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Ippolito II, collezionista: gli scavi e gli acquisti

Ippolito II riuscì tra acquisti e attività di scavo a raccogliere un'importante collezione di oggetti antichi destinata ad abbellire le sue splendide ville.

Divenuto governatore di Tivoli, il cardinale promosse una serie di campagne di scavo presso la Villa Adriana112. I manoscritti di Pirro Ligorio dedicati alle antichità tiburtine costituiscono la fonte più importante, insieme alla corrispondenza del cardinale di quegli anni, per recuperare notizie sulle antichità della sua collezione provenienti dalla residenza imperiale113. Ligorio raccontando i lavori di scavo intrapresi nelle diverse aree della villa fornisce infatti dettagliate descrizioni non solo delle strutture antiche emerse, ma anche dei consistenti nuclei scultorei rinvenuti, permettendo in alcuni casi il riconoscimento dei pezzi all‟interno delle collezioni estensi, e in altri quanto meno di avanzare delle ipotesi.

A spese del cardinale d‟Este e sotto la direzione di Ligorio si riportarono alla luce i resti della cavea e della scena del Teatro Greco, la cui decorazione era stata già arsa et spogliata per altri tempi. La scena, dice Ligorio, aveva infatti “un bellissimo ornamento […]tutto di statoe stolate di marmo pario che servivano per colonne, ornato per ogni verso, et tra le porte et esse imagini erano poste le Muse, Apolline, Egle, Mnemosine, Minerva, Venere et Baccho, delle quali sono visti alcuni frammenti. Egle haveva la cintura col clypeo, ciò è scudo picciolino, col volto del Splendore nel mezzo, lo qual clypeo affibulava nel mezzo del petto la cintura che attraverso gli è legata, calando giuso dalla spalla destra a lato sinistro, et dalla spalla sinistra al lato destro cinge il petto, et sotto le mammelle vistiti di sottilissimi veli […].

Vi furono trovati alcuni termini, tutti consumati, ch‟erano memoria di alcuni sacerdoti.

Quello che rappresentava il sacerdote di Apolline era termine dal mezzo in giuso et d‟indi in suso tutto il corpo gnudo, con un mantello su la spalla coronato di lauro, nella mano destra haveva una patera, nel braccio sinistro il cygno uccello. Il sacerdote Baccho haveva la

112 Venturi1890, p. 197 e 201; PalmaVenetucci 1992, pp. 1– 8; De Franceschini 1991, pp. 597–600; Paribeni 1994, pp. 23 – 24; Cacciotti2010, p. 77. La villa tiburtina dell’imperatore Adriano, che superava di molto tutte le altre ville imperiali per grandezza, complessità e sfarzo e che comprendeva un apparato scultoreo di circa cinquecento sculture, era stata già dall’età medioevale oggetto di distruzioni e cava di materiali, reimpiegati nelle chiese e nelle case di Tivoli. A partire poi dal XV secolo, fino al XIX secolo, una lunga serie di scavi alimentò un fiorente commercio antiquario ed il collezionismo.

113 Ligorio dedica alle antichità della città di Tivoli tre opere, pressoché identiche nel contenuto. La Descrittione, il Trattato e il Libro. Oggetto di recente pubblicazione, le citazioni del testo ligoriano sono tratte dal Libro, segnalando solo le differenze sostanziali con gli altri manoscritti. I tre trattati di Ligorio sulla villa imperiale si sono rivelati una preziosa fonte anche per rintracciare antichità tiburtine anche in altre collezioni romane del tempo: quella Carafa e Grimani sul Quirinale e il Palazzo Farnese con i suoi giardini oltre il Tevere.

29 corona di hellera con una maschera nel volto di huomo, con barba et capelli, havea dal mezzo in suso un festone di hedera, da la mano destra il cantharo vaso, da la sinistra un caprone, il resto era termine quadrato. Quello che rappresentava il sacerdote di Pan, dio di pastori per causa delle cose bucoliche, haveva in testa un cappello rotondo allacciato sotto della gola, con barba hispita, et corona di selvatiche vitaggi, con una pelle indosso et sopra un mantelletto: colla mano destra tiene una secchia, colla sinistra tiene in spalla un capretto, il resto tutto pietra quadrata. Il sacerdote delle Nimphe haveva la corona di olivastro, con uno mantello avvoltato attorno, colla mano destra al petto si tiene la veste che gli cala, velandogli il capo, attorno alle spalle et nella mano sinistra tiene una canna colle frondi, mostrando le cose di fiumi et pastorali, le cose dell‟amore di Syringha, tutto il restante a guisa di pietra quadrata; la cui faccia è tutta ridicola et con barba attorcigliata et co‟capelli longhi et vagamente acconciati”114.

La costruzione sopravvive a poca distanza dall‟attuale ingresso alla villa ed è testimoniata da poche strutture pertinenti al pulpitum e alla cavea, mentre l‟orchestra giace sotto un cospicuo interro che nasconde anche buona parte della fronte del pulpitum115. Per questo la descrizione delle strutture è breve e senza alcun accenno allo stato di conservazione. Numerosi e circostanziati sono invece i dati relativi ai cospicui ritrovamenti scultorei qui effettuati, ridotti nella gran parte in frammenti ma sufficienti all‟autore per ricostruire, sulla scorta di schemi evidentemente già noti per i teatri antichi, una scaenae frons imponente e fastosa: quindici le statue elencate per un impianto decorativo che contava anche cariatidi con personaggi stolati e sei erme di sacerdoti poste in corrispondenza delle rampe che conducevano al pulpitum. In assenza di dettagliate descrizioni dell‟iconografia del ricco apparato scultoreo si è potuto solo individuare possibili paralleli nella documentazione grafica e avanzare ipotesi di identificazione solo per alcune delle statue citate. La statua di Bacco potrebbe corrispondere ad una immagine colossale del dio che fu trasportata dalla villa di Montecavallo nei giardini della villa d‟Este dove rimase esposta, prima in una delle due nicchie del piano terra del Cenacolo e successivamente nella grotta che si apre nel cortile della Fontana dell‟Ovato, fino alla fine del Settecento quando fu acquistata da Vincenzo Pacetti116. La Mnemosyne potrebbe invece corrispondere a una delle due riproduzioni della stessa presenti nella raccolta grafica di

114 De Franceschini1991, pp. 601–603; Ligorio2005, pp. 57, c. 35.

115 Ten 2005, p. 180. La possibilità di riportare alla luce le strutture interrate è compromessa dall’affioramento di una falda idrica, tanto che nei secoli passati la zona era individuata come Pantanello.

116 Cfr. scheda n 75.; Giannetti2015.

30 G. B. de Cavalieri117, probabilmente quella della tavola n. 55, oggi al Museo Chiaramonti118. Data la contemporaneità del testo del Ligorio con i disegni di G. B. de Cavaleri, con ogni probabilità i due antiquari fanno infatti riferimento nelle identificazioni dei personaggi alla stessa iconografia.

Infine di statue di Minerva nelle collezioni estensi due, oggi al Museo Chiaramonti119, sono documentate da Girolamo da Carpi a Montecavallo120 e una terza era nella villa tiburtina e da qui passò ai Musei Capitolini121. Non è possibile però affermare quale delle tre statue corrisponda alla scultura rinvenuta presso il Teatro Greco e quali provengano da altri siti122. Un notevole gruppo di statue antiche fu rinvenuto presso l‟edificio della c.d. Palestra da Giovanni Battista Cappuccini, proprietario dell‟area.123 Ligorio annota infatti che “Messer Giovanni Battista Buccicola, padrone del luogo, trovò belle statoe, impiedi et assise, dove fu trovata l‟imagine dell‟imperadore Hadriano col corpo ignudo, ma di un paludamento o vogliamo dire clamide disopra, all‟uso heroico, cpn un prbe o vogliamo dire palla in mano, l‟altra tiene appoggiata ala fianco, alta dieci palmi. La quale è locata oggidì in Roma nel giardino del cardinal di ferrara, sul colle Qurinale, dove sono dedicate l‟altre imagini di questo luogo, ciò è la statoa di Cerere, la testa colossa de la dea Iside o vero Inache, della Dea Iside, con quel grande bubo che haveva appiedi; la qual testa, nel luogo della villa, era posta su un pilastro che davante era piano e didietro tond, molto alto, nell‟apsida che faceva fonte. Oltre a questa testa, vi fu trovata una Hecate vestita che porta un vaso[…]. Eravi la imagine di Iove assisa, le quali tutte stavano in luoghi alti, ma abasso, sopra di basamenti ch‟erano attorno de la piazza che serviva per orchestra; per che quivi erano altre stoe di atleta oltre ai luoghi da correre et da lottare, et tra le figure rotte di marmo rosso, v‟erano tre mezze figure con la effigie di Milone Crotoniata: l‟una haveva la pelle del leone per che fu reputato Hercole, l‟altre hanno in mano spetie di pesi detti alteres […]. Le teste, dunque, con li petti et braccie mostravano, per li loro istrumenti, simile luogo essere una Orchestra, luogo da saltare et da fare giuochi athletici per che esse havevano il capo raso, come gli athleti

117 Hülsen 1917, pp. 104–105, nn. 53–54, figg. 80–81.

118 Amelung 1903, p. 427, n. 177, tav. 44; Baldassarri 1989, p. 101, n. 44. L’altro disegno riproduce più probabilmente la statua rinvenuta nell’Odeon (cfr. infra). Cacciotti 2010 p. 81.

119 Amelung 1903, pp. 352–354, n. 63, tav. 44; pp. 575–576, n. 403, tav. 88.

120 Hülsen 1917, pp. 104–105, nn. 51–52, figg. 78–79; Canedy 1976, p. 45, R40, tav. 6: p. 95, T38, tav. 34.

121 Stuart Jones1912, p. 299, n. 36, tav. 73, Reader 1983, pp. 199–200, V 23; Baladassarri 1989, pp. 103–104, n.

45.

122 Una statua di Minerva compare anche tra i rinvenimenti dell’Odeon. Cfr. infra.

123 La c.d. Palestra sorge all’imbocco di una vallecola, sul versante di villa rivolto verso Tivoli. Si tratta di un compatto gruppo di edifici di circa 100 metri di lato, accostato al costone tufaceo che delimita la soprastante platea su cui si sviluppa la villa. L’articolazione del complesso, oggi quasi del tutto sepolto, compare dettagliatamente già nella pianta del Contini.

31 usavano per non esser presi pe‟ capelli […]. Erano, dunque, esse teste giovani di età et coronate di olivastro, corone che solevano havere nella vittoria de la palestra in Olympia124. Ligorio informa che le opere rinvenute passarono quasi tutte in possesso di Ippolito II e furono trasportate nella sua villa sul Quirinale. La statua detta di Adriano125, in realtà un Hermes – Anubi attribuito all‟imperatore per la testa di restauro, e il busto colossale di Iside126 sono conservati oggi nei musei Vaticani; la statua di “Hecate vestita” con un vaso tra le mani va riconosciuta nel sacerdote isiaco giunto nei Musei Capitolini127; mentre la statua c.d. di Cerere, in mancanza di maggiori dettagli, potrebbe essere identificata nella Iside – Fortuna ancora nei giardini del palazzo del Quirinale128, oppure nella Cerere esposta a Villa d‟Este.129 Il cardinale, dopo la scoperta, ottenne probabilmente anche uno dei tre busti in marmo rosso antico130. La testa fu però presto ceduta ai Musei Capitolini, forse oggetto di scambio con il

“Popolo romano”, essendo assente nella documentazione estense della fine del Cinquecento e trovandosi attestata presso il Palazzo dei Conservatori nell‟inventario del 1627 131.

Grazie alla dettagliata descrizione ligoriana il gruppo è stato riconosciuto dalla critica recente come parte dell‟arredo scultoreo di un santuario isiaco132. L‟attribuzione dei resti ad una palestra, che risaliva a Pirro Ligorio, si basava essenzialmente sull‟interpretazione dei tre busti in marmo rosso con la testa rasata come immagini di atleti133. Il mancato riconoscimento

124 Ligorio 2005, pp. 57–58, c. 36v.

125 Città del Vaticano, Museo Chiaramonti, inv. 2211. Nel 1554 la statua era già conservata nei giardini del Quirinale e completata con la testa di Adriano. Passò dal giardino del palazzo del Quirinale ai Musei Vaticani con Pio VII Chiaramonti (Raeder1983,I135, pp. 113–114).

126 Città del Vaticano, Museo Gregoriano Egizio, inv. 22804.Raeder1983, I139, p. 117.

127 Roma, Museo Capitolino, inv. n. 735. La statua con testa antica non pertinente, originariamente recava nelle mani levate un vaso canopo, conservata sino al 1569 sul Quirinale e dal 1572 a Villa d’Este a Tivoli, fu acquistata ed esposta nel Museo Capitolino nel 1753 per interessamento del papa Benedetto XIV (cfr. scheda n. 8)Reader 1983,I.49 p. 66.

128 Roma, Giardini del Palazzo del Quirinale, inv. DP 1136; Guerrini, Gasparri 1993, pp. 34–37, n. 8, tav. IX (E.

Ghisellini).

129 Cfr. scheda n.61.

130 Parigi, Musée du Louvre, inv. 1358; Venezia, Museo Archeologico, inv. 117; Roma, Musei Capitolini, inv.

1214 (Ensoli 2002, pp. 94–97, figg. 1–8). Un quarto busto fu rinvenuto durante le ricerche di Gavin Hamilton presso il Pantanello e va riconosciuto nel busto comparso in vendita pubblica a Monaco il 27 maggio del 1980 (Ensoli2002, p. 99, fig. 9; Ten 2005, p. 181; Cacciotti 2010, nota 6).

131 Lanciani 1989-2002, II, pp. 87-88; Cacciotti 2010, nota 5.

132 La campagna di scavi del 2005 ha condotto a una migliore comprensione delle strutture e della loro funzione e ha restituito una pregevole statua di sfinge, confermando il carattere egizio del complesso sicuramente legato al culto isiaco e delle divinità dell’Egitto romano (ENSOLI 2002; DE VOS 2004; MARI 2006b, pp. 49 – 53;

32 del carattere egizio delle sculture condizionò l‟interpretazione non solo delle strutture antiche, ma anche delle sculture che vennero integrate e restaurate in base alle nuove identificazioni.

Così la statua d Hermes venne integrata con una testa ritratto dell‟imperatore, la statua del sacerdote venne integrata con una testa di donna e, probabilmente, la statua di Iside–Fortuna con delle spighe. Non siamo certi invece che la statua di Giove assisa134, appena nominata, sia pervenuta in possesso del Cardinale e che possa identificarsi con la statua esposta nella nicchia centrale della Fontana dei Draghi nella villa di Tivoli135.

Più avanti Ligorio passa a descrivere i rinvenimenti effettuati anni addietro dal cardinale Carafa “in una delle tre piazze che‟erano presso i bagni i detti bagni (laconici) […]. Vi era una Diana grande con cane accanto et una di Athlanta che haveva un cervo per le corna, con veste molto sottile et succinte e ventillanti. Ivi anchora un‟altra imagine, pure di Diana o vero luna Agrotera, con l‟arco e le saette, in atto di andar cacciando. Con un‟altra anchora de la Fortuna Verile, vestita di maravigliosi panni gonfiati dal vento par che mostrano moversi, con somma diligenza finiti. Vi era un‟altra de la Tranquillità, molto consumata, la quale da la sinistra mano teniva una misura di grani sotto al braccio, colla destra teniva il timone, col piè destro piantato in terra, et col sinistro appoggiato su una nave. Le qual cose tutte l‟hebbe il signor Carlo Cardinale Carafa, e donate a diversi principi”136.

Le tre piazze indicate approssimativamente nelle vicinanze dei bagni, senza dubbio i due impianti termali noti come Piccole e Grandi Terme, corrispondono con ogni probabilità agli spazi che definiscono il complesso del cosiddetto Stadio, ipotesi confermata sia dalla corrispondenza planimetrica che dal riferimento ai capitelli e a sculture in bigio morato137. Del ricco nucleo statuario rinvenuto confluirono sicuramente in proprietà estense l‟Artemide con il cane138, l‟Artemide con la cerva del tipo Versailles139 e probabilmente l‟Artemide tipo

134 La statua è probabilmente la stessa che Ligorio interpreta come statua di Serapide, visto che le due divinità nell’iconografia ellenistica appaiono molto simili (Cacciotti 2010, p. 77).

135 Attualmente la statua di Giove assiso si trova a Malibu (cfr. scheda n. 24; Paul Getty Museum, inv. n.

inv.73.AA.32).

136 LIGORIO 2005, p. 59, c. 37v.

137 Erroneamente Lanciani attribuì questi rinvenimenti alla Piazza d’Oro. Hoffmann 1980, pp. 48– 49; Ten 2005, pp. 182–183; Cacciotti 2010, p. 40, nota 40. Un nuovo consistente rinvenimento di sculture risale al parziale sterro di Paribeni tra il 1920 e il 1922. Egli rinvenne una statue di Venere di Doidalses (Museo Nazionale Romano inv. 108597; Raeder I 55, p. 72), una testa di Crispina (Museo Nazionale Romano, inv. 108601; Raeder I 59, p. 75), una testa di uomo barbuto (Museo Nazionale Romano, inv. 108602; Raeder I 60, p. 76), una testa di Paride (Magazzino di villa Adriana; Raeder I 107, p. 98) (De Franceschini 1991, pp. 422–427).

138 Città del Vaticano, Musei Vaticani, inv. (Amelung II (1908), pp. 378 - , n. 210, tav. 39; Baldassarri 1989, pp.

95–96; n. 41).

139Roma, Musei Capitolini, inv. (Stuart Jones 1912, p. 44, n. 52, tav. 6; 39; Baldassarri 1989, pp. 92–95, n. 40).

33 Colonna con faretra, che al posto dell‟arco si vide restituire una lira, divenendo la musa Polymnia140.

Dalla Villa Adriana entrarono a far parte della collezione estense anche i resti della decorazione scultorea pertinente al ninfeo absidato che definisce il lato meridionale della Piazza d‟Oro141. Gli scavi condotti da Ligorio, per conto di Ippolito II, restituirono due statue di Venere, situate a destra e sinistra dell‟abside, ed altre figure di ninfe dell‟Oceano142. Ligorio scrive:

La testa poi di essa fonte, formata di una gran cavea absidata, dove, correspondentemente attorno, erano colonne sopra modiglioni posate, del marmo gialle thasio et con nicchi tra esse colonne da statoe, et a destra et a sinistra [de]ll‟absida, o pure un grande hemyciclo, erano due altri luoghi con le imagini di Venere, de le quali due ne sono portate a Roma, nel giardino di Monte Cavallo, con altre figure ch‟erano de le Nymphe dell‟Oceano, dove era Inache, o vero Venere Aegyptia, et Hipponoe, Galathea et Thetide143.

Il ninfeo è costituito da una vasta abside scandita da sette nicchie alternativamente semicircolari e a scarsella, ai lati delle quali si conservano mensole funzionale alle colonne in marmo giallo di cui parla Ligorio. Il luoghi di rinvenimento delle due statue di Venere indicati nel codice a destra e a sinistra dell‟emiciclo di fondo, sembrerebbero coincidere con le fontane absidate che limitano il ninfeo. L‟attribuzione dei resti ad un tempio circondato del domicilio de le Nynphe Oceanitide è basata sui numerosi quanto notevoli rinvenimenti di frammenti architettonici ispirati a motivi marini144.

Dell‟intero arredo è stata rintracciata con certezza la sola statua di “Inachiso vero Venere Egittia”, unico elemento decorativo egittizzante di un contesto composto da ninfe marine e immagini di Venere verosimilmente inquadrabili nel repertorio figurativo della tradizione greco – ellenistica. La statua, in realtà una raffigurazione di Iside in basalto, oggi al Louvre, fu esposta nel Cenacolo della villa tiburtina di Ippolito II fino all‟acquisto da parte del papa Benedetto XIV per i Musei Capitolini alla metà del Settecento145.

140 Hülsen 1917, n. 49, fig. 76; Amelung I (1903), p. 324, n. 16, tav. 33; Baldassarri 1989, pp. 121–122, n. 55.

141 Il complesso fu interessato da una serie di scavi intorno al 1540 per ordine del cardinale Carafa, ma nulla si sa dei rinvenimenti dell’epoca (De Franceschini 1991, pp. 463–477; Cacciotti 2010, pp. 78–80).

142 Nel corso del ‘700, il terreno fu acquistato e scavato da Centini, che spogliò la Piazza d’Oro di quello che rimaneva. Lo sterro definitivo fu opera di Lanciani negli anni precedenti al 1883(DeFranceschini1991, pp. 463–

477).

143 Ligorio 2005, pp. 64, c. 41.

144 Ligorio 2005, p. 64, c. 41; Ten 2005, p. 184. Il passo sulla Piazza d’Oro, assente nella Descrittione, deriva quasi interamente dal Trattato, che manca tuttavia di registrare nell’elenco le statue di Galatea e Tetide.

145 (Cfr. scheda n. 12) Parigi, Museo del Louvre, Departement des Antiquités Egyptiennes, N. 119. La statua, acquistata da Benedetto XIV per i Musei Capitolini, faceva parte del gruppo delle ottantatre sculture che lo

34 Non avendo dettagli sulla iconografia, non è stato invece possibile identificare con certezza le due statue di Venere e le tre statue di ninfe che entrarono in possesso di Ippolito II e che furono trasportate a Roma. Le due statue della dea sono probabilmente la“Venere bellissima ma senza capo” venuta in luce nel 1550 e la “bellissima statua di Venere di grandezza poco maggiore del naturale, quasi integra” scoperta nel 1553 di cui si parla nei documenti estensi a proposito degli scavi condotti a Villa Adriana146. Tra i pezzi delle collezioni di Ippolito a Tivoli vi erano due statue di Venere nuda, una affiancata da un delfino cavalcato da un erote147 e una con un vaso coperto da un panno accanto, del tipo dell‟Afrodite Cnidia prassitelica148, mentre nel giardino del Quirinale fu disegnata da G.B. de Cavalieri una statua semi panneggiata della dea indicata come “Venus Cypria”149.

Le tre statue di ninfe, Hipponoe, Galathea et Thetide, citate da Ligorio, potrebbero invece essere riconosciute o nelle statue di ninfe collocate nel giardino del Quirinale a fianco della Venere nella Fontana della Loggia, delle quali a partire dal 1572 si perdono le tracce150, oppure potrebbero essere state trasportate a Villa d‟Este e identificarsi con le statue di Anchiroe151 e Myrtoessa152, poste all‟entrata della Fontana della Civetta.

Incerta resta anche l‟identificazione delle sculture ritrovate presso l‟Odeon o Teatro Settentrionale153. Di questo piccolo edificio per spettacoli, localizzato poco più a sud dell‟Accademia, si conservano oggi scarse strutture relative prevalentemente alla fronte del pulpitum. Qui, come ricorda lo stesso Ligorio, lo scavo condotto nel 1492 per volere di Papa Alessandro VI Borgia154 portò alla scoperta di “quelle nove muse che siedono, di marmo pario, che sono state trasportate nella vigna di papa Clemente settimo, presso Roma, sul colle detto Monte Mare del Vaticano: le quali furono già tolta da questo theatro nel tempo si papa Alexandro Borgia, con altre belle cose; altri dicono che furono vendute poi a papa Leone.

Stato Pontificio consegnò ai francesi a seguito del trattato di Tolentino nel 1797. Alla morte di Napoleone, Pio VII incaricò Canova di andare a Parigi per recuperare le opere d’arte degli Stati Romani. In tale occasione decise

Stato Pontificio consegnò ai francesi a seguito del trattato di Tolentino nel 1797. Alla morte di Napoleone, Pio VII incaricò Canova di andare a Parigi per recuperare le opere d’arte degli Stati Romani. In tale occasione decise