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GIUSEPPE VERDI 1813-1901 Nabucco « Va pensiero »

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Academic year: 2022

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GIUSEPPE VERDI 1813-1901

Nabucco « Va pensiero »

Nato da una famiglia contadina nel Ducato di Parma e Piacenza, allora governato dai francesi, Giuseppe Verdi,studiò musica con l’organista della chiesa di Roncole e poi con quello della vicina Busseto. Respinto all’esame di ammissione al Conservatorio di Milano per l’età troppo avanzata, ebbe lezioni private da Vincenzo Lavigna, maestro concertatore del Teatro alla Scala e professore di solfeggio al Conservatorio.

Gli esordi di Verdi come operista furono contrastati: Oberto, Conte di San Bonifacio, rappresentato alla Scala nel 1839, venne accolto positivamente, ma l’anno successivo l’opera buffa Un giorno di regno fu un fiasco. Verdi scontava probabilmente una certa saturazione del pubblico per questo genere musicale, aggravata dalle complicazioni del libretto di Felice Romani che si discostava dai modelli schematici e ripetitivi cui erano avvezzi i melomani di allora.

L’insuccesso, sommato all’improvvisa morte della moglie e di due figli, indusse il giovane musicista a riconsiderare le proprie capacità e ad abbandonare la carriera operistica. Le insistenze dell’impresario scaligero Bartolomeo Merelli lo convinsero a musicare Nabucodonosor (o Nabucco), su libretto di Temistocle Solera, che trionfò alla Scala nel 1842, seguito nel 1843 dai Lombardi alla prima crociata con parole dello stesso Solera e poi da Ernani (Venezia 1844, libretto di Francesco Maria Piave).

La carriera operistica di Verdi era ormai brillantemente avviata. Alle radici del successo verdiano vi era il carattere romantico e popolare delle sue opere, che, pur non essendo di taglio prettamente politico, presentavano un legame chiaramente percepibile con l’acceso clima risorgimentale. L’affinità emergeva, più che da vaghe metafore politiche, dal carattere appassionato dei personaggi e dall’energia con cui la musica interveniva nella vicenda, in sintonia con lo slancio ideale e patriottico diffuso in Italia prima dei moti del 1848.

Negli anni successivi Verdi inseguì con determinazione il consolidamento del proprio successo, componendo senza sosta opere di valore diseguale per imporsi sulla scena delle principali città italiane. Nacquero così I due Foscari (1844), Giovanna D’Arco (1845), Attila (1846), Stiffelio (1850) e altre opere, fra le quali spiccano Macbeth (1847, libretto di Piave) e Luisa Miller (1849, libretto di Salvatore Cammarano). Egli stesso definì più tardi questo periodo della sua vita, caratterizzato da una convulsa attività compositiva, come “anni da galera”.

I frutti di questo tirocinio forzato non si fecero attendere: il decennio successivo si aprì con la cosiddetta “trilogia popolare” formata da Rigoletto (1851, libretto di Piave), Il trovatore (1853, libretto di Cammarano) e La traviata (1853, libretto di Piave). Verdi aveva ormai sviluppato un approccio del tutto personale al melodramma, ricco di elementi innovativi nel panorama operistico ottocentesco: nelle opere verdiane le passioni dei personaggi si manifestavano con un’intensità inedita, le vicende erano trattate con realismo ed energia, i protagonisti mostravano con le loro contraddizioni un’umanità che li rendeva vivi e credibili.

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