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L’idea di Dio nella produzione scientifica di Pettazzoni fino al 1922

L’articolo sul rombo

È Pettazzoni stesso a specificare, nell’articolo su Un rombo australiano181, la ragion d’essere dello studio: affronta il tema del rombo al fine di divulgarne la conoscenza per il carattere “sacrale” di questo strumento, per l’importanza dei problemi religiosi che vi sono connessi, per l’interesse che esso suscita presso gli studiosi di etnografia, per la loro rarità nelle collezioni italiane.

In effetti, come Pettazzoni spiegherà bene nel corso dell’articolo, questo strumento costituisce la base dei tre “fattori elementari della religione”: l’elemento emotivo, che si concretizza nella paura che il suono suscita; quello rappresentativo, dato dall’associazione psicologica al tuono e al vento; (e) l’azione riflessa, che porta alla rappresentazione fantastica analoga al processo di appercezione mitica personificatrice182.

Questi tre fattori si sviluppano in un processo sintetico: processo messo in atto dall’uomo e che va a formare quel “nesso” che costituisce la religione. Da questo processo sintetico, poi, scaturisce una serie di riti (e Pettazzoni specifica: “l’elemento pratico della religione”) in cui il rombo svolge un ruolo fondamentale.

È necessario notare che già in questo studio Pettazzoni sembra avere le idee chiare su alcune linee fondamentali che costituiranno la base dell’opera del 1922:

quando infatti parla di “appercezione mitica personificatrice”, processo in base al

181 Pettazzoni 1911.

182 Emergono i concetti che saranno alla base dell’opera del 1922 (cf. infra).

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quale il suono terribile del rombo diventa persona e, più precisamente, un dio, già si affronta il tema di quell’atto conoscitivo, “una rappresentazione fantastica che è sostanzialmente identica con l’appercezione mitica personificatrice” che è alla base dell’essere celeste. Questo tema, dunque, verrà ampiamente sviluppato nell’opera del 1922183.

Venendo alla descrizione dei due diversi tipi di cerimonie d’iniziazione (un tipo con estirpazione del dente, l’altro caratterizzato dalla circoncisione) e al tratto comune del rombo come parte essenziale del rito, Pettazzoni si imbatte in una interessante differenza. Nelle tradizioni esoteriche delle tribù australiane del sud-est, infatti, il nucleo centrale delle credenze esoteriche è

“(…) la persona di un essere da cui le cerimonie e riti furono istituiti, e che presiede all’osservanza dei precetti tribali”, mentre nel centro “(…) una figura che corrisponde a questa specie di essere supremo delle tribù orientali si trova, se mai, solo presso i Kaitish, nella persona di Anatu”.

Presso le altre tribù, invece, le dottrine impartite ai novizi riflettono una teoria complessa intorno ai rapporti tra l’individuo e il gruppo totemico e i suoi avi totemici personali

“(…) una specie di filosofia primitiva sulla esistenza e sulla vita umana in rapporto con la natura, e particolarmente con la natura animale”184.

Come vediamo, dunque, l’articolo sul rombo australiano rappresenta un punto di partenza fondamentale per lo svolgimento delle idee dello studioso persicetano attorno alle origini della religioni e dell’dea di Dio185. Questo studio, infatti, gli

183 Cf. infra. A questo punto dei suoi studi sui popoli c.d. primitivi, Pettazzoni è gia a conoscenza, tra gli altri, di Andrew Lang e delle sue opere, che viene citato (cf. p. 260) a proposito dei parallelismi tra mondo cretese misterico e mondo australiano nell’uso del rombo, anche se in questa sede viene menzionata solamente Custom and Myth (London 1885) e non The Making of Religion.

184 Cf. Pettazzoni 1911, p. 266.

185 Al contrario di quanto sostiene Casalegno 1979, p. 45.

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consente di approfondire e verificare criticamente l’animismo di Tylor, confrontandolo gli sviluppi posteriori in particolare di Marett, Lang, Graebner e Schmidt.

In un altro saggio dedicato al rombo australiano, Mythologie australienne du rhombe, pubblicato nella Revue de l’histoire des religions del 1912186, Pettazzoni espone con maggior chiarezza le proprie concezioni relativamente all’importanza del rombo per la questionde degli esseri supremi. Riprendendo infatti le posizioni di Wundt sull’appercezione mitica personificatrice e quelle di Levi-Bruhl sul prelogismo delle rappresentazioni collettive primitive, Pettazzoni afferma la natura non logica, ma immaginativa, dei fatti mitologici:

“Le trait caractéristique de la pensée primitive est de s’exprimer en premier lieu par les formes de l’activité imaginative. Ce procédé imaginatif ou fantastique est, pour ainsi dire, le procédé normal de la connaissance pour la pensée primitive, qui opère par intuitions plutôt que par idées ou concepts. Or, c’est justement de ces représentations imaginatives du réel (intuitions) que prennent origine les mythes : la mythogénèse est une fonction de la connaissance intuitive ».

Secondo Pettazzoni, la personificazione del rombo in un essere iniziatico è da rapportare all’impiego del rombo nei riti iniziatici, donde poi la confusione con l’essere supremo. Per quanto riguarda il rombo, lo studioso emiliano afferma che

« (...) il est une expression mythique du rhombe, une aperception par personnification de l’instrument sacré des mystères ».

Diversamente da Marett, per il quale gli esseri australiani sono sorti dal timore suscitato dal “rombo” 187 , Pettazzoni ritiene che gli esseri supremi siano geneticamente differenti dagli iniziatori (personificazione, come si è detto, del

186 Pettazzoni 1912c.

187 Marett 1900, pp. 173-174.

96 rombo):

“(...) je ne trouve pas, au point de vue proprement scientifique, qu’il y ait de raisons d’avoir recours, pour expliquer les figures des ȇtres suprȇmes, à une genèse et à un développement autres que celui qui s’applique en propre et universellement à toutes les figures de la croyance mythique et religieuse. En d’autres termes, je ne vois pas pourquoi on devrait regarder les ȇtres suprȇmes comme engendrés en vertu d’une activité psychique autre que celle à qui sont dues toutes les créations du mythe en général”.

L’ipotesi di Lang e Schmidt è dunque da respingere: una genesi logica che essi presuppongono si oppone alle leggi del pensiero mitico. Pettazzoni qui non approfondisce le ragioni del dissenso ma passa piuttosto a chiedersi, presupponendo negli esseri supremi il prodotto dell’appercezione mitica, a quale elemento essa si fosse applicata. Se non del rombo, cioè, di cosa sarebbero personificazione gli esseri supremi?

La risposta di Pettazzoni a questo quesito è univoca e diventerà il fulcro della sua teorizzazione degli esseri supremi:

“(…) elle fut tirée d’une matière quelconque, qui pȗt seulement tomber sous l’expérience des sens, et qui fȗt susceptible d’aperception mythique.

S’il m’est permis d’exprimer une hypothèsequi ne peut être dévéloppée ici, je suis porté a croire que cette matière sensible n’est autre que le ciel ».

97 Pettazzoni nel 1912

Arriviamo, dunque, al 1912, un anno che Mario Gandini definisce giustamente un anno “cruciale”188. Un anno importante, dunque, non solo per lo studioso persicetano, ma anche per gli studi storico-religiosi italiani. A questa data, infatti, risalgono numerosi studi scientifici sulle religioni: da Les formes élémentaires de la vie religiuse. Le système totémique en Australie di Emile Durkheim, alla pubblicazione del primo volume di Der Ursprung der Gottesidee di Wilhelm Schmidt, all’opera Wandlungen und Symbole der Libido di Carl Gustav Jung, alla prima parte delle Übereinstimmungen im Seelenleben der Wilden und der Neurotiker (più tardi Totem e tabu) di Sigmund Freud. Ma abbiamo anche importanti pubblicazioni nel campo della psicologia religiosa189 e della metodologia storico-religiosa, come il manuale di Nathan Söderblom Översikt av allamänna religionshistorien e l’Histoire des religions et méthode comparative di George Foucart.

Per quanto riguarda Pettazzoni, invece, contemporaneamente agli studi in terra australiana, egli si dedica, come abbiamo già accennato, anche alla Sardegna. Questi studi culmineranno in un’opera che risulterà particolarmente importante per il futuro scientifico dello studioso persicetano: nel 1912, infatti, uscirà La religione primitiva in Sardegna, con la quale Pettazzoni potrà entrare di diritto nel dibattito internazionale190.

Grazie a questa pubblicazione egli avrà l’occasione di prendere i primi contatti non solo con Uberto Pestalozza, con il quale instaurò una profonda amicizia, ma anche con Wilhelm Schmid, iniziando così un confronto/scontro che durerà per circa

188 Cf. Gandini 1994, p. 191.

189 Cf. Leuba 1912; W. Wundt 1912.

190 L’opera, infatti, susciterà le reazioni di Marett e Schmidt, che ne saranno alcuni dei recensori.

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quartant’anni. Già nel 1910, infatti, Pettazzoni non solo conosceva la Scuola storico-culturale, ma aveva già preso posizione contro la teoria del monoteismo primordiale.

A questo proposito ci risultano qui particolarmente preziosi alcuni appunti risalenti al biennio precedente la pubblicazione de La religione primitiva in Sardegna circa le critiche dello studioso alla teoria sostenuta da Padre Schmidt.

Roma, 25 giugno 1910

Non è vero che sia da fare una distinzione così netta fra elemento religioso superiore ed elemento religioso inferiore. Ciò è già stato criticato da S. Hartland, e la sua critica ha fato impressiona anche su G. Schmidt.

2. Ambo gli elementi si riconducono a uno solo, nell’aspetto conoscitivo: fantastico, prelogico. In ciò sono direttamente in opposizione con Schmidt.

3. Non è vero che il monoteismo dei selvaggi sia preanimistico.

Questa è una ipotesi di Land (vedi Schmidt, Anthr. III 1908 1106) . La ragione che si adduce è che si trova presso dei popoli che sono all’infimo scalino. Io certo non credo troppo alla degenerazione. Ma credo e tutto debbono credere a un storia dei primitivi attuali. È possibile che le idee religiose loro non siano mutate? In un caso, almeno di monoteismo preistorico - Sardegna – io posso mostrare l’evoluzione; e tale evoluzione avviene dall’animismo.

4. Va notato che il monoteismo appare in particolare connessione con le società segrete (Già questo depone contro la sua primitività)

5. Secondo me (io ammetto l’esistenza di fatti monoteistici + intrusioni e superfetazione cristiane) si tratta di un fenomeno religioso che ha la sua origine fantastica, ma procede in una via diversa, favorita dalle idee che si svolgono nelle società segrete.

99 Roma, 18 I 1911

Ecco il mio pensiero:

gli dei hanno origine diversa (solo duplice:animistica e naturalistica?)

poi avviene il ravvicinamento, e forse solo allora si ha il dio completo.

Ciò è chiaramente mostrato in quei casi, in cui si ha il primo antenato (- Demiurgo) = Creatore.

E che cosa promosse il ravvicinamento?

Appunto: l’affinità fra spirituale e immaginario!

21 gennaio 1911

Se non è vero che concezione religiose elevate vadano seguendo l’elevarsi della cultura materiale, non è neanche vero che debbano accompagnarsi insieme concezioni religiose elevate e cultura bassa.

Se il primo è un dogma (nella scuola antropologica), il secondo è pure un dogma (di A. Lang)

Caso per caso!

Roma, 24 febbraio 1911

La mia teoria su l’essere Supremo (in Australia)

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La teoria del Marett – l’essere supremo – Bull-roarer – mi parve a prima impressione aver prevenuto il mio stesso pensiero. Ma poi trovo che non è accettabile. La formula essere supremo – Bull-roarer in sé, è falsa.

Quindi, poi, non regge il disegno architettato a spiegare come dal bull-roarer si arriva all’essere supremo.

Il processo che bisogna seguire è diverso, e, probabilmente, inverso.

Anzitutto c’è un dato di fatto: il bull-roarer, come ogni altro oggetto (e particolarmente come oggetto di riti religiosi), è stato oggetto di appercezione mitica – è stato appercepito miticamente. E in che forma? In forma di essere zoppo, … Sono espressioni di questa appercezione:

Daramul, etc.

Il cielo è stato appercepito miticamente: ed è il substrato universale e immutabile d. essere Supremo.

Terzo fattore ( e forse l’unico che risponde alla teoria etiologica di Lang) è la figura del capo-tribù idealizzato, e quindi demiurgo, accompagnato da esseri che sono non degli spiriti degli avi, ma gli avi prototipi (esseri puramente mitici) degli uomini della tribù.

Il 2° è fattore universale. Il 1° e 3° sono certamente Australiani ma sono anche fuori dall’Australia? Se sì potrà venirne un contemporaneamente, una fusione di risultati assai variopinti.

Certo è che in A. i tre fattori concorrono nella credenza indigena a costituire la figura di essere supremo

1. elemento celeste

2. elemento demiurgico / coincide con nomi di parentela e con nomi di classi e sottoclassi e con nomi di totem. Mito (+ animismo [Gennep])

101 3. elemento materiale.

È invece interessante notare come la teoria che vede come esito costante dell’appercezione personificatrice del cielo, che caratterizzerà il pensiero di Pettazzoni, e la problematica attestazione di figure femminili, da cui sorgeranno le riflessioni dello studioso circa la necessità di differenziare gli esseri supremi in base al contesto socio-economico cui essi appartengono, appare del tutto assente ancora in un articolo pubblicato sul numero del 1909 di Ausonia.

Oggetto di questo studio, di carattere ancora decisamente archeologico, è la diffusione del tipo iconografico della dea Hathor. Orbene, Pettazzoni inizia questo articolo scrivendo191:

“La volta azzurra del cielo, immanente sopra il fluire perenne delle acque del Nilo, immensa fino alle lontananze del deserto, ebbe sull’anima del popolo Egizio un fascino che si tradusse in una vibrazione sentimentale e si condensò nella figura di una dea”.

191 Pettazzoni 1909b, p. 181.

102 La religione primitiva in Sardegna192

Tale opera prende avvio dalla missione archeologica sarda a cui nel 1909 egli sarà chiamato a collaborare. Già da circa due anni era stata infatti rivolta l’attenzione all’acropoli di Serri, in provincia di Cagliari, dove il Sovrintendente alle antichità della Sardegna aveva compiuto una serie di esplorazioni con risultati promettenti.

Pettazzoni si concentrerà, in particolare, sugli aspetti religiosi di questi studi archeologici e prepara inizialmente una nota concernente i luoghi di culto e che sarà pubblicata nel febbraio del 1910 nei “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei”. La successiva nota, incentrata sulle figure divine, viene presentata nella stessi

“Rendiconti” nell’aprile del 1910. Entrambe le note costituiscono la base per l’opera di sintesi che verrà pubblicata due anni più tardi.

Durante gli studi sulla religione dei protosardi Pettazzoni si trova a dover dedicare particolare attenzione, come vedremo, al più ampio studio degli antichi abitanti del bacino occidentale del Mediterraneo, arrivando a pubblicare un saggio le cui argomentazioni confluiranno nell’opera del 1912: si tratta di Paletnologia Sardo-Africana, dove rivolge particolare attenzione ai costumi funerari dei Trogloditi Magabari descrittici da Diodoro e Strabone, nonché dell’uso che questi popoli fanno delle esequie – accompagnate da tumulti incomposti – potendo riscontrare interessanti paralleli nella cultura protosarda (in particolare nel c.d. “riso dei sardi”193).

Questi paralleli e altri ancora – di natura mitica e religiosa, come, ad esempio, l’incubazione nei sepolcri degli avi – saranno appunto trattati in questo saggio ma ampiamente ripresi nell’opera che uscirà due anni più tardi e che darà una certa

192 Pettazzoni 1912a.

193 Cf. infra, p. 17.

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organicità agli argomenti fino ad ora trattati in maniera frammentaria194.

Nella prima parte del lavoro, più archeologica e filologica, dopo un’introduzione che tratta la situazione degli studi storico-religiosi in Italia, Pettazzoni espone gli elementi della religione primitiva in Sardegna – un’esposizione volutamente “ordinata” (la stessa impronta si rivedrà nelle successive opere fino a L’Onniscenza di Dio195) – mentre la seconda parte, prevalentemente etnologica, è dedicata alla comparazione tra la religione degli antichi Sardi e le religioni di altri popoli.

Pettazzoni esordisce con una distinzione all’interno della religione che egli stesso definisce “collettiva”: l’atto fantastico, che si esprime attraverso le figure divine e l’atto pratico, che si esplica nelle operazioni sacrali. Il mito da una parte, dunque, il culto dall’altra. All’uno corrispondono le rappresentazioni delle figure divine e dei miti, all’altro le sedi storiche ed effettive del culto (santuari), oggetto della prima parte del volume in quanto riflesso della “morfologia religiosa” dell’antica Sardegna.

Pettazzoni mostra dapprima come l’animismo sardo si presenti ad uno stadio già evoluto e con un sistema di pratiche ben definite (incubazione) che richiedevano luoghi opportuni (e quindi anche abbastanza ampi): si tratta delle “tombe dei giganti”

(che si svilupparono dai dolmen) e dei templi che sorgevano vicino ad essi.

I paragrafi seguenti sono quindi dedicati alla descrizione e alle interpretazioni di tali templi, che sorgevano sulle alture (giare) e presentavano piante diverse a seconda dei diversi fini per i quali venivano costruiti. Una larga parte è dedicata ai templi a cupola, prendendosi come esempio il tempio ubicato sulla giara di Serri: essi presentano generalmente un vestibolo, una scala di accesso e una cupola seminterrata (che non implicava la necessità di un culto ctonico) che veniva costruita su pozzi

194 Il saggio, pubblicato nella Revue d’etnographie et de sociologie, offrirà tra l’altro allo studioso persicetano l’occasione di entrare in contatto con Arnold Van Gennep, a quell’epoca direttore della rivista.

195 Pettazzoni 1955.

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naturali (dati dall’impermeabilità e durezza del basalto della colata lavica, che andava a formare una sorta di conca). L’acqua, dunque, rivestiva un ruolo “sacrale”

all’interno della cultura primitiva sarda e veniva usata a fini guaritori.

All’interno dei templi sono state rinvenute statuette votive di bronzo, rappresentanti tanto pastori che guerrieri, sia figure in atteggiamento solenne e di adorazione, sia figure impegnate in azioni quotidiane. Pettazzoni concentra la sua attenzione sulle statuette che rappresentano figure umane ma, al tempo stesso, sono dotate di caratteristiche umane alterate: generalmente presentano quattro occhi e talvolta anche più braccia. Mostruosità che, secondo l’A., non è da ricondursi alla concezione divina, bensì ad un valore iperantropico per il quale si ha un’accentuazione anormale di valori umani normali.

Tali statuette venivano esposte su cippi e particolare collocazione era riservata ai guerrieri, generalmente posti in un complesso che vedeva l’elemento umano, un elemento zoomorfo e una spada. Questa particolare esposizione rappresenterebbe, secondo Pettazzoni, la sostituzione di un vero e proprio sacrificio, sostituzione secondo la quale l’animale da sacrificare veniva semplicemente raffigurato attraverso un quadrupede (bue, cervo, muflone, cinghiale) fornendo in tal modo la materia sacrificale.

Queste immagini sarde iperantropiche, dunque, vengono ricollegate dall’A.

non tanto al culto dei morti, e quindi alla parte “animista” della religione primitiva sarda, quanto alla parte “naturalista” di essa. I quattro occhi, infatti, altro non rappresentavano che l’incremento del potere visivo fornito dalle acque “sacre”, quelle acque che possedevano un potere guaritore dai mali non solo fisici, ma anche

“morali”.

Tali statuette che rappresentano, dunque, doni di guerrieri che avevano offerto al nume la propria immagine esaltata per virtù soprannaturali, non costituiscono, per il loro valore iperantropico piuttosto che eroico, la pista giusta per conoscere la religione sarda.

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La successiva strada che Pettazzoni intraprende è quella dei documenti figurati consistenti in alcune monete romane della gens Atia, risalenti al 60 a.C. c.a. e recanti la testa disegnata di Sardus Pater, una testa con singolare acconciatura e lancia o giavellotto al collo.

Tale raffigurazione ha dei rapporti con la divinità adorata dal popolo primitivo sardo? Le uniche fonti che ci vengono in aiuto su questa figura, ci dice Pettzzoni, sono le fonti letterarie tramandate dall’antichità.

Nonostante il parallelo Sardos/Herakles/Makeris/Melqart, non si tratta di un dio semplicemente importato dai Cartaginesi: Sardos è, infatti, l’ipostasi mitica del Sardus Pater, proviene dall’ambiente indigeno vero e proprio.

Più tardi sarà Iolaos, invece, a rappresentare il dio della religione sarda primitiva: dietro questa figura si intravede ancora Sardos, che a sua volta è la trasposizione del Sardus Pater. Iolaos non è altro che la resa greca di un dio punico: si venne infatti a creare un nucleo etnico “Iolaos” per innesto di elementi etnici nuovi sul vecchio tronco indigeno.

Quali divinità puniche si nascondano dietro questo nucleo etnico non lo sappiamo: quello che interessa qui Pettazzoni, comunque, è che questa divinità si venne a fondere con la divinità protosarda.

Per quanto riguarda Norax, si tratta del duce mitico e rappresentante dell’invasione degli Iberi in Sardegna, connesso nel nome con l’ambiente nuragico.

Nella sua figura, invece, come Sardos e Iolaos, riflette ancora una volta il grande dio nazionale degli isolani.

Tale dio protosardo ha, quindi un carattere animistico ma anche un carattere naturalistico (per la religione delle acque come manifestazione del naturalismo sardo) in quanto il potere insito nell’acqua andò concentrandosi nelle mani del dio.

Come accennato, la seconda parte del volume è dedicata alle comparazioni. Si

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procede dalla comparazione tra la religione primitiva in Sardegna e nel Mediterraneo, partendo dalla Sicilia, passando per vari punti del Mediterraneo in cui si trovano analogie con la Sardegna specialmente per la presenza di una “religione delle acque”, terminando con Creta, che vede maggiori concordanze con la Sardegna.

Queste ultime concordanze concernono, in particolare, il dio supremo: dai poteri guaritori del Sardus Pater quanto di Zeus Ideo e Dikteo, alla pratica dell’incubazione, alla mortalità di entrambi gli dei, alla trasformazione della loro tomba in un celeberrimo santuario. Questi fenomeni si sarebbero svolti parallelamente nei tempi primitivi di entrambe le isole.

Queste ultime concordanze concernono, in particolare, il dio supremo: dai poteri guaritori del Sardus Pater quanto di Zeus Ideo e Dikteo, alla pratica dell’incubazione, alla mortalità di entrambi gli dei, alla trasformazione della loro tomba in un celeberrimo santuario. Questi fenomeni si sarebbero svolti parallelamente nei tempi primitivi di entrambe le isole.