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Wilhelm Schmidt. Vita e opere78

Wilhelm Schmidt nacque il 16 febbraio del 1868 ad Hörde, in Westfalia, in una famiglia della classe operaia. Dopo avere perduto il padre in tenera età, ebbe l’opportunità di entrare nella Casa Missionaria fondata a Steyl, nei Paesi Bassi, dal padre Arnold Janssen (1837-1909, che nel 2003 fu canonizzato da Giovanni Paolo II).

Janssen fu il fondatore, nel settembre del 1875, della Societas Verbi Divini (SVD), l’ordine religioso nel quale Schmidt sarebbe presto entrato a far parte.

Grazie all’inserimento in questo ambiente il giovane Schmidt potette conseguire una buona formazione culturale e, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1892, potette proseguire gli studi all’Università di Berlino, dedicandosi ad un ampia gamma di interessi, estesi dalla filosofia alle lingue orientali.

Nel 1895 venne inviato a Mödling, nei pressi di Vienna, dove nel 1889 era stata fondata la Casa Missionaria di S. Gabriele, con l’incarico di lettore presso il seminario. Dal 1912 vi insegnò etnologia e storia delle religioni. Poichè i missionari della Societas Verbi Divini operavano in tutti i continenti, Schmidt approfitto di questa circostanza per organizzare un museo etnografico, raccogliendovi gli oggetti procuratigli dai missionari del suo ordine di ritorno dalle missioni nei vari continenti.

Fu proprio lo stretto contatto con la realtà missionaria del suo ordine ciò che lo spinse a condurre e pubblicare delle ricerche di linguistica comparata relative alle

78 Sulla vita e le opere di Wilhelm Schmidt si veda Peball 2004.

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lingue dell’Oceania e del sud-est asiatico. Grazie alla fama assicuratagli da questi lavori, nel 1906 Schmidt divenne socio corrispondente dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Vienna (nel 1937 fu poi nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze).

Formatosi nella temperie del Kulturkampf condotto dal cancelliere Bismark, il giovane Schmidt si propose come proprio compito la difesa della cultura cattolica.

Accanto agli interessi strettamente linguistici, quindi, anche l’interesse di Schmidt per l’etnologia crebbe progressivamente, proprio in rapporto a quelle esigenze di maggiore formazione e di approfondimento della conoscenza delle culture indigene che le attività missionarie della Societas Verbi Divini rendevano ineludibili. Schmidt divenne dunque, in campo etnografico ed etno-linguistico, un’autorità79.

Alle stesse esigenze fondamentalmente missionarie intese rispondere anche la fondazione, ad opera di Schmidt, della rivista Anthropos – Zeitschrift für Sprach- und Völkerkunde (nel 1906). Questa nuova rivista soddisfaceva anche una ormai sentita esigenza, da parte cattolica, di disporre di una rivista specialistica cattolica ma dotata di prestigio scientifico internazionale, per l’ambito dell’etnologia, pertanto Schmidt fu in grado di ottenere, a supporto della sua pubblicazione, cospicui finanziamenti, anche da parte della stessa curia romana (dopo che il pontefice Pio XI lo ebbe ricevuto in udienza nel 1923).

Nel 1932 Schmidt fondò anche l’Anthropos-Institut, di cui rivestì anche il ruolo di primo direttore.

Già dal 1899 Schmidt era divenuto membro della Società Antropologica di Vienna. Fu proprio una conferenza tenuta nel quadro delle attività svolte da questa associazione dall’indologo Leopold von Schröder (1851-1920) nel 1902 a suscitare nel padre Wilhelm Schmidt l’interesse per quello che sarebbe divenuto il tema centrale della sua attività di ricerca, la questione cioè dell’essere supremo presso i primitivi, in

79 “Wilhelm Schmidt was certainly one of the greatest linguists and ethnologists of this century”

(Eliade 1963, p. 103).

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particolare indirizzandolo alla lettura delle opere di Andrew Lang (1844-1912)80, lo studioso scozzese che si era opposto all’evoluzionismo in ambito storico-religioso sostenendo la priorità dell’essere supremo nello sviluppo delle forme religiose.

Tra il 1908 e il 1910 Schmidt pubblicò su Anthropos, la rivista da lui fondata e diretta, una serie di articoli sotto il titolo de L’origine de l’idée de Dieu; la scelta della lingua francese era dovuta all’intento di fornire ai missionari francesi un sostegno apologetico contro gli attacchi che si stavano allora moltiplicando da parte anticlericale. Questi diversi contributi confluirono poi nel volume L’origine de l’idée de Dieu. Étude historico-critique et positive, Paris 1910.

Come gli articoli da cui si era sviluppata, quest’opera rispondeva ad una finalità apologetica: sostenere cioè, alla luce dei dati etnologici e storico-religiosi concernenti la credenza in un essere supremo presso i popoli primitivi, la realtà storica di una rivelazione monoteistica originaria (sia pure come ipotesi)81 e, quindi, la priorità del monoteismo rispetto alle altre forme di religione. Ciò era in accordo con le ipotesi di Lang, ma in evidente contrasto con le teorie evoluzionistiche che del monoteismo facevano al contrario il culmine dello sviluppo religioso; inoltre è chiaro il contrasto con la posizione di Pettazzoni, per il quale il monoteismo non potette sorgere che sviluppandosi e negando un precedente politeismo.

L’opera fondamentale di Schmidt, che costituiva il proseguimento ideale de L’origine de l’idée de Dieu, in cui erano state discusse le diverse posizioni degli studiosi a proposito dell’origine dell’idea di dio, apparve in tedesco e presentava l’opinione dello stesso Schmidt e la documentazione etnologica a supporto e conferma delle sue teorie.

80 È lo stesso Schmidt a riferirlo (Schmidt 1928).

81 Secondo V. Maconi [Tipologia dell’idea di Dio nella Storia delle Religioni, “La scuola cattolica” 90 (1962), p. 421 n. 39] lo stesso Schmidt presentava ai suoi allievi la rivelazione originaria come

“un’ipotesi, nemmeno una teoria”. Tuttavia, nel 1913, Schmidt aveva pubblicato un volume intitolato Die Uroffenbarung als Anfang der Offenbarungen Gottes (Schmidt 1913).

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Quest’opera veramente monumentale82, Der Ursprung der Gottesidee, fu pubblicata in dodici volumi, il primo dei quali apparve nel 1912 e fu poi riedito, in una versione accresciuta, nel 1926; altri dieci volumi apparvero tra il 1929 ed il 1955, mentre l’ultimo fu pubblicato, postumo, a cura di uno dei discepoli e collaboratori di Schmidt, Fritz Bornemann83.

Come abbiamo già ricordato, l’attività scientifica di Schmidt ebbe sempre, fondamentalmente, un obiettivo pratico, missionario da un lato, apologetico dall’altro.

Ma le prospettive dell’azione e dell’attività del padre Schmidt non si limitavano alla sfera più strettamente etnologica e storico-religiosa. Tra il 1914 ed il 1918 Schmidt fu cappellano militare, divenendo anche confessore dell’Arciduca Carlo d’Asburgo, dal 1916 Imperatore d’Austria (poi beatificato da Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004).

Questi gli affidò non solo la cura dei feriti, ma anche la costituizione dei Soldatenheimen, istituti destinati alla ricreazione dei soldati. Ma del padre Schmidt l’imperatore austriaco notò anche uno scritto politico pubblicato, nel 1917, sotto lo pseudonimo di Austriacus observator. In questo opuscolo il sacerdote tedesco proponeva un abbozzo di riforma costituzionale destinato a favorire il ringiovanimento dell’Austria84.

Nonostante l’interesse mostrato dall’imperatore, tuttavia, le proposte dello Schmidt non trovarono poi alcun seguito attuativo, e anzi, i superiori del padre verbita, preoccupati per le possibili conseguenze dell’ingerenza di un membro dell’ordine nelle questioni politiche dell’impero austro-ungarico, imposero la distruzione delle copie dell’opera già stampate, una decisione cui Schmidt si sottomise con piena

82 Indicativa l’affermazione di Mircea Eliade: “No wonder few historians of religion read all of this enormous treatise” (Eliade 1963, p. 103).

83 I volumi II-VI apparvero tra il 1929 ed il 1935; il volume VI uscì nel 1940, i volumi VIII e IX nel 1949, il volume X nel 1952, l’XI nel 1954.

84 Schmidt 1917.

39 obbedienza.

Nel 1918 poi il padre Schmidt progettava di pubblicare, finita la guerra, una serie di quaderni liturgici, concepiti con lo scopo di avvicinare i fedeli cattolici ai valori più profondi della celebrazione liturgica. Quantunque anche questo progetto di Schmidt non sia mai stato portato a compimento, è certo comunque che dall’incontro con lo Schmidt trasse un importante stimolo quel Pius Parsch (1884-1954) che sarebbe poi divenuto uno dei promotori del rinnovamento liturgico del XX secolo nella chiesa cattolica. Fu lo stesso Parsch a definire l’incontro con il padre Schmidt una ”esperienza chiave”.

L’azione del padre Wilhelm Schmidt ebbe modo di esplicarsi però anche nel campo più strettamente sociale: tra le altre attività va segnalata, all’inizio degli anni Trenta, la fondazione di un’associazione per la difesa delle famiglie; il sacerdote verbita avanzò anche la proposta di istituire un sussidio per le famiglie numerose sostenuto da parte di celibi e coppie senza prole (proposta che però fu poi respinta dal governo).

Schmidt inoltre svolgeva sempre le sue regolari funzioni di educatore (insegnava religione presso il Liceo femminile di Mödling) e di predicatore; dalle sue prediche tenute nella chiesa di San Gabriele derivò poi un’opera sulla vita di Cristo85. Schmidt dirigeva anche cori e compose persino una trentina di brani di musica sacra.

Nel 1925, in occasione dell’Anno Santo, il papa Pio XI assegnò al padre Wilhelm Schmidt la cura della sezione etnografica dell’esposizione missionaria che fu allestita a Roma (Musei Vaticani) nel quadro delle cerimonie celebrative di quella ricorrenza.

L’esposizione, nel corso dell’anno, ebbe a registrare la presenza di oltre un milione di visitatori. Un tale successo di pubblico indusse quindi il papa ad istituire un museo etnologico missionario stabile in Laterano, museo del quale fu nominato

85 Schmidt 1948.

40 direttore scientifico proprio lo Schmidt86.

Si deve poi a Wilhelm Schmidt anche la proposta per l’istituzione di una Università cattolica a Salisburgo, un istituto del quale Schmidt avrebbe dovuto essere il rettore, secondo quanto approvato da un programma del 1936 relativo a questo progetto. A causa delle circostanze politiche venutesi a creare a seguito dell’annessione dell’Austria alla Germania nazionalsocialista, anche questo progetto non giunse mai ad attuazione, neppure dopo la fine della guerra.

Schmidt comunque aveva ambito ed ottenuto anche un ruolo di libero docente all’Università di Vienna. Le sue due prime lezioni87, annunciate per il 1921, non furono comunque tenute, per l’assenza di uditori. L’autorizzazione all’insegnamento gli fu poi peraltro ritirata nel 1938, a seguito delle circostanze politiche, e riprese in seguito solo con alcune lezioni tenute come professore ospite tra il 1946 e il 1948.

Di fatto, comunque, Schmidt ammetteva apertamente di non nutrire alcuna particolare propensione e, forse, di non essere nemmeno particolarmente dotato per l’insegnamento, cui preferiva senz’altro l’attività di ricerca, dalla quale del resto spesso traeva l’argomento per le sue lezioni.

Anche l’interesse mostrato da Schmidt verso l’acquisizione della posizione di docente universitario era dovuto principalmente nelle possibilità e nei vantaggi che una tale carica poteva offrire alla diffusione delle sue teorie e, naturalmente, nella maggiore autorità che garantiva loro.

86 Il museo fu inaugurato nel 1927 e rimase in funzione fino al 1963, quando Giovanni XXIII lo fece chiudere. I materiali posseduti dal museo, dopo essere stati temporaneamente depositati in Trastevere, furono alloggiati nel 1973 in un nuovo edificio, appositamente costruito e destinato a nuova sede del museo, che però come tale non è ancora stato riaperto.

87 Gli argomenti avrebbero dovuto essere Die Anfänge der gesellschaftlichen Entwicklung (Ehe, Familie, Stamm, Staat und Kulturgruppen) e Eine Einführung in die Geschichte und Methode der Ethnologie.

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Il 13 marzo 1938, l’Austria fu annessa alla Germania nazionalsocialista: quello stesso giorno Wilhelm Schmidt, che si era anche espresso apertamente contro le teorie razziali, evitò l’arresto soltanto grazie all’intervento del pontefice che, il mese successivo, ottenne, attraverso l’intervento di Benito Mussolini, che lo Schmidt potesse lasciare il territorio del III Reich e raggiungere Roma.

Nella primavera dello stesso 1938 il padre verbita si trasferì in Svizzera, a Froideville (dove venne spostata anche la sede dell’istituto Anthropos). Nello stato elvetico il sacerdote potette svolgere anche incarichi di insegnamento presso l’Università di Friburgo, dal 1939 al 1948. Nella stessa Friburgo lo Schmidt sarebbe poi morto, il 12 febbraio 1954, a poco meno di 86 anni. La sua salma fu poi trasportata e tumulata a S. Gabriele.

42 Il pensiero di W. Schmidt

Malgrado il posto centrale rivestito dall’etnologia nel complesso dell’attività scientifica dello Schmidt, essa si svolse interamente “a tavolino”: le sue ricerche (che portarono ad oltre 700 pubblicazioni) si basarono infatti interamente sulle pubblicazioni scientifiche e sui dati etnografici forniti al sacerdote verbita dai suoi discepoli e dai padri missionari della Societas Verbi Divini.

In particolare Martin Gusinde (1886-1969), Paul Schebesta (1887-1967) e Wilhelm Koppers (1886-1961) furono per Schmidt dei collaboratori fondamentali:

essi raccolsero infatti un cospicuo materiale a supporto delle sue teorie in Africa, America ed Asia, spronati dalla convinzione di Schmidt che fosse assolutamente necessario documentare etnograficamente la cultura delle popolazioni più arretrate prima della loro definitiva ed irrimediabile disgregazione.

Sulla base di queste ricerche Schmidt pubblicò un volume sui popoli

“pigmei”88 nel quale sosteneva la diffusione della famiglia monogamica presso i popoli più arretrati e, di conseguenza, l’infondatezza della teoria della primitiva promiscuità avanzata da Bachofen e Morgan.

Quello della originaria monogamia dell’umanità, insieme a quello della rivelazione originaria e quindi a quello del monoteismo primitivo, rimase sempre uno dei postulati di fondo dell’antropologia di Schmidt, in piena corrispondenza con i dettami dell’enciclica Rerum novarum promulgata nel 1891 da Leone XIII. Del resto le teorie antropologiche avanzate e sostenute da Schmidt furono considerate, nell’ambito della Chiesa Cattolica, una sorta di “sesta prova” etnologica dell’esistenza di Dio. Si può dire dunque che

88 Schmidt 1910.

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“Le idee fondamentali che ispirarono la grande opera di padre Schmidt (...) e che costituirono il background giustificativo del suo immane lavoro sull'origine della nozione di Dio, sono estremamente semplici e appartengono alla più decisa tradizione cattolica della teologia tomistica, nella quale culminano taluni aspetti circolanti nel pensiero dei Padri della Chiesa, negli insegnamenti del magistero e nello sviluppo delle scuole teologiche medioevali (...) [Schmidt] credeva di avere scoperta la perfetta corrispondenza fra i documenti etnologici da lui ordinati e i pronunziati fondamentali della teologia medioevale della rivelazione. Era ora possibile documentare la esistenza di uno stato o di una fase adamitici della rivelazione primordiale, nel corso della quale, Iddio medesimo parlò agli uomini e gli uomini lo videro “volto a volto”

secondo la classica espressone biblica. Ulteriormente lo Schmidt riteneva che codesto riconoscimento della realtà di un Dio unico, definibile secondo le categorie del tomismo (padre, creatore, eterno, provvido ecc.) non appartiene al magma dell' esperienziale e dell'esistenziale, ma alla logica conoscitiva della ragione raziocinante (Dio è sentimento dall'intelletto come causa necessaria che crea e determina la storia). La quale ipotesi, in sostanza, confortava l'antico pessimismo culturale cattolico: tutta la storia reale degli uomini va ricostruita secondo i ritmi del decadimento da una condizione di conoscenza / perfezione iniziali a condizioni sempre più degradate, nelle quali i civili progressi dell'uomo (il passare dalle selve dei cosiddetti “primitivi” al dominio agricolo della terra e all'allevamento degli animali) corrispondono ad una incalzante obliterazione della sua perfezione conoscitiva. In tale senso le culture sono da considerarsi le conseguenze dell'evento peccaminoso di Adamo, che interruppe la relazione “volto a volto” con Dio rivelato.”89.

89 Di Nola 1983. Lo studioso prosegue situando storicamente l’opera del padre verbita: “egli viveva nel pesante clima della polemica antimodernista e dello spirito assolutistico e castrante che aveva distinto il Concilio Vaticano I: e quel Concilio, nella Costituzione Dogmatica intorno alla fede cattolica, aveva stabilito una volta per tutte: “Se qualcuno sostiene che attraverso il lume della ragione umana non sia

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Sebbene dunque tacciabili di essere antiscientifiche e sostanzialmente antiprogressiste, le posizioni di padre Schmidt, proprio per la loro straordinaria adeguatezza a reintegrare nella cultua cattolica la ricerca etnologico-religiosa e quella storico-religiosa, due delle discipline scientifiche ritenute più pericolose per la tradizione dogmatica cattolicesimo, avrebbero visto l’adesione entusiastica di molta parte degli etnologi e degli storici delle religioni di matrice cattolica90.

Dal punto di vista metodologico, Wilhelm Schmidt adottò fondamentalmente i principi ed il metodo dei Kulturkreise o “sfere culturali”. Si tratta di una teoria che, ispirata all’opera del geografo Friedrich Ratzel (1844-1904), ebbe negli etnologi tedeschi Leo Frobenius (1873-1938) e Fritz Graebner (1877-1934), oltre che nello

conoscibile in modo adeguato (certo) che Dio è uno e vero, nostro creatore e signore, e tale sia conoscibile attraverso le cose create, sia scomunicato” (Concilio Vaticano I, sessione III, 24 aprile 1870, Canones I, 1, Denzinger, 1806). Schmidt, cioè, era immerso in quella boria delle certezze totali e matematiche circa la fede religiosa che costituirono un clima del tutto diverso da talune forme del cristianesimo attuale, calate nell'incertezza e nella permanente sperimentazione della propria identità in presenza del messaggio evangelico. Era il duro clima del Sillabo, nel quale le pretese della ragione raziocinante non lasciavano spazio ai momenti dell'interiorità religiosa. D'altra parte gli insegnamenti ecclesiastici coincidevano con le tesi schmidtiane sul decadimento dell'uomo dalla perfezione primordiale e giustificavano il mito prevaricante del peccato originale, che avrebbe ridotto l'uomo a vittima del male, trasformando l'evoluzione e il progresso in involuzione e degradazione. Valga fra tutte la pesante dichiarazione dell'allocuzione Singulari quadam di Pio IX (9 dicembre 1854), nella quale si accusano i razionalisti (cioè i pensatori laici) di aver dimenticato “quale grave e acerba ferita sia stata inflitta dalla colpa dei primi genitori all'umana natura, derivando da tale ferita l'oscurità alla capacità cognitiva (menti) e l'inclinazione della volontà al male”.

90 Uno dei collaboratori di Schmidt, W. Koppers, scrisse: «I popoli etnologicamente antichi e primitivi elevano in tutta la linea la loro voce e dicono: “No, così non va! I vostri tentativi intellettuali, o, meglio, le vostre ipotesi vengono meno, sono false! La nostra credenza in Dio padre, che i nostri maggiori ci hanno trasmesso dalla più remota antichità, non può essere concepita come prodotto finale.

All'opposto noi vediamo in essa piuttosto un principio, il punto di partenza, come lo mostra il nostro racconto della creazione, proprio come si legge nella Bibbia”» (Der Urmensch und seine Weltbild, nella trad. italiana L'uomo primitivo e il suo mondo, Milano, 1953, pag. 294) [citato da Di Nola 1983].

45 stesso padre Schmidt, i suoi maggiori esponenti91.

L’opera di Graebner, Methode der Ethnologie, Heidelberg 1911, sviluppava quella metodologia storico-culturale basata appunto sul concetto di Kulturkreis che fu adottata ed elaborata da Schmidt come base per le proprie ricerce in ambito etnologico e storico-religioso, con particolare riguardo alla questione fondamentale che occupava il centro dell’interesse del padre verbita, la questione cioè dell’origine della religione e in particolare dell’idea di dio.

Si può dire che l’etnologia storica si proponesse di individuare delle culture, in opposizione all’antropologia evoluzionistica che, invece, cercava di individuare i diversi stadi dell’unica cultura umana. L’oggetto dell’etnologia storica, quindi, diventano appunto le culture storicamente interpretate, onde la sua problematica si svolge in sintonia con le scienze storiche invece che con le scienze naturali come implicava una concezione evoluzionistica del progresso umano92.

È interessante, credo, riportare le osservazioni di Angelo Brelich, discepolo di Raffele Pettazzoni e suo successore alla cattedra romana di storia delle religioni, in merito a questa fase degli studi storico-religiosi:

“Come spesso accade nella storia delle idee, il comparativismo evoluzionistico arriva al suo più esuberante sviluppo, nei primi decenni del nostro secolo, proprio quando le basi ideologiche da cui partiva cominciano già a vacillare. Il tramonto del positivismo era già in atto da tempo. Nel nostro campo di studi esso farà sentire i suoi effetti un po’ più tardi, nella forma di una reazione diretta che al razionalismo positivistico

91 Il ruolo di Frobenius nella genesi del metodo dei Kulturkreise fu ingiustamente sminuito, non ultimo proprio da Wilhelm Schmidt, sulla base di un presunto pater peccavi dello stesso Frobenius, che però, in realtà, del metodo aveva solo rilevato la meccanicità e l’inorganicità nell’analisi culturale dovuta all’isolamento dei singoli elementi rispetto al singolo contesto: cf. a questo proposito Jensen 1992, pp.

36-43.

92 Sabbatucci 1987, p. 73.

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contrapporrà un irrazionalismo intuizionistico senza controllo e freni, alla ‘stupidità primordiale’ sostituirà una chi sa quale sublime profondità delle origini e concepirà il cammino dell’umanità, anziché come un’evoluzione lineare, come un processo di imbarbarimento. Ma è interessante notare che i connotati fondamentali di questa reazione si ritrovano anche alle basi ideologiche di quella cosiddetta scuola storico-culturale che pur muoveva da giuste istanze storiografiche e che non rinunciava, se non per le ultime questioni che le premevano, al rigore scientifico: anch’essa, infatti, pone alle origini la perfezione, sostituisce all’evoluzione la decadenza e ai dogmi del razionalismo positivistico

contrapporrà un irrazionalismo intuizionistico senza controllo e freni, alla ‘stupidità primordiale’ sostituirà una chi sa quale sublime profondità delle origini e concepirà il cammino dell’umanità, anziché come un’evoluzione lineare, come un processo di imbarbarimento. Ma è interessante notare che i connotati fondamentali di questa reazione si ritrovano anche alle basi ideologiche di quella cosiddetta scuola storico-culturale che pur muoveva da giuste istanze storiografiche e che non rinunciava, se non per le ultime questioni che le premevano, al rigore scientifico: anch’essa, infatti, pone alle origini la perfezione, sostituisce all’evoluzione la decadenza e ai dogmi del razionalismo positivistico