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6. Discussione dei risultati dell’analisi

6.3 Il ruolo della terminologia nei testi dell’UE

6.3.3 Ipotesi sulle differenze nei termini in lingua italiana

La specificità della terminologia usata in ambito europeo, che deve essere diversa da quella usata a livello nazionale, non costituisce tuttavia una spiegazione per le differenze riscontrate tra i termini della BRI e quelli dell’UE. Innanzitutto, se l’indeterminatezza del linguaggio dell’UE riguarda soprattutto i concetti giuridici, i termini riscontrati nel regolamento e nella direttiva appartengono al lessico finanziario. Si tratta quindi di termini tecnici, che non devono essere vaghi, ma al contrario devono indicare in modo univoco a che cosa ci si riferisce. Considerando le varie categorie di capitale, ad esempio, è essenziale che ogni stato membro capisca esattamente di quale categoria si stia parlando e quali siano gli elementi del patrimonio computabili; l’utilizzo di termini vaghi o iperonimi in questo ambito potrebbe causare ambiguità con conseguenti difficoltà per gli stati membri a rispettare i requisiti minimi. In secondo luogo non c’è motivo per cui i termini dell’UE dovrebbero essere meno precisi di quelli impiegati dalla BRI, poiché anche quest’ultima è un’organizzazione internazionale i cui principi si riferiscono a un elevato numero di stati ed è quindi slegata da un utilizzo della lingua specifico di un determinato paese.

La coerenza con la legislazione precedente è invece particolarmente importante per i testi dell’UE presi in considerazione nell’ambito di questa tesi: sia il regolamento che la direttiva modificano o abrogano testi che erano già in vigore precedentemente, quindi è probabile che nell’elaborazione della versione italiana ci si sia basati su termini già esistenti nella legislazione europea. Inoltre il pacchetto CRD IV non è il primo a contenere disposizioni riguardanti la regolamentazione bancaria;

nei pacchetti CRD I, II e III erano infatti già presenti norme su questo tema. A tale proposito è bene ricordare che il CRD I è stato adottato nel 2006 proprio dopo la pubblicazione di Basilea II, in cui erano già presenti alcune categorie di capitale riprese e modificate in Basilea III. L’ipotesi che le scelte traduttive per il pacchetto CRD IV siano state dettate dalla terminologia della legislazione già esistente è comunque applicabile solo ai termini impiegati per i requisiti patrimoniali, poiché i provvedimenti sulla liquidità sono una novità dell’accordo di Basilea 3. Per verificare questa ipotesi è stata condotta una ricerca sulle direttive18 dei pacchetti CRD I,II,III, nelle quali però non è stato

18Le direttive analizzate sono le seguenti: direttiva 2006/48/CE, direttiva 2006/49/CE, direttiva 2009/111/CE, direttiva 2009/27/CE, direttiva 2009/83/CE, direttiva 2010/76/UE.

riscontrato nessuno dei termini relativi ai requisiti patrimoniali del pacchetto CRD IV. In particolare nella direttiva 2006/48/EC sono presenti due espressioni diverse da quelle impiegate nel pacchetto CRD IV, ovvero “fondi propri di base” e “fondi propri supplementari”. Poiché questi termini non sono stati ripresi nel regolamento (UE) n° 575/2013 e nella direttiva 2013/36/UE, viene spontaneo chiedersi come mai in questo caso non sia stata rispettata la regola della coerenza terminologica con la legislazione precedente. Prendendo in considerazione il fatto che il pacchetto CRD IV (come anche l’accordo stesso di Basilea 3) è un insieme di misure piuttosto innovativo, dato che rispetto a Basilea 2 vengono modificate le categorie di capitale e gli strumenti computabili, si può ipotizzare che si sia preferito impiegare dei termini “nuovi” per descrivere categorie di capitale sostanzialmente diverse da quelle a cui ci si riferiva nella legislazione precedente. In ogni caso, il risultato fondamentale ai fini della nostra analisi è che la differenza tra i termini della BRI e quelli dell’UE non è dovuta al rispetto della coerenza terminologica con i testi legislativi pubblicati prima del pacchetto CRD IV.

Un’altra ipotesi riguarda le differenze di contenuto tra l’accordo di Basilea 3, redatto dal Comitato e il pacchetto CRD IV, elaborato dall’UE. L’applicazione di Basilea 3 al contesto dell’UE ha reso necessarie modifiche e aggiunte all’accordo elaborato dal Comitato: il pacchetto CRD IV non è quindi la copia esatta di Basilea 3, ma è stato adattato per rispondere meglio alle esigenze dell’Unione europea e degli stati membri. La direttiva 36/2013/UE, ad esempio, introduce una riserva di capitale a fronte del rischio sistemico, applicabile a un determinato settore finanziario nel caso in cui questo possa causare un rischio sistemico con notevoli ripercussioni sul sistema finanziario di uno stato membro. La presenza di alcune differenze tra i principi elaborati dal Comitato e la regolamentazione europea potrebbe aver incoraggiato la creazione di una terminologia “propria” all’Unione europea, volutamente diversa da quella impiegata alla BRI. Ciò sembrerebbe ragionevole se anche in tedesco si osservassero le stesse differenze tra le due istituzioni. Quest’idea viene però smentita dalla coerenza presente nella terminologia impiegata dalla BRI e dall’UE nei testi in lingua tedesca. Se le divergenze riscontrate nei documenti in italiano fossero davvero frutto di una scelta operata in funzione dell’ “indipendenza terminologica” dell’UE rispetto ad altre istituzioni, perché in tedesco si preferirebbe invece utilizzare gli stessi termini?

È inoltre possibile che le traduzioni nelle varie lingue dei documenti della BRI non siano state prese in considerazione per le scelte terminologiche effettuate nei testi dell’UE. Se da un lato per la redazione dei testi legislativi nell’UE si sconsiglia l’impiego di termini troppo legati alle realtà nazionali dei singoli membri, dall’altro nella Guida pratica non c’è alcuna disposizione inerente l’utilizzo o la coerenza con i termini di altre istituzioni che hanno un ruolo importante nella trattazione dei temi su cui verte la legislazione. Ciò significa che i traduttori dell’Unione europea

non hanno l’obbligo di fare riferimento alla terminologia impiegata in altre istituzioni, sebbene i principi del Comitato di Basilea e il pacchetto CRD IV trattino in buona parte gli stessi argomenti.

Di conseguenza può darsi che, nonostante i documenti della BRI siano cronologicamente antecedenti a quelli dell’UE, i termini presenti in questi ultimi siano stati tradotti ex novo e risultino quindi diversi.

Infine è utile fare qualche riflessione dal punto di vista morfosintattico sulle differenze tra l’italiano (in quanto lingua romanza) e il tedesco e l’inglese (lingue germaniche). È noto che le lingue germaniche usano anteporre l’aggettivo al sostantivo; inoltre in tedesco si possono creare composti in modo molto più facile di quanto accada nelle lingue romanze. Per questo motivo nella traduzione da lingue germaniche a lingue romanze è spesso necessario ricorrere a una perifrasi, vista l’impossibilità di rendere lo stesso concetto in modo così sintetico. Applicando questo fenomeno ai termini individuati nel testo originale in inglese della BRI, appare chiaro che la loro traduzione pone meno problemi verso una lingua germanica rispetto a una lingua romanza. Prendendo come esempio “common equity Tier 1”, in italiano sono state utilizzate come soluzioni traduttive

“patrimonio di qualità primaria” e “capitale primario di classe 1”, rispettivamente nei testi della BRI e dell’UE. Si può notare come entrambe le soluzioni siano più lunghe dell’originale e sembrino più che altro esplicitarne il contenuto. In questo caso il tedesco ricorre sempre a “hartes Kernkapital”, un composto piuttosto sintetico. Si può quindi ipotizzare che questa differenza intrinseca tra lingue germaniche e romanze abbia in parte contribuito alla coesistenza di più versioni in lingua italiana.

Questa ipotesi è avvalorata dai risultati di una breve analisi condotta sulla versione inglese e francese dei testi della BRI e dell’UE: prendendo in considerazione solo i requisiti patrimoniali, sono stati messi a confronto i termini in francese e in inglese con quelli già analizzati in italiano e tedesco. Il risultato è che mentre in inglese e tedesco c’è una certa coerenza tra i testi della BRI e dell’UE, in francese si osserva la stessa variabilità riscontrata in italiano. La breve ricerca comparativa effettuata su inglese e francese rafforza quindi l’idea che nel passaggio da una lingua germanica all’altra sia possibile conservare una certa coerenza nei termini, mentre nella traduzione da una lingua germanica a una romanza si debba spesso ricorrere a perifrasi, che aumentano la variabilità delle soluzioni utilizzate. Di seguito viene riportato un esempio basato sul termine inglese “Tier 1 capital”: