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Lampedusa, 3 ottobre 2013. Letture politiche della morte

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Academic year: 2021

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Submitted on 25 Jul 2016

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Évelyne Ritaine

To cite this version:

Évelyne Ritaine. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Letture politiche della morte. Intersezioni. Rivista di storia delle idee, Il Mulino, 2016, 5 (1), pp.101-112. �10.4474/DPS/05/01/DMM222/12�. �halshs- 01348514�

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Evelyne Ritaine1

Lampedusa, 3 ottobre 2013.

Letture politiche della morte

Nell’antica Roma la damnatio memoriae colpiva, cancellandone ogni traccia e ricordo, i condannati a morte che avevano attentato all’onore della città: come se non fossero mai esistiti.

Qualcosa di simile avviene nell’Unione Europea (UE) dei giorni nostri, con la tacita accettazione della morte di migliaia di migranti alle porte d’Europa, scomparsi senza lasciare traccia: come se non fossero mai esistiti. Come si giustifica, moralmente e politicamente, una simile obliterazione?

Di quali mediazioni e interpretazioni è il frutto? Il luogo emblematico di questo dramma e di questa cancellazione è l’isola di Lampedusa.

In questo luogo di frontiera, in effetti, il potere “di fare vivere e di lasciare morire” teorizzato da Foucault2 si materializza e si palesa più che altrove. Ciò che entra in gioco alla frontiera, più precisamente, è il “potere di esporre alla morte”3 nel contesto di una “necropolitica” della frontiera che “tollera la morte”.4 I corpi dei morti in mare sono segnali di demarcazione della frontiera; essi testimoniano il potere della sovranità e al tempo stesso la violenza politica di uno

“spazio di eccezione in mare”:5 dispersi o ritrovati, i cadaveri dei migranti sono le tracce scomode lasciate da chi è stato “deadly prevented from entering”.6

Per lungo tempo le perdite di vite umane nel Mediterraneo sono state ignorate o trascurate, ridotte a non-eventi. Giornalisti e ricercatori le evocavano nell’astrazione delle statistiche e di un linguaggio figurato (“fantasmi”, “scomparsi”, “limbo”, etc.). Esse rappresentavano così la conclusione della “nuda vita”:7 una vita irrealizzata e anonimizzata che scompare, ben presto, anche dal discorso pubblico. Ove invece, come avvenuto a Lampedusa, i cadaveri (o tracce di essi) siano ben visibili, questi appaiono, attraverso il loro possibile riconoscimento, come il segno inconfutabile della violenza politica della frontiera. Queste tracce identificabili dimostrano il potere letale della frontiera e sono, politicamente, talmente insopportabili che non si può fare a meno di darne una o più interpretazioni politiche. Si dispiega allora un’operazione di natura politica volta a offrire un’interpretazione di queste morti, dandone differenti versioni, e ad affrontare la questione fondamentale del loro inquadramento cognitivo e politico: sono, questi morti, irrimediabilmente invisibili o è possibile renderli visibili? Sono condannati all’anonimato o si può riconoscere loro un’identità? Quali sono gli effetti politici delle risposte date a tali questioni?

È proprio a Lampedusa che è emerso chiaramente, agli occhi del mondo intero, quanto siano pericolose le traversate del Mediterraneo. La concentrazione di tragedie su quest’isola- palcoscenico ha sortito effetti del tutto particolari. Qui la realtà della migrazione irregolare vi emerge in tutta la sua crudezza: ciò che è invisibile altrove diviene visibile qui.8 In effetti, l’invisibilità dei migranti dispersi in mare è, per lo più, un’invisibilità radicale: la migrazione si può

1 Questo testo riprende, in parte, il seguente articolo: E. RITAINE, Quand les morts de Lampedusa entrent en politique:

damnatio memoriae, “Cultures & Conflits”, 99-100(2015) , pp. 117-143. La traduzione dal francese è di Paolo Cuttitta.

2 M.FOUCAULT, Il faut défendre la société, Gallimard/Seuil, Parigi 1997.

3 A. MBEMBE, Nécropolitique, “Raisons politiques”, 21(1/2006), pp. 29-60, p. 30 ; v. anche S. KHOSVARI, “Illegal Traveller”. An Auto-ethnography of Borders, Basingstoke, Palgrave-Macmillan, New York 2010.

4 J.X INDA, Targeting Immigrants: Government, Technology, and Ethics, Blackwell, Oxford 2006.

5 S.PERERA, “They Give Evidence”: Bodies, Borders and the Disappeared, in “Social Identities: Journal for the Study of Race, Nation and Culture”, 12(6/2006), pp. 637-656.

6 M.ALBAHARI, Death and the Moral State: Making Borders and Sovereignty at the Southern Edges of Europe, Working Paper 136, CCIS University of California, San Diego, 2006, p. 27; v. anche M.ALBAHARI, Crimes of Peace: Mediterranean Migrations at the World’s Deadliest Border, University of Pennsylvania Press, Filadelfia 2015.

7 G.AGAMBEN, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995.

8 Per la genealogia della “frontierizzazione” di Lampedusa, v. P.CUTTITTA, Lo spettacolo del confine. Lampedusa tra produzione e messa in scena della frontiera, Mimesis, Milano-Udine 2012; P. CUTTITTA, La frontière Lampedusa. Mises en intrigue du sécuritaire et de l’humanitaire, “Cultures & Conflits”, 99-100(2015), pp. 99-115.

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concludere con la completa scomparsa del corpo e dell’identità. Perché, come scrive J. Butler, “if a life is not grievable, it is not quite a life; it does not qualify as a life and is not worth a note”.9 I dispersi in mare non sono che dei numeri: a lungo ignorate, spesso sotto-stimate, le tragedie riducono i migranti a non-persone,10 a persone che non esistono né mai sono esistite.

Tuttavia, a Lampedusa, a volte appaiono tracce di morte: è lì che sbarcano i cadaveri sottratti al mare, è lì che giungono i loro effetti personali sulle barche, è lì che si assiste al lutto dei sopravvissuti. È così, in particolare, nel caso del naufragio del 3 ottobre 2013, avvenuto vicinissimo le coste dell’isola: in questa circostanza si contano 150 dispersi, 366 cadaveri rinvenuti e 148 superstiti. Per la maggior parte le persone coinvolte sono eritree, alcune sono somale o sudanesi, tutte fuggono dalla violenza politica del loro paese.11 Questo evento segna un punto di rottura nella lunga lista dei naufragi nel Mediterraneo. Mediatizzato e politicizzato più di ogni altro, esso sancisce la definitiva iscrizione del tema della morte alle frontiere nel dibattito pubblico, anche se non determina, se non in misura minima, cambiamenti nelle politiche di gestione dell’immigrazione.

Obiettivo di questo articolo è comprendere come questo ennesimo naufragio abbia potuto diventare un punto di rottura. Se l’evento può essere definito “una rottura sociale di intelligibilità”,12 il naufragio del 3 ottobre, mettendo tutti davanti alla necessità di interpretare l’insostenibilità di queste morti visibili, costituisce una rottura nella possibilità di donare senso, nella misura in cui fa emergere la violenza, l’indecenza, l’emozione. Rende necessario un lavoro di interpretazione che miri a produrre nuovi frame della morte alle frontiere marittime della UE.

Tale lavoro si realizza negli scambi e nelle concorrenze tra gruppi di attori sociali – mezzi di informazione, rappresentanti politici nazionali ed europei, militanti – che trattano l’evento a partire dai rispettivi saperi collettivi: su queste basi, ogni posizione espressa sembra girare intorno alla questione centrale del grado di visibilità/invisibilità dei morti. Per ricostituire il processo che contribuisce a produrre una nuova intelligibilità, due elementi permettono di “sospendere” il tempo troppo rapido dell’evento: da un lato lo studio minuzioso dei diversi interventi pubblici sul naufragio, dall’altro l’analisi delle interpretazioni dei fatti espresse sul momento. Si tenta quindi di cogliere il gioco degli spostamenti di senso che hanno fatto di questo evento un punto di svolta nel framing dei naufragi di migranti.13

In un primo momento il frame è dettato dai media, e i migranti annegati sono interpretati come corpi, il cui trattamento comporta un alto coinvolgimento emotivo. Questa esibizione della morte espone il dramma umano allo sguardo di tutti e costituisce la violenza dell’evento (primo paragrafo).

Con l’ingresso in scena degli attori istituzionali il framing si modifica: i morti sono adesso interpretati anche come problemi di politica pubblica. Chi ha la responsabilità dei soccorsi? Chi quella di evitare i naufragi? Chi controlla le frontiere? I morti, più “eufemizzati” che invisibili, divengono strumenti di pressione nelle controversie per la presa in carico della responsabilità della frontiera tra diversi livelli di governo, in particolare tra l’Italia e la UE, tra l’Italia e gli altri paesi europei (secondo paragrafo).

Nel frattempo, un altro insieme di interpretazioni (che si possono definire “militanti”) cerca il senso di queste morti a partire non tanto dall’evento del naufragio, quanto da una visione etica e politica del diritto alla migrazione. In tali interpretazioni i morti, oltre a essere considerati la prova

9 J.BUTLER, Precarious Life. The Powers of Mourning and Violence, Verso, London-New York 2004, p. 34.

10 G.ORWELL, 1984, Gallimard, Parigi 2011 [1948], espressione ripresa da A.DAL LAGO, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999. L’invisibilità assoluta di cui si parla qui si colloca quindi a monte di quella, di tipo sociale, che subiranno i superstiti nella società d’arrivo, cf. G.LE BLANC, Dedans, dehors. La condition d’étranger, Seuil, Parigi 2010.

11 Un secondo naufragio ebbe luogo pochi giorni dopo, l’11 ottobre, tra Lampedusa e Malta, con un bilancio di 34 morti, 206 sopravvissuti e almeno 200 dispersi. I naufraghi erano in gran parte siriani.

12 A.BENSA e E.FASSIN, Les sciences sociales face à l’événement, in “Terrain”, 38(2002), pp. 5-20.

13 Per il concetto di frame cf. E.GOFFMAN, Frame analysis: An essay on the organization of experience, Harper and Row, Londra 1974.

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della violenza politica, sono visti come persone e soggetti di diritto. Le mobilitazioni in tal senso tentano di influenzare le politiche rendendo visibile l’invisibile, moltiplicando le azioni simboliche; tentano di rendere visibili le vittime restituendo loro un volto, una storia, un’identità, e celebrandone il lutto (terzo paragrafo).

1. “Queste persone non sono più migranti, sono morti”.14 La rottura dell’invisibilità Nel Mediterraneo, la norma dettata dall’Europa uccide, e la sovranità espone alla morte, in quelli che possono essere definiti “crimini di pace”.15 Malgrado gli sforzi dei militanti, di fronte a tali drammi, l’indifferenza finisce sempre per prevalere.16 Benché in questo campo le cifre siano inevitabilmente approssimative, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) stima che nel 2011, anno della “primavera araba”, almeno 2.000 persone siano scomparse nel Mediterraneo, e che il bilancio abbia superato le 3.000 vittime nel 2014. Verso la fine del 2015, le stime parlavano già di 3.600 morti. Il numero dei caduti alle frontiere UE a partire dal 2000 è stimato, secondo le varie fonti, tra le 23.000 e le 29.000 unità, per la maggior parte dispersi nel Mediterraneo.17

Il Mediterraneo centrale, in particolare, ha inghiottito, in passato, una serie di navi fantasma senza che nessuno facesse una piega.18 Se eventi di tale rilievo sono rimasti pressoché invisibili nello spazio pubblico, che dire delle sparizioni quotidiane menzionate dai media sin dagli anni Novanta? A Lampedusa, il 3 ottobre 2013, le circostanze sono differenti: il naufragio ha luogo vicinissimo alla costa dell’isola. La natura stessa del naufragio fa sì, stavolta, che la copertura mediatica sia immediata e globale. Sull’isola, invasa dai media, i segni della morte sono tanto visibili quanto ingombranti. I mezzi d’informazione mostrano a ripetizione cadaveri, sacchi mortuari, bare, oggetti portati a terra dalla corrente, camere mortuarie, superstiti avvolti da coperte termiche (soprattutto donne e bambini), soccorritori stremati dotati di mascherine protettive, persone in lacrime. In un contesto locale impreparato, le autorità si trovano innanzitutto a dovere gestire i cadaveri. I corpi degli annegati sono così numerosi che mancano sia gli spazi, sia i mezzi per conservarli, trasportarli, registrarli, seppellirli. La sindaca di Lampedusa torna spesso su questo aspetto: “Venga a contare i morti”, chiede in una lettera al Presidente del Consiglio, l’indomani del naufragio, “non sappiamo dove mettere i vivi e nemmeno i morti”. La gestione dei cadaveri presuppone, inoltre, la sepoltura degli stessi, e la mancanza di loculi nel cimitero dell’isola è un argomento che si ripropone periodicamente a Lampedusa (“Quanto deve essere grande il cimitero della mia isola?”,19 domanda la sindaca nel 2012, in seguito ad altri naufragi). Appare dunque necessario trasportare i feretri fuori dall’isola, distribuendoli tra i comuni siciliani disponibili ad accoglierli. Quest’irruzione in scena della morte, nei suoi aspetti più sconvolgenti, non lascia spazio a narrazioni diverse da quella del dramma umano. Questo primo framing, concentrandosi sull’emotività e la spettacolarità dell’evento, fa sì che la stampa dia la priorità alle tematiche del dolore, del lutto, dell’empatia, dell’indignazione e

14 “Il lavoro di Frontex è la lotta all’immigrazione illegale, non il soccorso in mare, e queste persone non sono più migranti, sono morti”: osservazione di un funzionario (anonimo) di Frontex riportata da J.-M. Manach (“Ces gens-là sont morts, ce ne sont plus des migrants”), Le Monde diplomatique, 31 marzo 2014.

15 M.ALBAHARI, Crimes of Peace, cit.

16 Cfr. J.BUTLER, 2010, Frames of War. When is Life Grievable?, Verso, London-New York 2009, p. 13; cfr. il concetto di “violenza strutturale” alle frontiere in L.WEBER, S.PICKERING, Globalization and Borders: Death at the Global Frontier, Palgrave Macmillan, New York-Basingstoke 2011.

17 IOM, Fatal Journeys: Tracking Lives Lost during Migration, Ginevra 2014; IOM, Mediterranean Update. Missing Migrants Project, http://www.iom.int/news/mediterranean-migration-update.

18 G.M.BELLU, I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell’Italia, Mondadori, Milano 2004; G. DEL GRANDE, http://fortresseurope.blogspot.fr; cfr. anche E. Ritaine, “Dramaturgie de l’intrusion migratoire: teatro all’italiana”, in D.-C.MARTIN (a cura di), L'identité en jeux. Pouvoirs, identifications, mobilisations, Paris, Karthala, 2010, p. 201-221.

19 G. NICOLINI, “L’appello del sindaco di Lampedusa all’Unione Europea. Una lettera del nuovo sindaco di Lampedusa”, 15 novembre 2012, http://www.nobordersmagazine.org/2012/11/appello-giusi-nicolini-lampedusa- unione-europea/.

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della vergogna.20 L’immagine, in questo caso tragica e ripetitiva, costituisce l’evento, diffondendone la violenza e, con essa, l’emozione che ne deriva.

Al di là della gestione burocratico-sanitaria emerge ben presto il problema del rito funebre:

come rendere omaggio alle vittime? La discussione sull’organizzazione delle esequie confermerà che “open grieving is bound up with outrage, and outrage in the face of injustice or indeed of unbearable loss has an enormous political potential”.21 Sull’onda dell’emozione iniziale, e su proposta del Presidente del Consiglio, Enrico Letta, è decretato un giorno di lutto nazionale per il 4 ottobre, l’indomani del naufragio. Il 9 ottobre, giorno della visita a Lampedusa dei rappresentanti delle istituzioni italiane ed europee, Letta annuncia inoltre l’organizzazione di funerali di stato, un annuncio cui plaude la stampa internazionale, che lo riprende in grande evidenza. Le esequie di stato, però, non avranno mai luogo. Nel frattempo, infatti, i feretri sono distribuiti tra diversi comuni siciliani, e infine non sarà organizzato altro che una cerimonia simbolica ad Agrigento, il 21 ottobre, in presenza di rappresentanti del governo ma senza i morti.

Tale scelta solleva numerose polemiche: i superstiti, trattenuti ancora nel centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa, non possono partecipare e celebrano il loro lutto sfilando lungo le strade dell’isola; esclusi sono gli stessi lampedusani, nonostante le proteste della sindaca;

l’ambasciatore d’Eritrea, paese dal cui regime dittatoriale fuggiva la maggior parte delle vittime, è invece invitato alla cerimonia dal governo italiano, tra lo sconcerto dei profughi. La cerimonia è definita “una farsa”.22 Contestualmente, non parte alcuna procedura d’identificazione dei cadaveri: questi sono così ridotti a moltitudine anonima e obliterabile. I più sono sepolti con un semplice numero di matricola corrispondente a una descrizione sommaria, e metà di essi resta non identificata. Bisognerà attendere l’agosto del 2014, quasi un anno dopo il naufragio, perché sia finalmente avviata una procedura d’identificazione per le famiglie delle vittime, perché “non esistono morti di serie B”.23

I morti di Lampedusa non sono dunque del tutto invisibili, come i morti fantasma del Mediterraneo. Tuttavia, essi restano in gran parte sconosciuti. Sono dei numeri, dei cadaveri anonimi: “‘Morto numero 31, maschio, nero, presumibilmente trent’anni’ (...) Presumibilmente: è tutto quello che sappiamo di loro. In quella parola c’è tutta la loro vita”.24 Il fallimento della cerimonia funebre (non è possibile piangerli) è il simbolo del non-essere politico di questi morti:

sono come precipitati nel vuoto del politico. La stessa relativa visibilità della loro scomparsa, attestata dalle immagini dei morti ma “eufemizzata” dall’anonimato della loro sepoltura, risulta inaccettabile e impone un intervento politico: non è possibile, stavolta, limitarsi a denunciare in modo generico l’ennesima tragica fatalità. Il framing dell’evento da parte dei mezzi d’informazione è presto modificato dall’apparizione degli attori istituzionali, i quali si danno da fare per partecipare al rituale di condanna e tradurre l’evento in termini politici.

2. “Mai più”: pratiche politiche e mantenimento dell’invisibilità

I responsabili politici della gestione delle frontiere, rappresentanti del governo italiano e della Commissione europea, intervengono per dare una lettura dell’evento secondo le loro chiavi interpretative. Ciò avviene lungo due linee complementari: la prima corrisponde alla condanna e all’annuncio di misure di grande impatto simbolico; la seconda corrisponde all’enunciazione di proposizioni politiche concorrenti e all’emergere di controversie. Tali attori fanno inoltre ricorso all’abituale argomento dell’emergenza, che, in tema di immigrazione, è ormai un elemento di

20 M.BELLUATI, Lampedusa, 3 ottobre 2013. Cronaca di una tragedia, in OSSERVATORIO CARTA DI ROMA, Notizie alla deriva, Edizioni Ponte Sisto, Roma 2014, pp. 63-79; M.BRUNO, Frame e discorsi televisivi nel racconto del dolore. Il naufragio di Lampedusa nei talk italiani, in OSSERVATORIO CARTA DI ROMA, op. cit., pp. 80-98.

21 J.BUTLER, Frames of War, cit., p. 39.

22 E.FIERRO, Agrigento, la farsa dei funerali alle vittime di Lampedusa. Senza morti né vivi, “Il Fatto quotidiano”, 21 ottobre 2013.

23 B. CIOLLI, “Strage di migranti, Cristina Cattaneo: ‘Non esistono morti di serie B’”, 12 aprile 2014, http://www.lettera43.it/.

24 A.BOLZONI, Cosà scriverò dopo quell’immagine?, in OSSERVATORIO CARTA DI ROMA, op. cit., p. 52.

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routine. Questo elemento permette di certificare una situazione di crisi e fare appello alla condivisione di responsabilità con le altre realtà politiche, tanto nazionali quanto europee: i morti diventano quindi problemi di politiche pubbliche.

La sequenza della condanna ha inizio sin dalle prime ore, e si sviluppa per la maggior parte del tempo sul luogo stesso; essa è segnata dal tono emotivo delle dichiarazioni. Secondo un rituale consolidato, essa ubbidisce alla logica delle gerarchie istituzionali. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, parla di “vere e proprie stragi di innocenti”.25 Il Ministro dell’Interno e Vice- presidente del Consiglio, Angelino Alfano, è il primo a recarsi sul posto, il 4 ottobre: “Ho visto (...) una scena raccapricciante che mai avrei immaginato vedere. Una scena che offende l’Occidente, l’Europa”.26 Davanti a questa “immane tragedia”, il Presidente del Consiglio annuncia una giornata di lutto nazionale. Il rituale della deplorazione prosegue con la visita dei responsabili europei sull’isola, il 9 ottobre. Il Presidente della Commissione europea Barroso dichiara: “È un’immagine che non si può dimenticare, c’erano bare di bambini, madri e figli: è qualcosa che mi ha scioccato e rattristato”. La Commissaria agli Affari interni, Cecilia Malmström, dichiara il proprio “immenso dolore davanti alle 280 bare a Lampedusa. Non è degno dell’Europa”. Contestualmente, Letta annuncia i funerali di stato.27

Non c’è mai, tuttavia, l’occasione di un momento di semplice raccoglimento: la condanna non è mai disgiunta da proposizioni di carattere politico. Il Presidente della Repubblica, quando parla di “stragi di innocenti”, lancia al tempo stesso anche un appello a “stroncare il traffico criminale di esseri umani” e a rafforzare l’intervento europeo per mezzo di Frontex. Dopo il 3 ottobre, il Ministro dell’Interno propone un pacchetto di misure: “Dall’Italia faremo sentire fortissima la nostra voce in Europa per modificare l’accordo di Dublino, che carica troppo i paesi di ingresso.

(...) Infine si devono fermare i trafficanti di morte con un’azione internazionale ed europea”.28 Il giorno 4, davanti la Camera dei deputati, nel presentare il suo programma per il Consiglio europeo su giustizia e affari interni in programma qualche giorno più tardi, Alfano precisa: “per l’Europa proteggere le proprie frontiere significherà proteggere i propri cittadini ma anche proteggere dalla morte coloro i quali quelle frontiere valicano senza tutele, in mano ai mercanti di morte. (...) A Lussemburgo, la settimana prossima, l’Italia chiederà anche di superare l’approccio del tutto burocratico e burocraticista del Regolamento di Dublino che ha dato al Paese di primo ingresso, ossia al nostro, tutto il carico dei migranti e della complessa fenomenologia di questo tempo”.29 I morti, i corpi e le identità delle persone sono così tradotti, immediatamente, nel linguaggio dell’azione: proteggere dalla morte, sopprimere il traffico d’esseri umani, condannare i mercanti di morte, gestire i superstiti. Tali categorie si tradurranno in risorse nell’ambito del dibattito politico sulla gestione dei migranti, vivi o morti: le vittime fanno così il loro ingresso nelle stanze istituzionali.

Alla fine dello stesso mese di ottobre, il 24 e il 25, è in programma a Bruxelles un Consiglio europeo nel quale l’Italia intende ottenere un maggiore sostegno comunitario per la gestione delle frontiere. I morti si trasformano allora in mezzo di pressione perché gli altri stati membri accettino, finalmente, di condividere l’onere del controllo della frontiera europea del Mediterraneo; essi diventano risorse nelle trattative tra i paesi meridionali e gli altri stati membri.30 Il governo italiano tenta di imporre ai partner europei, tramite il ricorso al frame dell’emergenza e

25 ILFATTOQUOTIDIANO.IT, “Lampedusa, Napolitano: ‘Stroncare traffico’. Renzi: ‘Stop alla Bossi-Fini’”, http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/03/naufragio-lampedusa-lega-attacca-boldrini-e-kyenge-colpa-

loro/731387/.

26 Fonte: account Twitter personale.

27 Per queste tre dichiarazioni cfr. TG24.SKY.IT, “Vittime di Lampedusa, funerali di stato. Fischi a governo”, http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2013/10/09/lampedusa_proteste_alfano_letta_barroso.html.

28 Canale 5, op. cit.

29 Dal sito personale del ministro: http://www.angelinoalfano.it/s6-attivita/17000/angelino-alfano-europa-protegga- propria-frontiera/.

30 E.RITAINE, La fabrique politique d’une frontière européenne en Méditerranée. Le ‘jeu du mistigri’ entre les Etats et l’Union, in Les Etudes du CERI, 186(2012).

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del dovere morale del soccorso, un rafforzamento comunitario dei mezzi di controllo della frontiera marittima. E così, a metà ottobre, decide di lanciare una propria operazione militare di sorveglianza e soccorso, chiamata Mare Nostrum. L’operazione incrementa i mezzi di sorveglianza e soccorso che le forze armate italiane hanno già dispiegato nel Mediterraneo sin dagli anni Novanta: come sempre avviene nell’ambito dei controlli delle frontiere, è un’operazione nella quale il sicuritario e l’umanitario si intrecciano.31 Tuttavia, accentuando discorsivamente le finalità di soccorso dell’operazione,32 il governo italiano mette in campo risorse argomentative nei confronti delle autorità europee e degli altri stati membri, più restii a partecipare alla gestione delle frontiere esterne. Dice il Presidente del Consiglio: “per noi è intollerabile che il Mediterraneo sia mare di morte (...). Dobbiamo agire subito e per questo il governo ha deciso la missione umanitaria”.33 Il Ministro della Difesa Mauro, dal canto suo, precisa che sarà un’operazione militare e umanitaria, e che bisogna far comprendere ai partner dell’Italia che tocca anche a loro impegnarsi.34 Il 22 ottobre Letta, nel presentare alla Camera i suoi obiettivi per il Consiglio europeo, spiega perfettamente in che modo sarà esercitata la pressione italiana: “nella sala del Consiglio entreranno per la prima volta il dolore, la morte, il senso di frustrazione e vergogna che la tragedia di Lampedusa ha recato e continua a recare con sé. (...). L’Europa, per la sua stessa storia, per le sue più profonde e nobili ragioni fondative, non può stare a guardare: se lo fa, l’Europa muore. Muore insieme alle centinaia di uomini, donne, bambini che perdono la loro vita mentre cercano un’occasione di salvezza”.35

In realtà, malgrado questo dispiegamento di argomenti di carattere etico, avranno la meglio considerazioni istituzionali. Il Consiglio europeo di ottobre decide di non decidere alcunché prima delle elezioni europee del giugno 2014. Le cose non cambiano neanche durante il semestre di presidenza UE dell’Italia, che pure, nelle intenzioni del governo Renzi, avrebbe dovuto fare della questione un tema centrale. Inoltre il governo italiano chiude l’operazione Mare Nostrum dopo un anno, alla fine di ottobre del 2014, lamentando l’insostenibilità, per la sola Italia, dei relativi costi: il ben modesto risultato della strategia italiana avviata con Mare Nostrum è che l’operazione italiana viene sostituita da Triton, un’operazione di sorveglianza di Frontex dai mezzi assai più limitati. L’evento del naufragio di Lampedusa sembra non aver sortito, sul piano politico, che una “biforcazione imperfetta”.36 Certamente, l’interpretazione politica del naufragio del 3 ottobre ha contribuito a fondare la legittimità della “scena del soccorso”37 nel Mediterraneo:

non è più possibile non soccorrere, o soccorrere malamente. Tuttavia, il tema dell’emergenza, tradotto nell’obbligo di soccorso e nella necessità di contrastare i trafficanti, ha permesso di eludere la questione cruciale di un cambiamento delle politiche europee in materia di immigrazione e asilo, mentre non ha permesso di mettere in discussione il costo umano del controllo delle frontiere, di quel circolo vizioso in cui le stesse misure sicuritarie comportano un rischio mortale per i migranti e rendono dunque necessaria l’adozione di misure umanitarie.

Sin dai primi mesi del 2014, i naufragi sono ripresi, ineluttabilmente, con l’abituale contorno di morti senza nome. Delle vittime del 3 ottobre, nel frattempo, non si parla quasi più: “It is not simply, then, that there is a ‘discourse’ of dehumanization that produces these effects, but rather that there is a limit to discourse that establishes the limits of human intelligibility. It is not just

31 P.CUTTITTA , From the Cap Anamur to Mare Nostrum. Humanitarianism and Migration Controls at the EU’s Maritime Borders, CLEER Working Papers, 7(2014), p. 21-37.

32 La realtà del soccorso è peraltro innegabile dal momento che circa 155.000 persone sono state tratte in salvo nel 2014 nel corso di Mare Nostrum, cf. P.CUTTITTA, From the Cap Anamur to Mare Nostrum…, cit., p. 26.

33 LA REPUBBLICA, “Immigrazione, al via operazione Mare nostrum”, 14 ottobre 2013.

34http://www.dailymotion.com/video/x15yzv8_roma-presentazione-dell-operazione-mare-nostrum-14-10-13_news.

35 Dal sito personale del Presidente del Consiglio: http://www.enricoletta.it/primo-piano/dinanzi-a-quel-che- succede-a-lampedusa-leuropa-non-puo-stare-a-guardare-se-lo-fa-muore/.

36 Per “biforcazioni” si intendono sequenze d’azione imprevedibili che determinano, in modo irreversibile, nuove direzioni d’azione. Cf. M.BESSIN, C.BIDART, M.GROSSETTI (DIR.), Bifurcations. Les sciences sociales face aux ruptures et à l'événement, La Découverte, Paris 2010.

37 M.TAZZIOLI, The Politics of Counting and the Scene of Rescue. Border Deaths in the Mediterranean, in “Radical Philosophy”, 192(2015).

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that a death is poorly marked, but that it is unmarkable. Such a death vanishes, not into explicit discourse, but in the ellipses by which public discourse proceeds”.38 Anche le proteste più vibranti organizzate in occasione del naufragio non possono fondarsi che sulla volontà di rendere visibili le vittime, doppiamente scomparse nel naufragio e nelle ellissi dei discorsi pubblici. Se questi ultimi offuscano la visibilità dei morti, le proteste mirano a svelare ciò che si nasconde dietro questi morti: bisogna farli uscire dallo spazio della “nuda vita”, attraverso atti di commemorazione e restituzione.

3. Contro la “globalizzazione dell’indifferenza”:39 le lotte per rendere visibili gli invisibili.

Coloro i quali intendono restituire agli scomparsi la loro identità fanno parte di una advocacy coalition40 che lavora nel lungo periodo per modificare il framing dell’immigrazione irregolare e le relative politiche. Sia direttamente, chiedendo un cambiamento delle politiche europee, sia indirettamente, cercando di risvegliare la coscienza civica, questi attori difendono i diritti umani dei migranti, restituendo a questi ultimi una qualche forma di umana visibilità: attraverso una traccia, un volto, una storia, un’identità. Essi trovano ispirazione, da un lato, nell’universalismo cristiano, fondato sul valore della persona umana, sostenuto dal dinamismo di papa Francesco e dalle reti cattoliche italiane; dall’altro lato essi si ispirano anche all’universalismo laico, quello dei diritti umani, che innerva le prese di posizione di numerosi intellettuali e associazioni militanti. Le loro interpretazioni sono, rispetto alle altre, meno dipendenti dall’evento in quanto tale. Si differenziano dal framing spettacolare prodotto dai media, in quanto sono enunciate in modo analogo già ben prima, e continuano a esserlo ancora ben dopo il verificarsi dell’evento. Si differenziano anche dai framing istituzionali, il cui orizzonte è l’azione di governo, in quanto si presentano come espressione della difesa dei diritti umani: si appoggiano su questo zoccolo di valori per denunciare le politiche esistenti e reclamare diritti per i migranti.

Queste interpretazioni, inoltre, si collocano in una temporalità diversa: coloro i quali le sostengono, infatti, sono attivi da anni sul tema delle morti alle frontiere (agiscono come sentinelle nei confronti dei mezzi di informazione e degli attori politici), e continuano a essere attivi dopo la tragedia di Lampedusa, affinché il ricordo delle vittime del naufragio non sia cancellato (in tal senso, essi sono anche guardiani della memoria).

3.1. Le sentinelle

Le sentinelle sono attori fondamentali, poiché il loro impegno di lungo termine ha contribuito a sensibilizzare i mezzi d’informazione e l’opinione pubblica sulla questione dei naufragi nel Mediterraneo: è anche grazie a tale lavoro di sensibilizzazione che il naufragio del 3 ottobre è stato tanto mediatizzato. Le sentinelle, inoltre, assicurano una pressione politica costante, poiché, dopo essere state attive su questi temi già ben prima dell’evento, continuano a esserlo anche dopo, forti della loro esperienza. Le associazioni per la difesa dei diritti dei migranti sono presenti da parecchi anni su entrambi i versanti del Mediterraneo. Sono reti di organizzazioni europee e africane, che collaborano in coalizioni dalla composizione mutevole e sono sempre più presenti sul campo come espressione attiva della società civile. Poco a poco, i naufragi sono andati occupando un posto di crescente rilievo tra i temi di cui si occupano. Ne è un esempio la missione Boats4People (B4P), lanciata nel 2011 da una rete di NGO euro-africane come

“flottiglia della solidarietà nel Mediterraneo [per] denunciare l’ecatombe che si sta verificando nel Canale di Sicilia”.41 L’imbarcazione di B4P ha navigato per il Mediterraneo nel corso dell’estate

38 J.BUTLER, Precarious Life, cit., p. 35.

39 PAPA FRANCESCO, Omelia, Lampedusa, 8 luglio 2013,

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130708_omelia- lampedusa.html.

40 P.SABATIER, The Advocacy Coalition Framework: Revisions and Relevance for Europe, in “Journal of European Public Policy”, 5(1/1998), pp. 98-130.

41 http://www.boats4people.org/index.php/it/flotille-it/il-progetto/82-faq-it.

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del 2012: il suo viaggio ha dato lo spunto per un’ampia copertura mediatica della questione dei migranti morti nel Mediterraneo,42 contribuendo ad avviare un dibattito pubblico sul tema, molto prima del naufragio del 3 ottobre 2013.

Occupate da anni a denunciare i rischi mortali che corrono i migranti nella traversata del Mediterraneo, queste reti di attivisti hanno finito, come extrema ratio, per adottare iniziative

“emergenziali”, divenendo anch’esse attori della “scena del soccorso”: tramite una vigilanza umanitaria sostitutiva, ma anche puntando il dito sulle responsabilità europee. L’iniziativa WatchTheMed, lanciata nel 2012, è intesa come uno strumento per “controllare i controllori”, per mettere gli stati di fronte alle loro responsabilità riguardo le morti e le violazioni dei diritti dei migranti.43

Una vera e propria attività di soccorso di iniziativa privata si è inoltre sviluppata dopo il naufragio del 3 ottobre, come risposta all’inazione istituzionale. Nel 2014, una coppia di imprenditori residenti a Malta ha fondato la Migrant Offshore Aid Station (MOAS): insieme a Medici Senza Frontiere (MSF), MOAS pattuglia con una propria nave il Canale di Sicilia fino al limite delle acque libiche.44 Un’altra iniziativa privata, Sea-Watch, è stata lanciata nel 2015, da un commerciante tedesco, e offre soccorso per mezzo di un’imbarcazione che fa base a Lampedusa.45 Sempre nel 2015, MSF ha anche allestito due proprie navi di ricerca e soccorso.46 Questa attenzione alla ricerca e soccorso e al rispetto dei diritti si fonda sul principio della solidarietà nei confronti dei migranti e sul riconoscimento dei loro diritti.

Tra le sentinelle si possono annoverare anche diversi giornalisti e scrittori. Il giornalista Gabriele Del Grande, pioniere della contabilità dei morti nel Mediterraneo con il suo blog Fortress Europe, realizza da anni reportages in tutto il bacino mediterraneo, raccogliendo i nomi degli scomparsi.47 Fabrizio Gatti, giornalista de “L’Espresso”, viaggiatore anonimo tra i migranti dell’Africa sub-sahariana e naufrago volontario a Lampedusa nel 2005,48 lavora regolarmente su questi temi, denunciando gli scandali legati alla gestione dell’immigrazione. Lo scrittore Erri De Luca raccontava alla televisione già nel 2009, da Lampedusa, le migrazioni contemporanee, ricordando l’emigrazione degli italiani;49 soprattutto, però, De Luca ha dedicato una delle sue opere a tutti quelli che sono partiti per un viaggio che si sarebbe rivelato di sola andata.50

In occasione del naufragio del 3 ottobre, la reazione delle sentinelle è stata tanto più viva in quanto la vergogna dei morti che esse denunciavano da tanto tempo era, infine, visibile a tutti.

Nella loro interpretazione si tratta di una guerra ai migranti e di una strage commessa dall’Europa:

“I morti di Lampedusa, come quelli di ieri e di domani, sono le vittime di un’Europa chiusa fino alla cecità dentro una logica sicuritaria, che ha rinunciato ai valori che pretende di difendere.

Un’Europa assassina”.51 Tale radicalità si esprime ugualmente nel modo in cui l’evento è seguito dal Progetto Melting Pot Europa, in particolare quando propone la redazione di una dichiarazione dei diritti dei migranti, poi elaborata a Lampedusa, all’inizio del 2014, da una rete di attivisti: la “Carta di Lampedusa” intende contrapporre a “un radicale svuotamento delle istituzioni democratiche (…) un altro diritto, scritto dal basso”.52 La carta di Lampedusa prende,

42 Cf. C. FOUTEAU, “La Méditerranée cimetière migratoire”, Médiapart, luglio 2012, http://www.mediapart.fr/dossier/international/la-mediterranee-cimetiere-migratoire

43 Si tratta di una piattaforma online per il monitoraggio delle morti e delle violazioni dei diritti dei migranti alle frontiere marittime della UE: http://www.watchthemed.net/.

44 http://www.moas.eu/

45 http://sea-watch.org

46 http://www.msf.org/topics/mediterranean-migration

47 http://fortresseurope.blogspot.com

48 F.GATTI, Bilal. Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi, Rizzoli, Milano 2007.

49 RAITRE, “Che tempo che fa”, 20 maggio 2009, https://www.youtube.com/watch?v=gPEmvU3R_i0 ; http://www.libreidee.org/2010/03/mi4granti-erri-de-luca-noi-carcerieri-di-viaggiatori/

50 E.DE LUCA, Solo andata, Feltrinelli, Milano 2005.

51 Comunicato della rete MIGREUROP, 4 ottobre 2013, http://www.migreurop.org/

52 http://www.meltingpot.org/La-Carta-di-Lampedusa-Dal-31-gennaio-al-2-febbraio-2014.html#.Vol9Hzar8fM.

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di fatto, la forma di una dichiarazione di diritti, e afferma, per tutti, la libertà di circolazione e di insediamento.

In questo contesto di mobilitazione permanente interviene anche un attore locale: la sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, che sul tema si esprime dopo la sua elezione nel 2012, e da allora continua a lanciare messaggi alle autorità. A volte i suoi interventi assumono forme particolari, come la lettera aperta alla UE del novembre 2012, o quella indirizzata, nel luglio del 2013, alle madri dei tunisini dispersi. Anche lei parla di una guerra, anche lei lotta per il riconoscimento di quelle stesse persone che adotta simbolicamente nelle sue parole: “Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza”.53 In opposizione alla logica del controllo, Nicolini dichiara: “noi ci auguriamo che gli sbarchi ci siano, che queste persone riescano ad approdare sulle nostre coste, che arrivino vivi”.54

Tuttavia, è un attore precipuamente globale come papa Francesco la sentinella che lancia l’allerta decisivo. Bergoglio effettua il suo primo viaggio apostolico a Lampedusa l’8 luglio 2013, alcuni mesi prima del naufragio, per onorare gli “immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”. Un segnale così forte attira l’attenzione mediatica sull’isola e mobilita le reti cattoliche in Italia e all’estero. Nell’omelia che tiene a Lampedusa, il papa condanna l’indifferenza e rievoca i morti: “In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza (...). Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? (...): la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”55 L’espressione

“globalizzazione dell’indifferenza” fa il giro del mondo e diventa emblematica delle tragedie del Mediterraneo. In occasione del naufragio del 3 ottobre essa è ripresa da tutti i mezzi di informazione, ricordata nelle parrocchie, ripetuta dalle autorità cattoliche.56

3.2. I guardiani della memoria

Alleati di fatto delle suddette sentinelle, i guardiani della memoria sono attivi sul tema vuoi per professione, come giornalisti e fotografi, vuoi per sentimenti di rivolta morale, come certi artisti o alcuni abitanti dell’isola. Per loro, l’imperativo è impedire che i morti siano dimenticati, nella tragicità del naufragio così come nell’umanità della loro esistenza.

I testimoni di professione, giornalisti e fotografi, sono in prima fila in quest’azione di vigilanza:

per loro si tratta di fare vedere, in senso letterale, ciò che accade. Ne è un esempio il settimanale

“L’Espresso”. A ottobre del 2013 il suo direttore scrive un editoriale intitolato “Ora però non dimentichiamoli”,57 nel quale giustifica proprio con l’imperativo della memoria la frequente ricorrenza del tema dei naufragi nella rivista. Fabrizio Gatti, giornalista del settimanale, si dedica alla ricerca delle famiglie dei siriani morti nel naufragio dell’11 ottobre 2013 (avvenuto nelle acque tra Lampedusa e Malta) e raccogliere fotografie dei dispersi. In un documento-choc, Gatti pubblica sul suo blog le fotografie dei bambini dati “in pasto ai pesci”, accompagnate dalle storie personali, mentre la copertina del settimanale reca il titolo “Lasciati morire”.58 La linea editoriale de “la Repubblica” è analoga. Il quotidiano realizza corpose inchieste e pubblica inoltre, sul proprio sito, i video delle diverse operazioni di soccorso, le durissime immagini girate dai

53 G.NICOLINI, op.cit.

54 Intervista con AdnKronos, 20 agosto 2012, citata da N.DALLA CHIESA, “Lampedusa, la sindaco gentile che accoglie l’umanità”, Il Fatto quotidiano, 10 settembre 2012

55 PAPA FRANCESCO, op. cit. Dopo il naufragio del 3 ottobre il papa dice una sola parola: “Vergogna”.

56 Per esempio: CONFERENZA EPISCOPALE REGIONALE SICILIA, “Stragi di migranti, l’accusa dei vescovi: ‘La politica colpevole delle morti’”, La Repubblica-Palermo, 14 ottobre 2013.

57 B.MANFELLOTTO, “Ora però non dimentichiamoli”, L’Espresso, 16 ottobre 2013.

58 F. GATTI, “Strage 11 ottobre, bimbi e genitori dispersi”, 30 ottobre 2013, http://gatti.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/10/30/i-bimbi-che-leuropa-ha-dato-in-pasto-ai-pesci/.

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sommozzatori nel relitto, nelle quali si vedono i cadaveri e soprattutto il fotogramma di una coppia annegata, avviluppata nella morte: “quell’abbraccio inimmaginabile in un mare di morte”.59

La conservazione della memoria è inoltre affidata, sull’isola, a diversi atti simbolici, tra cui il più emblematico è l’installazione a Cala Francese, nel 2008, della Porta di Lampedusa-Porta d’Europa, monumento dello scultore Mimmo Paladino dedicato alla memoria dei migranti morti in mare: “Significato fondamentale di quest’opera è quello di consegnare alla memoria quest’ultimo ventennio in cui abbiamo visto migliaia di migranti morire in mare, in modo disumano, nel tentativo di raggiungere l’Europa, una strage senza testimoni, spesso senza sepoltura e quindi senza pietà”.60 In seguito al fallimento dei “funerali nazionali” dell’ottobre 2013, l’isola ha anche dato vita a propri rituali commemorativi. All’interno della riserva naturale, il comune ha creato un giardino della memoria, piantandovi 366 alberi (ciascuno dei quali ha avuto attribuito un numero, in attesa di ricevere forse, un giorno, il nome di uno dei migranti scomparsi) e 366 lumini, uno per ciascuna delle vittime. In occasione del primo anniversario del naufragio, i gesti simbolici si sono moltiplicati: mazzi di fiori lanciati in mare, stele commemorative depositate nel relitto sott’acqua, “flash mob” dei fantasmi dei defunti che emergono dalle acque, un rito interconfessionale, etc. Lo stesso giorno, Erri De Luca sparge sul luogo del naufragio il “sale della memoria”, perché le ferite non si rimargino, perché non siano dimenticati coloro che i documenti della questura definiscono non persone ma “elementi”:

“Allora è proprio così: qui sono affondati gli elementi che formano la chimica umana del pianeta”.61

Frequente è poi il recupero delle tracce lasciate dai morti. L’associazione lampedusana Askavusa ha creato “Porto M”, luogo di esposizione informale degli oggetti ritrovati nel corso degli anni sulle barche dei migranti, per testimoniare dell’esistenza storicamente situata di queste persone senza nome. Così l’oggetto “da spazzatura è divenuto simbolo stratificato”.62 La stessa idea di recupero delle tracce dei morti, in un’accezione però più spirituale, presiede al reimpiego del legno dei relitti delle barche utilizzate per le traversate. Nel 2009 un falegname dell’isola ha cominciato a fabbricarci delle piccole croci: “Pensai di prendere i legni delle barche nella discarica e intagliare una croce come simbolo di quello che non si voleva far vedere”. Sua è anche la grande croce da processione benedetta dal papa prima che intraprendesse, nel 2014, un viaggio della memoria per le diocesi italiane, organizzato da un’associazione cattolica.63

Alcuni artisti hanno evocato i morti anche in modo diretto. Ennio Morricone è arrivato al punto di riprodurre sonoramente “la voce dei sommersi”, in una composizione musicale eseguita alla fine di ottobre 2013, a Milano, in occasione di un omaggio interconfessionale. Lo scultore danese Nikolaj Bendix Skyum Larsen, dopo avere visto le file di cadaveri nei lenzuoli a Lampedusa, ha creato “End of Dreams”, una serie di statue le cui fattezze antropomorfe evocano i corpi dei migranti nei sacchi mortuari; realizzate in un cemento composito che indurisce a contatto con l’acqua, le statue sono state immerse per quattro mesi a largo della Calabria affinché i movimenti dell’acqua le modellassero, e in seguito esposte in diverse città europee.64 Al teatro, due sono le principali opere collegabili al naufragio del 3 ottobre. Lina Prosa aveva già messo in scena il tema del naufragio nel 2003, con “Lampedusa Beach”, che aveva per oggetto l’annegamento di una giovane migrante africana; nel 2013, con “Lampedusa Way”, mostra invece il lutto delle famiglie, evocando la disperata ricerca dei dispersi portata avanti dai parenti, vittime anch’essi del “naufragio orizzontale” del dolore e della clandestinità. Nicolas Stemann, invece, mette in scena “Die Schutzbefohlenen”, scritto tra il 2013 e il 2014 dal premio Nobel per la letteratura Elfriede Jelinek: protagonisti sono i migranti sopravvissuti e giunti in Europa, e il loro

59 http://enigmur.hypotheses.org/3632

60 Testo di presentazione dell’opera (dall’archivio del municipio di Lampedusa e Linosa).

61 E.DE LUCA, http://fondazionerrideluca.com/lampedusa-1-ottobre-2014/.

62 https://askavusa.wordpress.com/con-gli-oggetti/porto-m/.

63 F.TUCCIO, falegname, cfr. M. Gandin, “Il Papa e la croce di Lampedusa”, Famiglia cristiana, 9 aprile 2014.

64 http://enigmur.hypotheses.org/3796; http://www.nbsl.info/index.html.

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rapporto con i compagni di viaggio scomparsi. Il testo evoca, con feroce ironia, gli orsacchiotti di peluche posati sui feretri dei bambini nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa: “Cinque bare, cinque orsacchiotti! Dovrebbero bastare. Prima non credo ne avessero, di cose del genere. Non avevano bare con cui giocare, e nemmeno orsacchiotti”.65

In questo contesto, le numerose onorificenze attribuite a Lampedusa dopo il 3 ottobre appaiono come altrettanti rituali di espiazione. La vicenda della candidatura dell’isola al premio Nobel per la pace è rivelatrice in tal senso. L’iniziativa è riproposta spesso, in Italia, in coincidenza con diverse crisi migratorie: già la popolazione del Salento fu candidata al Nobel per la pace dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno, nel 1999, per i suoi sforzi umanitari al tempo degli sbarchi degli albanesi sulle proprie coste.66 Nel 2011, al tempo della crisi migratoria innescata dalla Primavera araba, quando migliaia di persone vengono tenute ammassate sull’isola, l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi propone di candidare al Nobel proprio Lampedusa.

Nel 2013, la possibilità di una candidatura di Lampedusa al Nobel è evocata, sin dal mese di agosto, prima dallo scrittore Mario Vargas Llosa (lui stesso premio Nobel per la letteratura), di passaggio in Sicilia, poi da Fabrizio Gatti e da “L’Espresso”, che lancia una petizione in tal senso, subito dopo il 3 ottobre. A questo punto anche i politici sostengono, dalla propria prospettiva interpretativa, l’iniziativa. E così il Presidente del Consiglio Letta dichiara: “Lampedusa non è una periferia dell’Europa: è il cuore del nostro continente (...). Il premio sarebbe il riconoscimento a una comunità che insegna a tutto il mondo la ‘globalizzazione della solidarietà’”.67

Com’è noto, Lampedusa non ha ottenuto il premio, mentre ha continuato a vivere altri naufragi. Nel febbraio del 2015, davanti ai cadaveri di 29 migranti morti di freddo in mare, il direttore sanitario di Lampedusa dichiara: “Sono sconvolto, sono davvero sconvolto. (...) Mi spiace dirlo, ma con la fine di Mare nostrum siamo tornati a contare i morti in mare. Sono stanco”. E la sentinella Nicolini, sindaca di Lampedusa, conclude: “I 366 morti di Lampedusa non sono serviti a niente, le parole del Papa non sono servite a niente, siamo tornati a prima di Mare Nostrum. È la realtà”.68 Secondo questi attori, nulla pare essere cambiato. Tuttavia, la advocacy coalition di cui fanno parte esercita una forma di pressione politica costante, trova alleati a tutti i livelli di governo, rilancia l’allarme in ogni circostanza. Da questo punto di vista, il 3 ottobre sembra avere ampliato sia la base di reclutamento (più militanti e attivisti, più intellettuali e artisti), sia il consenso (affermazione più forte e diversificata dei diritti umani dei migranti) della coalizione. A partire dal 2013 aumenta la visibilità dei naufragi e delle morti in mare, e la questione è più dibattuta che un tempo. Eppure gli eventi del 2015, allargatisi al mare Egeo e ai Balcani, dimostrano che i militanti della visibilità hanno ancora parecchio da fare.

Conclusione

A partire dalla singolarità di un evento, il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, e delle sue interpretazioni, è possibile comprendere attraverso quali processi sia resa possibile la tacita accettazione di uno stato d’eccezione in mare. Tale accettazione dipende dal maggiore o minore grado di visibilità della morte. Tre tipi di framing si intersecano: gli annegati sono dei corpi, dei problemi di politiche pubbliche, delle persone dotate di diritti. È l’irruzione in scena dei corpi migranti, l’irruzione dei morti, a creare l’evento: la visibilità della violenza scatena, grazie alla diffusione mediatica, forti reazioni emotive, che non trovano mai una vera mediazione politica.

Le interpretazioni fatte dai responsabili della gestione delle frontiere riducono la visibilità delle morti entro i limiti dei loro abituali contesti interpretativi: eufemizzandoli, li trasformano in

65 Riprendo qui la bella analisi dello spettacolo fatta da P.CUTTITTA, “Grazie per gli orsacchiotti! Lampedusa e le sue bare, l’Europa e i suoi valori”, 24 giugno 2014, http://www.meltingpot.org/Grazie-per-gli-orsacchiotti-Lampedusa- e-le-sue-bare-l.html#.VSabnKocQuT.

66 M.ALBAHARI, op. cit., p. 3.

67 F. GATTI, “Lampedusa Nobel, presentata la candidatura”, 27 febbraio 2014, http://gatti.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/02/27/lampedusa-nobel-presentata-la-candidatura/.

68 P. BARTOLO, poi G. NICOLINI, http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2015/02/09/immigrati-morti-per- ipotermia-profughi-altri-gravissimi_eP8wSAfFHTGuF9rf0s5d6N.html.

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risorse argomentative nelle controversie tra diversi livelli di governo per la presa in carico delle frontiere. Le uniche interpretazioni che mettono in discussione il framing delle politiche europee delle frontiere sono quelle che affermano i diritti umani dei migranti, rendendo tanto visibile quanto possibile la loro umanità: esse svolgono un lavoro a lungo termine che non produce effetti se non molto lentamente, e cercano continuamente alleati politici in seno alle istituzioni.

Loro, i migranti morti in mare, nonostante gli sforzi e l’impegno profusi da chi si batte per renderli visibili e rispettati, restano nel limbo del politico, fuori quadro, a mala pena sfiorati dai sentimenti di scandalo morale: “Il mare è di tutti, ma solo da morti. (...) Riflettete come l’ingiustizia li perseguiti anche da morti. Non più vivi, ma non morti, estranei perfino alla sottile terra di confine tra esistenza e inesistenza”.69

69 A.DAL LAGO, Fluidi feretri, in “Cultures & Conflits”, 18 novembre 2008, http://conflits.revues.org/12653?lang=it.

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