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L’essere supremo nelle pubblicazioni di Pettazzoni degli anni successivi

Dopo la pubblicazione del fondamentale volume in cui presentava le sue posizioni e la documentazione su cui esse erano basate, Pettazzoni non smise ovviamente di interrogarsi sulla problematica che aveva affrontato e di aggiornarsi sulle pubblicazioni che se ne erano occupate, esprimendo se necessario le proprie osservazioni e le proprie critiche, soprattutto tramite lo strumento offertogli dalle rassegne e le recensioni pubblicate su Studi e materiali di storia delle religioni, la rivista, da lui fondata e diretta.

Al Congresso Internazionale di Storia delle Religioni organizzato dalla Société Ernest Renan, tenutosi a Parigi nell’ottobre del 1923, Pettazzoni aveva presentato un intervento relativo alla questione del politeismo319 in cui era già affrontata la materia che avrebbe dovuto costituire il fulcro della terza ed ultima parte della sua grande opera su DIO, di cui il volume sull’essere supremo320 costituiva la prima parte cioè la natura e la formazione delle religioni monoteistiche.

Pettazzoni infatti stabilisce come elemento fondamentale del monoteismo, quello che permette di distinguerlo da forme di enoteismo in cui si ammette l’esistenza di altre divinità sia pure in subordine rispetto alle divinità principali, la sua affermazione della unicità della divinità. La pregnante assunzione di Pettazzoni è che questa negazione delle altre divinità non è solo un elemento teorico, astratto ed ideale del monoteismo, ma un elemento storico riscontrabile in tutti i casi di monoteismo storicamente documentate.

319 Pettazzoni 1925.

320 Pettazzoni 1922.

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La conseguenza logica di questa osservazione è che la nascita e lo sviluppo del monoteismo ha come presupposto l’esistenza di un politeismo:

“De même que, logiquement, le monothéisme est la négation du polythéisme,de même, historiquement, il présuppose un polythéisme dont il est sorti par négation, c’est-à-dire par révolution”.

In tal senso, dunque, la posizione di Pettazzoni sembrerebbe allinearsi con le ipotesi evoluzionistiche, che vedevano nel monoteismo uno sviluppo necessario del politeismo. È in sostanza la posizione sostenuta, ancora nel 1922, da A. M. Hocart, il quale sosteneva, ad esempio, che il monoteismo fosse la semplificazione di un politeismo ormai divenuto inutilmente ridondante in quanto composto di figure sostanzialmente analoghe:

“Religion and politics are inseparable; it is vain to try and divorce them;

originally one, they have parted, but not completely; their common origin still operates on men's minds. Monarchists must necessarily uphold the Church, and ardent believers in one God will help to build up large nations. The belief in a Supreme God or in a Single God is no mere philosophical speculation; it is a great practical idea. But like many other conceptions, it took some discovering. Men did not search for it at first, any more than they searched for the art of writing, they were led to it by accident almost; it was a long time before they realised where they were being led to; some have never yet realised. The doctrine of gods and their incarnations produced a group of gods who were each but aspects of the same god; thence they came to the belief that all gods were in reality but manifestations of one. Some never got any further, but the bolder nations took the step of simplifying the Universe by sweeping away the multitude of gods that had become useless by their very numbers. Monotheism then became a definite article of faith to be fought for, and to establish in all the

164 world”321.

Ma alle convergenze con l’evoluzionismo Pettazzoni oppone subito le profonde divergenze: il limite dell’evoluzionismo, infatti, è subito individuato dallo studioso italiano nel carattere necessario che l’ipotesi di uno sviluppo lineare viene ad attribuire al monoteismo come esito necessario del politeismo.

Storicamente, infatti, si tratta piuttosto di un evento eccezionale, documentato solo nel caso dei tre grandi monoteismi, del resto geneticamente legati tra loro (Ebraismo, Cristianesimo e Islam), cui Pettazzoni ritiene si possa aggiungere anche lo Zoroastrismo, del quale, peraltro, non esclude che possa essersi formato sotto l’influsso di quello ebraico. È stata dunque necessaria la presenza di tutta una serie di circostanze e presupposti, difficilmente verificatasi nel corso della storia, per dare avvio al passaggio dal politeismo al monoteismo:

“Cette idée ne s’est formées que là où s’est réalisé un concours de circonstances favorables, circonstances qui n’ont aucun caractère de nécessité subjective, qui ne sont pas données a priori, soit dans le génie d’une race particulière, soit dans la nature essentielle de l’esprit humain en général, mais qui appartiennent, elle aussi, au domaine de l’histoire”322.

Stabilito in questo modo le dovute distinzioni rispetto all’evoluzionismo, Pettazzoni sottolinea ancora un tratto comune ai vari monoteismi: il dio unico, infatti, presenta sempre una stessa natura, e questa natura è uranica:

“Il y a donc identité de nature entre les dieux uniques des différents monothéismes en tant qu’ils sont tous des dieux du ciel”.

Questa, sottolinea ancora Pettazzoni, è dunque una condizione necessaria, non la condizione sufficiente perchè il passaggio dal politeismo al monoteismo si verifichi

321 Hocart 1922, p. 293.

322 Pettazzoni 1925, p. 76.

165 nel concreto storico.

“C’est cette nature même que dépend, en premier lieu, la fortune exceptionnelle de ces dieux. C’est parce que le ciel est parmi les éléments de la nature le plus apte à réveiller dans l’homme l’idée d’une grandeur, d’une majesté, d’une sublimité infiniesb et incomparables, que les dieux du ciel se prêtaient tout naturellement à être choisis pour réaliser l’idéal d’une divinité unique et suprême (...). C’est parce que la voûte du ciel sans borne s’étend jour et nuit et à jamais sur la terre entière, qu’ils sont éternels et infinis. C’est aussi pour la même raison qu’ils sont, par exemple, omniscents, car rien ne peut leur échapper”.

Inoltre, i benefici effetti della pioggia e la sua necessità per la vita del mondo vegetale ed animale, ne giustificano il carattere demiurgico:

“C’est par l’effet de l’action bienfaisante de la pluie, dont la vie végétale et par conséquent toute la vie dépend, que les mêmes dieux sont des créateurs par excellence”.

La comparazione storico-religiosa, del resto, conferma che la divinità suprema nei vari pantheon delle religioni politeistiche, indipendentemente dalla loro appartenenza ad uno specifico ambito etno-linguistico (semitico, indoeuropeo o altro ancora) è di norma una divinità uranica:

“(...) de même que les dieux uniques des religions monothéistes sont, selon toute vraisemblance, des dieux du ciel, de même les dieux suprêmes de la plus grande partie des religions polythéistes de l’antiquité et de nos jours sont aussi des dieux du ciel”323.

A questo punto, non sembra essere casuale la coincidenza fra la natura uranica del dio supremo delle religioni politeistiche e la credenza in un essere divino

323 Pettazzoni 1925, p. 77.

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localizzato nel cielo e signore dei fenomeni celesti che la ricerca antropologica aveva segnalato presso le popolazioni “non civilizzate” di tutti i continenti.

Pettazzoni riteneva infatti “que les êtres suprêmes des non-civilisés sont par leur nature des êtres célestes”324 e, in questo, si allontanava da Lang e da tutti coloro che ritenevano la figura dell’essere supremo come mero un prodotto della mentalità logica, una risposta alla ricerca di un principio causale, a “le besoin inné dans l’homme de s’expliquer le pourquoi des choses particulières, et ensuite – par extension – per pourquoi du monde entier”.

Ma per Pettazzoni sono troppi i tratti uranici degli esseri supremi per ritenerli degli attributi secondari della figura di un creatore universale.

“C’est au contraire l’activité créatrice qui, de même que les autres attributs d’un caractère plus proprement moral souvent assignés aux êtres suprêmes, se laisse ramener tout naturellement à la donnée naturiste fondamentale, en tant que primitive et originaire, c’est-à-dire à la nature céleste, ouranique, qui est au fond des figures des êtres suprêmes” 325.

Si tratta quindi di un prodotto del pensiero mitico, piuttosto che di quello logico, “en tant qu’ils sont des personnifications du Ciel, en tant qu’ils sont le Ciel même personnifié”.

L’aspetto uranico, dunque, accomuna gli esseri supremi dei popoli primitivi, gli dei supremi delle religioni politeistiche, le divinità uniche delle religioni monoteistiche.

Pettazzoni ritiene quindi di poter superare le comparazioni parziali già operate da differenti studiosi ed individuare “un ligne de développement” che permetta di proporre “une conception systématique”:

324 Pettazzoni 1925, p. 79.

325 Pettazzoni 1925, p. 80.

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“Ce n’est donc pas à la base initiale de l’histoire religieuse que nous rencontrons le monothéisme, mais au bout d’un très long développement”.

Sul numero del 1927 di Studi e materiali di storia delle religioni apparve proprio una rassegna dedicata a Studi recenti in rapporto con la teoria degli esseri celesti e del monoteismo326.

Pettazzoni deve constatare, con rammarico, come, in generale, la sua opera non sia stata notata nè all’estero nè in Italia. Pertanto alcune delle posizioni espresse recentemente dagli studiosi che si erano occupati di questa tematica erano già state confutate da Pettazzoni o comunque, non conoscendone le proposte, non rispondevano alle obiezioni che lo studioso italiano aveva loro sollevato.

Così Söderblom aveva pubblicato nel 1926 la seconda edizione tedesca di un’opera dedicata alle stesse tematiche 327 senza rilevanti modifiche rispetto all’edizione del 1916.

La tesi fondamentale di Söderblom consisteva nell’individuare negli esseri supremi delle figure di creatori universali (Urheber) destinati, con la loro opera, a fornire una spiegazione causale della realtà. Gli elementi uranici, invece, sarebbero da ritenersi del tutto secondari. Si trattava, quindi, di una posizione non troppo dissimile da quella di Lang, già ampiamente discussa da Pettazzoni che infatti, piuttosto che dilungarsi ancora sulle sue posizioni in merito, preferisce contrapporgli le obiezioni sollevategli da un altro studioso, il Preuss328.

Lo stesso procedimento Pettazzoni lo impiega contro Padre Schmidt, alla cui recensione a L’essere supremo accenna per ricordarne il tono “insopportabilmente apodittico” e contro le cui posizioni espone le idee espresse recentemente proprio da

326 Pettazzoni 1927.

327 Söderblom 1926.

328 Preuss 1922. Cf. 1914.

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uno dei maestri della scuola etnologica storico-culturale, F. Graebner329.

Graebner non solo di distingueva da Schmidt nella ricostruzione delle Kulturkreise e quindi nell’identificazione delle culture da considerare più antiche, inficiando le considerazioni di Schmidt che su tali identificazioni si basavano per affermare la costante presenza nelle forme culturali più primitive della figura dell’essere supremo, ma contestava esplicitamente al padre verbita la sua generalizzazione in merito a questa presenza, negando infine l’ipotesi di una sua origine logico-causale, per cui l’essere supremo sarebbe stato anch’esso una figura mitica.

La stessa tendenza all’identificazione di un principio logico all’origine dell’essere supremo – e ancora una volta senza prendere conoscenza dell’opera di Pettazzoni – è individuata nell’opera di A.W. Nieuwenhuis330, il quale vedrebbe nell’essere supremo l’espressione personificata della prima sensazione che l’uomo ha dell’universo come un tutto.

Anche contro il monoteismo primitivo di Schmidt Pettazzoni raduna le obiezioni sollevate da vari studiosi331, da cui emerge come il fatto

“Che ci siano nel pensiero dello Schmidt dei momenti extrascientifici i quali infirmano il valore scientifico dei suoi risultati, nonostante la vastità della cultura etnologica di cui egli dispone, è dunque un’impressione che io non sono il solo ad avere avuto”332.

Tra coloro che ebbero la stessa opinione possiamo ricordare qui Alberto Pincherle, il quale, nell’ampia recensione dedicata all’edizione italiana del Manuale

329 Graebner 1924.

330 Nieuwenhuis 1926.

331 Pettazzoni 1927, pp. 109-111.

332 Pettazzoni 1927, p. 111.

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dello Schmidt333. Pincherle, infatti, a proposito del monoteismo primordiale, ritiene che il sacerdote etnologo nella difesa della sua tesi portasse anche un interesse teologico, poiché “il suo monoteismo originario e la dottrina della rivelazione primitiva (...) presi in ciò che hanno di essenziale, coincidono”; in tal senso, anche per Pincherle, la storia delle religioni viene considerata quasi come una nuova ancilla theologiae. Alle assolute certezze di Schmidt e al dubbio valore scientifico dell’assunto schmidtiano, il recensore contrappone la teoria di Pettazzoni, del quale considera un libro “ormai classico” L’essere celeste334.

Non mancarono comunque nemmeno le voci a supporto delle posizioni del padre Schmidt. Ad esempio, il padre Antonio Messineo, recensendo su La Civiltà Cattolica la traduzione italiana del volume del sacerdote verbita, dedicava alcune righe anche alle posizioni del di lui più accanito avversario in suolo italico:

“In Italia, l’esistenza del monoteismo primitivo viene impugnata dal Prof.

Pettazzoni. I fatti, secondo lui, ridurrebbero il preteso monoteismo primordiale alle modeste proporzioni della credenza in un essere celeste, percepito come figura personale del cielo, secondo i modi di quel pensiero mitico, che presiede a tutte le forme della religiosità primitiva.

L’argomento storico sarebbe, quindi, invalido a sostenere la tesi dello Schmidt, contro cui starebbe altresì un argomento di ordine logico. Il Pettazzoni suppone, ma non prova, che l’unica via per arrivare al concetto di Dio uno “monoteismo” sia quella dell’esclusione del molteplice

“politeismo” e che, quindi, nello svolgimento storico dell’idea di Dio il politeismo abbia dovuto precedere il monoteismo. Tale ragione sarebbe valida se fosse dimostrato che la mente umana non può seguire la via inversa da quella supposta unica e necessaria nell’argomento addotto. Del resto in sede storica devono decidere i fatti e non le argomentazioni

333 In Leonardo, 5 (1934), pp. 277-279.

334 Pettazzoni 1922a.

170 filosofiche”335.

Molto gratificante per Pettazzoni è invece la constatazione che il celeberrimo J.G. Frazer, in un suo lavoro336 in cui affronta anche il tema della venerazione del cielo, rimandi per la documentazione esaustiva proprio al suo volume del 1922. In un certo senso, anzi, le considerazioni di Frazer costituiscono “una anticipazione di quel che io mi son proposto di fare nel seguito dell’opera mia”337.

Pettazzoni si sente quindi in dovere di segnalare che le restanti sezioni della grande opera che aveva progettato e di cui quel volume costituiva il primo passo non sono comunque da considerare superate dalla pubblicazione di Frazer. L’opera di Pettazzoni, infatti, intendeva trattare anche popolazioni trascurate dallo studioso britannico (come i Giapponesi, precisa) e, soprattutto, sarebbe stata condotta facendo sistematicamente riferimento alla tematica degli esseri supremi dei primitivi che Frazer non aveva affrontato.

Seguendo il suo progetto originario, dopo la pubblicazione de L’essere celeste (1922) Pettazzoni ha dunque continuato a seguire le discussioni sull’argomento e a studiare l’essere celeste presso le popolazioni primitive, ma la sua attenzione si è rivolta anche anche all’essere supremo nelle religioni politeistiche e agli iddii unici in quelle monoteistiche (materia del secondo e terzo volume dell’opera secondo il progetto originario, che all’epoca non aveva ancora abbandonato). “Per “correzioni e aggiunte” alla materia del primo volume ha tratto altri appunti o ha trascritto altri passi soprattutto da pubblicazioni apparse dopo il 1922: sono conservate circa 150 cc.

(fogli di varie dimensioni e, prevalentemente, schede); un centinaio di schede e altre carte aggiunge nella seconda metà degli anni Venti nella carpetta dal titolo “Dal

335 A. Messineo, La storia comparata delle religioni del R.P. Schmidt, “La Civiltà Cattolica” 85 (1934), pp. 523-526.

336 Frazer 1926.

337 Pettazzoni 1927, p. 108.

171 politeismo al monoteismo” 338.

Questa tematica è al centro degli interessi della ricerca pettazzoniana dell’epoca. Sempre nel 1928 (molto probabilmente nel mese di giugno) a Pettazzoni è richiesto di comunicare il titolo del corso previsto per l’anno accademico venturo, lo studioso di San Giovanni in Persiceto appunta sull’invito “probabilmente Politeismo e Monoteismo”, sebbene poi il programma effettivo fosse molto ampliato, comprendendo queste tematiche come parti di una trattazione più ampia339.

Pettazzoni utilizza i materiali raccolti anche per redarre le voci Monotheismus und Polytheismus e Monolatrie per la seconda edizione dell’enciclopedia RGG della casa editrice J. C. B. Mohr (Paul Siebeck) di Tübingen, che deve consegnare all’editore entro il primo di ottobre del 1928340. Nella voce Monotheismus und Polytheismus Pettazzoni sostiene che il monoteismo è credenza e adorazione di una sola divinità con esplicita negazione di tutte le altre ed è proprio di quattro grandi religioni: quella d’Israele e di Giuda, il Cristianesimo, l’Islam e il Zoroastrismo. Per quanto riguarda le pretese “tendenze monoteistiche” che si son volute trovare in seno ai vari politeismi, Pettazzoni sostiene che questo svolgimento evoluzionistico non porta, storicamente, al monoteismo:infatti i popoli che storicamente sono diventati monoteisti, nella loro grande maggioranza, lo hanno fatto non già per una evoluzione, ma piuttosto per conversione ad una religione – appunto - “fondata”.

Lo studioso emiliano inviò con lettera del 26 febbraio 1930 l’estratto della voce Monotheismus und Polytheismus ad Ernesto Codignola, fondatore e direttore della rivista Civiltà moderna. Pettazzoni gli esprime la speranza che sulla rivista sia menzionato questo suo contributo o meglio ancora gli sia dedicato un articolo, aggiungendo che egli sta “battagliando da tempo contro studiosi stranieri intorno al concetto di monoteismo e al suo sviluppo nella storia delle religioni” e che all’estero

338 Gandini 2000a, p. 130.

339 Gandini 2000a, p. 130.

340 Gandini 2000a, p. 116.

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certi problemi trovano maggior interesse che da noi: e ciò non è giusto”. Pettazzoni indica anche tre dei collaboratori della rivista che potrebbero occuparsi della questione, e Codignola incarica quindi uno di essi, Antonio Banfi, di redigere un’ampia recensione341.

Pettazzoni stesso, invece, scrive la recensione al terzo volume dell’opera fondamentale del padre Schmidt sul numero di “Studi e materiali di storia delle religioni” del 1931342. Lo studioso emiliano contesto al padre verbita non già il metodo storico-culturale, che anzi ritiene foriero di ottimi risultati per l’etnologia, ma l’applicazione impropria. Già la ripartizione delle varie popolazioni studiate nel volume recensito suscita le critiche di Pettazzoni, che scrive:

La problematicità del sistema storico-culturale dello Schmidt, quale risulta dalla lettura e dallo studio dell’opera schmidtiana, si ripercuote necessariamente su la tesi centrale dell’opera – la tesi del monoteismo primordiale – che su quel sistema è fondata. Ma qui lo storico delle religioni ha qualche cosa da dire anche indipendentemente dalla etnologia. Scrive lo Schmidt a proposito degli Ainu (p. 436): « La religione degli Ainu presenta il caso classico di una religione che, nonostante la fuorviante quantità di esseri superiori che sono oggetto di venerazione religiosa, può essere tuttavia un chiaro e spiccato monoteismo». Un monoteismo che ammette accanto a sè la venerazione religiosa di una quantità di esseri superiori, non può passare senza obiezione. La storia delle religioni insegna che il monoteismo si forma per negazione di una pluralità di « esseri superiori » preesistente. È questo il solo senso scientificamente legittimo – perchè è il solo senso storico – del termine ‘monoteismo’343.

341 Gandini 2000b, p. 165.

342 Pettazzoni 1931b.

343 Pettazzoni 1931b, p. 229.

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Pettazzoni quindi ribadisce che la teoria dell’Urmonotheismus di Schmidt è minata alla base da un errore di definizione, in quanto essa si basa sostanzialmente su un valore del termine “monoteismo” che non corrisponde ad una realtà storica, ma ad una astrazione. Questo valore astratto, inoltre, è derivato dal Dio del monoteismo cristiano ed è inopportunamente applicato agli esseri supremi delle popolazioni primitive, creando sostanzialmente una corrispondenza che non è che il risultato di una indebita confusione di piani e di concetti:

Perciò è improprio parlare di ‘monoteismo primordiale’. In realtà ciò che lo Schmidt chiama ‘monoteismo primordiale’ è la nozione e adorazione di un essere supremo presso i popoli incolti. Questa terminologia storicamente infondata, essendo impropria, è anche dannosa, perchè ingenera una deplorevole confusione ostacolando quella chiarificazione dei concetti che è la prima norma del buon metodo scientifico. So bene che lo Schmidt giustifica l’uso del termine ‘monoteismo’ in base agli attributi dell’essere supremo, i quali sono, per lui, esattamente quelli della divinità quale è concepita, p. es., nel Cristianesimo, e cioè - oltre la unicità – la creatività, l’onnipotenza, l’eternità, l’onniscienza, la bontà, la moralità, l’immunità dal male, l’assenza di ogni tratto naturistico, l’indipendenza dal mito, dall’animismo e dalla magia, il culto a base di preghiera e di sacrificio (primiziale). Se non che questi attributi non appaiono punto, nelle fonti, così generali e costanti come pretende lo Schmidt344.

Pettazzoni procede quindi a dimostrare, partendo proprio dal testo di Schmidt,

Pettazzoni procede quindi a dimostrare, partendo proprio dal testo di Schmidt,