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Il dibattito sull’origine della religione fra antropologia e storia delle religioni

Pettazzoni stesso ha illustrato, a più riprese, quelle che erano state le principali tendenze della ricerca storico-religiosa internazionale (e le loro ascendenze in ambito filosofico) relativamente alla questione degli esseri supremi e che rappresentavano dunque il punto di partenza dal quale si ebbe a sviluppare la ricerca dello studioso italiano, per molti versi autonoma ed originale, che di questo soggetto avrebbe fatto il fulcro dei propri interessi e della sua attività scientifica.

Da un lato, dunque, Pettazzoni poneva la concezione evoluzionistica, i cui antecedenti rintracciava nel pensiero di Hume e in J.-J. Rousseau, successivamente esposta da A. Comte nel suo sistema positivistico. Propria del teismo e del razionalismo settecentesco è l'idea di un Dio unico e solo, comunicata agli uomini per un atto di rivelazione, e poi oscuratasi fino a dare origine a una moltitudine di divinità.

Già Hume (The Natural History of Religion, 1755) aveva sostenuto che il politeismo doveva costituire la forma più antica di religione sviluppata dall’umanità7. Anche Rousseau, nell’ Émile ou de l’éducation (1762), sostenne che il politeismo, come forma religiosa meno astratta rispetto al monoteismo, doveva averlo preceduto8.

7 “It appears to me, that, if we consider the improvement of human society, from rude beginnings to a state of greater perfection, polytheism or idolatry was, and necessarily must have been, the first and most ancient religion of mankind”.

8 “Les marmousets de Laban, les manitou des Savages, les fétiches des Négres, tous les ouvrages de la Nature et des hommes ont été les premieres divinités des mortels: le polythéisme a été leur premiere religion, et l’idolâtrie leur premier culte. Ils n’ont pu reconnoître un seul

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Una versione sistematizzata di questi presupposti fu poi proposta da A. Comte, il cui “sistema di filosofia positiva” prevedeva uno sviluppo della religione attraverso i tre gradi del feticismo, del politeismo e del monoteismo (e, più in generale, riteneva che il sapere umano, nelle sue diverse discipline, necessariamente attraversasse uno stadio teologico, uno metafisico ed uno scientifico), che, nella formulazione elaborata da E.B. Tylor9, in cui l’animismo aveva preso il posto del feticismo, rappresentava la teoria evoluzionistica “classica”10.

Alla teoria di cui Tylor rappresentava il corifeo Pettazzoni contrapponeva la posizione di coloro i quali, rigettando la teoria evoluzionistica, affrontavano il problema dell’essere supremo o indipendentemente dalla sequenza evolutiva entro la quale essa imponeva di collocarlo (Pettazzoni menzionava Andrew Lang), o addirittura, a partire da Voltaire (Dictionnaire philosophique, 1764) ma facendo propria una posizione che già era stata dell’apologetica cristiana, interpretando la sequenza nella direzione opposta rispetto all’interpretazione evoluzionistica classica, dunque come corruzione di un’originale monoteismo che, nel corso della storia, si sarebbe confuso ed oscurato dando origine alle varie formazioni religiose, più o meno trasformate rispetto alla forma originaria (Wilhelm Schmidt).

La nascita dell’evoluzionismo come impostazione di ricerca in antropologia culturale, com’è noto, era stata stimolata dalle rivoluzionarie prospettive aperte alle scienze umane dall’evoluzionismo biologico quale era stato proposto da Charles Darwin nel 1859, con il celebre volume intitolato On the Origin of Species by Means

Dieu que quand, généralisant de plus en plus leurs idées, ils ont été en état de remonter à une premiere cause, de réunir le systême total des êtres sous une seule idée, et de donner un sens au mot substance, lequel est la plus grande des abstractions”.

9 Tylor 1871.

10 L’introduzione da parte di E.B. Tylor dell’ “animismo” (animism) in sostituzione del

“feticismo” (fetishism) per definire “an elementary religious phase” risale ad un suo articolo del 1866: “the word is so utterly inappropriate and misleading that I have purposely avoided it (...).

The theory which endows the phenomena of nature with personal life might perhaps be convenientely called Animism” (Tylor 1866, p. 84).

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of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life.

La tendenza era stata dunque quella di interpretare lo sviluppo della cultura umana sulla base delle tendenze individuate nello sviluppo delle specie naturali, dunque, come sostenuto da Spencer, dal semplice al complesso e dall’omogeneo al differenziato. Il principio di uno sviluppo progressivo verso la complessità e la differenziazione trovava del resto un riscontro anche negli esiti dell’archeologia preistorica, in cui si identificavano dei livelli culturali sempre più differenziati a partire dalle fasi più antiche.

Dal punto di vista della storia delle religioni queste dottrine ebbero come conseguenza un’impostazione che poneva alla base della ricerca la determinazione della linea di evoluzione attraverso la quale dalle prime forme religiose si sarebbe giunti a forme più elaborate e complesse. Il presupposto stesso di una evoluzione, coerentemente svolto, richiedeva di porre al vertice dello sviluppo la religione maggioritaria nella cultura positivistica (anche se, come è facile immaginare, proprio per la sua natura positivistica tale cultura non poteva accettare la religione, sia pure nel suo stadio più evoluto, che come una tappa temporanea verso un livello superiore, corrispondente, per l’appunto, a quello della scienza positivista).

In che cosa risiedeva, però, la complessità del Cristianesimo e, più in generale, del monoteismo, che appariva come la forma di religione che contraddistingue le società più “evolute”, rispetto, ad esempio, al politeismo che, con la molteplicità dei suoi aspetti ed il coordinamento dei suoi elementi, poteva apparire contraddistinto da un grado di complessità maggiore rispetto al monoteismo?

La risposta fornita dalle teorie evoluzionistiche fu di focalizzare l’attenzione sull’aspetto morale. Implicitamente identificando i valori supremi condivisi dalla tradizione cristiana con valori assoluti, l’evoluzionismo proponeva un percorso di sviluppo in cui da formazioni improntate al timore ed alla ricerca dell’utile pratico, in cui l’uomo si relazionava con entità impersonali o amorali, le concezioni religiose si sarebbero progressivamente “purificate” sia nei sentimenti del devoto che nella natura

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degli esseri sovrumani, fino a giungere al dio infinitamente buono e giusto del monoteismo, adorato in quanto meritevole di adorazione e unico valore dell’esistenza in quanto ad essa trascendente.

L’interesse di Pettazzoni per la tematica relativa agli esseri supremi delle religioni primitive deve essere comunque collocato nell’ambito della discussione che intorno a questo tema si andava svolgendo all’inizio del XX secolo, sotto lo stimolo soprattutto della documentazione che l’etnologia aveva recentemente messo a disposizione in merito alla religione delle popolazioni aborigene dell’Australia.

Proprio attraverso l’individuazione, presso quelli che erano universalmente considerati portatori di una delle più arcaiche culture etnicamente conosciute, di

“religious ideas of a relatively high order” metteva in crisi l’imperante costruzione evoluzionistica fondata da Tylor e da Spencer.

Rispetto alla teorie evoluzionistica di Tylor, incentrata sull’animismo, diversi studiosi avevano comunque avanzato delle obiezioni; tra questi studiosi vi era anche il celebre antropologo dell’Università di Oxford - R.R. Marett11 - poneva in dubbio quello che secondo Tylor poteva essere considerata una “minimun definition of religion”, vale a dire “the belief in spiritual beings”12, ipotizzando che la credenza in una forza sovrumana, impersonale e diffusa,variamente indicata presso diverse popolazioni (come mana, orenda, ecc.) fosse da ritenere anteriore all’elaborazione di figure personali e, dunque, dovesse ritenersi anteriore al sorgere dell’animismo.

Le obiezioni avanzate da R.R. Marett avevano così portato a vedere in lui il sostenitore di una “teoria preanimistica”, ma fu lo stesso Marett a sottolineare come la sua posizione fosse in realtà più sfumata:

“I had no intention of committing myself to a definite solution of the genetic problem. For me the first chapter of the history of religion

11 Marett 1900.

12 Tylor 1871, p. 425.

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remains in large part indecipherable. My chief concern was simply to urge that primitive or rudimentary religion, as we actually find it amongst savage peoples, is at once a wider, and in certain respects a vaguer, thing than "the belief in spiritual beings " of Tylor's famous

"minimum definition”13

Marett comunque non intendeva proporre di individuare una fase

“preanimistica” - che sarebbe stata in qualche misura analoga alla fase magica di Frazer - come stadio evolutivo anteriore a quello animistico in cui si sarebbero sviluppate delle entità sovrumane personali, ma negava piuttosto all’animismo la qualifica di fase primordiale dello sviluppo religioso umano:

“What I would not be prepared to lay down dogmatically or even provisionally is merely that there was a pre-animistic era in the history of religion, when animism was not, and nevertheless religion of a kind existed. For all I know, some sort of animism in Tylor's sense of the word was a primary condition of the most primitive religion of mankind. But I believe that there were other conditions no less primary”14.

Lo studioso e scrittore scozzese Andrew Lang poneva in discussione la stessa fondamentale formulazione delle origini animistiche della religione, non solo sottolineando il presumibile ruolo di fenomeni di visione estatica e di trance ai quali del resto Lang si interessava anche nell’ambito dello spiritismo a lui contemporaneo, ma soprattutto negando l’ipotesi di una derivazione delle divinità politeistiche dall’animismo, e persino la derivazione della divinità monoteistica da quelle politeistiche.

È stata proprio la scoperta della figura dell’essere supremo, della presenza di

“high gods among low races”, a determinare questa proposta interpretativa in aperto

13 Marett 1909, p. IX.

14 Marett 1909, p. X.

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contrasto non solo con l’animismo tayloriano, ma con lo stesso paradigma evoluzionistico imperante:

“Anthropology has simplified her problem by neglecting or ignoring her facts. While the real problem is to account for the evolution out of ghosts of the eternal, creative, moral god of the ‘plain man’, the germ of such a god or being in the creeds of the lowest savages is by anthropologists denied, or left out of sight, or accounted for by theories contradicted by facts, or, at best, is explained away as a result of European or Islamite influences. (...) anthropologists, as a rule, in place of facing and solving their problem, have merely evaded it”15.

Infatti, tra quelle idee apparentemente evolute che Lang riteneva di potere individuare anche presso le popolazioni più primitiva ed ascrivibili, secondo l’opinione condivisa dagli etnologi, a quello che avrebbe dovuto essere lo stadio meno evoluto dello sviluppo culturale dell’umanità, colpiva la figura di un essere creatore, morale, supremo.

La teoria animistica di Tylor ricostruiva uno stadio originario della religione incentrato sulla credenza in esseri spirituali, la cui genesi risaliva da un lato alla percezione, in particolare durante il sonno o in altre condizioni particolari, di persone lontane o defunte, e dall’altro alla tendenza a personificare gli elementi.

In questa prospettiva, la figura di un essere supremo rappresentava il culmine dello sviluppo evolutivo dell’idea di spirito, liberata progressivamente degli aspetti più gretti e caricata di valori e connotati morali con il progredire della morale nelle varie popolazioni. Lang, però, ritenne di poter ribaltare la questione, proprio svincolando l’idea di un essere supremo dal processo formativo animistico.

Lang negava anche il presupposto di uno sviluppo parallelo della cultura e della moralità in ambito religioso, cui corrispondeva l’idea di un progressivo sviluppo

15 Lang 1900, p. 162.

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morale degli spiriti destinato a sboccare proprio nella figura dell’essere supremo.

Sebbene di fatto, Lang non ritenesse di dovere o potere proporre una lineare ricostruzione dello sviluppo della figura dell’essere supremo in sostituzione di quella avanzata dalla scuola evoluzionistica classica (“we have not yet the materials for a scientific theory of the evolution of religion”)16, lo studioso scozzese tuttavia contestava la validità di quella teoria, principalmente sulla base della constatazione che, a suo giudizio, in base alla documentazione etnologica anche presso quelle che si ritenevano unanimemente le più arretrate popolazioni di cui fossero documentate le credenze era riconoscibile la figura di un essere supremo dotato di caratteri morali tali da contraddire uno sviluppo della religione come progressiva caratterizzazione morale di uno “spirito” derivato dalle concezioni animistiche.

Questa “scoperta” dell’essere supremo sarà definita, in una conferenza tenuta nel 1957 ad Oslo da Pettazzoni, “la più grande scoperta del XX secolo”17.

Dunque, a differenza di quanto proposto alcuni anni dopo da Wilhelm Schmidt con la sua teoria dell’Urmonotheismus, Lang non forniva una teoria esplicativa per il sorgere di questa credenza, rifiutando anzi esplicitamente di sostenere la “rivelazione primordiale” quale fondamento scientifico capace di spiegare i fatti18.

Sebbene però Lang rifiutasse di fornire una ricostruzione dell’origine della figura dell’essere supremo, limitandosi ad individuarlo e a constatarne la presenza presso popolazioni di grande arretratezza culturale19, tuttavia suggerì per il suo sorgere

16 Lang 1899, p. 3.

17 Cf. Gandini 2008a, pp. 143-144.

18 Lang 1900, p. xvii, “(...) there was, as regards these points in morals, degeneracy from savagery as society advanced, and I believe that there was also degeneration in religion. To say this is not to hint at a theory of supernatural revelation to the earliest men, a theory which I must, in limine disclaim”.

19 “I am very much obliged to Mr. Hartland for not saying (like most of my critics) that I attribute the belief to Revelation! In fact I repeatedly declined to give any theory of how the belief arose” (Lang 1899, p. 5).

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quella che potremmo definire una sorta di spiegazione proto-funzionalista: l’esistenza di un essere supremo garante della morale comune, che conosce ogni effrazione ed è in grado di punirla costituisce infatti un importante supporto per la morale stessa20. Così Lang sintetizzava questo punto:

“The lowest savages, I think (contrary to a generally held opinion), have elements of what we moderns, whether believers or unbelievers, recognise as "religion". They have the conception of a Being, prior to death, often of unknown origin, not (in certain cases) subject to mortality, existing in, or above, the sky, who punishes breaches of his laws, in certain cases moral laws (or if you prefer it, laws of morality in the making or becoming), who, in certain instances, rewards or punishes men after death; who is often hailed as "Father;" who, like Mr. Howitt's Daramulun, "can go anywhere and do anything”21.

Questo è l’aspetto che Lang chiama “religioso”, mentre gli elementi che non corrispondono ad una religiosità “elevata” e che su questi esseri sempre si narrano, essi rappresentano l’elemento “mitologico”. Per Lang l’aspetto “religioso” e quello

“mitologico” appaiono compresenti sostanzialmente in tutte le religioni, senza che sia possibile inferire se o quale dei due debba essere considerato come precedente o come derivato dall’altro22.

È una divisione, quella tra un aspetto “religioso” tendenzialmente elevato ed uno “mitologico” in cui invece permangono aspetti inaccettabili per una religiosità

“elevata”, che ad esempio Jevons spiegava evoluzionisticamente, in quanto il mito, più conservativo rispetto agli aspetti etici e morali della religione, si sarebbe sviluppato più lentamente mantenendo quindi dei tratti che apparivano quindi in

20 Lang 1899, p. 8.

21 Lang 1899, pp. 14-15.

22 Lang 1900, p. 183.

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contrasto con la stessa “religione” cui si riferivano23.

Secondo Lang “the chief Being was not evolved out of ghosts, but came to be neglected as ghost-worship arose”24. La constatazione che questi esseri spesso non erano destinatari di un culto rafforzava l’ipotesi di una loro superiorità morale rispetto agli “spiriti”, anche in considerazione del fatto che tale culto, ove presente, poteva essere considerato una degenerazione dovuta proprio all’influsso delle concezioni animistiche.

Si tratterebbe dunque di uno di quei casi in cui, nei termini adottati da Lang, la mitologia ha sommerso la religione25. All’identificazione degli esseri supremi come uno sviluppo dell’idea di spirito dei defunti o una idealizzazione di antenati defunti e venerati, osta anche il fatto che di essi si afferma esplicitamente che non sono morti, ed anzi risalgono ad una fase della realtà in cui la morte non era ancora giunta nel mondo. Rigettata la teoria che vedeva nell’essere supremo l’evoluzione dell’idea di spirito elaborata da una visione animistica, Lang riporta questa figura sovrumana ad una idealizzazione dell’uomo, privato del corpo carnale e del destino mortale26.

Uno dei principali critici di Lang fu E.S. Hartland. L’obiezione mossa da Hartland a Lang fondamentalmente consisteva nell’accreditare a questi esseri supremi i caratteri degli esseri divini monoteistici:

“What is apt to mislead in The Making of Religion (all the latter half of it) is the choice of words associated with the theological conceptions embodied in Christianity-nay, often the very words of the Bible-to express ideas far less definite, far more rudimentary, and not to be properly understood save in connection with the rest of the tribal and

23 Jevons 1913.

24 Lang 1900, p. XX.

25 Lang 1900, p. 184.

26 Lang 1900, p. 187.

17 racial culture”27.

Riprendendo una tematica già sviluppata da Tylor28, Hartland osservava del resto che lo stesso materiale utilizzato da Lang per delineare i tratti dell’essere supremo australiano molto probabilmente era già stato sottoposto alle tensioni deformanti derivanti, da un lato, dagli occidentali che avevano raccolto ed analizzato le testimonianze degli aborigeni sulla base della propria cultura e, quindi, interpretandole inconsciamente in un ottica cristiana, mentre dall’altro lato gli stessi testimoni aborigeni erano stati indotti a formulare le proprie deposizioni in maniera tale da rispondere agli interrogativi ed ai presupposti degli osservatori occidentali, con ciò stesso accostandoli proprio a quelle concezioni che questi ultimi credevano o persino auspicavano di ritrovare presso di loro.

A seguito delle critiche mossegli soprattutto da Hartland, Lang riconobbe di avere utilizzato delle espressioni retoriche che, pur non rispecchiando il modo di esprimersi delle popolazioni studiate dagli etnologi, tuttavia esplicitavano sostanzialmente dei presupposti realmente presenti nelle concezioni di queste ultime29. Tuttavia, all’obiezione per cui la figura dell’essere supremo non sarebbe appartenuta al sistema religioso delle popolazioni più primitive, il portato di un’influenza esterna, oppose diverse osservazioni: per quanto riguardava gli influssi esercitati da culture più “evolute”, in alcuni casi gli esseri supremi erano stati individuati presso popolazioni così isolate da qualunque cultura superiore che appariva difficile ipotizzarne un’influenza tale da portare ad una così marcata modifica delle tradizioni religiose avite.

Per quanto riguardava, invece, l’influsso esercitato dai missionari sulle popolazioni, una questione sottolineata anche da Hartland30, alcuni tratti apparivano

27 Hartland 1899, pp. 46-47.

28 Tylor 1892.

29 Lang 1900, Preface.

30 Hartland 1898, pp. 302-303.

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nettamente in contrasto con quello che avrebbe dovuto essere il prodotto della catechesi cristiana, come ad esempio il disinteresse, talora sottolineato dalle fonti indigene, che l’essere supremo manifestava nei confronti degli esseri umani e delle loro vicende:

“In all missionary accounts of savage religion, we have to guard against two kinds of bias. One is the bias which makes the observer deny any religion to the native race, except devil-worship. The other is the bias which leads him to look for traces of a pure primitive religious tradition.

Yet we cannot but observe this reciprocal phenomenon: missionaries often find a native name and idea which answer so nearly to their conception of God that they adopt the idea and the name, in teaching.

Again, on the other side, the savages, when first they hear the missionaries’ account of God, recognise it (...) for what has always been familiar to them”31.

Contro questa “theory of borrowing”, che secondo Lang ostacolava la ricerca i quanto serviva solo a negare quei fatti che non corrispondevano alle ricostruzioni evoluzionistiche, lo studioso scozzese sottolineava le difficoltà opposte “by the early dates of many reports, made prior to the arrival of missionaries, and by the secrecy in which the beliefs are often veiled by the savages; as also by the absence of prayer to the most potent being”32.

Se padre Schmidt riprenderà questa stessa posizione, attribuendo gli elementi che non si adattano a questo quadro ad una “involuzione” della figura divina quale essa si era originariamente rivelata, l’approccio di Pettazzoni sarà, invece, quello di tracciare uno sviluppo storico che tenti di rendere ragione del sorgere degli esseri

Se padre Schmidt riprenderà questa stessa posizione, attribuendo gli elementi che non si adattano a questo quadro ad una “involuzione” della figura divina quale essa si era originariamente rivelata, l’approccio di Pettazzoni sarà, invece, quello di tracciare uno sviluppo storico che tenti di rendere ragione del sorgere degli esseri