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Raffaele Pettazzoni nasce a S. Giovanni in Persiceto, nella provincia di Bologna, nel 1883. Dopo gli studi primari e quelli liceali, si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Bologna, dove si trova a dover seguire corsi che lo porteranno ad avere una formazione abbastanza poliedrica, acquisendo ottime conoscenze sia nel campo della linguistica, che dell’archeologia, che della storia.

Laureatosi nel 1905 con una tesi su Le origini dei Kabiri nelle isole del mar Tracio132, Pettazzoni mostra già in questa prima fase del suo periodo formativo una decisa predilezione per gli studi storico-religiosi, interesse che, tuttavia, trova degli ostacoli perché si scontra con l’assenza, in Italia, di un’apposita scuola di perfezionamento (non esiste nemmeno un manuale italiano di storia delle religioni né una traduzione in lingua italiana di manuali stranieri)133. Egli, però, era convinto, come sostenne nella Esposizione della operosità scientifica e didattica del concorrente prof. Raffaele Pettazzoni presentata nel 1913 al concorso per prof. Straordinario alla cattedra di Storia delle religioni a Roma

“(…) che per fare della storia delle religioni è necessario non chiudersi nel campo di una singola disciplina, anzi abbracciarne parecchie come sussidiarie ed integratrici, nessuna coltivando come fine, ma quanto più è

132 Tale tesi di laurea costituirà la sua prima pubblicazione scientifica, nel 1909, nei Rendiconti dell'Accademia dei Lincei (Pettazzoni 1908).

133 Sulla situazione degli studi storico-religiosi tra Ottocento e Novecento si veda in particolare N.

Spineto, Storia delle religioni e storia del cristianesimo: un dibattito intellettuale di inizio secolo, in Il cristianesimo e le diversità. Studi per Attilio Agnoletto, a cura di R. Cacitti, G. G. Merlo, P. Vismara, Milano 1999, pp. 263-293.

67 possibile come mezzo”

Comincerà dunque dall’archeologia, come “(…) validissimo strumento sussidiario per la conoscenza del mondo classico e del mondo orientale”134.

Gli anni compresi tra il 1909 e il 1914 sono anni decisivi per la sua formazione di studioso. Divenuto Ispettore nel Museo preistorico-etnografico, egli ha in tal modo l’occasione di integrare la sua formazione classica con lo studio delle civiltà primitive, che per Pettazzoni rivestono un ruolo di grande importanza per la Storia delle religioni.

“Un altro strumento che è pure indispensabile a chi voglia coltivare la storia delle religioni, voglio dire lo strumento etnologico, potei procurarmi quando nel 1909 entrai per concorso al Museo preistorico etnografico di Roma”135.

In questi anni egli si propone un programma ambizioso: studiare sistematicamente le credenze e gli usi religiosi di tutte le popolazioni a livello etnologico, a cominciare dalle tribù africane e dagli aborigeni australiani. Estende quindi enormemente le sue conoscenze in Etnologia e pone basi fondamentali per il suo percorso storico-religioso, arrivando presto a pubblicare alcuni saggi e il volume La religione primitiva in Sardegna136.

“E quando poi diventai ispettore nel museo che allora si chiamava Kircheriano, ed ora si intitola con il nome di Luigi Pigorini, mi parve di essere come “élaphos es gàla épetes”, un capretto caduto nel latte, per

134 Nel 1908, infatti, Pettazzoni consegue il diploma di perfezionamento in Archeologia sotto la direzione del paletnologo Edoardo Brizio, per poi pubblicare la monografia sui Kabiri.

135 Queste le parole di Pettazzoni nel curriculum presentato per il concorso alla cattedra di Storia del cristianesimo all’Università di Roma nel 1913. Cf. M. Gandini, Raffaele Pettazzoni dall’archeologia all’etnologia (1909-1911). Materiali per una bibliografia, in Strada Maestra 34, 1993, p. 111.

136 Pettazzoni 1912.

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dirla con gli Orfici, ossia di toccare il cielo con un dito… Fatto è che quei cinque anni che ho passato in quelle celle dell’antico Collegio Romano, in quel silenzio di corridoi, in quella solitudine e calore spirituale che mi venne dall’ambiente, con una grande biblioteca a portata di mano, quelli sono stati gli anni decisivi per la mia formazione di studioso, dove ho potuto integrare la mia formazione classica con lo studio delle civiltà primitive che hanno tanta importanza per la storia delle religioni. Furono anni di intensa concentrazione intellettuale favorita da un ambiente austero come quello del Collegio Romano. Al centro di Roma io avevo la possibilità di isolarmi dal mondo, e mi isolavo volentieri dal mondo. In quella solitudine claustrale, in quell’interminabile fila di stanze ricavate dalle celle dei padri della Compagnia di Gesù, e trasformate in un Museo, nella quotidiana consuetudine con gli strumenti dell’uomo preistorico, e con le suppellettili dei selvaggi attuali, io passai degli anni tranquilli e decisivi”137.

Nonostante la necessità di dedicare alcune ore giornaliere al lavoro di ufficio nel Museo etnografico Pigorini, Pettazzoni di fatto spende la maggior parte del tempo nei propri studi e nelle proprie ricerche, riuscendo talvolta a conciliare perfettamente gli impegni lavorativi di tipo burocratico con i propri interessi.

È questo il caso degli studi paleontologici che lo portano, alla fine del 1909, ad assistere ad una campagna di scavi in Sardegna. Questa rappresenterà per lui un’occasione preziosissima, che lo indurrà ad addentrarsi nel tema della religione degli antichi Sardi, aiutandosi egli da una parte con gli strumenti di svariate discipline, l’antropologia, l’archeologia, la sociologia, la mitologia, dall’altra con la comparazione tra l’ambiente protosardo e le aree del bacino occidentale del Mediterraneo ad esso affini, storicamente ed etnicamente.

137 Cf. ibidem, pp. 111-112.

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A questo periodo appartiene dunque quella che possiamo definire la “svolta etnologica” nella formazione dello studioso persicetano. Dopo un prima fase filologica, passando per una seconda più incentrata sull’archeologia, adesso arriva il momento etnologico che lo porterà a maturare due lavori che risultano fondamentali agli scopi della nostra analisi: l’articolo sul rombo australiano e il volume sulla religione primitiva in Sardegna138.

La sua metodicità e sistematicità lo portano ad esaminare le civiltà di tutti i popoli della terra, ma egli si concentrerà in particolare sui popoli c.d. primitivi, ponendo particolare attenzione alle loro credenze religiose. Queste rappresenteranno le basi non solo dell’opera dell’ Essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, ma anche dell’ Onniscenza di Dio. Tale documentazione costituirà dunque il prezioso bagaglio che egli si porterà appresso nel corso di tutta la sua carriera scientifica.

Il periodo etnologico, inoltre, svolgerà un ruolo decisivo per il suo approfondimento e successivo inserimento nel dibattito contemporaneo attorno al tema dell’essere supremo e delle origini dell’idea di dio. Egli, infatti, non solo intensifica lo studio delle opere degli autori a lui contemporanei, ma accumula una serie di riflessioni e osservazioni che saranno la base di partenza per la maturazione delle proprie teorie.

Anche armandosi di tutta la pazienza e sistematicità necessarie sarebbe impossibile poter riordinare in un quadro sistematico tutto il materiale accumulato da Pettazzoni in questo periodo, ma le sue pubblicazioni con i relativi apparati bibliografici degli anni compresi tra il 1910 e il 1916 ci possono fornire una vaga idea dell’immenso lavoro alle spalle di tali articoli e opere.

Tra le letture di Pettazzoni in questa sua fase formativa vanno annoverate anche le opere di Benedetto Croce, uno studioso – e un uomo politico - con il quale lo studioso avrà un rapporto altalenante.

138 Cf. infra.

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Pettazzoni, appena ricevuti gli estratti di un suo articolo su Philoktetes-Hephaistos, pubblicato nella “Rivista di filologia e d'istruzione classica” nella primavera del 1909139, ne invia un esemplare anche al Croce, che gli rispondende ringraziandolo e scrivendogli, tra l’altro, “(...) mi sono rallegrato nel leggerlo, vedendo l'avviamento nuovo che Ella dà allo studio dei miti”140.

L’influsso di Croce, in questa e più in generale in tutti i primi lavori di Pettazzoni e negli stessi problemi che questi si andava ponendo, è palese. Nel progressivo sviluppo della sua personalità di studioso, tuttavia, nonostante l’adesione allo storicismo come elemento fondamentale della ricerca, le posizioni di Pettazzoni divennero, per il filosofo di Pescasseroli, inaccettabili.

Tra i motivi di dissenso che dividono i due studiosi vanno annoverati fondamentalmente l’approccio comparatistico, che l’idealista italiano riteneva incompatibile con lo sviluppo storico dello Spirito, e la stessa categorizzazione della religione, un oggetto che non trovava spazio nelle categorie elaborate dal Croce e che pertanto non poteva aspirare ad assurgere ad oggetto di una speciale disciplina – la storia delle religioni, appunto141. Secondo Ambrogio Donini

“(...) non è un segreto che Benedetto Croce avversava lo studio della storia delle religioni, lo considerava inutile. Egli vedeva nella religione soltanto una specie di fase infantile dell’umanità, che ad un certo momento si sarebbe automaticamente superata da sé, passando alla concezione filosofica della vita”142.

In effetti, nel 1924-1925 tra i due studiosi italiani si sarebbe accesa una vivace polemica a proposito dell’insegnamento universitario della storia delle religioni.

139 Pettazzoni 1909a.

140 La lettera è citata in Gandini 1992b, p. 217.

141 Sul rapporto tra Pettazzoni e Croce cf., ad esempio, Mihelcic 2003, pp. 42-49.

142 Donini 1969.

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Commentando l’istituzione della cattedra romana, cui era stato designato appunto il Pettazzoni, Croce scrisse143:

“In verità, codesti studii di storia delle religioni c relative cattedre non sono sorti in Italia ai giorni nostri per alcun bisogno nè speculativo nè morale, ma unicarnente per bisogno di erudizione, per far che l'Italia (come si dice) non resti indietro agli altri paesi ne1 culto di tali studi, che anche in Italia vi sia gente che abbia pratica della relativa letteratura, e, come può, l'accresca. Sono sorti, insomma, allo stesso modo in cui si procura di comp1etare le collezioni di una biblioteca: quel materiale librario, come quelle cattedre o quei volumi di erudizione, potranno eventualmente servire; e non dirò che questo intento non sia laudabite, ma sarebbe caso affatto nuovo che dal collezionisino bibliografico ed erudito nascesse un moto ideale e originale, e da una rassegna enciclopedica di tutte le religioni una coscienza religiosa”.

A questo proposito è interessante l’osservazione di Dario Sabbatucci144 che sottolieava come, alla base di questa ingenerosa critica crociana, vi fosse in realtà una incomprensione di fondo della posizione metodologica e dello stessa volotnà storicistica di Pettazzoni, in quanto – anche nella prolusione del giovane professore persicetano - era ben esposto e proclamato come la comparazione

“poteva farsi fonte di sapere storico (non di erudizione!) purche non riducesse i fatti comparati ad un medesimo livello, senza prospettive, identificandoli e spiegandoli l'un con l'altro astrattamente da ogni reale svolgimento storico; lo poteva, invece, quando, dopo aver proposto la comparabilita, si cercasse di rilevare le differenze sostanziali e di sviluppo dei fatti esaminati, le quali, e pro-prio le quali, servono a distinguere e ad individuare le singole forma-zioni, e a fare cosi vera

143 Nella Rivista bibliografica del numero de “La Critica” del biennio 1924-1925, alle pp. 312-313.

144 Sabbatucci 1960, p. 3.

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storia perche la storia ,,non puo farsi se non distinguendo, ossia individuando” (...) la comparazione che rilevava “concordanze” e

“discordanze” di fatti storici, stimolava senza dubbio la ricerca intesa a spiegare le une e ad usare le altre come elementi di qualificazione, finche si giungesse all'ambita meta della ricostruzione di una “storia anteriore al documento”. Che tale e nella maggior parte dei casi la storia religiosa dei vari popoli, ed essa rimane inconoscibile finche non acquista certe insopettate dimensioni svelate soltanto dalla comparazione”.

Si vede, dunque, quanto fosse ampio il divario tra il pensiero del filosofo e quello di Raffaele Pettazzoni in merito ai fini della storia delle religioni come disciplina. Il divario, tuttavia, dovette venirsi progressivamente a ridurre, poiché nel 1951 Benedetto Croce non negherà alla nascente Società Italiana di Storia delle Religioni la sua adesione.

Per quanto riguarda più strettamente il nostro tema, come si è accennato, la stessa impostazione del problema del mito e della mitogenesi – e, di conseguenza, anche la questione dell’essere supremo, risentirà dell’influsso crociano nella contrapposizione tra concetto frutto della ragione e mito come prodotto dell’intuizione.

Oltre a queste letture filosofiche e parallelamente agli studi paleontologici, tra le immense letture di questo periodo Pettazzoni affronta anche un altro tema che lo accompagnerà durante tutto il suo percorso scientifico e al quale sarà dedicato ampio spazio nell’opera del 1922: il mito.

Numerosi appunti e schede rivelano non solo che egli sta approfondendo l’argomento attraverso una serie di letture, sia in riviste specializzate che, in generale, nella letteratura scientifica, ma anche che sta gradualmente maturando le idee che

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esporrà prima nell’articolo del 1913145 e poi, più sistematicamente, nell’opera del 1922.

Al 1911 risalgono gli studi sul rombo. Nel Museo etnografico esamina un materiale considerevole sugli indigeni dell’Australia settentrionale. Di questo materiale fa parte una tavoletta ovale di legno (bull-roarer – mugghio di toro) utilizzata per emettere un particolare suono nelle cerimonie d’iniziazione dei maschi presso le popolazioni di quell’area. Questi studi culmineranno dapprima nell’articolo Un rombo australiano, pubblicato nell’ Archivio per l’antropologia e la etnologia nel 1911, e nell’articolo del 1912 Mythologie australienne du rhombe, pubblicato nella Revue d’Histoire des Religions (de las Religiones), un lavoro che attirerà l’attenzione di W. Schmidt.

145 Cf. infra.

74 Situazione della storia delle religioni in Italia

Come è ben noto, un evento centrale nell’organizzazione dell’insegnamento delle discipline religiose in ambito accademico italiano fu rappresentato dall’abolizione delle facoltà teologiche nelle università dell’unificato Regno d’Italia146. Nonostante alcuni (in particolare il senatore, poi Ministro della Pubblica Istruzione C. Matteucci) si esprimessero a favore della conservazione delle facoltà teologiche, seguendo l’esempio della Germania, la situazione appariva loro poco favorevole. L’abolizione fu proposta dalla “Destra storica” liberale in quanto essa riteneva che l’insegnamento delle materie legate alla fede costituisse un compito pertinente essenzialmente all’autorità ecclesiastica: l’abolire le Facoltà di teologia nelle università statali si sarebbe quindi risolto in un reciproco riconoscimento di competenze tra stato e chiesa, oltre a tagliare un costo che non sembrava opportuno far pagare allo stato italiano.

Così esprimeva le sue posizioni in proposito l’onorevole Macchi, favorevole all’abolizione delle facoltà teologiche:

“(...) non io dico per questo , o signori, che lo Stato debba impedire che altri insegni le tradizioni teologiche, o come curiosità di erudizione, o come dogma di fede. Ma lasci la facoltà d’insegnarle a chi le vuole, e chi le vuole le paghi. Questo insegnamento di una sola teologia è poi anche contrario alla libertà di culto, la quale, col modesto nome di tolleranza è sancita nel nostro Statuto. Imperocché nessuno può trovar giusto che i credenti in altre religioni paghino l’insegnamento di cose che agli uni

146 Cf. soprattutto Ferrari 1968. Nel 1861 tali facoltà erano presenti a Torino, Pavia, Milano, Genova e Cagliari.

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possono parere assurde, agli altri una bestemmia”147.

I sostenitori del mantenimento dell’insegnamento teologico si richiamavano invece, in particolare, alla sua necessità per garantire la completezza del campo degli studi universitari, oltre al valore intrinseco della materia. Cattedre di storia e scienza delle religioni, intese non in ottica confessionale ma anzi in senso storicistico e comparatistico, erano già state istituite nelle università dei Paesi Bassi (Leida, 1876), in Svizzera (1877), al Collège de France di Parigi (1879), a Bruxelles (1884).

Relativamente in ritardo fu la Germania (1910, Berlino; 1912, Lipsia), mentre il Giappone ebbe una cattedra già nel 1903 (Tokyo).

A Parigi era stata fondata anche (1880) la “Revue de l’histoire des religions”, una rivista dedicata esclusivamente alla storia delle religioni, come anche la V sezione dell’École pratique des Hautes Études, istituita nel 1886 e caratterizzata anch’essa da un approccio fondamentalmente laico allo studio delle religioni. Tra coloro che erano contrari al mantenimento delle facoltà di teologia i liberali stimavano inopportuno che l’insegnamento della dottrina cattolica fosse svolto a spese dello stato, tanto più che uno “stato catechista” appariva contraddire la piena libertà di culto.

Più articolata era la posizione di quanti, come Bonghi e De Boni, sul modello della Germania, dell’Inghilerra, della Francia, proponevano di trasformare le cattedre teologiche assorbendole all’interno delle facoltà di Lettere e Filosofia, mutandole dunque da sedi di insegnamento dottrinario e confessionale a centri di studio scientifico e comparato delle religioni148.

L’onorevole Guerzoni, nel sostenere questa posizione, accenna alla necessità di questa “scienza della religione”, ormai più qualificata della teologia tradizionale

147 Cit. in Turchi 1924, p. 9.

148 Turchi 1924, pp. 3-41.

76 all’indagine delle realtà religiose149.

Al di là delle considerazioni meramente scientifiche relative all’interesse dell’insegnamento – e quale insegnamento - della religione nelle università italiane, la questione aveva alla base importanti aspetti politici, riflessi dalla varietà delle posizioni assunte: mantenere l’insegnamento della teologia poteva essere interpretato come gesto di non ostilità nei confronti della Chiesa. D’altra parte, però, la sua abolizione avrebbe comportato il riconoscimento della Chiesa come unica depositaria del diritto di insegnamento delle dottrine cattoliche, un diritto che la Chiesa stessa difficilmente avrebbe potuto riconoscere allo stato italiano, massime dopo Porta Pia.

Lo stesso stato italiano, però, avrebbe in tal caso demandato alla Chiesa un elemento importante della propria cultura nazionale; proprio per questo il Bonghi mutò opinione esprimendosi a favore del mantenimento della facoltà teologiche universitarie, le quali avrebbero potuto supportare la diffusione in Italia del pensiero riformista. La discussione, proprio in considerazione di queste implicazioni politiche, si protrasse a lungo.

Ernesto Buonaiuti, studioso di storia delle religioni ma insieme sacerdote e convinto modernista, impegnato in prima linea nella diffusione della disciplina in Italia, analizzava così la situazione in cui si erano venute a trovare le facoltà teologiche italiane dopo l’unificazione:

“In realtà, simili corsi teologici nelle aule universitarie costituivano un duplicato altrettanto costoso che inutile. Il Governo non era affatto riuscito ad attrarre nelle sue scuole superiori il giovane clero, la cui formazione intellettuale non avrebbe mai potuto essere demandata dalle autorità episcopali ad un potere laico, cui non si riconosceva alcuna potestà di monopolizzare la formazione dei sacerdoti cattolici, e di cui si diffidava e si sospettava, senza probabilità imminente di pacificazione. E d’altro canto la spiegabilissima indifferenza del pubblico colto pei corsi dai quali

149 Cit. da Turchi 1924, p. 21.

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doveva esulare per definizione una valutazione puramente storica ed oggettiva del fatto religioso e del suo contributo allo sviluppo etico-sociale del genere umano, rendeva vano sperare che i corsi teologici delle Università, disertati dal clero, potessero quando che sia adunare studenti laici”150.

La definitiva decisione del Senato, votata nella seduta del 26 gennaio 1873, seguì la linea del ministro C. Correnti: le facoltà di teologia furono abolite, pur con la possibiltà, per quegli insegnamenti che risultassero possedere “un generale interesse di cultura storica, filologica e filosofica”, di essere assunti dalle facoltà di Lettere e Filosofia.

Questa possibilità, tuttavia, pur essendo contemplata ufficialmente negli atti, non vi possedeva quella necessarietà legale che sarebbe stata invece necessaria ed infatti, come conseguenza, quell’auspicato sviluppo delle discipline storico-religiose in conseguenza dell’abolizione dell’insegnamento teologico nell’ambito accademico nazionale non si verificò.

Un eccezione si ebbe a Napoli, dove l’insegnamento di Storia della Chiesa, già tenuto da Filippo Abignente fin dal 1861, fu confermato nonostante l’abolizione della facoltà teologica.

Lo stesso Abignente aveva sostenuto alla Camera (nel 1872) la trasformazione dell’insegnamento di Storia della Chiesa in quello di Storia comparata delle religioni.

La cattedra, tenuta dall’Abignente fino al 1876, fu poi assunta da Raffaele Mariano che la tenne dal 1885 al 1904.

Un caso particolare si ebbe poi presso l’università di Roma, dove nel 1886 fu assegnato l’incarico per l’insegnamento della storia delle religioni a Baldassarre Labanca, che all’epoca era ordinario di Filosofia Morale all’università di Pisa. Già nel 1888 però questo insegnamento fu trasformato, su richiesta dello stesso Labanca,

150 Buonaiuti 1919.

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tramutandosi in un insegnamento di Storia del Cristianesimo.

Anche in questo caso, alla base delle decisioni ministeriali in merito all’insegnamento, si celavano delle motivazioni di carattere prettamente politico: la scelta della dicitura “storia delle religioni” per l’insegnamento romano affidato a Labanca mirava sostanzialmente ad evitare le reazioni, da parte clericale, all’instaurarsi di un insegnamento di storia del Cristianesimo impartito nella capitale del cattolicesimo da un laico che considerava la materia oggetto di ricerca laica e

Anche in questo caso, alla base delle decisioni ministeriali in merito all’insegnamento, si celavano delle motivazioni di carattere prettamente politico: la scelta della dicitura “storia delle religioni” per l’insegnamento romano affidato a Labanca mirava sostanzialmente ad evitare le reazioni, da parte clericale, all’instaurarsi di un insegnamento di storia del Cristianesimo impartito nella capitale del cattolicesimo da un laico che considerava la materia oggetto di ricerca laica e