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Dagli "Esseri celesti" al Dio unico: la ricerca di Raffaele Pettazzoni e il dibattito sulle origini dell'idea di Dio

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Thesis

Reference

Dagli "Esseri celesti" al Dio unico: la ricerca di Raffaele Pettazzoni e il dibattito sulle origini dell'idea di Dio

NIERI, Colette

Abstract

In questo studio si ripercorrono e analizzano le varie fasi di sviluppo degli studi che Raffaele Pettazzoni condusse sulle origini dell'idea di Dio: dalla sua prima presa di posizione nel dibattito culturale contemporaneo e le varie teorie allora imperanti, al suo approccio innovativo al tema che, attraversando praticamente tutto il periodo della sua attività, registrò notevoli evoluzioni, ripensamenti, cambiamenti di direzione, prima di approdare alle ultime sintesi. I risultati cui egli giunse sono fondamentali per lo sviluppo degli studi storico-religiosi, con implicazioni che concernono concetti cardine come la nozione di dio/divinità, il politeismo e il monoteismo, che conservano a tutt'oggi una indiscutibile validità. L'impatto e le conseguenze attuali delle ricerche pettazzoniane saranno al centro di un'attenta valutazione, che mira altresì a comprendere i motivi di un certo oblìo in cui è caduta la sua opera, talvolta fraintesa come banale tentativo di conciliazione tra storicismo e fenomenologia.

NIERI, Colette. Dagli "Esseri celesti" al Dio unico: la ricerca di Raffaele Pettazzoni e il dibattito sulle origini dell'idea di Dio. Thèse de doctorat : Univ. Genève, 2015, no. L. 837

DOI : 10.13097/archive-ouverte/unige:94923 URN : urn:nbn:ch:unige-949232

Available at:

http://archive-ouverte.unige.ch/unige:94923

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Colette Nieri

Dagli “Esseri celesti” al Dio unico.

La ricerca di Raffaele Pettazzoni e il dibattito sulle origini dell’idea di Dio

Thèse préparée sous la direction du Professeur Philippe Borgeaud (Unité d’histoire des religions antiques), en vue de l’obtention du titre de Docteur ès lettres de l’Université de Genève

Président d jury de thèse: Prof. Antoine Cavigneaux (Université de Genève)

Genève 2014

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Indice

Introduzione ... 1

Capitolo I. Il dibattito sull’origine della religione fra antropologia e storia delle religioni ... 8

Rapporti tra Pettazzoni e J.G. Frazer ... 20

Capitolo II. Padre Schmidt e l’Urmonotheismus ... 35

Wilhelm Schmidt. Vita e opere ... 35

Il pensiero di W. Schmidt ... 42

Rapporti con Raffaele Pettazzoni ... 51

Capitolo III. La formazione di Raffaele Pettazzoni ... 66

Situazione della storia delle religioni in Italia ... 74

Capitolo IV. L’idea di Dio nella produzione scientifica di Pettazzoni fino al 1922 ... 93

L’articolo sul rombo ... 93

Pettazzoni nel 1912 ... 97

La religione primitiva in Sardegna ... 102

L’articolo del 1913 sulle origini dell’idea di Dio ... 120

Capitolo V. L’essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi ... 141

Capitolo VI. L’essere supremo nelle pubblicazioni di Pettazzoni degli anni successivi ... 162

L’onniscienza di Dio ... 177

La fine dell’Urmonotheismus... 185

La pluralità degli esseri supremi ... 193

L’eredità di Pettazzoni ... 203

Conclusioni ... 226

Bibliografia ... 230

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A. Scritti di Pettazzoni ... 230 B. Altre pubblicazioni ... 234 APPENDICE ... 251

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Introduzione

1

Ci proponiamo qui di ripercorrere e analizzare le varie fasi di sviluppo degli studi che R. Pettazzoni condusse sulle origini dell’idea di Dio: dalla sua prima presa di posizione nel dibattito culturale contemporaneo e le varie teorie allora imperanti, al suo approccio innovativo al tema che, attraversando praticamente tutto il periodo della sua attività, registrò notevoli evoluzioni, ripensamenti, cambiamenti di direzione, prima di approdare alle ultime sintesi.

I risultati cui egli giunse sono fondamentali per lo sviluppo degli studi storico- religiosi, con implicazioni che concernono concetti cardine come la nozione di dio/divinità, il politeismo e il monoteismo, che conservano a tutt’oggi una indiscutibile validità. L’impatto e le conseguenze attuali delle ricerche pettazzoniane saranno al centro di un’attenta valutazione, che mira altresì a comprendere i motivi di un certo oblìo in cui è caduta la sua opera, talvolta fraintesa come banale tentativo di conciliazione tra storicismo e fenomenologia.

Si tratta di un’indagine concepita ad ampio respiro, sino ad oggi mai condotta in modo sistematico e approfondito, nella quale deve essere in primo luogo analizzata la temperie culturale in cui ebbe a muovere i primi passi il giovane Pettazzoni. In

1 Desidero ringraziare per il loro sostegno i miei tutor, Prof. Philippe Borgeaud e Prof. Paolo Xella.

Mario Gandini mi ha generosamente messo a disposizione il prezioso materiale pettazzoniano custodito nella Biblioteca “Giulio Cesare Croce” di S. Giovanni in Persiceto. Un ringraziamento particolare a Giuseppe Minunno, che è sempre stato pronto ad aiutarmi e consigliarmi, e a mia sorella Viviennne, che mi ha fornito un prezioso supporto. Il pensiero più caloroso va ai miei genitori, ai quali è dedicata questa tesi, perché con il loro costante supporto mi hanno spronato a non arrendermi permettendomi di raggiungere questo obiettivo.

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particolare, ci riferiamo qui al confronto tra lo studioso persicetano e le posizioni di un

“fronte” culturale che si potrebbe definire antropologico-teologico, costituito essenzialmente dal pre-animismo monoteistico di A. Lang su cui si innestava – arrivando a conseguenze certo non condivise dall’antropologo scozzese – la teoria del

“monoteismo primordiale” del padre Wilhelm Schmidt.

Da questa situazione di partenza prende l’avvio la ricerca di Pettazzoni, che si può seguire come un fil rouge lungo tutti gli anni della sua attività: da un articolo del 1914 (preceduto però, significativamente, da alcune note sul “mantello celeste” scritte già nel 1910) fino quasi alla sua morte, giacché gli anni tra il 1958 e il 1960 registrano ancora studi su pretesi monoteismi e, soprattutto, il breve articolo sulla fine dell’Urmonotheismus apparso in Numen nel 1958.

Si tratta di una ricerca che lo vede maturare nuove idee e nuove prospettive di approccio, che è tutt’una con l’elaborazione teorica e l’applicazione pratica di quel

“suo” metodo comparativo che cresce e si affina progressivamente; che lo vede coniugare la “buona” fenomenologia dinamica (di contro a quella “statica”, puramente descrittiva) con l’analisi storica vera e propria, in cui i fatti si liberano della veste fenomenica per dispiegarsi nella diacronia e risolversi compiutamente grazie all’interpretazione storico-comparativa (“ogni phainomenon è un genomenon”).

Come si è detto, un’altra parte importante di questo progetto è dedicata programmaticamente a quanto resta valido del lavoro pettazzoniano, non solo e non tanto sul piano dei singoli problemi affrontati, quanto su quello delle acquisizioni metodologiche. I temi politeismo/monoteismo hanno avuto molto successo tra gli allievi di Pettazzoni, in primis A. Brelich e D. Sabbatucci. Un confronto con le loro posizioni è suscettibile di fornire un metro assai valido per valutare quanto sia stato recepito dell’eredità pettazzoniana, e quanto risulti superato o innovato, in Italia come in ambito internazionale. Alfonso M. Di Nola ebbe ad affermare:

“La sua vita e la sua produzione sono rappresentabili - quando le volessimo segnalare nella loro essenzialità - come una diuturna, tesa lotta

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contro ogni rischio di sovrapporre alle cadenze secondo le quali il reale/umano si dispiega una qualsiasi metastoria trascendente e de- reificata. Nella prospettiva di analisi di “ciò che Pettazzoni può ancora significare” e, di fatto, significa, conviene, perciò, rievocare per i tratti cospicui, e certamente rinunziando alla minuta rivisitazione dell'intero archivio dei dati, quella che fu la sua polemica sul monoteismo primordiale, proprio perché in essa si scoprono la visione pettazzoniana del mondo, la ricchezza degli strumenti metodologici che gli consentirono di fondare in Italia la storia delle religioni e la concezione medesima che egli ne ebbe e quale fu trasmessa alle generazioni che lo seguirono. Ricordare la cronaca di questa polemica è un'operazione puramente informativa che tocca tematiche oggi in gran parte superate e appartenenti all'archeologia degli studi storico-religiosi. E tuttavia l'operazione ricognitiva ha una sua premente attualità, poiché i salti nel metastorico, che Pettazzoni denunziava nella griglia delle sue posizioni contro il padre verbita Guglielmo Schmidt, riappaiono all'orizzonte della ricerca riformulati in codici nuovi e altrettanto pericolosi”2.

A parte gli specifici interessi storico-religiosi sviluppati ben presto da Pettazzoni, la sua stessa formazione scientifica quasi lo predestinava a misurarsi con i filologi da un lato, gli antropologi/etnologi dall’altro. Nato come filologo classico, certo non disinteressato all’archeologia, Pettazzoni quasi da subito si era aperto al fascino delle discipline etnologiche, agguerrendosi dunque sui due filoni dai quali nasceva propriamente la storia delle religioni come disciplina autonoma, cioè la filologia (Max Müller) e l’antropologia (Tylor).

Inoltre, Pettazzoni aggiungeva quella sorta di plusvalore, sul piano del metodo e dell’approfondimento interpretativo, rappresentato dalla vocazione storicistica che gli veniva dalla tradizione italiana (da G.B. Vico a B. Croce), con la quale pure ebbe duramente a confrontarsi.

2 Di Nola 1983.

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Vediamo comunque quale era la situazione allorché Pettazzoni cominciò a studiare questo tema.

Si dovrà ricordare brevemente che, nel XVIII secolo, il teismo ed il razionalismo avevano portato a concepire come primitiva l’idea di un dio unico, idea che sarebbe stata comunicata agli uomini attraverso un atto di rivelazione e che si sarebbe progressivamente oscurata nella coscienza umana a causa del prevalere di simboli3.

Quanto agli illuministi, si ricorderà come Voltaire, da buon razionalista, non credendo alla rivelazione, ammetteva una religione concepita dalla ragione umana senza nessun intervento soprannaturale e considerava la nozione di un Dio unico un dato essenziale di questa religione. Il monoteismo, dunque, era collocato anteriormente al politeismo, in accordo con la dottrina tradizionale della Chiesa.

A questa concezione si opposero D. Hume e J.-J. Rousseau, i quali invertirono i termini del processo di sviluppo della religione, ponendo il monoteismo come punto di arrivo e non di partenza: l’etnografia, con tutti i dati che poneva a disposizione, svolse in questa rivoluzione del pensiero tradizionale un ruolo fondamentale4. La strada era così spianata per la formulazione, nel XIX secolo, della teoria di A. Comte, che contemplava la suddivisione dello sviluppo religioso in tre periodi: feticismo, politeismo e monoteismo.

Successivamente l’antropologia inglese scopriva l’animismo nel culto dei morti praticato dall’uomo primitivo: considerato la forma più antica della religione, esso venne inserito nello schema tripartito di Comte in sostituzione del feticismo.

Poiché, si sosteneva, non c’è religione senza Dio e poiché Dio è uno spirito, la religione deve cominciare là dove comincia l’idea di spirito e, gradualmente, essa si affina, passando attraverso gli dei politeistici e approdando infine al Dio monoteistico.

3 Cf. Pettazzoni 1925b.

4 Sulla posizione di Hume, Rousseau e Voltaire in merito alla questione del monoteismo, nella prospettiva di Pettazzoni, si cf. anche Pettazzoni 1925c.

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In seguito, nuovi studi portarono a formulare un’altra teoria: quella basata sul c.d. preanimismo, uno stadio religioso anteriore all’animismo e contenente tutti quei prodotti della religiosità che potevano essere sorti ed essersi manifestati indipendentemente dall’idea di anima o di spirito, prima tra tutti la magia.

Parallelamente agli studi su quest’ultima, infatti, si svilupparono le ricerche attorno alla credenza, presso i popoli primitivi, in un essere supremo: sorse così la teoria di un preanimismo monoteistico. A. Lang, infatti, formatosi in seno alla scuola antropologica inglese, credette di scoprire la nozione di “Supreme Being” e vide in questa figura il rappresentante della prima fase religiosa dell’umanità, nonché un vero e proprio Dio.

Si erano così poste le basi per demolire la concezione del monoteismo come coronamento di un graduale processo evolutivo: con W. Schmidt e la teoria dell’Urmonotheismus, infatti, furono nuovamente invertiti i termini dello svolgimento della religione e dell’idea di Dio, ripostulata come originaria e frutto di una rivelazione mascherata e mediata perché filtrata attraverso la razionalità umana, ma pur sempre di origine divina.

Tornando a Pettazzoni, la constatazione dell’esistenza di teorie sulla genesi del monoteismo che si fondavano sul medesimo ordine di fatti, ma che apparivano tra loro opposte e contraddittorie, indusse lo studioso ad un accurato lavoro di verifica dei materiali etnografici relativi alle credenze dei popoli primitivi. Tale verifica rappresentò la base per poter poi condurre un’ulteriore ricerca, estendendo il più possibile il campo delle osservazioni ed abbracciando il massimo numero dei fatti.

Nacque così L’Essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, opera con la quale egli si inseriva pienamente e direttamente nel dibattito scientifico attorno alle origini e allo svolgimento della religione e dell’idea di Dio. L’Essere celeste, pubblicato nel 1922 ma praticamente pronto già vari anni prima, fu inizialmente concepito come prima parte di un trittico di studi dal titolo: Dio: formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni, che avrebbe dovuto quindi comprendere una seconda parte incentrata sul Dio supremo nelle religioni primitive ed

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una terza che verteva sul Dio unico nelle religioni monoteistiche5.

Tale progetto non fu però portato a termine nei termini in cui era stato concepito: come Pettazzoni stesso spiegherà nella prefazione al volume Saggi di storia delle religioni e di mitologia, egli non voleva correre il rischio che del suo pensiero fosse data una interpretazione in senso evoluzionistico, interpretazione che poteva essere indotta sia dallo schema ternario dell’opera, sia dalla tendenza ad assegnare un comune e costante carattere uranico prima agli esseri supremi dei primitivi, poi alle divinità politeistiche e monoteistiche sia, infine, dalla sua opposizione ad una teoria dichiaratamente anti-evoluzionistica.

Dopo la pubblicazione del primo volume Pettazzoni venne sempre più concentrandosi sugli attributi delle divinità, in particolare su quello dell’onniscienza – studiata come complesso ideologico, come struttura religiosa e come formazione storica, al di fuori di ogni istanza monoteistica – arrivando, nel 1955, a pubblicare L’Onniscienza di Dio.

Nel 1956, invece, fu pubblicato L’Essere supremo nelle religioni primitive, volumetto in cui lo studioso persicetano espose sinteticamente risultati e conclusioni generali della precedente opera, omettendo ogni trattazione specialistica, al fine di diffondere le sue idee presso un pubblico più largo.

Il tema dell’essere supremo, che nel pensiero di Pettazzoni si lega inscindibilmente anche a quelli degli dèi supremi del politeismo e, tramite questi ultimi, anche alla tematica dell’origine e dei caratteri del monoteismo, è centrale nell’opera dello studioso italiano, non solo nelle opere che di esso più o meno direttamente ed esplicitamente si occupano, ma appare anche tra gli elementi determinanti alla base e sullo sfondo di altre ricerche apparentemente secondarie rispetto ad esso.

5 Sul monoteismo, tra gli altri, si vedano Hocart 1922; Peterson 1936; Bausani 1957; 1963; Radin 1924; Underhill 1975.

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Indubbiamente a ragione scriveva Geo Widengren che “The comprehensive scientific work of R. Pettazzoni is marked both by an unusual width of knowledge and of an equally unusual concentration on a few essential themes”6. Certamente quello dell’essere supremo e del monoteismo di questi temi sono tra i più importanti.

6 In C. J. Bleeker, Angelo Brelich and Geo Widengren In Memoriam Raffaele Pettazzoni, “Numen” 6 (1959), pp. 76a-76d.

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Capitolo I. Il dibattito sull’origine della religione fra antropologia e storia delle religioni

Pettazzoni stesso ha illustrato, a più riprese, quelle che erano state le principali tendenze della ricerca storico-religiosa internazionale (e le loro ascendenze in ambito filosofico) relativamente alla questione degli esseri supremi e che rappresentavano dunque il punto di partenza dal quale si ebbe a sviluppare la ricerca dello studioso italiano, per molti versi autonoma ed originale, che di questo soggetto avrebbe fatto il fulcro dei propri interessi e della sua attività scientifica.

Da un lato, dunque, Pettazzoni poneva la concezione evoluzionistica, i cui antecedenti rintracciava nel pensiero di Hume e in J.-J. Rousseau, successivamente esposta da A. Comte nel suo sistema positivistico. Propria del teismo e del razionalismo settecentesco è l'idea di un Dio unico e solo, comunicata agli uomini per un atto di rivelazione, e poi oscuratasi fino a dare origine a una moltitudine di divinità.

Già Hume (The Natural History of Religion, 1755) aveva sostenuto che il politeismo doveva costituire la forma più antica di religione sviluppata dall’umanità7. Anche Rousseau, nell’ Émile ou de l’éducation (1762), sostenne che il politeismo, come forma religiosa meno astratta rispetto al monoteismo, doveva averlo preceduto8.

7 “It appears to me, that, if we consider the improvement of human society, from rude beginnings to a state of greater perfection, polytheism or idolatry was, and necessarily must have been, the first and most ancient religion of mankind”.

8 “Les marmousets de Laban, les manitou des Savages, les fétiches des Négres, tous les ouvrages de la Nature et des hommes ont été les premieres divinités des mortels: le polythéisme a été leur premiere religion, et l’idolâtrie leur premier culte. Ils n’ont pu reconnoître un seul

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Una versione sistematizzata di questi presupposti fu poi proposta da A. Comte, il cui “sistema di filosofia positiva” prevedeva uno sviluppo della religione attraverso i tre gradi del feticismo, del politeismo e del monoteismo (e, più in generale, riteneva che il sapere umano, nelle sue diverse discipline, necessariamente attraversasse uno stadio teologico, uno metafisico ed uno scientifico), che, nella formulazione elaborata da E.B. Tylor9, in cui l’animismo aveva preso il posto del feticismo, rappresentava la teoria evoluzionistica “classica”10.

Alla teoria di cui Tylor rappresentava il corifeo Pettazzoni contrapponeva la posizione di coloro i quali, rigettando la teoria evoluzionistica, affrontavano il problema dell’essere supremo o indipendentemente dalla sequenza evolutiva entro la quale essa imponeva di collocarlo (Pettazzoni menzionava Andrew Lang), o addirittura, a partire da Voltaire (Dictionnaire philosophique, 1764) ma facendo propria una posizione che già era stata dell’apologetica cristiana, interpretando la sequenza nella direzione opposta rispetto all’interpretazione evoluzionistica classica, dunque come corruzione di un’originale monoteismo che, nel corso della storia, si sarebbe confuso ed oscurato dando origine alle varie formazioni religiose, più o meno trasformate rispetto alla forma originaria (Wilhelm Schmidt).

La nascita dell’evoluzionismo come impostazione di ricerca in antropologia culturale, com’è noto, era stata stimolata dalle rivoluzionarie prospettive aperte alle scienze umane dall’evoluzionismo biologico quale era stato proposto da Charles Darwin nel 1859, con il celebre volume intitolato On the Origin of Species by Means

Dieu que quand, généralisant de plus en plus leurs idées, ils ont été en état de remonter à une premiere cause, de réunir le systême total des êtres sous une seule idée, et de donner un sens au mot substance, lequel est la plus grande des abstractions”.

9 Tylor 1871.

10 L’introduzione da parte di E.B. Tylor dell’ “animismo” (animism) in sostituzione del

“feticismo” (fetishism) per definire “an elementary religious phase” risale ad un suo articolo del 1866: “the word is so utterly inappropriate and misleading that I have purposely avoided it (...).

The theory which endows the phenomena of nature with personal life might perhaps be convenientely called Animism” (Tylor 1866, p. 84).

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of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life.

La tendenza era stata dunque quella di interpretare lo sviluppo della cultura umana sulla base delle tendenze individuate nello sviluppo delle specie naturali, dunque, come sostenuto da Spencer, dal semplice al complesso e dall’omogeneo al differenziato. Il principio di uno sviluppo progressivo verso la complessità e la differenziazione trovava del resto un riscontro anche negli esiti dell’archeologia preistorica, in cui si identificavano dei livelli culturali sempre più differenziati a partire dalle fasi più antiche.

Dal punto di vista della storia delle religioni queste dottrine ebbero come conseguenza un’impostazione che poneva alla base della ricerca la determinazione della linea di evoluzione attraverso la quale dalle prime forme religiose si sarebbe giunti a forme più elaborate e complesse. Il presupposto stesso di una evoluzione, coerentemente svolto, richiedeva di porre al vertice dello sviluppo la religione maggioritaria nella cultura positivistica (anche se, come è facile immaginare, proprio per la sua natura positivistica tale cultura non poteva accettare la religione, sia pure nel suo stadio più evoluto, che come una tappa temporanea verso un livello superiore, corrispondente, per l’appunto, a quello della scienza positivista).

In che cosa risiedeva, però, la complessità del Cristianesimo e, più in generale, del monoteismo, che appariva come la forma di religione che contraddistingue le società più “evolute”, rispetto, ad esempio, al politeismo che, con la molteplicità dei suoi aspetti ed il coordinamento dei suoi elementi, poteva apparire contraddistinto da un grado di complessità maggiore rispetto al monoteismo?

La risposta fornita dalle teorie evoluzionistiche fu di focalizzare l’attenzione sull’aspetto morale. Implicitamente identificando i valori supremi condivisi dalla tradizione cristiana con valori assoluti, l’evoluzionismo proponeva un percorso di sviluppo in cui da formazioni improntate al timore ed alla ricerca dell’utile pratico, in cui l’uomo si relazionava con entità impersonali o amorali, le concezioni religiose si sarebbero progressivamente “purificate” sia nei sentimenti del devoto che nella natura

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degli esseri sovrumani, fino a giungere al dio infinitamente buono e giusto del monoteismo, adorato in quanto meritevole di adorazione e unico valore dell’esistenza in quanto ad essa trascendente.

L’interesse di Pettazzoni per la tematica relativa agli esseri supremi delle religioni primitive deve essere comunque collocato nell’ambito della discussione che intorno a questo tema si andava svolgendo all’inizio del XX secolo, sotto lo stimolo soprattutto della documentazione che l’etnologia aveva recentemente messo a disposizione in merito alla religione delle popolazioni aborigene dell’Australia.

Proprio attraverso l’individuazione, presso quelli che erano universalmente considerati portatori di una delle più arcaiche culture etnicamente conosciute, di

“religious ideas of a relatively high order” metteva in crisi l’imperante costruzione evoluzionistica fondata da Tylor e da Spencer.

Rispetto alla teorie evoluzionistica di Tylor, incentrata sull’animismo, diversi studiosi avevano comunque avanzato delle obiezioni; tra questi studiosi vi era anche il celebre antropologo dell’Università di Oxford - R.R. Marett11 - poneva in dubbio quello che secondo Tylor poteva essere considerata una “minimun definition of religion”, vale a dire “the belief in spiritual beings”12, ipotizzando che la credenza in una forza sovrumana, impersonale e diffusa,variamente indicata presso diverse popolazioni (come mana, orenda, ecc.) fosse da ritenere anteriore all’elaborazione di figure personali e, dunque, dovesse ritenersi anteriore al sorgere dell’animismo.

Le obiezioni avanzate da R.R. Marett avevano così portato a vedere in lui il sostenitore di una “teoria preanimistica”, ma fu lo stesso Marett a sottolineare come la sua posizione fosse in realtà più sfumata:

“I had no intention of committing myself to a definite solution of the genetic problem. For me the first chapter of the history of religion

11 Marett 1900.

12 Tylor 1871, p. 425.

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remains in large part indecipherable. My chief concern was simply to urge that primitive or rudimentary religion, as we actually find it amongst savage peoples, is at once a wider, and in certain respects a vaguer, thing than "the belief in spiritual beings " of Tylor's famous

"minimum definition”13

Marett comunque non intendeva proporre di individuare una fase

“preanimistica” - che sarebbe stata in qualche misura analoga alla fase magica di Frazer - come stadio evolutivo anteriore a quello animistico in cui si sarebbero sviluppate delle entità sovrumane personali, ma negava piuttosto all’animismo la qualifica di fase primordiale dello sviluppo religioso umano:

“What I would not be prepared to lay down dogmatically or even provisionally is merely that there was a pre-animistic era in the history of religion, when animism was not, and nevertheless religion of a kind existed. For all I know, some sort of animism in Tylor's sense of the word was a primary condition of the most primitive religion of mankind. But I believe that there were other conditions no less primary”14.

Lo studioso e scrittore scozzese Andrew Lang poneva in discussione la stessa fondamentale formulazione delle origini animistiche della religione, non solo sottolineando il presumibile ruolo di fenomeni di visione estatica e di trance ai quali del resto Lang si interessava anche nell’ambito dello spiritismo a lui contemporaneo, ma soprattutto negando l’ipotesi di una derivazione delle divinità politeistiche dall’animismo, e persino la derivazione della divinità monoteistica da quelle politeistiche.

È stata proprio la scoperta della figura dell’essere supremo, della presenza di

“high gods among low races”, a determinare questa proposta interpretativa in aperto

13 Marett 1909, p. IX.

14 Marett 1909, p. X.

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contrasto non solo con l’animismo tayloriano, ma con lo stesso paradigma evoluzionistico imperante:

“Anthropology has simplified her problem by neglecting or ignoring her facts. While the real problem is to account for the evolution out of ghosts of the eternal, creative, moral god of the ‘plain man’, the germ of such a god or being in the creeds of the lowest savages is by anthropologists denied, or left out of sight, or accounted for by theories contradicted by facts, or, at best, is explained away as a result of European or Islamite influences. (...) anthropologists, as a rule, in place of facing and solving their problem, have merely evaded it”15.

Infatti, tra quelle idee apparentemente evolute che Lang riteneva di potere individuare anche presso le popolazioni più primitiva ed ascrivibili, secondo l’opinione condivisa dagli etnologi, a quello che avrebbe dovuto essere lo stadio meno evoluto dello sviluppo culturale dell’umanità, colpiva la figura di un essere creatore, morale, supremo.

La teoria animistica di Tylor ricostruiva uno stadio originario della religione incentrato sulla credenza in esseri spirituali, la cui genesi risaliva da un lato alla percezione, in particolare durante il sonno o in altre condizioni particolari, di persone lontane o defunte, e dall’altro alla tendenza a personificare gli elementi.

In questa prospettiva, la figura di un essere supremo rappresentava il culmine dello sviluppo evolutivo dell’idea di spirito, liberata progressivamente degli aspetti più gretti e caricata di valori e connotati morali con il progredire della morale nelle varie popolazioni. Lang, però, ritenne di poter ribaltare la questione, proprio svincolando l’idea di un essere supremo dal processo formativo animistico.

Lang negava anche il presupposto di uno sviluppo parallelo della cultura e della moralità in ambito religioso, cui corrispondeva l’idea di un progressivo sviluppo

15 Lang 1900, p. 162.

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morale degli spiriti destinato a sboccare proprio nella figura dell’essere supremo.

Sebbene di fatto, Lang non ritenesse di dovere o potere proporre una lineare ricostruzione dello sviluppo della figura dell’essere supremo in sostituzione di quella avanzata dalla scuola evoluzionistica classica (“we have not yet the materials for a scientific theory of the evolution of religion”)16, lo studioso scozzese tuttavia contestava la validità di quella teoria, principalmente sulla base della constatazione che, a suo giudizio, in base alla documentazione etnologica anche presso quelle che si ritenevano unanimemente le più arretrate popolazioni di cui fossero documentate le credenze era riconoscibile la figura di un essere supremo dotato di caratteri morali tali da contraddire uno sviluppo della religione come progressiva caratterizzazione morale di uno “spirito” derivato dalle concezioni animistiche.

Questa “scoperta” dell’essere supremo sarà definita, in una conferenza tenuta nel 1957 ad Oslo da Pettazzoni, “la più grande scoperta del XX secolo”17.

Dunque, a differenza di quanto proposto alcuni anni dopo da Wilhelm Schmidt con la sua teoria dell’Urmonotheismus, Lang non forniva una teoria esplicativa per il sorgere di questa credenza, rifiutando anzi esplicitamente di sostenere la “rivelazione primordiale” quale fondamento scientifico capace di spiegare i fatti18.

Sebbene però Lang rifiutasse di fornire una ricostruzione dell’origine della figura dell’essere supremo, limitandosi ad individuarlo e a constatarne la presenza presso popolazioni di grande arretratezza culturale19, tuttavia suggerì per il suo sorgere

16 Lang 1899, p. 3.

17 Cf. Gandini 2008a, pp. 143-144.

18 Lang 1900, p. xvii, “(...) there was, as regards these points in morals, degeneracy from savagery as society advanced, and I believe that there was also degeneration in religion. To say this is not to hint at a theory of supernatural revelation to the earliest men, a theory which I must, in limine disclaim”.

19 “I am very much obliged to Mr. Hartland for not saying (like most of my critics) that I attribute the belief to Revelation! In fact I repeatedly declined to give any theory of how the belief arose” (Lang 1899, p. 5).

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quella che potremmo definire una sorta di spiegazione proto-funzionalista: l’esistenza di un essere supremo garante della morale comune, che conosce ogni effrazione ed è in grado di punirla costituisce infatti un importante supporto per la morale stessa20. Così Lang sintetizzava questo punto:

“The lowest savages, I think (contrary to a generally held opinion), have elements of what we moderns, whether believers or unbelievers, recognise as "religion". They have the conception of a Being, prior to death, often of unknown origin, not (in certain cases) subject to mortality, existing in, or above, the sky, who punishes breaches of his laws, in certain cases moral laws (or if you prefer it, laws of morality in the making or becoming), who, in certain instances, rewards or punishes men after death; who is often hailed as "Father;" who, like Mr. Howitt's Daramulun, "can go anywhere and do anything”21.

Questo è l’aspetto che Lang chiama “religioso”, mentre gli elementi che non corrispondono ad una religiosità “elevata” e che su questi esseri sempre si narrano, essi rappresentano l’elemento “mitologico”. Per Lang l’aspetto “religioso” e quello

“mitologico” appaiono compresenti sostanzialmente in tutte le religioni, senza che sia possibile inferire se o quale dei due debba essere considerato come precedente o come derivato dall’altro22.

È una divisione, quella tra un aspetto “religioso” tendenzialmente elevato ed uno “mitologico” in cui invece permangono aspetti inaccettabili per una religiosità

“elevata”, che ad esempio Jevons spiegava evoluzionisticamente, in quanto il mito, più conservativo rispetto agli aspetti etici e morali della religione, si sarebbe sviluppato più lentamente mantenendo quindi dei tratti che apparivano quindi in

20 Lang 1899, p. 8.

21 Lang 1899, pp. 14-15.

22 Lang 1900, p. 183.

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contrasto con la stessa “religione” cui si riferivano23.

Secondo Lang “the chief Being was not evolved out of ghosts, but came to be neglected as ghost-worship arose”24. La constatazione che questi esseri spesso non erano destinatari di un culto rafforzava l’ipotesi di una loro superiorità morale rispetto agli “spiriti”, anche in considerazione del fatto che tale culto, ove presente, poteva essere considerato una degenerazione dovuta proprio all’influsso delle concezioni animistiche.

Si tratterebbe dunque di uno di quei casi in cui, nei termini adottati da Lang, la mitologia ha sommerso la religione25. All’identificazione degli esseri supremi come uno sviluppo dell’idea di spirito dei defunti o una idealizzazione di antenati defunti e venerati, osta anche il fatto che di essi si afferma esplicitamente che non sono morti, ed anzi risalgono ad una fase della realtà in cui la morte non era ancora giunta nel mondo. Rigettata la teoria che vedeva nell’essere supremo l’evoluzione dell’idea di spirito elaborata da una visione animistica, Lang riporta questa figura sovrumana ad una idealizzazione dell’uomo, privato del corpo carnale e del destino mortale26.

Uno dei principali critici di Lang fu E.S. Hartland. L’obiezione mossa da Hartland a Lang fondamentalmente consisteva nell’accreditare a questi esseri supremi i caratteri degli esseri divini monoteistici:

“What is apt to mislead in The Making of Religion (all the latter half of it) is the choice of words associated with the theological conceptions embodied in Christianity-nay, often the very words of the Bible-to express ideas far less definite, far more rudimentary, and not to be properly understood save in connection with the rest of the tribal and

23 Jevons 1913.

24 Lang 1900, p. XX.

25 Lang 1900, p. 184.

26 Lang 1900, p. 187.

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17 racial culture”27.

Riprendendo una tematica già sviluppata da Tylor28, Hartland osservava del resto che lo stesso materiale utilizzato da Lang per delineare i tratti dell’essere supremo australiano molto probabilmente era già stato sottoposto alle tensioni deformanti derivanti, da un lato, dagli occidentali che avevano raccolto ed analizzato le testimonianze degli aborigeni sulla base della propria cultura e, quindi, interpretandole inconsciamente in un ottica cristiana, mentre dall’altro lato gli stessi testimoni aborigeni erano stati indotti a formulare le proprie deposizioni in maniera tale da rispondere agli interrogativi ed ai presupposti degli osservatori occidentali, con ciò stesso accostandoli proprio a quelle concezioni che questi ultimi credevano o persino auspicavano di ritrovare presso di loro.

A seguito delle critiche mossegli soprattutto da Hartland, Lang riconobbe di avere utilizzato delle espressioni retoriche che, pur non rispecchiando il modo di esprimersi delle popolazioni studiate dagli etnologi, tuttavia esplicitavano sostanzialmente dei presupposti realmente presenti nelle concezioni di queste ultime29. Tuttavia, all’obiezione per cui la figura dell’essere supremo non sarebbe appartenuta al sistema religioso delle popolazioni più primitive, il portato di un’influenza esterna, oppose diverse osservazioni: per quanto riguardava gli influssi esercitati da culture più “evolute”, in alcuni casi gli esseri supremi erano stati individuati presso popolazioni così isolate da qualunque cultura superiore che appariva difficile ipotizzarne un’influenza tale da portare ad una così marcata modifica delle tradizioni religiose avite.

Per quanto riguardava, invece, l’influsso esercitato dai missionari sulle popolazioni, una questione sottolineata anche da Hartland30, alcuni tratti apparivano

27 Hartland 1899, pp. 46-47.

28 Tylor 1892.

29 Lang 1900, Preface.

30 Hartland 1898, pp. 302-303.

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nettamente in contrasto con quello che avrebbe dovuto essere il prodotto della catechesi cristiana, come ad esempio il disinteresse, talora sottolineato dalle fonti indigene, che l’essere supremo manifestava nei confronti degli esseri umani e delle loro vicende:

“In all missionary accounts of savage religion, we have to guard against two kinds of bias. One is the bias which makes the observer deny any religion to the native race, except devil-worship. The other is the bias which leads him to look for traces of a pure primitive religious tradition.

Yet we cannot but observe this reciprocal phenomenon: missionaries often find a native name and idea which answer so nearly to their conception of God that they adopt the idea and the name, in teaching.

Again, on the other side, the savages, when first they hear the missionaries’ account of God, recognise it (...) for what has always been familiar to them”31.

Contro questa “theory of borrowing”, che secondo Lang ostacolava la ricerca i quanto serviva solo a negare quei fatti che non corrispondevano alle ricostruzioni evoluzionistiche, lo studioso scozzese sottolineava le difficoltà opposte “by the early dates of many reports, made prior to the arrival of missionaries, and by the secrecy in which the beliefs are often veiled by the savages; as also by the absence of prayer to the most potent being”32.

Se padre Schmidt riprenderà questa stessa posizione, attribuendo gli elementi che non si adattano a questo quadro ad una “involuzione” della figura divina quale essa si era originariamente rivelata, l’approccio di Pettazzoni sarà, invece, quello di tracciare uno sviluppo storico che tenti di rendere ragione del sorgere degli esseri supremi e dello sviluppo che, attraverso in politeismo, sarebbe approdato alle divinità

31 Lang 1900, pp. 228-229.

32 Lang 1901, p. 13; alla teoria dei “loan gods” Lang dedica tutto il secondo capitolo (pp. 15-45) del suo volume.

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19 monoteistiche.

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20 Rapporti tra Pettazzoni e J.G. Frazer

Nelle varie ricostruzioni del dibattito scientifico relativo sull’essere supremo, incentrato sostanzialmente sulle critiche opposte all’animismo da Lang e Schmidt, e su quelle opposte da Pettazzoni stesso a questi ultimi, appare sempre trascurata o subordinata a quella di Tylor la posizione di J.G. Frazer, uno studioso sulla cui importanza per gli studi storico-religiosi, antropologici, demologici e, più in generale, per la cultura della prima metà del XIX, è ben nota e che non è dunque necessario indulgere su questo argomento, tanto più che un numero monografico de La ricerca folklorica (numero 10, 1984) intitolato I frutti del Ramo d'oro: James G. Frazer e le eredità dell'antropologia, è stato dedicato qualche anno fa allo studio dell’argomento.

Uno dei contributi raccolti in questa pubblicazione, firmato da A.M. Sobrero33, si occupa proprio della questione dei rapporti tra Pettazzoni e Frazer, caratterizzata, da un lato, dalla forte influenza che lo studioso britannico sembra avere esercitato anche su Pettazzoni ma, dall’altro, dalla scarsità dei riferimenti espliciti e dei riconoscimenti nei confronti di Frazer da parte dello stesso Pettazzoni.

Certo, quando verso la fine di novembre del 1933 studioso persicetano fu invitato dagli amici dell’American Academy in Rome a sottoscrivere l’acquisto di un volume, in preparazione per l’occasione dell’ottantesimo compleanno dell’antropologo britannico (il 1 gennaio del 1934): il volume avrebbe raccolto la bibliografia completa di Frazer34. Pettazzoni, peraltro l’unico sottoscrittore italiano, insieme a Benito Mussolini, si associò volentieri “à l’hommage qui va être dûment rendu au maître vénéré, au savant qui a tant fait progresser la science de l’homme et

33 Sobrero 1984.

34 Bestermann 1934.

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les sciences humaines”, come scrisse alla signora Frazer35.

Nel febbraio del 1929 poi Pettazzoni, in qualità di presidente della Società Romana di Antropologia, propone la nomina di Frazer a socio onorario, nomina approvata all’unanimità36. Come si spiegherebbe allora questa discrepanza?

Recensendo la traduzione italiana dell’edizione ridotta del 1922 dell’opera di Frazer37 Pettazzoni scrisse: “l’importanza dell’opera ormai celebre consiste appunto – più ancora che nelle idee direttrici che fanno da filo conduttore – nella somma enorme dei materiali accumulati e raggruppati con fine intuito delle connessioni reciproche e con raro acume d’interpretazione etnologico-religiosa” 38.

A questo proposito è interessante osservare che anche Ernesta Cerulli, che di Pettazzoni fu assistente volontaria, conferma che per Pettazzoni (come poi per Brelich e De Martino) il Golden Bough di Frazer costituiva “un repertorio da consultare cum grano salis, ma non certo un testo di studio”39, mentre Vittorio Lanternari precisava che “Frazer non si «leggeva», ma piuttosto lo si «consultava»”40.

Lo stesso Frazer, del resto, era consapevole del valore del materiale che egli aveva raccolto, attingendo spesso ad opere rare o addirittura introvabili al di fuori delle biblioteche britanniche. Nel 1937, ormai ultraottantenne, Frazer prese in considerazione l’idea di pubblicare almeno in parte i materiali che aveva accumulato ma che ancora restavano inediti, come Materia Anthropologica, da cui saranno poi tratti i due volumi dell’ Anthologia Anthropologica editi a cura di R. A .Downie: I. The

35 Il documento è citato in Gandini 2001, p. 150.

36 Gandini 2000a, p. 158. Frazer rispose con una lettera di ringraziamento, in cui si esprimeva

“con parole di simpatia viva per l'Italia e con il ricordo del fascino che su di lui esercita la gloriosa città eterna” (Gandini 2000a, p. 191).

37 Frazer 1925.

38 In “Studi e Materiali di Storia delle Religioni” 1 (1925), p. 239.

39 AA.VV. 1984, p. 101.

40 AA.VV. 1984, p. 106.

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Native Races of Africa and Madagascar, II. The Native Races of Asia and Europe, London 1938-1939. In merito all’operazione, Frazer aveva consultato diversi studiosi di fama internazionale, tra i quali lo stesso Raffaele Pettazzoni.

Lo storico delle religioni italiano aveva incontrato personalmente l’antropologo britannico più volte, in varie occasioni: nell’ottobre del 1923, al congresso internazionale di storia delle religioni organizzato dalla Société Ernest Renan e tenutosi a Parigi, Frazer era stato il presidente della sessione nella quale Pettazzoni presentò il proprio intervento (sull’essere supremo), partecipando quindi alla seguente discussione41.

Nel novembre dello stesso anno Pettazzoni aveva inviato a Frazer una copia della sua monografia del 1922, L'Essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, un omaggio definito “valuable gift” dall’antropologo42.

Nel 1928 (in occasione del Jubilee Congress of the Folk-Lore Society, il 19 settembre aveva anche partecipato ad un pranzo cui era stato invitato da Lady Frazer)43; lo rivide poi a Firenze, in occasione del primo Congresso nazionale delle tradizioni popolari (8-12 maggio 1929)44 e probabilmente anche durante il suo soggiorno a Londra nel 193445.

Lo stesso Pettazzoni aveva a suo tempo (nel luglio 1929) consultato Frazer in merito alla possibilità di una traduzione inglese del suo La confessione dei peccati46. In merito alla proposta editoriale prospettata dal Frazer Pettazzoni espose il proprio

41 Cf. Gandini 1998b, pp. 208-209.

42 Cf. Gandini1998b, p. 228.

43 Gandini 2000a, p. 126.

44 Gandini 2000a, p. 178.

45 Gandini 2001b, p. 128.

46 Gandini 2000a, p. 194.

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23

parere con una lettera, pubblicata integralmente da Mario Gandini, che riporto47:

“Caro e venerato Maestro,

io mi sento molto onorato di essere invitato da Lei ad esprimere il mio pensiero sul progetto di pubblicazione della Sua Materia Anthropologica.

Mi ricordo di aver letto in qualcuno dei Suoi libri che per Lei il valore delle Sue opere, più che nelle teorie esposte, sta nei fatti prospettati e sistematicamente trattati. A questo esemplare concetto di obiettività scientifica si ispira anche la Sua nuova iniziativa, che vuole mettere a disposizione di ciascuno i tesori di una eccezionale documentazione accumulati in sessant’anni di sapiente ricerca. Questi tesori sono tanto più preziosi in quanto sono tratti da opere rare ed antiche e difficilmente accessibili, o addirittura, per certe popolazioni, dalle più antiche informazioni fornite dai primi Bianchi che le visitarono. Queste antiche testimonianze, per quanto incomplete e talora manchevoli per difetto di comprensione, hanno tuttavia il pregio di rispecchiare la vita degli indigeni in una fase anteriore alle influenze della civiltà bianca.

Confrontate con le informazioni successive, fino alle più recenti, quelle testimonianze antiche consentono molte volte di cogliere l’origine e tracciare lo svolgimento di una istituzione, di un costume o di una credenza, portando un contributo positivo e reale a quelle auspicate costruzioni storico-culturali che oggi si tentano avventurosamente per altre vie molto più problematiche. Ché se nella compulsazione della Materia Anthropologica qualche studioso non si terrà pago dell’excerptum e si sentirà in dovere di consultare - possibilmente - la fonte integrale, sarà sempre merito della pubblicazione Frazeriana di aver dato impulso a più ampie ricerche eventualmente feconde di ulteriori sviluppi ed anche di nuove teorie. Per tutto ciò io sono convinto che la pubblicazione della Materia Anthropologica sarà uno strumento di

47 Gandini 2003, p. 104.

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24

incomparabile utilità per gli studi aventi per oggetto la storia della civiltà, della religione e del costume. E sono certo di interpretare il sentimento di tutti gli studiosi esprimendo l’augurio che il progetto entri al più presto nella fase di realizzazione.

Mi creda, Maestro, suo devotissimo”

Ma questo insistito ridurre il valore dell’opera frazeriana ai materiali in essa raccolti, ribadito anche nella lettera rivolta allo stesso “Maestro” Frazer, non era soltanto una conseguenza della valutazione che Pettazzoni poteva essersi dato delle

“idee direttrici” seguite dal Frazer nelle sue ricerche, ma era anche (e forse soprattutto) un portato della fondamentale divergenza di metodo con cui i materiali raccolti erano stati da Frazer organizzati.

Il comparativismo di Pettazzoni, rispetto a quello di Frazer, si caratterizza infatti per la differente prospettiva adottata in merito alla problematica attinente al rapporto tra storicismo e comparativismo.

L’evoluzionismo di Frazer, infatti, lo portava a incasellare i dati etnologici, demografici e religiosi in base ai vari livelli evolutivi cui essi sarebbero appartenuti o dei quali essi avrebbero costituito un “residuo”: il contesto storico e geografico risultava dunque irrilevante, rispetto al livello evolutivo, cosicchè elementi del folklore europeo potevano liberamente essere accostati a dati raccolti dall’etnografia dei diversi continenti e ad altri riportati dalle fonti antiche, senza alcuna considerazione per i singoli processi storici: la diacronia era dunque sacrificata ai diversi tagli sincronici corrispondenti ai diversi livelli teorizzati dalla dottrina evoluzionistica.

Eppure, in una nota appuntata nel manoscritto contenente gli appunti di Pettazzoni per il corso di Storia delle religioni da lui tenuto nell’anno accademico

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25 1936-1937, lo studioso persicetano scriveva48:

“leggere le prime pagine d. Ramo d’Oro = preludio a una grandiosa sinfonia: tutti i popoli tratti a riscontro per spiegare un rito antichiss. del Lazio, alle porte di Roma, un mito più antico di Roma - Preziosa introduz. alla Storia delle religioni”.

Ma è vero che, in un certo senso, più che l'evoluzionismo di Frazer Pettazzoni ne critica proprio il metodo comparativo, l’uso improprio cioè della comparazione49:

“contro le posizioni della fenomenologia e dell'antropologia antistoricistica anglosassone, contro la loro pretesa di fondare la scienza delle religioni, e le leggi che ne regolano la vita, al di la della storia.

Questa pretesa si fondava, agli occhi di Pettazzoni, sull'uso di un metodo comparativo inteso quale strumento di studio delle «somiglianze» (e non delle differenze) e dunque dei soli tratti generalizzanti della vita sociale”50.

Già in una sua recensione51 alla monumentale edizione commentata di Frazer dei Fasti di Ovidio, pubblicata nel 192952, Pettazzoni metteva esplicitamente in luce una debolezza intrinseca del caratteristico metodo comparativo impiegato da Frazer, per il quale l’accumulo di paralleli etnografici era guidato sostanzialmente da una somiglianza ideale che “pare abbia più valore delle differenze storico-culturali fra i singoli fatti messi a confronto, onde talvolta avviene di porre sullo stesso piano fenomeni geneticamente assai disparati”.

48 Il passo è riportato da Gandini 2002, p. 246.

49 Sulla comparazione come strumento storico-religioso, tra gli altri, si vedano Borgeaud 1986; Porter Poole 1986; Paden 1996; Boespflug, Dunand 1997; Scheid, Svenbro 1997; Carter 1998; Segal 2001, Jensen 2001; Paden 2002; Saler 2001; Martin 2001.

50 Pitocco 1984.

51 “Leonardo. Rassegna bibliografica”, 1 (1930), pp. 43-45.

52 Publii Ovidii Nasonis Fastorum Libri Sex. The 'Fasti' of Ovid. Edited with translation and commentary by Sir James George Frazer, London, 1929.

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26

Seguendo la sua convinzione secondo la quale la storia delle religioni deve essere una scienza storica, Pettazzoni non poteva che rifiutare il comparativismo di Frazer in favore di un comparativismo storico che abbinasse alle capacita di astrazione e di generalizzaziones della comparazione l'istanza storicistica della individuazione e della qualificazione storico-culturale53.

Proprio Frazer rappresentava per Pettazzoni uno dei due poli ideali (l’altro essendo Max Müller) della comparazione inadeguata (rispettivamente per eccesso, in Frazer, e per difetto in Max Müller) in opposizione a quel giusto mezzo rappresentato, per Pettazzoni, dalla comparazione storicamente orientata, una comparazione (la sua) inquadrata in una prospettiva etnologica storicamente articolata. Frazer infatti era, per Pettazzoni, il fautore esemplare di una comparazione ispirata ad “una illimitata e indiscriminata universalità antropologica”54:

“(...) fra il particolarismo della «mitologia comparata», applicata soltanto a ciò che è linguisticamente comparabile, e l’universalismo indiscriminato della comparazione antropologica, estesa a tutto ciò che è formalmente ed esteriormente comparabile, c’è posto per una terza via che, badando alle differenze non meno che alle somiglianze, eserciti la comparazione su tutto e soltanto ciò che è comparabile storicamente, perché appartenente a civiltà omogenee”55.

Ancora nel 1959, nel suo articolo dedicato precisamente al metodo comparativo nell’ambito storico-religioso, Pettazzoni esponeva, quelli che riteneva essere stati i limiti della comparazione utilizzata dalla scuola antropologica britannica:

“(...) il metodo comparativo non sempre ha dato risultati storiograficamente soddisfacenti, e in certi casi, anzi, è stato usato in modo addirittura antistorico. (...) antistorica era, a sua volta,

53 Pitocco 1984, p. 120.

54 Pettazzoni 1957, p. 107.

55 Pettazzoni 1957, p. 106.

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nell’antropologia, l’assunzione di paralleli e riscontri puramente formali e culturalmente indiscriminati”56.

Tuttavia, nonostante la presa di distanza di Pettazzoni rispetto al comparativismo dell’antropologo britannico, egli non riuscì a liberarsi completamente dall’associazione con Frazer: nel necrologio dedicato allo studioso italiano da E.O.

James, ad esempio, si legge:

“He collected his data from all ages, states of culture and parts of the world as they have been presented to the mind, somewhat in Frazerian fashion, regardless of chronology and culture contact, or of the validity of what appears”57.

Se dunque, la differente concezione e il conseguente differente impiego del metodo comparativo costituivano una importante ragione di contrasto, tuttavia l’abbondanza del materiale raccolto e presentato da Frazer costituiva, agli occhi di Pettazzoni, un pregio che era giusto riconoscergli; ma il medesimo pregio lo riconobbe a Pettazzoni Frazer stesso che, per la trattazione del tema “worship of the sky” in uno dei suoi lavori58, aveva fatto uso dei materiali raccolti e presentati da Pettazzoni nel suo volume sull’essere celeste:

“The subject has recently been treated by Professor Pettazzoni of Rome in an elaborate work, in which he describes and discusses the belief in sky-gods among primitive peoples all over the world. To his very learned book I must refer those of my hearers who desire to study the subject in detail. The scope of these lectures precludes me from dealing with more than a small part of the evidence accumulated by Professor Pettazzoni”59.

56 Pettazzoni 1959a, p. 5.

57 Folklore 71 (1960), pp. 132-133.

58 Frazer 1926.

59 Frazer 1926, pp. 19-20.

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28

A quest’opera di Frazer, ed alla menzione che in esso si faceva del proprio libro, Pettazzoni fece in seguito riferimento in una rassegna relativa agli studi più recenti sulla questione degli esseri celesti, pubblicata sul numero di Studi e materiali di storia delle religioni del 192760. In questo suo scritto Pettazzoni riconosceva allo studioso britannico “incomparabili risorse bibliografiche” che rendevano uno dei capitoli del suo libro “un utile complemento alla mia trattazione degli esseri celesti africani”61 (un giudizio che A.M. Sobrero - che però lo estende erroneamente all’intero volume di Frazer - attribuisce ad un “discutibile senso delle proporzioni”62 dello studioso persicetano).

Pettazzoni, che prevedeva di pubblicare in seguito una trattazione delle divinità uraniche presso i popoli “civili” quale ulteriore parte della ricerca complessiva sulla nascita dell’idea di dio, si trova a dover caratterizzare il proprio progetto di ricerca in rapporto allo studio pubblicato da Frazer.

A questo proposito Pettazzoni dichiara che la propria trattazione avrebbe incluso anche delle popolazioni che non erano state prese in considerazione da Frazer nella sua opera e, inoltre, che lo studio dello storico delle religioni italiano sarebbe stato condotto appunto “con riferimento sistematico a quel problema degli esseri supremi dei primitivi, che il Frazer nelle sue ricerche sul culto del cielo non prende, certo volutamente, in considerazione”63. Secondo Marcello Sobrero, Pettazzoni intendeva implicitamente prendere le distanze dall’evoluzionismo e, quindi, da Frazer, anche perchè la sua polemica nei confronti del monoteismo primitivo sostenuto da Schmidt, una teoria dichiaratamente in opposizione proprio rispetto all’evoluzionismo, poteva favorire l’impressione che Pettazzoni stesso, polemizzando con Schmidt, difendesse proprio l’evoluzionismo64.

60 Pettazzoni 1927.

61 Pettazzoni 1927, p. 108.

62 Sobrero 1984, p. 74.

63 Pettazzoni 1927, p. 108.

64 Non a caso un rappresentante italiano della scuola storico-religiosa, Renato Boccassino,

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29

Questo rischio era ancora accentuato dalla stessa impostazione che Pettazzoni aveva dato alla propria ricerca sull’origine dell’idea di dio: suddividendo la ricerca in tre parti, dedicate rispettivamente agli esseri supremi delle popolazioni “primitive”, agli dei supremi delle religioni politeistiche e al dio unico delle religioni monoteistiche, Pettazzoni sembrava riproporre lo schema evolutivo in tre fasi già adottato da Comte, da Tylor e dallo stesso Frazer:

“Questo schema ternario della mia costruzione poteva sembrare calcato su quello delle teorie evoluzionistiche. Riconosco altresì che la tendenza ad assegnare un comune e costante carattere uranico così ai primitivi esseri supremi come alle posteriori divinità politeistiche e monoteistiche introduceva nel mio sistema una nota di uniformità e necessità naturalistica che trovava ovvio riscontro nelle costruzioni teoriche dell’evoluzionismo. Così potè accadere che qualcuno mi scambiasse per un evoluzionista in ritardo, tanto più che io mi opponevo decisamente a quella nuova teoria del ‘monoteismo primitivo’ che era, come si è detto, dichiaratamente e programmaticamente anti-evoluzionistica”65.

A questo proposito Pettazzoni fa riferimento al passo citato di Frazer, ricordando come lo studioso britannico, “principale rappresentante dopo il Tylor dell’indirizzo evoluzionistico e positivistico (...) dichiarava che la sua trattazione delle divinità del cielo era condotta su le mie ricerche”66. Di fatto, almeno a giudizio di Sobrero, nel volume del 1922 “la riflessione di Pettazzoni ricalca sostanzialmente i

peraltro ex allievo dello stesso Pettazzoni, in un suo volume (Boccassino 1958, pp. 285-286) scrisse che “Il Pettazzoni è ancora tenacemente vincolato all'evoluzionismo” e che, come Frazer,

“non ha una conoscenza diretta dei popoli primitivi e tutti i suoi libri sono il frutto di studi fatti al tavolino” (una critica, questa, che peraltro poteva essere rivolta anche al Padre Schimdt). Ma ad esempio anche L. Walk, proprio sulla rivista di Schmidt, “Anthropos” [31 (1936), pp. 969- 972], recensendo la Confessione dei peccati, attribuisce l’importanza dell’aspetto magico nel pensiero dello studioso italiano ad una subordinazione nei confronti di Frazer.

65 Pettazzoni 1946a, p. 171.

66 Pettazzoni 1946a, p. 171 n. 1.

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30

percorsi tracciati da Frazer”67. Pettazzoni però sembra volerlo evitare, anche quando traccia il profilo della storia degli studi. In effetti, si potrebbe dire, è Frazer stesso

“l’evoluzionista in ritardo”, per lo meno rispetto alla situazione in Italia, quando le sue opere cominciano a diffondervisi.

Pettazzoni potrebbe avere evitato un confronto diretto con le posizioni di Frazer proprio perchè, collocandosi egli in un quadro internazionale e non sul piano della situazione italiana, non lo riteneva necessario: non con l’evoluzionismo, ormai considerato obsoleto, ma con le nuove teorie (come appunto quella di Schmidt) avrebbe dovuto confrontarsi chi, come Pettazzoni, intendeva proporre un proprio

“sistema”.

Sobrero, tuttavia, non ritiene convincente il “superamento” di Frazer come motivazione per la scarsità di menzioni di questo studioso all’interno della produzione di Pettazzoni68. Vinigi Grottanelli, del resto, indicò in Pettazzoni “uno dei due studiosi nostrani con cui io rammenti di avere piu volte discusso di Frazer e del residuo valore delle sue idee”69, mentre Tullio Tentori ricorda che, da studente universitario, “fu Pettazzoni a consigliarmi di leggere Totemism and exogamy per avviarmi ad una ricerca sulle classi d'eta, ancor prima che decidessi l'argomento della tesi”70.

Analogamente Vittorio Lanternari segnalava come, all’inizio degli ’50, “alla Scuola di perfezionamento in Studi storico-religiosi, Pettazzoni stesso mi suggeri una tesi sul Re divino” 71.

Risulta anche che il programma dell’esame di “religioni dei popoli primitivi”

nella Scuola di perfezionamento in Scienze Etnologiche72 Pettazzoni avesse inserito

67 Sobrero 1984, p. 75.

68 Sobrero 1984, p. 75.

69 AA.VV. 1984, p. 103. L’altro studioso era Giuseppe Cocchiara.

70 AA.VV. 1984, p. 104.

71 AA.VV. 1984, p. 106.

72 Cf. Gandini 2007a, p. 10.

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31

non solo il “Ramo d’oro” di Frazer (nell’edizione ridotta di Einaudi) ma anche l’edizione francese del suo The Fear of the Dead in Primitive Religion.

Per Sobrero, la realtà sarebbe, piuttosto, che proprio l’influsso esercitato da Frazer su Pettazzoni e che avrebbe rischiato di connotarlo come “evoluzionista in ritardo” portava Pettazzoni a svalutare il ruolo di Frazer.

La classificazione di Pettazzoni degli esseri supremi in un Signore della Caccia (presso i popoli cacciatori), un Padre Celeste (presso i popoli pastorali) ed una Terra Madre (presso i popoli agricoli), proposta da Pettazzoni nella fase avanzata del suo pensiero in sostituzione dell’ipotesi sulla comune natura uranica all’origine degli esseri supremi si troverebbe già configurata nel Golden Bough di Frazer73.

Certamente, tuttavia, la possibilità di una confusione tra le posizioni di Pettazzoni e l’evoluzionismo frazeriano dovettero sommarsi alla consapevolezza del superamento dell’evoluzionismo stesso, superamento legato all’istanza fondamentale ed ineludibile dello storicismo:

“A costo di apparire un passatista legato all'ultimo positivismo nei confronti dei nuovi profeti dell'irrazionalismo, rimase saldo al suo metodo per il quale tutto va spiegato con la storia e nella storia. E' qui il suo modernismo: non opponeva certo alle tesi irrazionalistische una riesumazione del razionalismo evoluzionistico o filologico, ma le superava di fatto storicizzando metodicamente i fenomeni religiosi concretamente studiati e sottratti ad ogni suggestione para-scientifica”74. Nei ricordi di Bernardo Bernardi, relativamente alla vita dell’Università di Roma nei primi anni ’50:

“Frazer veniva descritto come uno degli autori da conoscere, pur

73 Sobrero 1984, p. 76.

74 Sabbatucci 1960, p. 8.

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