R ENDICONTI
del
S EMINARIO M ATEMATICO
della
U NIVERSITÀ DI P ADOVA
A LESSIO V OL ˇ CI ˇ C
Sulla differenziazione degli integrali di Daniell-Stone
Rendiconti del Seminario Matematico della Università di Padova, tome 61 (1979), p. 251-258
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ALESSIO VOL010DI010D
SUMMARY - Without
using
the Stone’shypothesis
we compare for a Daniell- Stoneintegral
the definitions of derivative, dense derivative,positive
derivative and
regular
derivative. In thissetting
a KöIzow’sproblem
is solved.
1. In
[3]
si è introdotto perl’integrale
di Daniell-Stone il concetto di localizzabilità e si sono introdotti alcunistrumenti,
che ora bre-vemente
richiameremo,
che consentono diparlare,
anche inquesto ambito,
dei varitipi
di derivate allaRadon-Nikodym già studiati,
per le misure e per
gli integrali
associati a dellemisure,
in[1]
e[2].
Se
~.1(.I)
è la collezione delle funzioni definite su X ed a valori nella retta realeestesa, integrabili rispetto all’integrale (positivo)
diDaniell-Stone
I,
indicheremo con laseguente
collezione di fun- zioni :Si dimostra
([3],
Teorema1.1)
cheLro
è unospazio
lineare reti-colato, un’algebra
e che contiene le costanti.Si indica con
.ftoo
la collezione(che
risulta unaa-algebra)
diquei
sottoinsiemi di
X,
la cui funzione caratteristicaappartiene ad Lro
econ 13 la sottocollezione
(che
è un (y-idealeereditario)
formatadagli
(*) Indirizzo dell’A.: Istituto di Matematica
Applicata
dell’Università - Trieste.Lavoro
eseguito
nell’ambito deigruppi
di Ricerca Matematica del C.N.R.252
insiemi per cui risulta
Gli insiemi di 13 si diranno
trascurabili,
mentre chiameremo nulligli
insiemi di N:
Risulta J© c 13
([3],
Teorema2.1).
Indichiamo infine conjK~
la col-lezione delle funzioni
Aoo-misurabili
e conM1
la collezione delle fun- zioni misurabili secondo Stonerispetto
ad~1.
Ricordiamo([3],
Teo-rema
1.15)
cheA,, -
se e solo se è verificata la condizione diStone,
ovvero se e solo se le costantiappartengono
a2. Nel
seguito
avremo a che fare con dueintegrali
di Daniell- Stone I e Jsopra
uno stesso insiemesostegno
e dei due uno sarà asso-lutamente continuo
rispetto
all’altro. Naturalmente essi non avrannole stesse funzioni
integrabili (questo
fatto ha come conseguenza che esistono e, e c2 tali che e vedi[4]).
D’altro canto i dueintegrali
debbono pur avere in comune un insieme di definizione suf- ficientementesignificativo. L’ipotesi
meno restrittiva che si possa fare inproposito
è che i dueintegrali
siano entrambi ottenibili per pro-lungamento
apartire
dalle loro restrizioni a L =£i(I)
r1L1(J).
Scriveremo J« I per indicare che J è assolutamente continuo
rispetto
adI,
cioè cheSi è
supposto
nello scrivere la(4)
che I e J sonodegli integrali posi-
tivi e ciò non è
restrittivo,
inquanto
in caso contrario sipuò ragionare
sulle loro
decomposizioni
* diJordan,
come in[3].
Vale il
seguente
teorema di Kölzow( [~],
Lemma18),
che estendeun teorema di Zaanen
( [6], § 31,
Teorema1).
TEOREMA 1.1. Se I e J sono
degli integrali
diDaniell-Stone,
taliche
J « 1,
allora cAnaloga
è la relazione tra e per dimostrarlo occorrepremettere
ilseguente
lemma.LEMMA 1.2. è un sottoinsieme denso di
C1(J)
e se k è unaf un-
zione limitata tale che kr E
C1(J)
perogni
r E allora k E~.~(J).
Sia
f
unaqualunque
funzioneJ-integrabile.
Peripotesi,
esiste unasuccessione di funzioni di
Jq,
che convergono adf
nella normadedotta da J:
Ricorrendo,
se occorre, ad unasottosuccessione,
sipuò
sempre sup- porre che ci sia anche convergenzapuntuale
Jquasi
ovunque. Se e èuna limitazione
superiore
perIkl,
si haquindi
la successione è diCauchy
nella norma di e inoltreconverge J
quasi
ovunque alla funzionekf.
Ma allorak f
E Si èverificata cos la
(1)
equindi
7~ ETEOREMA 1.3. Se
J « I,
allora c(Occorre e)
basta provare che cA.(J).
Sia A E risultaallora
in
particolare
sipuò prendere f
e L =L1(I)
r1~.1(J).
Per il Teorema 1.1 ed essendoi
eIII E L1(J),
si deduce che EL1(J) (anzi,
si tratta di una funzione di£).
Restano cos verificate per k = xA leipotesi
del lemmaprecedente, quindi X,
E~~(J)
e cioè latesi.
Merita ricordare ancora il fatto che
se f E
e k E allora([3],
Teorema1.14).
3. Vediamo ora di definire nell’ambito della teoria
dell’integrale
di Daniell-Stone i concetti di
derivata,
derivataregolare,
derivatadensa e derivata
positiva.
Sia
j« I.
DEFINIZIONE 1. Una funzione si dice una derivata di J
rispetto
ad I( scriveremo g = dJ/dI),
se perogni f
E C risultae in
questo
casoJ( f )
=I ( f g).
254
DEFINIZIONE 2. Una derivata si dice
regolare,
se perogni f
Erisulta f g
E -f
E e inquesto
casoJ( f )
=I(fg).
P
banale osservare che g èregolare
se e solo se si verificano con-temporaneamente
le due condizioni(analoghe
alle(75)
e(76)
di[1])
In
analogia
aquanto
fatto in[1],
diremoquindi
che unaderivata
èposiiiva,
se verifica la(6)
e la diremodensa,
se verifica la(5).
In[2]
è stato
mostrato,
risolvendo unproblema posto
in[1],
che lequattro
definizioni sono effettivamente diverse se I è dedotto da una misura.In
[1], (Teorema 27)
è statoprovato
sottol’ipotesi
di Stone cheogni
derivata di un
integrale
di Daniell-Stone è densa. Anche nel casopiù generale
il risultato resta vero. Per dimostrarlo occorrepremettere
il
seguente teorema,
che caratterizza la derivata densa.TEOREMA 3.1. Una derivata g =
dJ/dI
è densa se e solo se perogni f
E~i (J)
n esiste un insieme J-nulloN,
sulquale
la g si annulla ed esiste una difunzioni di É
Tale chef uori di
N.Se g
è una derivata e sef
E~1 (J) r1
allora esiste una suc-cessione di funzioni di
~.+,
tale chet c
suphn .
Sipuò
supporre che la successione sia non decrescente. Allora lasuccessione fn
=(con N
=0)
verifica la condizione del teorema.Viceversa, supponiamo
che sia verificata la condizione e che nSia {f,,,}
la successione non decrescente che converge adf
fuori diN,
insieme J-nullo. Lasuccessione {fn}
converge versol’alto
a f g
ovunque, infattila g
si annullaproprio
dove la successione{fn}
sicomporta
male. Essendopoi
g unaderivata,
risulta =per
ogni
intero n. Ne consegue che la successione non decrescente converge aJ( f )
equindi
per il teorema diBeppo Levi, fg
E eJ( f )
=I(fg).
Con ovviragionamenti
si prova la stessa tesi anche per le funzionif
a segno variabileOSSERVAZIONE. Si noti che nella
prima parte
delladimostrazione, quella
che ha come tesi la condizione citata nelteorema,
non si sfruttal’ipotesi
della densità delladerivata,
ma solo il fatto che la g è una derivata.TEOREMA 3.2.
Ogni
derivata è densa.La dimostrazione segue dal teorema
precedente
e dall’osservazione appena fatta. Infattiogni
derivata verifica(per l’osservazione)
la con-dizione del
teorema,
laquale poi
è sufficiente per la densità.Nella teoria della differenziazione delle misure
(vedi [1]
e[2]),
laderivata
positiva
è caratterizzata dallaproprietà,
da cui deriva ilsuo nome,
Nell’ambito in cui ci siamo
messi,
ciò non èpiù
vero. La rela-zione tra la
positività
e la condizione(7)
è chiarita daiseguenti
treteoremi.
TEOREMA 3.3. 8e la derivata g
veri f ica
lac(7),
allora g èpositiva.
Sia
f
E tale chef g
ELi(I).
una successione crescente di funzioni di~+,
tale che Una tale successioneesiste, poichè
presa una successione non decrescente
~h~~
di funzioni di£+,
tale cherisulta ed anche
poichè f g E
e c Consideriamo ancora la funzione di
fl~(1)
Risulta
In
=1 ngg,
tranne che neipunti
dovela g
siannulla,
che peripotesi
è J-nullo. Postogn = g/~ n,
risultagn
E&.(J) ( [3],
Teo-rema
1.10)
eperciò
Siccomepoi g
è unaderivata,
èe
Poichè inoltre si ha
che,
tranne che sull’insieme J-nullosu cui si annulla la g,
Ingnt/. Applicando perciò
due volte il teorema diBeppo Levi,
si ha che lim =I(fg)
e inoltre chef
EL~(J)
en-+oo
J(/)
equindi
la tesi.DEFINIZIONE. Diremo che u E
JÙ)(I)
è un’unità debole perse è a valori reali e se
risulta,
perogni f
E256
In
[5]
si è studiataquesta proprietà
in relazione ad una analisiapprofondita
della strutturadell’integrale
di Daniell-Stone. Si è co-struito un
esempio
diintegrale,
che non ammette unità debole. Si sonoanche indicate diverse condizioni sufficienti per l’esistenza dell’unità
debole,
chesuggeriscono
l’idea che la non esistenza di una funzione misurabile che soddisfi alla(8)
è un fatto estremamentepatologico
eraro.
TEOREMA 3.4. Se g è una derivata
positiva
di Jrispetto
ad I e seha unità
debole,
allora l’insieme~x : g(x)
=0}
è J-nullo.Posto ==
(z: g(x)
=0},
se u è un’unità debole di la fun- zionef
= è taleche f g
---0, quindi f g
E£i(I)
e, per lapositività,
e
J( f ) = 0.
Ma essendozalim
nUXa, Xa è una funzioneJ-nulla. "~°°
L’ipotesi
che appare nel teoremaprecedente
èanche,
in un certosenso,
necessaria. Vale
infatti ilseguente
teorema.TEOREMA 3.5. Se non ammette unità
debole,
allora esiste unintegrale
J che ammette derivatapositiva rispetto
adI,
ma tale che l’in-sieme
{x: g(x) ==0}
non èSia f
unaqualunque
funzioneI-integrabile
e nonnegativa
esia,
per
ogni f
EJ(f)
definito nel modoseguente (tutte
le volteche il limite esiste
finito)
Si
prolunghi poi
per linearità J alle funzioni a segno variabile. Per costruzione la funzione caratteristica di(z : ~ 0~
è la derivataposi-
tiva di J
rispetto
ad I. Se l’insieme G su cui si annulladJ/dI (che
è l’insieme su cui si annullaf )
fosseJ-nullo,
esisterebbe una successione(fn)
di funzioniJ-integrabili
nonnegative,
tali che /c supf n .
Maallora la funzione u =
f + sup I n
è una funzione misurabile che nonsi annulla in alcun
punto
di X. Maquesta
condizione(vedi [5])
ènecessaria e sufficiente per l’esistenza dell’unità debole.
Dai risultati visti finora si deduce che
ogni
derivata èdensa,
cheovviamente
ogni
derivata che è densa epositiva
èregolare
e,viceversa,
che
ogni
derivataregolare
èpositiva
e densa. In[1],
Problema13,
èstata fatta la
congettura
cheogni
derivata di unintegrale
di Daniell- Stone èpositiva (e perciò
ancheregolare)
e chequindi
perl’integrale
di Daniell-Stone le
quattro
definizioni coincidono. Ilseguente
contro-esempio
smentisce lacongettura.
ESEMPIO. Sia X un insieme non
numerabile, L1(1)
=L1(J)
formato dalle funzioni che si annullano ovunque tranne che su un insieme alpiù numerabile,
I e J siano identicamente nulli. La funzione g = O è una derivata(densa)
di Jrispetto
adI,
ma non èpositiva,
inquanto
l’insieme X non è J-nullo.Si noti che
possiede
unità debole equindi
lapositività
della derivata si caratterizza
appunto
con laproprietà (7).
Vediamo ora in
analogia
conquanto
fatto in[2] quale
« minimo »requisito aggiungere
affinchè una derivata di Jrispetto
ad I sia semprepositiva.
DEFINIZIONE. Diremo che
l’integrale
J èsemifinito,
seogni
insiemeJ-trascurabile è J-nullo.
TEOREMA 3.6. Se J è
semi f inito
e se g è derivata di Jrispetto
ad
I,
allora g èpositiva.
La tesi del teorema si ottiene immediatamente dal teorema
seguente.
TEOREMA 3.7. Se
g è
una derivata di Jrispetto
adI,
alloraG =
(r : g(x)
==0}
èSe G non fosse
trascurabile,
allora esisterebbe una funzionef E £.t(J)
tale che > 0. Per la densità di £ in
£i(J),
ci sarebbe allora ancheuna funzione tale che Ma allora l’identità
è in contrasto con il fatto che è identicamente nulla.
OSSERVAZIONE. Se
l’integrale
J è associato ad una misura(anche
eventualmente nel senso visto in
[5]),
allora T è trascurabile se esolo se A è J-nullo per
ogni
A di misurafinita,
ovvero se e solose T è localmente nullo. Ma è ben noto
(vedi,
adesempio, [6])
chegli
insiemi localmente nulli sono nulli se e solo se la misura è semifinita.
Alla luce di
questo
fatto sigiustifica
il nome diintegrale
semifi-nito ».
Il teorema appena
provato
èl’analogo,
perl’integrale
di Daniell-Stone,
del Teorema 4.2 di[2].
258
BIBLIOGRAFIA
[1] D. KÖLZOW,
Differentiation
von Massen, L.N.M., 65 (1968).[2] A.
VOL010DI010D,
Sulladifferenziazione
delle misure, Rend. Ist. Matem. Univ.Trieste, 4, fase. II (1974), pp. 156-177.
[3] A.
VOL010DI010D,
Localizzabilità edecomposizione
di Hahn perl’integrale
di Daniell-Stone, Quaderni di Matematica dell’Università di Trieste a.a.1974-75.
[4]
A. VOL010DI010D, Sull’insieme didefinizione
delle misure, B.U.M.I., Ser. V,16-A,
no. 1
(1979),
pp. 186-189.[5]
A. VOL010DI010D, Unconfronto
tral’integrale
di Daniell-Stone equello
diLebesgue,
in corso di
pubblicazione.
[6] A. C. ZAANEN,
Integration,
North-Holland (1967).Manoscritto pervenuto in redazione il 24 novembre 1978.