni. Inoltre sono presenti tre membri osservatori, il Cile, la Malesia e gli Emirati Arabi Uniti. Il CBVB si divide in cinque gruppi di lavoro principali: Supervision and Implementation Group, Policy and Development Group, Macroprudential Supervision Group, Accounting Experts Group e Basel Consultative Group3.

Il lavoro del Comitato di Basilea è strettamente legato a quello del Gruppo dei Governatori e dei Capi della Vigilanza (abbreviato GHOS, dall’inglese Group of Governors and Heads of Supervision), organo di sorveglianza del CBVB, a cui vengono sottoposte le decisioni più importanti (CBVB 2014). Il CBVB si fonda su due principi essenziali: nessuna banca deve poter sottrarsi alla vigilanza, e questa deve essere adeguata. Su questa base nel 1997 viene pubblicato un documento contenente 25 principi volti a garantire l’efficienza del sistema di vigilanza: l’ultima versione di tale documento, che comporta un’importante revisione, risale al 2012. Infatti, in questo testo vengono inserite nuove tematiche passate in primo piano con la crisi finanziaria insieme a nuovi criteri di valutazione per la vigilanza bancaria, con particolare attenzione ai rischi sistemici (CBVB 2014; CBVB 2012).

2Entrambi i fallimenti sono imputabili a speculazioni sulle transazioni valutarie ; il fallimento della Bankhaus Herstatt ha causato notevoli ripercussioni negli Stati Uniti (Baker 2002).

3 http://www.bis.org/bcbs/groups.htm#Standards_Implementation_Group, (consultato il 21/01/15)

(11)

Attualmente i principi sono 29 e servono principalmente ai vari paesi membri per la valutazione dei loro sistemi di vigilanza e l’individuazione delle aree che richiedono miglioramenti. I 29 principi si concentrano soprattutto sui poteri e le funzioni delle autorità di vigilanza, gli strumenti prudenziali, gli interventi di vigilanza tempestivi e la gestione dei vari tipi di rischio (CBVB 2012).

Le decisioni del Comitato non sono vincolanti, tuttavia vengono sviluppati standard, linee guida e prassi corrette ampiamente riconosciuti. Gli standard sono considerati requisiti minimi per la vigilanza prudenziale e possono essere resi più severi dai vari paesi che li adottano; le linee guida completano gli standard con indicazioni aggiuntive; infine le prassi corrette consistono nella descrizione di prassi già in vigore affinché attraverso un confronto reciproco tra i vari paesi membri si possano individuare gli ambiti sui quali è necessario intervenire (CBVB 2013).

1.2 Le prime modalità di intervento

Per aumentare la stabilità a livello finanziario il Comitato di Basilea ha sviluppato nel corso degli anni vari standard per la regolamentazione a livello internazionale del settore bancario privato.

L’elaborazione dei primi requisiti riguardanti l’adeguatezza patrimoniale risale al 1988, con l’accordo di Basilea I ed è poi continuata nel 2004 con l’accordo di Basilea II e nel 2010 con Basilea III, per tenere conto delle evoluzioni del sistema finanziario e garantire una regolamentazione al passo con i tempi.

1.2.1 Basilea 1

A partire dagli anni ’80, a causa della deregolamentazione finanziaria portata avanti a partire dagli anni ’70, si osserva a livello internazionale una chiara tendenza delle banche a diminuire il capitale proprio a fronte di rischi sempre maggiori: questo comportamento, rischioso in quanto comporta una diminuzione delle riserve di capitale e riduce le possibilità di coprire eventuali perdite, destabilizza il sistema finanziario, che è quindi meno capace di reagire alle crisi (Sigrist 2006). Per questa ragione e soprattutto a seguito della crisi del debito in America Latina4, all’inizio degli anni

’80 i lavori del Comitato si concentrano sull’adeguatezza patrimoniale al fine di rendere più stabile il sistema bancario internazionale.

4 A partire dall’inizio degli anni settanta, i paesi dell’America Latina hanno finanziato la loro economia attraverso un forte indebitamento con banche estere. I paesi esportatori di petrolio si sono infatti mostrati disposti a investire il loro surplus accordando prestiti ai paesi dell’America Latina e ad altri paesi in via di sviluppo e i tassi d’interesse particolarmente bassi hanno favorito un indebitamento eccessivo. L’insostenibilità di questa situazione è apparsa chiara solo verso la fine degli anni settanta a causa di una stretta nella politica monetaria, volta a limitare l’inflazione, e del conseguente aumento dei tassi d’interesse. Le banche dei paesi industrializzati, che fino a quel momento avevano finanziato i paesi dell’America Latina senza considerare adeguatamente il rischio incorso, hanno invertito la rotta, rendendo molto difficile per questi paesi riuscire a trovare finanziamenti. Ciò ha avuto notevoli conseguenze per tutta l’America Latina, provocando una crisi durata per un intero decennio, chiamato non a caso il “decennio perso”

dell’America Latina (Devlin & Ffrench Davis 1995; Sims & Romero 2013).

(12)

Si arriva così nel 1988 all’approvazione del Basel Capital Accord, noto come Basilea 1, in cui viene fissato un coefficiente patrimoniale minimo dell’8% (CBVB 2014). Sebbene nell’accordo siano citati anche altri tipi di rischio che devono essere presi in considerazione nell’attività bancaria, il Comitato si concentra sul rischio di credito5, ritenendolo il rischio principale a cui può andare incontro una banca. Il coefficiente patrimoniale dell’8% viene comunque considerato un requisito minimo per le banche operanti a livello internazionale e i vari paesi sono dunque autorizzati ad introdurre norme più severe.

L’accordo di Basilea 1 (come anche gli accordi successivi Basilea 2 e 3) non ha un potere direttamente vincolante, per cui le autorità nazionali sono libere di scegliere le modalità di applicazione per la sua attuazione: dopo un periodo di transizione viene comunque fissata come scadenza la fine del 1992 per il raggiungimento del requisito minimo dell’8%. Nel settembre del 1993, infatti, il Comitato conferma la conformità delle banche del G10 ai requisiti minimi previsti.

In tale accordo, inoltre, il Comitato inserisce un allegato con la classificazione degli elementi costitutivi del patrimonio, suddiviso in classe 1 e classe 2, a seconda della capacità di coprire le perdite, e le relative componenti che ne fanno parte. I requisiti minimi di Basilea I sono piuttosto facili da applicare e vengono adottati non solo dai membri del G10, per i quali sono stati inizialmente concepiti, ma da più di cento paesi (CBVB 1988; Sigrist 2006).

L’accordo è modificato varie volte, per un totale di cinque emendamenti, di cui l’ultimo datato 1996, “Emendamento dell’Accordo per incorporarvi i rischi di mercato”6, viene redatto considerando la diffusione dei prodotti derivati e di altre attività commerciali; inoltre per la prima volta le banche sono autorizzate ad utilizzare dei modelli interni (modelli VaR, value at risk)7 per calcolare i requisiti patrimoniali per il rischio di mercato. Tali modelli devono comunque rispettare criteri molto severi. (CBVB 2014; Sprecher 2009).

Nonostante gli emendamenti, l’accordo di Basilea I non rispecchia l’evoluzione del mondo finanziario e presenta alcune lacune e inadeguatezze che richiedono profonde modifiche.

Stabilisce ad esempio una ponderazione per il rischio per vari gruppi di debitori, valutando quindi

5 Per rischio di credito si intende il rischio che il debitore non rispetti gli impegni finanziari assunti, sia per quanto riguarda il pagamento degli interessi che il rimborso del debito. Il rischio di credito non fa riferimento soltanto ad un’eventuale insolvenza del debitore, ma anche alla possibilità di deterioramento inatteso del merito creditizio (Nardon 2004; http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch, consultato il 30/11/15).

6Il rischio di mercato fa riferimento ai rischi incorsi a causa delle variazioni nel valore di mercato, prodotte in

particolare da cambiamenti nei tassi di interesse o di

cambio (http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch, consultato il 30/11/15).

7Modelli utilizzati per la misurazione del rischio all’interno di un determinato spazio di tempo (http://www.investopedia.com/terms/v/var.asp, consultato il 25/05/15).

(13)

non la reale affidabilità creditizia del creditore, ma semplicemente il tipo di creditore. Questo metodo provoca una situazione in cui la copertura di capitale per determinati crediti risulta troppo bassa o troppo elevata. Ciò determina un’errata valutazione dei rischi e distorsioni di concorrenza, poiché attraverso una regolamentazione così rigida le banche non vengono spinte ad effettuare una valutazione reale del rischio di credito (Sprecher 2009).

Inoltre, dalla prima pubblicazione dell’accordo nel 1988 sono avvenuti molti cambiamenti sia dal punto di vista dell’organizzazione delle banche sia da quello dei prodotti finanziari: si assiste infatti ad una concentrazione all’interno del sistema bancario e a fusioni a livello internazionale che portano alla creazione di banche molto grandi. I prodotti inoltre diventano sempre più complessi e la diffusione delle cartolarizzazioni rende più difficile identificare il reale profilo di rischio del debitore. I requisiti di Basilea I sono quindi diventati troppo “semplici” e rigidi per tenere conto di queste novità nel sistema bancario; d’altro canto il fatto che i sistemi finanziari siano sempre più attivi a livello internazionale rende più facile il contagio ad altri paesi in caso di problemi all’interno di un sistema finanziario nazionale (Sigrist 2006).

Per queste ragioni il Comitato di Basilea, conscio della necessità di nuove norme che tengano conto dei cambiamenti del sistema finanziario, propone nel 1999 lo sviluppo di un nuovo accordo che porterà novità considerevoli nella regolamentazione.

1.2.2 Basilea 2

Lo scopo del nuovo accordo di Basilea 2 è quello di arrivare ad un sistema finanziario più stabile e rendere quindi le banche capaci di identificare meglio i rischi, coprirli con adeguate riserve di capitale proprio e permettere l’adozione di misure preventive. In questo secondo accordo, oltre al rischio di credito viene preso in considerazione anche il rischio operativo8 al fine di esprimere in modo più corretto il rapporto tra il rischio reale di una potenziale perdita e il capitale proprio detenuto (Sprecher 2009). Dopo sei anni di lavori preparatori, il nuovo accordo viene pubblicato nel giugno del 2004 con il titolo “Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali - Nuovo schema di regolamentazione” (CBVB 2014).

L’accordo di Basilea 2 è organizzato in tre pilastri: i requisiti patrimoniali minimi, il processo di controllo prudenziale e la disciplina di mercato (CBVB 2006).

8 Il rischio operativo prende in considerazione le eventuali perdite causate dall’inefficienza nell’organizzazione e nelle procedure o da comportamenti umani inadeguati. Il Comitato di Basilea riconosce che la definizione di rischio operativo è molto ampia e può avere significati diversi, perciò ha elaborato una lista dei principali tipi di rischio operativo in cui possono incorrere le banche quali ad esempio frodi interne ed esterne, danni a beni materiali e problemi di natura procedurale (CBVB 2003; Angelini 2013).

(14)

Nel nuovo accordo i requisiti patrimoniali presentano un orientamento più preciso riguardo al profilo di rischio di una banca, in modo che le operazioni che presentano un rischio maggiore siano coperte con un livello più elevato di capitale proprio e viceversa, rispetto alle regole di Basilea 1.

Inoltre, un’importante novità di Basilea 2 è rappresentata dalla varietà di metodi che possono essere impiegati per la valutazione e la ponderazione del rischio, a seconda del genere di attività delle banche. Nell’accordo vengono infatti identificate tre tipologie di rischio principali, ovvero il rischio di credito, il rischio operativo e il rischio di mercato, a ciascuno dei quali corrispondono diversi metodi di misurazione. In particolare per il rischio di credito vengono proposti tre sistemi diversi:

un sistema standardizzato improntato, come nell’accordo di Basilea 1, sulla definizione di diverse categorie di debitori e un sistema basato sui rating interni (Internal-Ratings-Based approach, abbreviato IRB), comprendente un metodo di base e uno avanzato, in cui le banche utilizzano metodi di misurazione interni per il calcolo del capitale proprio necessario alla copertura dei crediti sulla base di quattro parametri di rischio. In ogni caso l’impiego dei metodi di rating interni è condizionato all’approvazione delle autorità di vigilanza in modo che possa esserne accertata l’adeguatezza (Baltensperger 2006).

Il secondo pilastro di Basilea II è costituito dal processo di controllo prudenziale. Le autorità responsabili della vigilanza bancaria hanno il compito di verificare il rispetto dei requisiti minimi calcolati con il sistema standardizzato, ma devono anche operare un controllo sullo sviluppo e l’attuazione dei rating interni previsti dal metodo IRB (Baltensperger 2006). L’attività di controllo è indirizzata comunque a tutti i tipi di rischio in cui incorrono le banche ed è necessaria una buona comunicazione tra le banche e le autorità di vigilanza affinché i rischi vengano limitati e sia rispettato il requisito patrimoniale minimo dell’8% (Sprecher 2009).

Infine, il terzo pilastro inserisce requisiti relativi alla disciplina di mercato perché il pubblico possa essere informato sulla gestione e la valutazione del rischio, nonché sui metodi utilizzati per la valutazione dei rischi da parte delle banche. Secondo il Comitato, infatti, un’efficace trasparenza informativa può rendere più solido il sistema bancario. Le informazioni da rendere pubbliche riguardano in particolare il patrimonio di vigilanza, l’adeguatezza patrimoniale e le esposizioni ai vari tipi di rischi (CBVB 2006).

Successivamente, dopo il primo testo del 2004, il Comitato si concentra sul portafoglio di negoziazione sviluppando un documento relativo al trattamento di tale portafoglio all’interno del nuovo quadro di regolamentazione in collaborazione con l’International Organisation of Securities Commissions (IOSCO) (CBVB 2014). Nel 2009 vengono poi redatti altri documenti volti a migliorare la copertura dei rischi, in particolare con requisiti patrimoniali più severi per le attività di

(15)

cartolarizzazione, le esposizioni fuori bilancio e la gestione della concentrazione dei rischi. Tali novità vengono introdotte a seguito delle debolezze riscontrate in alcuni ambiti durante la crisi finanziaria iniziata nel 2007 (Haunreiter 2011; CBVB 2009).

L’analisi delle questioni ancora aperte in merito alla vigilanza bancaria condurrà in seguito ad una riflessione sui punti di debolezza di Basilea 2 e all’elaborazione di un nuovo accordo: Basilea 3.

(16)

2. Basilea 3

All’inizio della crisi appare necessaria una sostanziale revisione dell’accordo di Basilea 2 poiché alcune debolezze evidenti nella regolamentazione del sistema bancario incoraggiano comportamenti pericolosi e poco trasparenti da parte delle banche. Nel documento ʺLa risposta del Comitato di Basilea alla crisi finanziaria: rapporto al G20il Comitato evidenzia come i seguenti problemi abbiano avuto un ruolo rilevante nella crisi:

La detenzione insufficiente di capitale proprio da parte delle banche e l’utilizzo di capitale di bassa qualità a copertura delle perdite, pur nel rispetto dei requisiti minimi stabiliti da Basilea II.

L’insufficienza delle riserve di liquidità, che non sono riuscite a coprire la scarsità delle fonti di finanziamento sul lungo periodo.

L’incapacità di quantificare correttamente i rischi incorsi, soprattutto nelle operazioni con strumenti derivati. Inoltre si può osservare una concentrazione del rischio di credito, ritenuto pericoloso soprattutto per le banche a rilevanza sistemica.

L’utilizzo di una leva finanziaria eccessiva in bilancio e fuori bilancio, causata dalla mancanza di regolamentazione a questo riguardo. Questo fenomeno ha messo in difficoltà svariati istituti finanziari, nonostante il rispetto dei requisiti patrimoniali minimi.

Le grandi dimensioni e l’eccessiva interconnessione degli istituti finanziari di rilevanza sistemica; ciò ha favorito il contagio tra i vari paesi e il coinvolgimento dell’intero sistema finanziario. Si possono inoltre osservare lacune nelle procedure di liquidazione delle banche attive a livello internazionale. Diventa quindi essenziale inserire tecniche che consentano una liquidazione ordinata di questo tipo di banca, soprattutto per quanto riguarda le cosidette banche too-big-to-fail.

La prociclità, che ha amplificato e prolungato gli effetti della crisi.

Infine, le carenze relative alla disciplina di mercato, terzo pilastro di Basilea 2, che hanno reso difficile il confronto tra le varie banche. In particolare le lacune riguardano i rischi incorsi e le componenti del capitale proprio detenuto.

Questa situazione rende necessario un inasprimento delle norme preesistenti e l’introduzione di nuove misure che colmino le lacune della regolamentazione (CBVB 2010; CBVB 2014). Il nuovo pacchetto di riforme di Basilea 3, preceduto dal documento “Principles for sound liquidity management and supervision”, pubblicato nel settembre 2008, introduce nuovi requisiti patrimoniali minimi, destinati a rendere il sistema finanziario più resistente agli shock e a ridurre quindi la probabilità e la gravità delle crisi. I requisiti relativi al capitale proprio e alla liquidità sono

(17)

inoltre accompagnati da miglioramenti nel sistema di vigilanza, nella gestione del rischio e nella trasparenza. Infatti, i meccanismi di controllo non adeguati, uniti alla mancanza di trasparenza e a requisiti minimi insufficienti, hanno contribuito a provocare la crisi, rendendo difficile valutare i rischi incorsi dalle banche e l’adeguatezza del capitale proprio.

Basilea 3 si presenta come un pacchetto di riforme in cui viene mantenuta la struttura dei tre pilastri, creata nell’accordo di Basilea 2, aggiungendo novità tra cui, ad esempio, nuovi requisiti riguardanti la liquidità. Allo scopo di rinforzare il sistema bancario a livello nazionale e globale, il nuovo programma di Basilea 3 associa un approccio legato alle specificità di ogni istituto ad alcuni provvedimenti macroprudenziali (Haunreiter 2011). Nel luglio 2010 viene raggiunto un primo accordo riguardante il pacchetto di riforme sui requisiti patrimoniali e la liquidità; tale accordo è poi promosso in occasione del G20 di Seoul e approvato nell’assemblea del Comitato di Basilea del dicembre 2010. Le prime proposte relative agli standard internazionali vengono pubblicate proprio nel dicembre 2010 e successivamente vengono sottoposte a revisione (CBVB 2014). I due documenti principali riguardanti il pacchetto di riforme di Basilea III sono “Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari”, relativo al capitale e aggiornato al 2011 e “Il Liquidity Coverage Ratio e gli strumenti di monitoraggio del rischio di liquidità”, risalente al 2013.

Nei paragrafi seguenti verranno presentate le novità principali dell’accordo di Basilea III, che comprendono cambiamenti nei requisiti patrimoniali minimi (paragrafo 2.1), nuove norme sulla liquidità (2.2) e provvedimenti particolari per le G-SIFI (global systemically important financial institutions) e G-SIB (global systemically important banks) (2.3).

2.1 Cambiamenti nei requisiti patrimoniali

Basilea 3 introduce norme più severe per quanto riguarda la definizione del capitale e si assiste ad una semplificazione delle varie categorie di capitale che possono appartenervi rispetto a Basilea 2, mentre il Common equity Tier 1 (patrimonio di qualità primaria) acquisisce un ruolo preponderante. Questa categoria di capitale viene così chiamata per la sua buona capacità di coprire le perdite.

Il patrimonio di vigilanza totale, che secondo Basilea 3 deve essere pari ad almeno l’8% delle attività ponderate per il rischio o RWA (risk-weighted asset), è composto da Tier 1 ( a sua volta pari al 6% delle RWA) e da Tier 2. A sua volta, il Tier 1 si divide in Common equity Tier 1 (pari al 4,5%

delle RWA) e Tier 1 aggiuntivo. Tra gli strumenti di capitale che possono far parte del Common equity Tier 1 rientrano, ad esempio, le azioni ordinarie emesse dalla banca e le riserve di utili,

(18)

mentre tra gli elementi computabili nel Tier 1 aggiuntivo sono presenti strumenti emessi dalla banca che soddisfano determinati criteri e non fanno parte del Common equity Tier 1. Oltre a questi aumenti quantitativi nei requisiti patrimoniali, Basilea 3 fissa regole più severe per l’inclusione di strumenti di capitale all’interno del Common equity Tier 1: ad esempio possono farne parte, a determinate condizioni, le azioni ordinarie e le riserve di utili che hanno una maggiore capacità di coprire le perdite (Haunreiter 2011). Per ogni categoria di capitale vengono infatti specificati i relativi criteri di computabilità, che contengono informazioni dettagliate sui requisiti necessari per l’inclusione degli strumenti di capitale nelle diverse categorie. Per illustrare meglio i nuovi requisiti patrimoniali e le relative categorie di capitale si presenta di seguito uno schema riassuntivo.

Fig. 1 Schema dei requisiti patrimoniali

(Fonte: schema elaborato dall’autrice)

Nel nuovo accordo di Basilea 3 si assiste ad un aumento sostanziale dei requisiti minimi rispetto a Basilea 2. Analizzando i cambiamenti qualitativi e quantitativi nei requisiti patrimoniali di Basilea 3 e ipotizzando un loro impiego al tempo di Basilea 2, alcune banche avrebbero presentato un patrimonio di qualità primaria pari solo all’1%. Questa situazione era causata da una percentuale più bassa di Common Equity Tier 1 e dalla possibilità di conteggiare all’interno del Tier 1 altre categorie di capitale che hanno una minore capacità di coprire le perdite. In particolare, all’interno del Tier 1 venivano ammessi per un massimo del 15% strumenti ibridi innovativi di capitale. Vista la scarsa capacità di copertura delle perdite, questa possibilità è stata rimossa in Basilea 3. Inoltre, in Basilea 2, il Tier 2 (patrimonio supplementare) era composto da due diverse categorie di capitale ed era previsto anche un Tier 3, utilizzabile solo a copertura dei rischi di mercato. Tale complessità

(19)

non ha contribuito a una reale ed efficace copertura dei rischi, causando poca chiarezza nella suddivisione degli strumenti appartenenti alle diverse categorie. Per queste ragioni Basilea 3 mira ad introdurre provvedimenti più severi dal punto di vista del Common Equity Tier 1, che però allo stesso tempo rendano più facile comprendere l’effettiva copertura dei rischi. (Haunreiter 2011;

CBVB 2011). In ogni caso, i nuovi requisiti patrimoniali di Basilea 3 verranno introdotti in maniera graduale, affinché si arrivi nel 2019 a una piena applicazione dell’accordo. Lo stesso principio vale per gli strumenti ibridi di capitale che erano ammessi nell’accordo di Basilea 2 e che sono invece stati eliminati in Basilea 3: la loro rimozione, iniziata nel 2013, avverrà gradualmente nell’arco di dieci anni (CBVB 2011).

Per ovviare ai problemi di copertura dei rischi, risultati evidenti nella regolamentazione di Basilea 2, l’accordo di Basilea 3 punta ad una chiara definizione dei rischi per stabilirne la ponderazione in modo efficace; in particolare sono stati introdotti requisiti più rigidi per il rischio di controparte9 e le partecipazioni nel capitale di altre banche e viene inoltre affrontato il problema della

“dipendenza” dalle agenzie di rating e del cosiddetto cliff effect, cioè improvvisi declassamenti nel rating di una banca (Haunreiter 2011).

Un’altra importante novità relativa ai requisiti patrimoniali è il buffer di conservazione del capitale, i cui scopi sono limitare la distribuzione degli utili nel caso di una situazione economica sfavorevole e fornire uno strumento che permetta di far fronte alle perdite in tempi di crisi, contenendo così la riduzione dei crediti concessi dalle banche. In Basilea 3 il buffer di conservazione del capitale va ad aggiungersi al patrimonio di vigilanza totale ed è stato fissato al 2,5% delle attività ponderate per il rischio. Inoltre deve essere costituito da patrimonio di qualità primaria. Questo nuovo buffer è uno strumento di vigilanza importante, poiché quando le banche non sono in grado di soddisfare i requisiti minimi del Common equity Tier 1 e quest’ultimo scende sotto la soglia del 7% (4,5 dei requisiti minimi più 2,5% di conservazione del capitale), vengono poste delle limitazioni alla distribuzione dei bonus e dei dividendi (Haunreiter 2011).

Nuova è anche l’introduzione del buffer anticiclico: tale buffer serve a controbilanciare gli effetti del ciclo economico sull’attività creditizia delle banche poiché viene attivato nelle fasi di espansione in caso di aumento eccessivo del credito aggregato. Infatti, quando ad una fase di eccessiva espansione del credito seguono periodi di flessione, le perdite per le banche tendono ad essere particolarmente marcate e possono avere ripercussioni anche sull’economia reale.

9Il rischio di controparte è una forma particolare di rischio di credito relativa agli strumenti derivati

(http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch, consultato il 30/11/15).

(20)

Attivando il buffer si disincentiva quindi una crescita eccessiva del credito e vengono create delle riserve per eventuali perdite future. In caso di attivazione del requisito, che può essere eliminato una volta superata la fase di eccessiva espansione, la riserva supplementare di capitale amplia il capitale di conservazione. Responsabili per il controllo del rischio sistemico e dell’espansione del credito sono le autorità nazionali, che determineranno anche l’entità del buffer anticiclico, compreso tra 0 e 2,5% delle RWA. In ogni caso, come avviene per il capitale di conservazione, tale requisito dovrà essere soddisfatto con Common equity Tier 1. Anche per questo buffer è prevista un’introduzione graduale e la piena operatività verrà raggiunta solo nel 2019 (CBVB 2011; CE 2013).

Nonostante i requisiti imposti da Basilea 2, le banche hanno tentato di limitare le riserve di Common equity Tier 1, che comporta costi elevati, e hanno utilizzato una leva finanziaria eccessiva.

Per far fronte a queste debolezze nella regolamentazione, nel nuovo accordo di Basilea 3 viene introdotto un indice di leva finanziaria. Questo indice, che non viene calcolato sulla base delle attività ponderate per il rischio, serve ad evitare che le banche aggirino la regolamentazione riguardante i requisiti di capitale (Haunreiter 2011). Il calcolo viene effettuato dividendo il patrimonio di un istituto per la misura dell’esposizione. L’applicazione dell’indice di leva finanziaria, fissato inizialmente al 3% per il Tier 1, prevede una fase di osservazione che durerà fino al 2017, ma già dal gennaio 2015 le banche sono tenute a pubblicare l’indice di leva e le sue componenti, secondo determinati requisiti di informativa pubblica. Inoltre a partire dal 2018 l’indice di leva finanziaria diventerà un requisito minimo e verrà integrato nel primo pilastro, dopo il periodo di osservazione ed eventuali modifiche che ne deriveranno (CBVB 2014b).

2.2 Provvedimenti riguardanti la liquidità

Sebbene negli accordi di Basilea 2 non ci fossero misure riguardanti le riserve di liquidità possedute dalle banche, due nuovi strumenti sono stati introdotti nell’accordo di Basilea 3 per assicurare che le banche dispongano di sufficiente liquidità, anche in caso di crisi: questi strumenti sono il Liquidity Coverage Ratio (LCR) e il Net Stable Funding Ratio (NSFR). La crisi ha infatti evidenziato il legame tra il rischio di liquidità e il rischio di insolvenza: alcuni istituti finanziari, a causa di una cattiva gestione del rischio di liquidità, si sono trovate in difficoltà per il finanziamento delle operazioni provocando l’intervento delle banche centrali e dei governi (Cornford 2012). E’

quindi apparsa chiara la necessità di introdurre norme riguardanti la gestione della liquidità nell’ambito della regolamentazione internazionale. In precedenza, infatti, non esisteva nell’UE ad esempio una regolamentazione concordata a livello internazionale, ma erano alcuni stati membri ad

(21)

occuparsi della definizione degli standard sulla liquidità (CE 2013).

Il Liquidity Coverage Ratio è pensato per migliorare la resistenza delle banche a breve termine:

“Il Comitato ha elaborato l’LCR per aumentare la resilienza a breve termine del profilo di rischio di liquidità delle banche assicurando che dispongano di sufficienti HQLA per superare una situazione di stress acuto della durata di 30 giorni di calendario.” (CBVB 2013a: 4)

Per HQLA si intende High Quality Liquid Assets, ovvero attività liquide di alta qualità non vincolate che possano quindi essere facilmente trasformate in contanti. Il Comitato di Basilea ha anche sviluppato una serie di criteri che permettono di determinare se un’attività può essere considerata HQLA o meno. Il calcolo dell’LCR viene eseguito dividendo le riserve di HQLA per i deflussi di cassa netti nel corso di 30 giorni consecutivi. Il requisito minimo di questo rapporto è stato fissato a al 100% (CBVB 2013a). L’applicazione di tale requisito avverrà in maniera graduale, iniziando con il 60% nel 2015 per raggiungere progressivamente il 100% nel 2019. Il regolamento emanato nel 2013 dall’Unione europea ha però anticipato di un anno la piena conformità allo standard del 100%, che dovrà essere raggiunta entro il 2018, salvo richieste di modifiche da parte dell’Autorità bancaria europea, che potrebbe far rinviare di un anno la piena applicazione dell’LCR, tenendo conto della situazione economica e delle normative internazionali (CE 2013).

Il Net Stable Funding Ratio serve invece a monitorare che una banca abbia un finanziamento stabile per portare avanti le proprie attività sul lungo termine. Questo indice è stato introdotto per ridurre la probabilità che le banche si trovino davanti a carenze di liquidità tali da comprometterne la solvibilità e causare eventuali contagi ad altri istituti.

Il rapporto viene calcolato dividendo l’ammontare disponibile di provvista stabile per l’ammontare obbligatorio di provvista stabile. Tale rapporto deve essere superiore al 100% (CBVB 2010a;

CBVB 2014a). Il finanziamento stabile richiesto viene misurato dalle autorità di vigilanza tenendo conto di vari fattori, tra cui il rischio di liquidità legato alle attività di una banca e le esposizioni fuori bilancio (Cornford 2012). La piena applicazione del requisito NSFR avverrà entro il 1°

gennaio 2018 (CE 2013).

2.3 G-SIFI e G-SIB

La crisi economica ha portato in primo piano il tema delle cosiddette G-SIFI (global systemically important financial institutions) ed in particolare delle G-SIB (global systemically important banks):

proprio con la crisi infatti i rischi che queste presentano per la stabilità finanziaria globale sono risultati evidenti.

(22)

Le ripercussioni sul sistema finanziario e l’economia reale sono state considerevoli e hanno spesso richiesto l’intervento dei governi nazionali. Per questa ragione il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha sviluppato un insieme di misure destinate specificatamente alle G-SIB, dal momento che i requisiti patrimoniali minimi di Basilea III rivolti a tutte le banche sono giudicati insufficienti per i potenziali danni causati da un eventuale fallimento di uno di questi istituti bancari. C’è infatti consenso internazionale sul fatto il fallimento di questi istituti, a causa delle loro dimensioni e dei legami che hanno tra loro, causerebbe dei danni troppo grandi per l’economia. Di conseguenza, per ridurre le probabilità che un tale evento si verifichi è innanzitutto necessario migliorare le loro capacità di assorbire le perdite.

La regolamentazione riguardante le G-SIB si iscrive in un contesto più ampio di misure promosse dal Financial Stability Board (FSB), volte a ridurre i rischi presentati da tali istituzioni. Le misure formulate dal Comitato di Basilea sono una risposta alle richieste presentate dal FSB nel documento

“Reducing the moral hazard posed by systemically important financial institutions – FSB Recommendations and Time Lines” del 2010 (CBVB 2013b). In tale documento il FSB ha chiesto di sviluppare dei provvedimenti per limitare la probabilità di fallimento degli istituti a rilevanza sistemica e ha formulato una serie di raccomandazioni. In particolare ha sottolineato l’importanza di garantire che tutti gli istituti bancari possano andare incontro ad un eventuale fallimento in un modo sicuro, che non comprometta la stabilità economica; ha richiesto che per le SIFI e in particolare le G-SIFI, ovvero le istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica globale, venga applicato un requisito addizionale di assorbimento delle perdite, per ridurne la probabilità di un fallimento; ha incoraggiato inoltre una maggiore supervisione su questi istituti finanziari e lo sviluppo di infrastrutture di mercato più solide per evitare contagi; infine ha elaborato una serie di raccomandazioni rivolte alle autorità nazionali (FSB 2010).

Il Comitato di Basilea ha quindi concentrato la propria attenzione sulle banche di importanza sistemica globale e ha sviluppato una serie di indicatori volti a valutare la rilevanza delle G-SIB: la dimensione degli istituti, la loro interconnessione, la sostituibilità come operatori di mercato e fornitori di servizi, l’operatività internazionale e la complessità. Sulla base di queste valutazioni le banche vengono suddivise in classi, a cui vengono assegnate diversi requisiti addizionali di assorbimento delle perdite. Lo schema sviluppato dal Comitato di Basilea è pensato affinché la classe più alta, che necessita quindi di un requisito addizionale più elevato, sia inizialmente vuota e presenti un requisito del 3,5% delle RWA. In ogni caso, qualora alcune banche rientrassero in questa classe, ne verrà creata una ancora più alta, con un requisito superiore ogni volta dell’1%, affinché ci sia sempre una classe vuota. Per la classe successiva è stato pensato un requisito pari al 2,5% delle RWA, mentre per quella più bassa viene richiesto l’1% delle RWA; il requisito deve

(23)

essere soddisfatto con Common equity Tier 1 e comunque non viene esclusa in futuro la creazione di nuove classi. Tale provvedimento mira a evitare un ulteriore accrescimento delle G-SIB. La prima lista di G-SIB è stata pubblicata dal FSB nel 2011 e viene aggiornata ogni anno. Il requisito addizionale di assorbimento delle perdite verrà introdotto per la prima volta tra il 2016 e il 2018 e sarà applicato definitivamente dal 1° gennaio 2019 (CBVB 2013b).

2.4 Critiche a Basilea 3

Fin dalla pubblicazione delle proposte riguardanti il nuovo quadro di regolamentazione, i provvedimenti di Basilea 3 hanno raccolto consensi, ma sono stati anche oggetto di critiche. Le nuove regole sembrano da una parte troppo severe per gli istituti bancari e le imprese, a causa rispettivamente delle ripercussioni economiche e dei problemi relativi alla concessione del credito, dall’altra sono ritenute insufficienti o troppo complesse.

Coloro che reputano il nuovo accordo svantaggioso per il sistema bancario criticano il fatto che i nuovi requisiti patrimoniali minimi determinino costi troppo elevati per le banche e possano comprometterne la redditività. A questa problematica sono legati i rischi di una diminuzione del credito e di un ulteriore rallentamento della crescita (Carabini 2010). Sono stati effettuati vari studi per valutare l’impatto delle nuove norme di Basilea sul PIL, in particolare dal Macroeconomic Assessment Group (MAG): nel rapporto finale del MAG, pubblicato nel dicembre 2010, l’impatto dei requisiti patrimoniali è stato studiato mettendo a confronto i risultati di diversi modelli che hanno evidenziato su una base temporale di 35 trimestri una diminuzione annua dello 0,03% del PIL. L’impatto previsto delle nuove norme sulla crescita è dunque piuttosto modesto (MAG 2010).

Il problema della concessione del credito, invece, si sostanzia principalmente nei rischi per le PMI, che in Italia hanno un ruolo fondamentale: l’introduzione dei nuovi standard internazionali potrebbe ridurre ancora le possibilità di accesso al credito per le imprese, già provate dalla crisi. A questo proposito durante le contrattazioni per il pacchetto CRD IV varie associazioni, tra cui Confidustria, avevano sostenuto l’introduzione di un “pmi supporting factor” in modo che le piccole e medie imprese non fossero troppo penalizzate dal nuovo sistema (Chiellino 2012). Nell’elaborazione delle norme europee si è tenuto conto di questo problema; nel CRR infatti viene riconosciuta l’importanza delle PMI nel contesto europeo ed è stato inserito un fattore di sostegno pari allo 0.7619%, per il quale verrranno moltiplicati i requisiti patrimoniali nella concessione di crediti a questo tipo di aziende. Ciò dovrebbe ridurre la copertura patrimoniale, mantenendola all’8%, rispetto all’aumento previsto al 10,5% (Deutsche Bundesbank 2013; CRR 575/2013).

(24)

Un provvedimento che ha senz’altro suscitato molti dubbi è l’introduzione dell’indice di leva finanziaria. Secondo alcune critiche, infatti, il nuovo provvedimento andrebbe a penalizzare i crediti che presentano rischi meno elevati, rendendo vani i tentativi di costruire un sistema bancario più solido (Tolckmitt 2010). Un altro problema ora risolto riguardava invece il calcolo del bilancio complessivo, fondamentale per una corretta definizione dell’indice di leva finanziaria, per il quale venivano usati metodi differenti in Europa e negli Stati Uniti (con conseguenze sull’indice da soddisfare in particolare riguardo alle operazioni con i derivati); per cui le banche europee risultavano penalizzate rispetto alle concorrenti statunitensi. La soluzione prevede metodi di calcolo unificati a livello mondiale in modo da non provocare distorsioni concorrenziali (Süddeutsche Zeitung 13/01/2014).

Coloro che invece reputano insufficiente l’introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali, ritengono che i nuovi standard internazionali non bastino a garantire stabilità all’interno del sistema finanziario, poiché molte banche soddisfano già i requisiti minimi e alcune di loro li soddisfacevano già prima della crisi, ma ciò non ha impedito che si trovassero in difficoltà. Inoltre è stata criticata l’applicazione graduale del nuovo accordo, con tempi di esecuzione troppo lunghi poiché la piena applicazione è prevista solamente per il 2019. Tuttavia è importante notare che un’applicazione più rapida avrebbe avuto anche maggiori ripercussioni sulla crescita e sulle banche, che si trovano già in difficoltà dal punto di vista della redditività (Sironi 2010).

E’ stata criticata anche la complessità delle norme di Basilea, che nel tempo sono diventate sempre più complicate, anche per tenere il passo con l’evoluzione dei prodotti finanziari. In particolare Andrew Haldane, incaricato della vigilanza prudenziale alla Bank of England, ritiene sia necessario ripensare completamente il quadro della regolamentazione internazionale per renderlo più facilmente applicabile. Secondo Haldane, infatti, valutare un determinato rischio è diventato difficile e ci sono troppi parametri da prendere in considerazione. Inoltre tale complessità può causare poca trasparenza. Per quanto riguarda la leva finanziaria Haldane ne critica il ruolo troppo marginale rispetto ai requisiti di capitale proprio e ritiene che dovrebbe comunque essere più elevata per agire come efficace strumento prudenziale (Haldane & Madouros 2012; Onado 2012).

(25)

3. L’analisi terminologica dei testi di Basilea 3

Gli standard del Comitato di Basilea non sono direttamente vincolanti, di conseguenza i principi esposti nell’accordo di Basilea 3 vanno introdotti nelle legislazioni nazionali, come è avvenuto anche per i precedenti accordi di Basilea 1 e 2. Le nuove norme devono quindi essere adattate a seconda dei contesti istituzionali in cui si applicano. Nei paesi membri dell’Unione europea, ad esempio, i nuovi standard vengono applicati attraverso la mediazione della legislazione europea, mentre negli altri paesi le nuove normative vengono elaborate partendo direttamente dai principi di Basilea 3. Si può quindi fare una distinzione tra diversi livelli istituzionali: da un lato i principi vengono elaborati e applicati all’interno di istituzioni internazionali (la BRI e l’UE, ad esempio), dall’altro vengono poi inseriti nella normativa nazionale dei diversi paesi.

Nei prossimi paragrafi verrà illustrato come l’applicazione dei nuovi standard in constesti istituzionali diversi possa dar luogo all’impiego di termini differenti per identificare lo stesso concetto.

3.1 L’obiettivo di un’analisi terminologica

Poiché le nuove norme di Basilea 3 vengono applicate in contesti diversi, i testi fondamentali per la loro applicazione provengono da svariate fonti. Per questa ragione è interessante analizzare la terminologia utilizzata nei documenti delle varie istituzioni, al fine di evidenziare se le caratteristiche dei termini utilizzati siano le stesse o se sia possibile osservare qualche differenza.

Inoltre tale analisi può essere effettuata prendendo in considerazione più lingue, per verificare se le tendenze riguardanti le eventuali differenze terminologiche siano presenti in una lingua soltanto o siano riscontrabili in più lingue e in più paesi tra quelli che applicano le norme di Basilea 3.

3.2 La scelta delle lingue

Per effettuare l’analisi terminologica sono stati presi in considerazione l’italiano e il tedesco. Queste due lingue permettono infatti di mettere a confronto diversi contesti istituzionali, osservando l’introduzione delle norme di Basilea in paesi diversi. La scelta dell’italiano e del tedesco è stata fatta in base alle competenze linguistiche dell’autrice, ma soprattutto in ragione dei paesi in cui ciascuna di queste due sono lingue nazionali: sono infatti in uso in più paesi, tra i quali figurano l’Italia, la Germania e la Svizzera. Mentre Italia e Germania sono paesi membri dell’Unione europea, la Svizzera è un interessante caso di applicazione dei principi di Basilea 3 in Europa non mediata dalla legislazione dell’Unione europea. Poiché la stessa lingua viene utilizzata in più di un paese, l’analisi terminologica non solo permette di evidenziare le specificità all’interno dei testi delle istituzioni prese in esame, ma consente anche di mettere in luce eventuali differenze

(26)

nell’impiego della stessa lingua in paesi diversi. Prendendo in considerazione le normative presenti in lingua tedesca, ad esempio, è possibile paragonare i testi della BRI e dell’UE con la legislazione tedesca, i testi della BRI con la legislazione svizzera e infine i testi delle due normative nazionali.

Per effettuare l’analisi è utile innanzitutto porre a confronto i testi del Comitato di Basilea e la legislazione europea, analizzando in un secondo momento anche il recepimento delle norme all’interno del singoli stati per analizzare il grado di coerenza terminologica tra i vari documenti. Il fatto che l’introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali di Basilea 3 per i membri dell’UE avvenga attraverso la mediazione della legislazione europea può avere delle implicazioni da un punto di vista linguistico e terminologico: a priori ci si può aspettare una certa coerenza tra i documenti del Comitato di Basilea, da cui l’Unione europea ha preso spunto per l’elaborazione delle norme comunitarie, e la legislazione europea, poiché si tratta di testi redatti e tradotti da istituzioni internazionali, non direttamente legate ad un uso della lingua specifico all’interno di un determinato paese. L’eventuale coerenza terminologica tra le due istituzioni potrebbe anche essere facilitata dal ricorso ad anglicismi, al giorno d’oggi molto comuni nel linguaggio economico. Idealmente si può inoltre supporre l’impiego degli stessi termini tra la legislazione europea e i testi legislativi nazionali dei paesi membri, poiché i principi di Basilea 3 vengono appunto inseriti nella normativa nazionale attraverso la mediazione dell’Unione europea. Dopo il confronto tra i documenti del Comitato di Basilea, i testi dell’Unione europea e quelli della legislazione nazionale è possibile analizzare la normativa elaborata in Svizzera, in cui sia l’italiano che il tedesco sono lingue ufficiali. Tale analisi permette infatti di osservare se nei testi legislativi svizzeri siano stati utilizzati gli stessi termini presenti nei documenti della BRI e se sia possibile notare qualche somiglianza con la terminologia impiegata nella normativa tedesca e italiana.

3.3 Applicazione di Basilea 3 e modifiche legislative

Prima di effettuare l’analisi terminologica è necessario soffermarsi sul processo di introduzione degli standard di Basilea 3 all’interno dei diversi contesti istituzionali presi in esame. Per questo motivo nei prossimi paragrafi verranno presentate le modalità di introduzione dei requisiti patrimoniali e di liquidità nell’Unione europea, in Italia, Germania e Svizzera ponendo l’accento in particolare sui testi elaborati o modificati per permettere l’adeguamento della legislazione.

3.3.1 Applicazione di Basilea 3 nell’UE

Per l’applicazione dei nuovi principi di Basilea nei vari paesi membri, l’Unione europea ha sviluppato il cosiddetto “pacchetto CRD IV”, un’abbreviazione per “Capital requirements directive”: tale pacchetto comprende il CRR (Capital requirements regulation), ovvero il

(27)

regolamento N° 575/2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e la direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento. Il “pacchetto CRD IV” è il quarto di una serie di norme elaborate dall’Unione europea riguardanti la dotazione di fondi propri. Il CRD I, adottato nel 2006 dopo la pubblicazione di Basilea 2, comprendeva due direttive; i pacchetti CRD II e CRD III erano anch’essi composti soltanto da direttive. La dicitura “CRD” è stata mantenuta anche per il CRD IV, benché comprenda non solo una direttiva, ma anche un regolamento.

Con questi documenti sono stati modificati i regolamenti e le direttive preesistenti relative alla vigilanza bancaria assicurando l’applicazione dei principi sul capitale e la liquidità per tutte le banche europee, in modo da non creare difficoltà di tipo concorrenziale per le banche attive in Europa. Inoltre i principi di Basilea 3 non sono stati trasposti direttamente nella legislazione europea, ma sono presenti anche alcune modifiche e aggiunte per adattarli meglio al contesto europeo e dei singoli stati membri (CE 2013). La pubblicazione di questi due documenti sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea è avvenuta nel giugno 2013; la loro entrata in vigore è avvenuta il 1° gennaio 2014 (CRR 575/2013 art.521).

Con l’emanazione del regolamento si è arrivati al Single Rulebook, la cui creazione era stata auspicata già nel 2009 dal Consiglio europeo al fine di avere un insieme di regole uniforme all’interno dell’UE per quanto riguarda il settore finanziario. L’applicazione di regole uniformi e uguali per tutti gli Stati membri serve infatti a migliorare il Mercato Unico e garantirne il corretto funzionamento. Infatti, prima dell’introduzione di queste riforme, non esistevano regole unificate e chiare per tutti e le direttive riguardanti la vigilanza bancaria non erano sufficienti dato che lasciavano troppo spazio alle differenze di applicazione possibili a livello nazionale, provocando confusione e rischi maggiori anche al di fuori dei singoli sistemi finanziari nazionali. Sebbene sia stato concepito come un insieme di regole unificato, il Single Rulebook è comunque un complesso di norme adattabili alle esigenze dei singoli paesi, che tiene conto, ad esempio, dell’eventuale necessità di alcuni stati membri di rendere più severi i requisiti patrimoniali minimi su determinate operazioni10. A questo proposito è infatti fondamentale ricordare che mentre le direttive lasciano ampio spazio a modifiche al momento della trasposizione nel diritto nazionale, i regolamenti emanati dal Parlamento e dal Consiglio europeo sono direttamente applicabili e non necessitano il recepimento all’interno delle legislazioni nazionali.

10 http://www.eba.europa.eu/regulation-and-policy/single-rulebook (consultato il 04/02/15)

Références

Documents relatifs

Si dimostra che ciò accade pure per le successioni di alcune delle derivate delle un, pervenendo cos a teoremi di esistenza nella classe delle funzioni continue

In questo percorso, che sarà prevalentemente «formale» e attento alle interferenze tra genere bucolico e poesia lirica, Virgilio e Petrarca sono i due grandi poli di

In: Le giornate di Robiei: paesaggio ed energia tra passato, presente e futuro. Cavergno : Fondazione Valle

Mentre infatti il settore bancario tradizionale beneficiava di garanzie pubbliche già prima della crisi finanziaria, il sistema bancario ombra si affidava unicamente

L'urgenza di una teoria è reale poiché, se la territorialità umana emerge nelle scienze dell'uomo, ciò deriva dal fatto che esse si sono confrontate con una

L’individuazione di questo limite apre la strada a coloro che fossero interessati a compiere un’analisi traduttologica di una qualsiasi versione tradotta di

Dal maggio 1995 nel Canton Ticino é in corso un biominotoraggio della qualità dell'aria mediante licheni epifiti. < 30) é stata individuata nei centri

Inoltre, l’articolo 4 paragrafo 14 si riferisce anche alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), in cui l’impegno riguardante la