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Durante il lavoro di verifica dei fatti osservati, eseguito e meticolosamente documentato nelle monografie che seguono, Pettazzoni matura l’ipotesi che il monoteismo primordiale debba essere ridotto “alle proporzioni più modeste della credenza in un Essere celeste, appercepito in figura personale del cielo secondo i modi di quel pensiero mitico che presiede a tutte le forme della religiosità primitiva”273.

Il volume sull’Essere Celeste274, già quasi finito e pronto per la stampa nel 1915, dovette essere accantonato durante il periodo in cui Pettazzoni prestò servizio militare nel corso della Grande Guerra (lo studioso persicetano fu inviato in Grecia, data la sua conoscenza della lingua locale, a svolgere un ruolo di supervisione).

Rientrato in patria lo studioso emiliano si trovò a dovere aggiornare (nelle difficili condizioni che la guerra aveva imposto alla diffusione delle pubblicazioni tra nazioni belligeranti in campo opposto). Così Mario Gandini sintetizza l’ulteriore iter editoriale di questo fondamentale volume dello storico delle religioni italiano:

“Il lavoro di aggiornamento è già a buon punto all'inizio del 1920, tanto che Pettazzoni include la monografia tra le opere da pubblicare nella collezione che sta preparando per la Casa editrice Zanichelli; questo il titolo (provvisorio): L'idea di Dio nelle religioni primitive; ma nel corso dello stesso anno 1920 il titolo scompare dal programma. Tra il 1920 e il 1921 Pettazzoni si accorda per la pubblicazione con la Società editrice

"Athenaeum" di Roma, una casa nota soprattutto per l'importante produzione giuridica; il grosso volume, in stampa già nell'estate 1921,

273 Pettazzoni 1922a.

274 Cf. Pettazzoni 1922a, p. 72.

142 uscirà nella primavera 1922” 275.

Gli esseri supremi dei popoli primitivi dell’Australia erano stati al centro della discussione svoltasi tra Taylor, Lang e Hartland in merito all’esistenza stessa della categoria dell’essere supremo.

Se Tylor, rappresentante della teoria animistica, aveva visto nel monoteismo il coronamento di un processo di graduale riduzione numerica degli esseri divini, secondo lo schema animismo-politeismo-monoteismo, come progressiva evoluzione del concetto di divinità, il Lang – che del Tylor aveva condiviso l’ipotesi dell’influenza dei missionari sulla concezione degli esseri supremi dei “selvaggi” – arrivò a sostenere che il monoteismo era basato sull’antica idea di figure che egli chiamò Supreme Beings ovvero Allfathers, esseri che non sono spiriti, né propriamente dei, ma che contengono il germe della più alta idea divina.

La credenza nell’Essere supremo, infatti, non poteva essere stata semplicemente suggerita dai missionari, perché in tal modo non si sarebbe spiegato il fatto che essa apparisse largamente nella credenza esoterica – nelle cerimonie segrete d’iniziazione – e solo raramente in quella exoterica.

Lang operava, inoltre, una separazione assoluta tra mito e religione. Il primo, visto come una sopravvivenza del passato, sarebbe stato un prodotto irrazionale rigidamente contrapposto alla religione, prodotto razionale, sia nelle epoche più progredite che in quelle primordiali; e in tali epoche primordiali la religione si sarebbe manifestata proprio nella credenza in un Essere supremo.

L’idea di Dio sarebbe dunque sorta, secondo Lang, dalla tendenza speculativa che portava l’uomo a concepire una forza causale in rapporto con una sanzione di carattere morale: un processo mentale, quindi, che ne spiega le origini naturali e in cui non c’è posto per il mito.

275 Gandini 1998a, p. 121

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Tre sono le obiezioni che Pettazzoni sollevava nei confronti di Lang nell’articolo del 1914276. La prima consiste nella constatazione, maturata attraverso l’indagine dei fatti positivi, che l’essere supremo allo stato puro non si riscontra presso nessun popolo: questi non riceve alcun culto, non interviene nel corso delle cose umane e appare sempre accompagnato da credenze di tipo animistico o naturalistico, più o meno sviluppate. La seconda obiezione riguarda invece i tratti fondamentali che all’essere supremo vengono assegnati: essi non sono né costanti né assoluti. La terza, infine, riguarda la possibilità di influenze da parte di idee religiose più evolute, in particolare quelle monoteistiche del cristianesimo e dell’islamismo.

Il pensiero di Lang viene portato alle estreme conseguenze da Padre Wilhelm Schmidt e dalla sua scuola viennese, che ripropone tale tesi accentuando il carattere eccezionalmente elevato della credenza nell’Essere supremo – reso da Schmidt con il termine Urschöpfer, “creatore primigenio”, che, come il termine Allfather usato da Lang, sottolinea l’attributo della creatività – e, insieme, la sua assoluta primordialità e anteriorità rispetto ad ogni altra credenza, e quindi anche la sua unicità.

Non è un caso, dunque, che nella trattazione ad essi riservata Pettazzoni affronti una serie di questioni di importanza generale e fondamentale, come la portata dell’influsso dei missionari sulla cultura indigena e sulla sua rappresentazione all’interno della documentazione etnologica. Diverse questioni di dettaglio – ma con implicazioni di portata generale - già affrontate da Pettazzoni in pubblicazioni precedenti, come la questione del rombo e del suo ruolo nella genesi e nello sviluppo delle figure sovrumane aborigene.

Il problema del rombo, infatti, già oggetto di alcuni articoli ad esso specificamente dedicati277, nella prospettiva di Pettazzoni andava inserito appunto nel più ampio campo della mitogenesi e della appercezione personificatrice: la compresenza dell’essere supremo e del demiurgo. All’ipotesi di Marett, per cui

276 Pettazzoni 1914a.

277 Pettazzoni 1911; 1912b.

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l’essere supremo sarebbe sorto dalla personificazione del rombo, il cui suono simile al tuono ne avrebbe fatto un essere celeste, Pettazzoni oppone la propria convinzione che si tratti in realtà di due entità indipendenti, l’una intrinsecamente legata al cielo ed alle sue attività meteoriche ed alla quale il suono del rombo faceva o fu posta in riferimento, l’altra, invece, l’essere iniziatore, propria della credenza exoterica relativa allo strumento.

L’aspetto uranico dell’essere supremo australiano non può essere ricondotto geneticamente ad un rapporto con il rombo; al contrario, questo rapporto deriva proprio dal carattere fondamentale – quello uranico – dell’essere supremo stesso.

Collegato ai riti di iniziazione, il rombo rappresentava il tuono e serviva dunque ad attirare magicamente la forza del cielo, onde si può ipotizzare che l’essere supremo stesso fosse implicato direttamente nei riti iniziatici.

Successivamente, l’appercezione mitica avrebbe personalizzato anche il rombo che, da strumento legato all’essere supremo, sarebbe divenuto esso stesso figura mitica di iniziatore che avrebbe quindi oscurato e sopraffatto l’essere celeste che era invece una diretta personificazione della realtà uranica278. Hartland

“(...) giustamente ricondusse la credenza in questi esseri entro i limiti naturali di una religiosità e di una mentalità primitive, facendo vedere come gli attirbuti di eternità, di attività creatrice, di onnipotenza, di onniscienza, di moralità non sono costanti e proprii di tutti gli esseri supremi (australiani) – o almeno non sono costantemente attestati -, e vanno poi intesi in senso più modesto, cioè: vita perenne, esente da morte, ma non da vecchiaia e decrepitezza; poteri magici posseduti in misura e qualità straordinarie; facoltà d’invigilare sulle azioni altrui, ma senza essere al sicuro da ogni inganno: qualità morali, sì, ma non ispirate ad un ideale etico superiore e assoluto, bensì conformi ai precetti promulgati appunto dall’essere supremo come norme della vita tribale, e dunque non

278 Pettazzoni 1922a, p. 9.

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incompatibili con certi tratti che a noi appaiono immorali e scandalosi. Gli esseri supremi vanno dunque ripensati secondo il pensiero primitivo che li ha prodotti: questo è il criterio che l’Hartland ha il merito di aver applicato”279.

Al contrario, lo Schmidt

“(...) riafferma anzi, ed accentua il carattere eccezionalmente elevato della credenza nell’essere supremo e, insieme, la sua assoluta primordialità e anteriorità rispetto ad ogni altra credenza, e quindi anche la sua unicità”280.

“(...) lo Schmidt non solo non si perita di vedere in essi dei veri e propri iddii, ma li considera addirittura come i rappresentanti di una idea monoteistica primordiale. Quei predicati degli esseri supremi – attività creatrice, eternità, onnipotenza, moralità – di cui l’Hartland aveva mostrato il valore relativo, sono presi dallo Schmidt nel loro senso assoluto. Poi che gli esseri supremi non sono soltanto supremi, ma anche creatori ed eterni e onnipotenti e onniscenti e ottimi, sono veramente dèi; e poichè sono anche unici, un tale teismo si riduce veramente ad un monoteismo”281.

Schmidt dunque adotta il metodo dei Kulturkreise per dimostrare che gli elementi incongrui con questo quadro sono interpretabili come concrezioni sulla figura dell’essere supremo di elementi provenienti da altre e posteriori concezioni mitiche. Anche Schmidt, come Lang, distingue l’aspetto religioso da quello mitico:

“il mito procede dalla fantasia, la religione – invece – dalla ragione, e precisamente dal principio razionale di causalità. Il tratto comune sarebbe, se mai, il processo della personificazione; il quale può bensì operare anche sotto il dominio della fantasia – e allora crea il mito -, ma propriamente appartiene (così asserisce lo Schmidt) alla sfera dell’attività razionale,

279 Pettazzoni 1922a, p. 49.

280 Pettazzoni 1922a, p. 51.

281 Pettazzoni 1922a, p. 52.

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come quello ch’è intimamente connesso con l’idea di causalità: tanto è vero che ebbe la sua prima e capitale applicazione precisamente nell’ordine causale; e l’ebbe in quella nozione di un Fattore o Creatore che risponde appunto a una concezione personale della causa. Da questa nozione si svolse l’idea dell’essere supremo; la quale dunque è di orgine razionale”282.

E qui, nella valutazione di Pettazzoni, emergono dei presupposti ideologici:

“attraverso l’opera dello Schmidt si vede spuntare la dottrina cattolica della ragione che di per sè, indipendentemente dalla fede, può – e anzi, perchè sorga la fede, deve – giungere alla nozione della divinità”283.

Proprio questo aspetto viene criticato da Pettazzoni. L’identificazione di una modalità formativa differente e specifica degli esseri supremi rispetto alle figure mitiche, con una opposizione di fatto tra esigenza logica e prodotto dell’attività fantastica, costituisce per Pettazzoni un elemento negativo che richiede di essere superato.

Per farlo, Pettazzoni procede ad esaminare quegli attributi dell’essere supremo (creatore della natura, onnipotenza, immortalità, onniscienza, moralità) che, nella prospettiva di Lang e quindi di Schmidt, ne caratterizzano l’unicità: Pettazzoni le riconduce tutte, con coerenza, proprio al carattere uranico:

“Un essere che dimora nel cielo, la cui vita è la vita stessa del cielo, nat ura lme nt e deve possedere una potenza straordinaria: quella potenza che si manifesta in quei fenomeni meteorici che nel cielo hanno luogo e che sono tra i più maestosi fra quanti poterono impressionare la mente dell’uomo primitivo, tutta aperta alle suggestioni del mondo esteriore (...).

Per questa via potè ben formarsi il concetto di ult rapo t enza (...). Or

282 Pettazzoni 1922a, p. 57.

283 Pettazzoni 1922a, p. 58.

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l’effetto più meraviglioso – e anche il più tangibile e insieme il più desiderato – di questa straordinaria potenza era appunto la vegetazione, la quale nelle aride regioni del continente australiano par quasi tener dietro immediatamente alla pioggia; ed essendo dunque messa in relazione con questa per una facile suggestione, di necessità doveva apparire come opera dell’essere celeste, perchè la pioggia viene dal cielo, è un atto del cielo:

atto magico di quella potenza che risiede lassù, vale a dire dell’essere celeste, - che in tal modo si manifesta, dunque, come un fattore di eccezionale capacità: capace di trarre dal nulla le cose, capace di crear e (...). a pioggia, annunziata dal tuono, è, dunque, un dono dell’essere supremo; il quale, se fa crescere il cibo per gli uomini, è dunque benevolo verso di loro, precisamente come un padre verso i suoi figli: verso quegli uomini ch’egli potè ben ‘creare’, a quel modo ch’egli crea e ricrea continuamente le piante. La quale be ne vo le nza non è poi tale da escludere in modo assoluto ogni tratto malefico dalla figura dell’essere supremo (...). Ma generalmente queste azioni che fanno del male sono atti di giustizia ai quali l’essere supremo s’induce per punire la mala condotta degli uomini, e nei quali dunque si rivela il suo carattere morale, - sempre in senso relativo, vale a dire in rapporto con i precetti vigenti nella tribù:

tanto è vero che si dice, di solito, che questi furono istituiti dall’essere supremo”. Proprio “il modo onde tale carattere morale si estrinseca è sommamente interessante e istruttivo: perchè gli atti onde l’essere supremo eseguisce le sue sanzioni etiche sono proprio altrettanti fenomeni meteorici (...). Or come può l’essere supremo esercitare l’ufficio suo di giudice e vindice delle azioni umane? In quanto invigila continuamente, e vig ila ndo ved e o gni co sa . Per questo, anche, egli sa o g ni co sa ; chè il sapere è il vedere stesso trasportato dall’ordine fisico nell’ordine intellettuale. (...) è da ritenere che l’onniscenza dell’essere supremo sia in primo luogo onniveggenza perchè nat ura lme nt e il cielo è esteso sopra tutta la terra. Perc iò all’essere supremo nulla sfugge, perchè tutto ciò che avviene, avviene sotto il cielo, sotto gli occhi del cielo. (...) Dunque gli

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attributi ‘superiori’ dell’onniscenza, dell’onniveggenza, dell’ubiquità dipendono ultimamente dall’attributo fisico dell’estensione, ch’è quasi immanenza nello spazio. La stessa immanenza considerata nel tempo, ha poi determinato l’altro attributo della eternit à, - intesa sempre, l’eternità, nel senso relativo di immunità dalla morte, che non implica immunità dalla vecchiezza (...). Il cielo, sempre diverso nei suoi aspetti multiformi, e pur sempre uguale a sè stesso, sfondo permanente al continuo variare delle condizioni atmosferiche, come alla vicenda perenne dei giorni e delle notti, parve all’uomo vivere di una vita propria, anteriore alla vita umana, confondente il suo principio col principio stesso delle cose, non soggetta alla morte”284.

“(...) riassumendo, si vede che anche nell’aspetto più elevato della sua figura l’essere supremo è veramente un essere celeste, chè tutti questi suoi aspetti superiori possono essere ricondotti a quell’unico sostanziale substrato naturistico della sua figura ch’è il cielo: il cielo sconfinato ed immenso, soprastante a tutte le cose, la volta immane avvolgente la terra, sempre e dovunque presente allo sguardo, spaziosa e sublime”285. Del resto nessun altro elemento naturale avrebbe offerto gli elementi necessari – e sufficienti – all’appercezione mitica personificatrice per giungere all’essere supremo quale emerge dalla documentazione degli aborigeni australiani.

Alla domanda “a quale ordine di fatti del pensiero appartiene dunque questo processo che pone ed assegna dentro ed accanto ad un elemento della natura una figura e persona operante in esso e di esso partecipe e presiedente ai fenomeni che in esso si svolgono?”, Pettazzoni risponde: “si tratta, a mio giudizio, di personificazione”, che rimanda dunque alla sfera dell’attività del pensiero nella quale essa si produce, ovverosia a quella fantastica, o meglio rappresentativa ed intuitiva, e

284 Pettazzoni 1922a, pp. 67-70.

285 Pettazzoni 1922a, p. 70.

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precisamente “a quella forma dell’intuiz io ne ch’è il mito ”286. “Come tale, co me essere celeste, l’essere supremo è un prodotto del pensiero mit ico”.

Il mito, che è generalmente personificazione, o, per dirla col Wundt,

‘appercezione personificatrice’ si esercita su di una materia da cui intimamente dipende il suo prodotto mitico.

“Or nel caso del cielo la materia era specialissima ed unica nel suo genere, e proprio delle meno adatte a subire il processo della personificazione. Chè perso nific az io ne è ind iv idua z io ne ; - e per ciò appunto è il fatto proprio e caratteristico del mito, perchè il mito è int u iz io ne, cioè rappres e nt az io ne de l s ingo lare ”287. “(...) il cielo, per quella sua stessa immensità e continuità che vedemmo riflesse in taluni attribuiti dell’essere celeste, è forse il meno individuato degli elementi naturali, e però, anche, il più difficile ad essere ridotto nella forma di un essere personale, di una persona. Pure, la riduzione avvenne: avvenne naturalmente on quel modo che solo era compatibile con la speciale qualità della materia celeste e con le difficoltà che ad essa sono interenti. In tali condizioni, l’appercezione personificatrice applicata al cielo si ridusse ad una apposizione di persona in figura di un essere operante dietro i fenomeni celesti e unificante in sè, come centro, le molteplici manifestazioni della vita atmosferica: una figura meno spiccata, dai contorni meno precisi, in confronto di altre (...) ma giovantesi, in compenso, di quei caratteri di elevatezza, di suprema potenza e di unicità che solo quella materia unica ch’è il cielo poteva conferire”288.

A livello teorico, la posizione di Pettazzoni è esplicita: l’unicità dell’essere

286 Pettazzoni 1922a, p. 71.

287 Pettazzoni 1922a, p. 72.

288 Pettazzoni 1922a, p. 72.

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supremo non è negata in sè, ma è riportata alla materia su cui si ebbe ad esercitare l’appercezione mitica personificatrice, non all’applicazione di una modalità formativa peculiare e distinta rispetto agli altri prodotti dell’attività mitica:

“Quel che si nega (e appunto si nega riconducendo anche quella unicità al dato naturistico originario), si è che essa unicità sia inesplicabile per le vie della rappresentazione mitica, e che per spiegarla si debba ricorrere a tutt’altro processo mentale che al mito, cioè al pensiero logico, all’idea di causa”289.

Non che Pettazzoni negasse al “pensiero primitivo” il possesso dell’attività logica e razionale, anzi, l’attività logica “fu presente e operante nel corso del processo di formazione della figura stessa dell’essere celeste. Ma non alle origini”290.

Infatti, per lo studioso emiliano, “il prius è sempre la materia mitica dell’elemento uranico concentrata nella figura dell’essere celeste”291. L’errore di Lang è stato quello di invertire i termini di successione, nonché quello di generalizzare e conferire valore assoluto ad un processo concernente unicamente l’essere supremo, costruendo poi su di esso una teoria sistematica della religione. Eppure proprio a questo elemento farà ricorso H. Pinard de la Boullaye, un religioso gesuita sostenitore delle teorie di padre Schmidt, per opporsi allo studioso emiliano292. Egli infatti attribuiva a Pettazzoni una concezione prelogica dei popoli primitivi, concezione come abbiamo appena visto esplicitamente negata dallo stesso Pettazzoni, definendo

“uranismo” ed attaccando la sua teoria dell’origine uranica dell’essere supremo. Alle critiche mossegli Pettazzoni avrebbe risposto con un intervento sulla primo numero della sua nuova rivista, Studi e materiali di storia delle religioni:

“L’etichetta non mi pare scelta felicemente. Sistemi sono, infatti, il

289 Pettazzoni 1922a, p. 74.

290 Pettazzoni 1922a, p. 75.

291 Cf. Pettazzoni 1922a, p. 76.

292 Pinard de la Boullaye 1925, p. 202.

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solarismo, il lunarismo, l’astralismo ecc.: sistemi generali di mitologia che tendono a ‘spiegare’ tutti i miti come miti solari, rispettivam. lunari, astrali, ecc. Il mio ‘uranismo’, se così tuttavia si vuole chiamarlo, non vuol essere un sistema generale, ma una teoria particolare relativa ai soli esseri supremi: teoria che è così aliena da preoccupazioni sistematicamente generalizzatrici che, mentre mette in evidenza la diffusione larghissima degli esseri supremi presso i popoli primitivi, non si trova poi imbarazzata a constatarne (...) l’assenza (sino a prova contraria) presso alcune popolazioni che sono culturalmente tra le più basse (Vedda, Kubu, Tasmaniani. Inoltre è da avvertire che colla qualifica di uranismo la mia concezione degli esseri supremi resta definita in funzione della mat er ia : meglio essa si definirebbe in funzione della fo r ma come un mit o lo g is mo o concezione mitologica”293.

Per quanto riguarda la credenza nell’essere supremo come stadio storico pre-mitico, le obiezioni di Pettazzoni si basano anche sui dei dati concreti, forniti dalle ricerche etnologiche: “questa fase non si riscontra nè si è riscontrata in nessun luogo, in nessun tempo e presso nessun popolo; chè sempre colà dove si trova la credenza nell’essere supremo, la si trova associata effettivamente con altre forme della religiosità”294.

Da questo punto di vista, la teoria di Pettazzoni ha il vantaggio di non richiedere come postulato l’esistenza di una tale fase “premitica”. Gli esseri celesti australiani, poi, non sono identificabili come dèi, in quanto privi di elementi fondamentali che, a prescindere da una esatta definizione, fanno comunque parte di

“quelle note minime che sono caratteristiche ed essenziali di un dio”.

Tra di esse, quello che si può definire “elemento essenziale e specifico di un vero e proprio culto, cioè la periodicità degli atti cultuali (...) è assolutamente estranea

293 Pettazzoni 1925d.

294 Pettazzoni 1922a, p. 76.

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alla venerazione degli esseri supremi australiani” 295 . D’altra parte, a questa

“trascuratezza da parte degli uomini” corrisponde “da parte dell’essere supremo una

“trascuratezza da parte degli uomini” corrisponde “da parte dell’essere supremo una