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Attualità di Karl Polanyi

Alain Caillé, Jean-Louis Laville

To cite this version:

Alain Caillé, Jean-Louis Laville. Attualità di Karl Polanyi. Laville Jean-Louis, La Rosa Michele (dir.).

Ritornare a Polanyi. Per una critica all’economicismo?, FrancoAngeli, pp. 45-69, 2008, 9788856803976.

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Attualità di Karl Polanyi.

CAILLÉ Alain & LAVILLE Jean-Louis (2008). « Attualità di Karl Polanyi », in LAVILLE Jean-Louis & LA ROSA Michele (eds.), Ritornare a Polanyi: Per una critica all’economicismo?, FrancoAngeli, Milano, pp. 45-69.

http://www.jeanlouislaville.net

Copyright © Jean-Louis Laville 2009. All rights reserved.

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Attualità di Karl Polanyi

di Alain Caillé e Jean-Louis Laville

Non si tratta di sovrastimare l'importanza della figura di Karl Polanyi né rispetto alle scienze sociali né rispetto al pensiero politico. Egli si collo- ca in effetti tra i pochi autori la cui singolare opera scientifica acquisisce interamente significato se letta alla luce del progetto etico e politico di cui si colloca all'origine; specularmente, l'obiettivo politico, ugualmente origi- nale, non sarebbe plausibile se non collegato all'antropologia generale che lo fonda e che il lavoro scientifico tenta di accreditare.

Polanyi, antropologo e storico

Marx, Weber e Polanyi

Marx, Weber, non è evidentemente un caso che si evochino qui questi due nomi.

Da più punti di vista, Polanyi può essere considerato come il loro erede più originale. Un erede trasversale, che si appoggia sull'uno per cercare di oltrepassare o di contenere l'altro.

Ciò che questi tre autori hanno in comune, che li rende inattuali ma al- trettanto preziosi, è di gettare dubbi sulla naturalità del17Homo oeconomi- cus. Certamente non sono i soli, ma non si intravedono pressoché altri au- tori, ad esclusione di Marce1 Mauss, che lo abbiano fatto con tanta vee- menza. Ciò che è in gioco in questo mettere in discussione deve essere, seppur brevemente, contestualizzato. La quasi certezza che l'essere umano non sarebbe altro, naturalmente e in ogni tempo, che un uomo economico, cioè un individuo calcolatore che aspira esclusivamente a massimizzare la propria utilità, è invero ormai consolidata un po' ovunque - nel discorso politico, economico, storico, sociologico, nel senso comune dominante. Si

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tratterebbe, in altre parole, di un soggetto che nel corso delle relazioni con i propri simili si comporta alla stessa maniera del consumatore e dell'inve- stitore sul mercato dei beni e dei servizi, cercando di ottenere il maggior guadagno rispetto al denaro impiegato e più in generale alle energie spese.

È opinione comune che se questa verità non si è rivelata chiaramente che ad un certo momento, è perché nelle società passate il peso della religione, delle credenze, delle rnistificazioni e delle dominazioni è stato tale da im- pedire la piena manifestazione dell'essenza calcolatrice dell'essere umano.

Ma l'avvento della modernità squarcia questo velo di credenze e promuove al contempo il mercato e la democrazia, l'uno come condizione dell'altra.

E se questa visione largamente accolta - anche se spesso in modo impli- cito - fosse semplicemente falsa?

Se l'uomo non fosse o non fosse soltanto un Homo oeconomicus, se lungi da esserlo in origine e in modo congenito, non iniziasse ad apparire tale in virtù di una costruzione e di un divenire storico complesso, come occorrerebbe allora pensare il corso della storia e quali conclusioni politi- che si potrebbero trarre? Queste sono le questioni centrali che sollevano, ognuno alla propria maniera, i nostri tre autori.

In che modo l'uomo diviene un "animale economico", per riprendere la formula di Mauss? Sono note le risposte di Marx e Weber. Per Marx, l'es- sere dell'uomo in quanto specie, il suo Guttungswesen, è la socialità e non il perseguimento del tornaconto economico.

Totalmente sociale nel comunismo primitivo, egli deve n-divenirlo nel comunismo definitivo, passando così, in certo qual modo, dall'al di qua dell'"anima1ità economica" al suo al di là. Nel superamento della comunità primitiva, la piccola produzione mercantile - in altre parole il mercato - è già presente. Essa introduce dei germi di calcolabilità e di razionalità eco- nomica, tuttavia limitati; il ciclo mercantilistico indotto dal mettere sul mercato determinate merci, M, semplice valore d'uso, termina imrnediata- mente, nel momento in cui il denaro D ottenuto in cambio è stato riconver- tito in un'altra merce che ha lo stesso valore d'uso destinato al consumo. Il pieno divenire del17Homo oeconomicus, fuoriuscito dalle "acque ghiacciate del calcolo egoista", non si realizza che con il sorgere del capitalismo che trasforma il ciclo M-D-M in D-M-D, facendo dell'accumulo di denaro il vero motore dell'economia, la sua alfa e la sua omega, "la Legge e i suoi profeti". Se ci sono tracce di capitalismo mercantile e finanziario nell'An- tichità, il modo di produzione capitalistico propriamente detto, caratteriz- zato dall'apparire del lavoro salariato, non si impose che nel XVI secolo in Europa.

Secondo Weber, l'apparire del guadagno, la sete di ricchezza sono moti- vazioni sempre esistite, "Anche se negli ordini sociali tradizionali esse si

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trovano limitate dall'ethos della reciprocità che impregna i rapporti di vici- nato e le relazioni familiari. È così che il capitalismo commerciale o finan- ziario e anche certe forme di capitalismo artigianale o pre-industriale sono presenti nell'antichità e al di fuori dell'Europa occidentale. Ciò che costi- tuirà l'originalità della modernità e dell'occidente non sarà dunque l'appa- rire del capitalismo in quanto tale, ma la sua razionalizzazione e la sua si- stematizzazione. Queste ultime vanno di pari passo con il rovesciamento radicale della motivazione ultima che regge lo spirito di lucro. Con il capi- talismo razionalizzato non si tratta più di fare fortuna per spendere con magnificenza e in modo ostentato, ma per accrescerla indefinitamente.

L'accumulazione della ricchezza è divenuta essa stessa il fine. L'originalità di Weber, è noto, è di mostrare che l'apparizione di questo tipo umano sin- golare (questo Menschetum) non procede meccanicamente dall'innata at- trattiva del guadagno, ma da una rivoluzione religiosa che inverte e rivolu- ziona le vie della salvezza.

Sia in Marx che in Weber, il capitalismo e l'economia di mercato non si riconoscono né per la naturalità loro attribuita dagli economisti liberali, né tanto meno per l'antichità e una sufficientemente estesa universalità. E ciò vale anche per 1'Homo oeconomicus.

Polanyi, dal canto suo, è più radicale nella de-costruzione dell'ipotesi della naturalità dell'Homo oeconomicus. I1 momento di rovesciamento sto- rico decisivo non è, a ben guardare, il passaggio dalla piccola produzione mercantile al modo di produzione capitalista, o dal capitalismo della spesa, al capitalismo dell'accumulazione. Polanyi infatti non parla quasi di capi- talismo. La singolarità storica che Mam attribuiva al capitalismo fondato sul lavoro salariato e la sua razionalizzazione, Polanyi la imputa non al- l'apparizione del capitalismo, ma del mercato autoregolato, unica istanza nella quale il soggetto umano comincia ad assomigliare davvero all'Homo oeconomicus della teoria economica. Ecco che sembrerebbe necessario ar- retrare parecchio nella storia ed estendere in modo considerevole il regno della modernità economica e dell'Homo oeconomicus, poiché secondo Marx o Weber, il mercato e la piccola produzione di mercato sono presenti sin dai tempi più remoti. Ma è tutto il contrario, sostiene Polanyi, perché non si deve confondere, egli ci avverte, il mercato con il mercato quale spazio fisico. O ancora: non bisogna credere che le pratiche di scambio sul mercato come spazio fisico (market places) si dispieghino necessariamente secondo il meccanismo dello scambio di mercato teorizzato dalla scienza economica. Più generalmente non bisogna identificare il commercio con il mercato. Ciò che in effetti è più o meno vecchia come l'umanità, è la pra- tica del commercio; ma quest'ultima, lungi da117essere organizzata neces- sariamente e sempre sul modello dello scambio di mercato, della vendita e

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dell'acquisto, obbedisce, nei fatti e più spesso, alla logica della reciprocità, cioè del dono e del contro-dono, o della redistribuzione patrimoniale o sta- tale. Lo scambio può essere scambio attraverso doni, scambio amministra- to o scambio di mercato. E ancora in quest'ultimo caso occorre distinguere tra il mercato sul quale gli scambi si effettuano a tassi prefissati, che siano fondati sul diritto consuetudinario o oggetto di tassazioni amministrative, e il mercato sul quale, secondo la teoria economica, i prezzi non pre-esisto- no agli scambi, ma variano in funzione dell'offerta e della domanda.

Lungi dal costituire la norma generale degli scambi economici, il princi- pio di mercato così inteso rappresenta una figura d'eccezione storica. Esso non si impose secondo Polanyi che in tre periodi storici ben determinati: il periodo ellenistico del IV secolo avanti Cristo che vede, per la prima volta nella storia, formarsi un'autonoma classe media di mercanti; la fine del Medio Evo dove si formano, sotto l'egida degli Stati nazione che stavano nascendo, mercati prima regionali poi nazionali integrati, là dove fino allo- ra aveva dominato la regola della separazione tra il piccolo commercio lo- cale e il grande commercio internazionale; e infine, dopo l'abolizione, nel 1834 dello Speenhamland Act, che aveva instaurato una specie di reddito minimo garantito ante litteram, nel secolo del Liberalismo economico che fonda tutta la vita economica esclusivamente sull'incontro tra motivazioni riconducibili all'attrattiva del guadagno e la paura di morire di fame. L'in- staurarsi di un tale sistema economico auto-organizzato suppone in effetti che l'economia di mercato resa così autonoma, sradicata (disembedded) dal rapporto sociale tradizionale, si inscriva nel quadro di una società di mercato nella quale tre beni essenziali che non sono prodotti come merci, il lavoro, la terra (cioè la natura) e il denaro, siano trattati in quanto tali.

Riassumiamo in estrema sintesi la tesi: lungi dall'essere universale, il mercato e 1'Homo oeconomicus sono delle eccezioni. Lungi dal generarsi naturalmente e spontaneamente, come crede per esempio un Friederich von Hayek, essi sono il risultato di una costruzione storica. Degli artefatti.

I1 mercato non è il figlio legittimo della natura, ma il figlio naturale della politica.

Quanto al livello delle implicazioni propriamente etiche e politiche delle analisi di Polanyi, l'essenziale può essere detto piuttosto semplicemente. Si tratta insomma di trovare e definire una specie di via intermedia tra il pes- simismo rassegnato di Weber e il v o l o n t ~ s m o messianico di Marx. Per Weber, in effetti, una volta che l'economia sia formalmente razionalizzata tramite lo sviluppo del mercato e delle organizzazioni razionali per eccel- lenza che sono le burocrazie, ogni tentativo di obbedire agli imperativi di una giustizia materiale e non solo procedurale non possono che condurre che al fallimento di chi vi aspira, ivi compreso gli strati sociali più svan-

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taggiati. Ad ogni istante, il rimedio sarebbe peggio del male. Occorre dun- que rassegnarsi al disincanto del mondo e ad un sentimento di scoraggia- mento per la razionalizzazione formale dell'esistenza sociale. Polanyi non si rassegna a questa impotenza. Nello stesso tempo non accetta nemmeno l'obiettivo mamista di abolire puramente e semplicemente il mercato per dissolverlo nella società e nello stato.

I1 pensiero di Polanyi così caratterizzato appare come una sorta di mamismo umanistico, unica teoria generale nelle scienze sociali di ampia levatura in grado di fondare e fecondare un pensiero socialdemocratico ra- dicale. Alle speranze deluse del mamismo come alle delusioni del liberali- smo economico, Polanyi offre la speranza di edificare una società umana, dignitosa e padrona di se stessa senza cedere alle illusioni di alcuna poten- za politica o mercantile. I1 suo socialismo, lo si visto qui, è un sociali- smo associativo.

Quale è l'apporto specifico di Polanyi a questo socialismo associativo? I suoi testi più vecchi sulla contabilità socialista lottano su due fronti - con- tro la pianificazione centralizzata dell'URSS e contro il decreto liberale emesso in particolare da Ludwig von Mises sull'impossibilità di ogni pia- nificazione e di ogni contabilità socialista adeguata - e oggi non presenta- no che un interesse storico e accademico. Essi concedono ancora troppo all'irnmagine di uno stato centrale organizzatore razionale per essere anco- ra credibili.

Ciò che preme innanzitutto sottolineare nell'incontro tra la ricerca scien- tifica e la riflessione politica, sono probabilmente quattro temi cruciali.

Da un lato lo sforzo di Polanyi teso a mostrare che la democrazia non discende dal mercato, che essa si forma e si può riprodurre prima e senza di esso. Qui risiede la lezione principale della sua rilettura di Aristotele e del suo lavoro sulla Grecia. Nel miracolo greco, cosa viene prima, il dive- nire del pensiero razionale, l'emergenza del mercato o l'invenzione della democrazia? La risposta più frequente e più spontanea oggi consisterebbe nel ritenere la nascita e I'autonomizzazione del mercato la condizione del pensiero libero e della democrazia. Oppure, se Polanyi ha ragione, se è ve- ro che Arisototele non teorizza un'economia di mercato ancora inesistente allorché la democrazia è gia instaurata da lungo tempo ad Atene, è chiaro che la democrazia non ha bisogno del mercato per formarsi e prosperare.

I1 senso di questa lezione impartita dai Greci trova conferma nelle altre significative tesi elaborate da Polanyi, che rappresentano altrettanti temi cruciali: la tesi del ruolo attivo dello Stato nella creazione del mercato e quella in base alla quale l'autonomizzazione radicale del mercato autore- golato crea le condizioni psichiche che conducono all'aspirazione al totali- tarismo e di conseguenza alla rovina della democrazia.

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Parlare delle condizioni psichiche della democrazia rinvia al quarto grande tema politico elaborato da Polanyi, poco conosciuto. Come scrivo- no M. Cangiani e J. Maucourant, «la trasformazione delle istituzioni di- pende necessariamente [per Polanyi] dal cambiamento di ogni individuo e [. . .] implica una forma di "fede7'l».

Se occorresse dunque riassumere in poche parole lo specifico del pen- siero politico di Polanyi, si potrebbe senza dubbio dire che si tratta di uno storico dell'economia che tra tutti gli storici rappresenta colui che mini- mizza di più il peso dei deterrninismi economici per accordare, al contra- rio, un ruolo massiccio e determinante alla politica e all'etica.

Una tale posizione è difendibile? Difendibile nel senso di pertinente dal punto di vista scientifico e ancora in grado di fare luce in modo plausibile sui dibattiti politici contemporanei?

Critica della storia economica polanyiana

Le tesi polanyiane, nella loro originaria freschezza, avevano qualcosa di esaltante. Là dove la grande maggioranza degli storici credeva di vedere il mercato moderno, il mercato teorizzato dagli economisti pienamente co- stituito un po' dappertutto e in tutta l'Antichità, Polanyi affermava trattar- si di un'illusione ottica e che, vittime di una distorsione moderno-centri- ca, sono stati mal interpretati i testi e falsate le fonti. Egli sosteneva che ovunque si vedeva l'esistenza di un mercato, non c'era in effetti che scambio attraverso doni, scambio amministrato, di Stato, o meglio, scam- bio a prezzi fissi e regolati. Questa convinzione rappresentava la possibi- lità di invertire il corso della storia e rendere il superamento della società di mercato tanto più probabile e facile in quanto singolarità, vera eccezio- ne storica. Se non contro natura, almeno contro la società, contro natura sociale in qualche modo.

Ma occorre arrendersi all'evidenza, ormai ben documentata. L'esistenza di un mercato che crea i prezzi è molto più antica di quanto ritenesse Po- lanyi. Lui stesso d'altra parte in uno dei suoi testi postumi riuniti ne La sussistenza dell'uomo, fa arretrare la nascita del mercato autoregolato in Grecia, nel secolo V avanti Cristo.

Rileggendo Aristotele, Raymond Descat [2005] lo vede nascere nel VI secolo, anche se in qualità di istituzione essenzialmente politica. Fonti ine-

1. Come attestano in particolare due saggi ripresi nel testo di M. Cangiani e J. Maucou- rant: "La nostra obsoleta mentalità di mercato" e più specificatamente ancora: "Occorre credere al detenninismo economico?'.

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quivocabili attestano che il mercato libero è già pienamente conosciuto in Cina nel VII secolo avanti Cristo nel periodo dei Regni combattenti.

Ciò che è in un certo senso ancora più grave per le tesi espresse da Po- lanyi sono gli studi assirologici e babilonesi che rimettono seriamente in discussione l'idea, centrale in Polanyi, in base alla quale il commercio ba- bilonese sarebbe stato, in tutto e per tutto ed esclusivamente, uno scambio amministrato, assicurato da funzionari unicamente interessati del proprio status sociale e non al profitto monetario, essendo ad essi sconosciuta la forma di scambio basata unicamente sulla formazione dei prezzi.

Uno dei migliori esperti sul tema, Johannes Ranger [2005, p. 551, pur rendendo omaggio a Polanyi, conclude che quest'ultimo ha trascurato sia la distinzione che la sovrapposizione tra economia rurale ed economia ur- bana e l'influenza della seconda sulla prima.

Morris Silver [l9951 rileva invece numerose tracce relative alla libera formazione dei prezzi sui mercati babilonesi. Ma quale posto occupa que- sto mercato di libero scambio nell'economia nel suo insieme? Tale que- stione si pone tanto più se si ricorda che ogni operazione commerciale ef- fettuata dai mercanti ufficiali (karums) era registrata presso il capo dei mercanti, lo scriba ufficiale, il tamkarum il cui compito primario era di classificare i beni in tre categorie: quella del "monopolio", quella del "de- posito" e quella della "libertà" [Norel, 2004, p. 721. Apparentemente, è nel tipo di scambio compreso in questa terza categoria che i commercianti po- tevano realizzare un profitto personale.

Terminiamo questa rapida disamina sulle criticità presenti nelle argo- mentazioni polanyiane, notando infine l'inspiegabile assenza, sia da parte sua che dei suoi discepoli, di lavori sull'economia romana. Si tratta proba- bilmente di un scelta effettuata in senso di sfida, poiché tra i principali av- versari teorici del pensiero di Polanyi e dei suoi discepoli vi è Miche1 Iva- novic Rostovtseff, il quale considerava l'economia romana pienamente moderna e basata sullo scambio di mercato dall'inizio dell'era imperiale.

Tesi confermata in maniera interessante dai lavori di Alain e Francois Bresson [2004, 20051 che mostrano come l'assenza della contabilità a par- tita doppia a Roma non testimoni alcun difetto di razionalità mercantile e si spieghi perfettamente da un lato a partire dallo scarso ruolo del credito e dall'altro con il fatto che l'economia antica, fondata sullo schiavismo, era bi-settoriale: la produzione si effettuava infatti al di fuori del mercato, poiché tutto il necessario era prodotto "gratuitamente" all'interno dei pos- sedimenti agricoli, tanto che la regola d'oro, fissata da Catone, "acquistare il meno possibile, vendere il più possibile" s'impose in modo assoluto, li- mitando le esigenze contabili e la registrazione delle entrate e delle uscite di denaro.

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Solo l'avvento del credito imporrà, alla fine del Medio Evo occidenta- le, di iniziare a entrare nella "scatola nera" della produzione e di iniziare a imputare poco a poco un valore monetario contabilizzabile agli input interni2.

È noto che è nell'affermarsi della contabilità a partita doppia che Weber vedrà uno dei tratti essenziali e decisivi del capitalismo moderno, indisso- ciabile dalla comparsa del credito. Ma la loro assenza non indica affatto l'assenza di capitalismo tout court: «Tuttavia, egli scrive, se non si intro- ducono in questo concetto (di capitalismo) dei deterrninismi sociali, accet- tando invece la sua valenza puramente economica, allora il carattere capi- talista di intere epoche della storia antica pare assicurato ovunque vi siano oggetti posseduti e scambiati da individui privati a fini acquisitivi in un7e- conomia di scambio» [Weber, 1998, p. 101. Egli aggiunge tuttavia che «oc- corre anche guardarsi dalle esagerazioni».

Interpretato sulla base di questa citazione e delle osservazioni che noi abbiamo riunito, Polanyi appare come un autore istituzionalista che avreb- be introdotto eccessive «considerazioni sociali» nella sua definizione di mercato (alias il capitalismo), fino a negarne l'esistenza anche quando le istituzioni sociali che strutturano il mercato sono esse stesse chiaramente mercantili, o in altre parole, anche nel momento in cui la società di merca- to si è pienamente costituita.

Questa critica potrebbe arricchirsi di numerosi altri esempi, e in partico- lare di tutto il materiale riunito dall'antropologo Jack Goody nel suo libro L'Orient en Z'Occident [1999], vera macchina da guerra teorica anti-webe- riana e anti-polanyiana che tende a distruggere definitivamente la tesi della singolarità storica della modernità occidentale, mostrando come tutti i suoi elementi costitutivi - dal pensiero razionale alla contabilità della partita doppia e al mercato - si trovano da un bel po' di tempo in Medio Oriente o in Estremo Oriente (e in particolare in India)3.

2. È nella non monetarizzazione delle prestazioni effettuate nell'ambito dei possedimenti agricoli, della piccola impresa artigianale o domestica che risiedono la condizione e il se- greto della loro sopravvivenza. Allorché si dovranno pagare a prezzi di mercato le presta- zioni "gratuite" effettuate dagli schiavi, dai servi o dai diversi membri della famiglia, sarà necessario vendere a sufficienza per potere comprare, indebitarsi e il fallimento soprag- giungerà rapidamente. Su questo tema, i due grandi libri sono quelli di Witold Kula [l9701 e Alexandre Tchayanov [l 9901.

3. La critica a dire il vero riguarda più Polanyi che non Weber, che, lo si vedrà, non so- vrastima affatto l'originalità storica del capitalismo in generale.

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Le acquisizioni scientifiche di Polanyi

Non si può tuttavia consentire che le critiche invalidino le acquisizioni scientifiche di Polanyi. Un tratto essenziale delle teorizzazioni polanyiane, la dimensione dell'anti-economicismo, resta in effetti valida ed è confer- mata dalla revisione della datazione della comparsa del mercato. Man ma- no si individuano nuove date di nascita del mercato, al di fuori della Gre- cia e dell'Europa moderna, tanto più è evidente che il mercato non costi- tuisce la matrice della democrazia. Tra la sua nascita e l'emergenza della democrazia non esiste alcuna relazione di causa ed effetto semplice e mec- canica4. Più generalmente, trova invece conferma la tesi di una generazio- ne politica e dunque artefatta del mercato. È la tesi esplicita di Descat a proposito della Grecia arcaica. Ma è anche quella che si trova presso un autore, Herman M. Schwartz, che crede di confutare Polanyi affermando che il grande commercio internazionale del XV e XVI secolo funzioni se- condo la logica del mercato autoregolato. È possibile discuterne, ma il punto essenziale è che Schwartz conferma assolutamente la tesi polanyiana della disgiunzione assoluta, all'epoca, tra il mercato internazionale e i mer- cati locali, i quali non funzionano affatto sul modello dell'autoregolazione.

È dunque lo Stato in formazione che, imponendo la monetarizzazione della rendita allo scopo di finanziare il proprio esercito, ha contribuito a mettere in comunicazione il grande commercio estero e il microcommercio locale, i quali, fino a quel momento, si ignoravano. Lasciato a se stesso, questo grande commercio non aveva la forza sufficiente per generare mercati re- gionali e poi nazionaliS.

Ma torniamo sulla critica circa la datazione che Polanyi attribuisce alla nascita del mercato, generalizzandola prima di relativizzarla6. I1 mercato

4. Occorre dunque leggere al contrario la storia, per altro interessante, che ci propone Jacques Attali - ispirandosi strettamente a Braudel - nel suo libro Une brève historie de l'a- venir [2006]. Egli sostiene che l'estensione del mercato e della democrazia sono sempre an- date di pari passo, lasciando intendere che è la creazione di un centro di scambio che rappre- senta la condizione per la formazione e l'estensione della democrazia. AUa luce di tale rela- zione causale, è difficile difendere un progetto di democratizzazione del capitalismo e trova- re delle risorse etico-politiche suscettibili di opporsi ai danni del mercato globalizzato.

5. Schwartz [2000, citato in Norel, 2004, pp. 48-49]. Jean Baechler [l9711 aveva già mostrato l'impossibilità di una genesi politica dell'economia capitalistica, escludendo le condizioni politiche della sua formazione.

6. Il rifiuto di alcune delle datazioni proposte da Polanyi, il debole lavoro storico che è alla base del calcolo compiuto dai suoi discepoli diretti, tutto ciò può condurre ad una lettu- ra molto eufernistica di Polanyi, fino a togliere rilevanza al suo progetto scientifico e stori- co che in tale ottica sarebbe stato intrapreso solo per mostrare fino a che punto l'idea di una pura società di mercato sia una finzione non sostenibile e pericolosa. Noi siamo dell'o- pinione che vi sia molto da ribattere circa questa interpretazione. Riteniamo certamente ne-

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autoregolato è nato ben prima e in molti più luoghi, ed è durato, prima di tutta la modernità recente, ben di più di quanto Polanyi abbia creduto. Es- so non è nato tre volte, ma almeno una ventina di volte se si crede ad esempio all'antropologo Jonathan Friedman [2000]7. Tuttavia ciò non pre- giudica affatto la riflessione che riguarda il grado in cui, nelle diverse fasi, si è più riavvicinato al mercato teorizzato dagli economisti, fino a formare prezzi sistematicamente variabili, corrispondenti effettivamente al valore economico dei beni o servizi, più che al valore sociale delle persone che li producevano o li acquistavano; soprattutto, ciò non pregiudica affatto la valutazione rispetto alla parte che ha occupato nella vita materiale quoti- diana, nella livelihood della grande massa della popolazione.

Ciò che resta straordinariamente vivace in Polanyi è la critica al merca- to-centrismo spontaneo di numerosi storici dell'economia. Lavorando su archivi scritti, sulle memorie dei commercianti, sui regolamenti di mercato, sui mercuriali, uniche fonti scritte disponibili, essi hanno la tendenza a cre- dere che il mercato sia ovunque e a sovrastimare considerevolmente la sua importanza. Pertanto, analizzando un po' più da vicino le loro fonti, si per- cepisce - anche in uno storico che come Femand Braudel crede nell'asso- luta naturalità e nella quasi universalità del mercato - che, fino al XM se- colo, ad esempio in Francia, dove la popolazione è ancora rurale oltre l'SO%, la parte di consumo o di produzione che passa per il mercato e le transazioni monetarie è sorprendentemente deboleg.

Si comprende meglio anche come un autore come Natalie Zemon Davis, nel suo mirabile Essai sur le don dans la France du XVI siede, sia in gra- do di mostrare che la maggior parte degli scambi che tessono i rapporti so- ciali all'epoca si inscrivano nel registro del donolcontro-dono e non in quello

cessario specificare meglio numerosi concetti elaborati da Polanyi a partire dalla critica del- le fonti sulle quali egli aveva creduto di potersi appoggiare; tuttavia il progetto di una stona economica globale in grado di situare chiaramente il posto che occupano rispettivamente il mercato, la redistribuzione e la reciprocità mantiene tutto il suo valore e la sua importanza.

7. Su questo tema cfr. anche Attali [2006].

8. Si troverà una critica a tale moderno e mercato-centrismo degli storici dell'economia in generale e di F.Braude1 in particolare e soprattutto sulla marginalità dello scambio di mercato nella vita quotidiana materiale tradizionale, in Dé-penser l'économique [Caillé, 2005, p. 82 seg.]. Più generalmente, questa opera può essere letta come una riflessione sul- la storicità e la contingenza della figura dell'Homo oeconomicus condotta trasversalmente alle opere di Marx, Weber, Polanyi e Braudel. Uno degli obiettivi essenziali, sul quale qui nQn possiamo soffermarci sufficientemente, verte sul grado di dissociabilità o di indissocia- bilità del mercato e del capitalismo. I1 libro, seguendo Weber e Polanyi ed in disaccordo con un certo Marx e contro Braudel, tenta di tirare le conclusioni sociologiche e politiche (in senso ampio) che derivano dalla tesi della loro indissociabilità concettuale. Sul carattere ancora troppo segregato e autarchico - largamente a-commerciale dunque - della Francia della fine del XM secolo, cfr. E. Weber [1983].

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del mercato. Non si tratta per nulla di un'ideologia - anche nel senso pura- mente descrittivo della parola: che fissa l'immaginario dominante di un'epo- ca - utilizzata per mascherare le potenzialità effettive del mercato.

Il fatto è che quest'ultimo non opera ancora che ai margini o in maniera interstiziale, anche se non ci sono dubbi circa la sua reale esistenza. Si tratta ancora di una mercato fortemente regolato e controllato, di un mer- cato pubblico, dice Braudel.

In definitiva, la critica all'opera di Polanyi storico e antropologo dell'e- conomia, seppur necessaria, non conduce affatto a rovesciare il suo anti- economicismo o il suo a-mercantilismo, eccessivo, nell'eccesso inverso della naturalizzazione universalistica del mercato e dell'Homo oeconomicus.

I1 mercato, potenzialmente presente in tutte le società, si forma come merca- to autoregolato in numerose società e periodi storici. Ma ci si sbaglia di gran lunga ritenendo che si passi di 'colpo dall'esistenza di forme più o meno spo- radiche e sparse di mercato, a mercati legati gli uni agli altri. Una tipologia direttamente ispirata da Polanyi potrebbe allora distinguere, nelle "écono- mies à circulation"9 che combinano reciprocità e redistribuzione, quelle dove esistono degli spazi circoscritti di baratto o di mercato regolato (a tassi pre- fissati), quelle in cui questi spazi separati sono abbinati con forme sporadi- che di libero mercato, quelle in cui questi mercati sono interdipendenti e su- bordinati a norme sociali sia di tipo mercantile, che non mercantile.

D'altra parte, trasponendo i concetti che Mam aveva forgiato per descri- vere i diversi gradi di dipendenza del processo di lavoro dal capitalismo, appare necessario fissare in maniera tipologica i diversi gradi e le forme differenti di dipendenza dell'esistenza quotidiana dal mercato. Si potrebbe distinguere qui una sussunzione accidentale, formale o reale dell'esistenza sociale dal mercato, a seconda che si scambino e acquistino certi beni sul mercato in modo sporadico, come una sorta di lusso; che una parte dell'at- tività produttiva sia rivolta al mercato, benché la riproduzione della vita quotidiana materiale resti largamente autarchica o che al contrario, la tota- lità della vita materiale dipenda dall'inserimento nel mercato.

L'attualità dell'opera

Mam e Weber l'avevano ben illustrato: ciò che rappresenta l'inedito, che modella la modernità occidentale, diciamo a partire dal XVI secolo, non è

9. Con tale locuzione ci si riferisce a economie dal punto di vista storico differenti a se- conda delle configurazioni assunte in base alla combinazione dei tre principi di scambio teorizzati da Polanyi (n.d.t.).

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l'avvento del capitalismo, già ben conosciuto nell'Antichità, ma la forma- zione più o meno congiunta di due aspetti nuovi del capitalismo. I1 capita- lismo manifatturiero poi industriale, sul quale Mam insiste in modo parti- colare, il quale nel promuovere la produzione di massa consente di sosti- tuire poco a poco beni necessari prodotti industrialmente a beni prodotti artigianalmente e in maniera più o meno autarchica. Questa produzione di massa segna il passaggio dalla sussunzione accidentale a quella formale e poi reale dell'esistenza materiale nel mercato. Ma questo capitalismo indu- strializzato è un capitalismo razionalizzato, e qui si ritrova Weber e la sua insistenza sulla distinzione tra la contabilità domestica e quella dell'impre- sa, sull'invenzione della partita doppia e sulla legittimazione religiosa del- l'accumulazione indefinita. Inoltre, tutto ciò è da porre in relazione con l'impatto decisivo dell'invenzione del credito e della finanza che sarebbero i veri moltiplicatori dell'attività industrialelo, al punto che la società attuale è ampiamente finanziarizzata e l'economia è subordinata tanto al mercato dei beni e servizi più o meno industrializzati che al libero mercato finan- ziario autoregolato. È proprio a partire da tale subordinazione del mercato dei beni al mercato finanziario, delle rendite e della speculazione, che si giocano contemporaneamente due partite: quella che ha dato impulso alla lotta di classe degli ultimi due ultimi secoli oltre ad una inedita".

È evidente che l'opera di Polanyi non possa essere intesa come una ri- flessione esclusivamente storica. E importante sottolineare quanto la pro- spettiva antropologica che egli adotta contribuisca alla sua attualità. Attua- lità paradossale in un periodo in cui il mercato sembra trionfare. Nondime- no, lungi da un conforrnismo che non lascia spazio a Polanyi, se non per negargli ogni pertinenza nella comprensione del presente e contro l'acca- demismo che disinnesca la portata del suo messaggio confinandolo alla so- la analisi delle società passate, conviene tornare sul dibattito contempora- neo che egli ha promosso a proposito della definizione di economia. Ricor- diamo che secondo lui il termine "economico" utilizzato correntemente per designare un certo tipo di attività umana oscilla tra due poli di significato che non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro. I1 primo senso, il senso formale, proviene dal carattere logico della relazione tra mezzi e fini, come nei termini "economizzare" ed "economo": la definizione dell'economico

10. I quali hanno un fondamento religioso importante. Paul Corion [2007] mostra così come l'attività economica americana sia massicciamente sostenuta da una sorta di obbliga- zione morale e patriottica a indebitarsi. Non farlo sarebbe come esprimere un'assenza di fe- de e di ottimismo moralmente colpevole.

11. Anche se il capitalismo finanziario di per sé non presenta nulla di veramente nuovo, come ci si può convincere rileggendo Rudolf Hilferding.

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in riferimento alla rarità proviene da questo senso formale. I1 secondo sen- so, sostantivo, sottolinea quel fatto elementare secondo il quale gli uomini non possono continuare a vivere senza intrattenere relazioni tra di loro e con un ambiente naturale capace di fornire loro i mezzi di sussistenza: da qui deriva la definizione sostanziale di economia. Il senso sostantivo pro- viene dal fatto che per la loro sussistenza, gli uomini dipendono, con ogni evidenza, dalla natura e dagli altri uomini. Questa distinzione tra la defini- zione dell'economia in riferimento alla rarità e in riferimento al rapporto tra gli uomini e con il loro ambiente è stata rilevata nell'edizione postuma dei "Principii" di Carl Menger, fautore dell'economia neo-classica, che in- dica due orientamenti complementari dell'economia: uno fondato sulla ne- cessità di economizzare per rispondere all'insufficienza dei mezzi, l'altro -

che egli denominò orientamento «tecno-economico» - che proviene dalle esigenze fisiche della produzione, senza che si faccia riferimento all'ab- bondanza o all'insufficienza dei mezzi. Questi due orientamenti verso i quali può tendere l'economia umana provengono «da fonti essenzialmente differenti* e sono «entrambi primari ed elementari* [Menger, 1923, p. 771.

Questa discussione è stata dimenticata e non è stata ripresa in alcuna pre- sentazione dell'economia neo-classica, anche a causa dell'assenza della traduzione in inglese dell'edizione postuma di Mengerlz, a favore della fo- calizzazione sui risultati della teoria dei prezzi di Menger, promossa dai suoi successori i quali assunsero soltanto il senso formale del tennine eco- nomico. Polanyi suggerisce che questa riduzione del campo del pensiero economico ha condotto ad una rottura totale tra l'economia e il mondo vi- vente. Parere condiviso da economisti interessati ad una riflessione episte- mologica sulla propria disciplinal3. Tornando sulla definizione di econo- mia, Polanyi converge con i sociologi e gli economisti critici della teoria neo-classica [Ghislain e Steiner, 19951 anche in relazione al significato dell'azione economica; analogamente a questi ultimi, egli ritiene che il ra- zionalismo economico segua logicamente l'ipotesi della rarità dei mezzi, considerando che l'azione razionale risieda unicamente nell'azione razio- nale come fine ultimo. I1 solipsismo economico consiste nell'assolutizzare l'azione razionale come fine ultimo; ne deriva l'assenza di pensiero politi- co e infine la dissoluzione di stampo utilitarista delle questioni politiche nella problematica dell'interesse. Il riduzionismo economico può dunque essere qui riassunto in due aspetti indissociabili.

12. Polanyi riferisce che Hayek, quamcando questo manoscritto come ''frammentati0 e disordinato", ha acconsentito ad una manovra editoriale fmalizzata a screditarlo, giustifi- cando così il fatto che non fosse tradotto.

13. Cfr. Bartoli [1977], Maréchal [2001], Passet [1996], Perroux [1970].

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L'autonomizzazione della sfera economica intesa come mercato ne co- stituisce il primo tratto. L'occultamento del senso sostantivo dell'economia emerge dalla confusione tra l'economia e l'economia di mercato. Questa assimilazione è resa possibile dal fatto che l'economia diviene unicamente una scienza della ricchezza, centrata sull'allocazione dei mezzi in situazio- ne di scarsità. Braudel vi ha sufficientemente insistito: l'economia di mer- cato non è che un frammento di un insieme più vasto e la focalizzazione esclusiva su questa rende invisibile "la vita materiale". Più importante an- cora, Polanyi precisa che considerare il mercato come il principio econo- mico per eccellenza assume le sembianze di una profezia che si autorealiz- za. Nei fatti le società umane hanno mobilitato una pluralità di principi: lo scambio di mercato, ma anche la redistribuzione e la reciprocità. Secondo il principio della redistribuzione, la cura della produzione è rimessa ad un'autorità centrale che ha la responsabilità di ripartirla, ciò suppone una procedura che definisce le regole dei prelievi e della loro assegnazione.

Quanto alla reciprocità, essa corrisponde alla relazione stabilita tra i gruppi o tra le persone grazie a prestazioni che non hanno senso se non nella vo- lontà di manifestare un legame sociale tra le parti coinvolte.

L'identijicazione di ogni mercato con un mercato autoregolato costitui- sce il secondo tratto del riduzionismo economico. Le ipotesi razionaliste e atomiste sul comportamento umano promuovono uno studio dell'economia attraverso un metodo deduttivo che considera l'aggregazione di comporta- menti individuali nel mercato, senza considerazione alcuna per il quadro istituzionale nel quale tali comportamenti prendono forma. Considerare il mercato come autoregolato, cioè come un meccanismo che pone in rela- zione offerta e domanda attraverso i prezzi, conduce a ignorare le trasfor- mazioni istituzionali che sono state necessarie affinché esso si consolidasse e a dimenticare le strutture istituzionali che lo rendono possibile. La spiega- zione del comportamento nel mercato attraverso il ricorso alla massimizza- zione del guadagno maschera che si tratta di un processo istituzionalizzato.

Un contributo concettuale della sociologia economica e dell'economia politica

Ciò sui cui insiste Polanyi è dunque il fatto che l'economia è stata pla- smata sul credo economico di un mercato autoregolato. Egli ricusa così ogni pretesa di studiare le attività di produzione, di scambio, di distribuzio- ne e di finanziamento unicamente attraverso il prisma del mercato. A que- sto proposito egli è uno degli ispiratori principali di una socio-economia che si colloca nel filone istituzionalista. La virtù euristica della sua posi-

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zione è innegabile per un'economia politica che intenda esaminare il ruolo dell'economia nella società umana, tenendo conto della pluralità dei mo- delli di integrazione. Così come lo è per una sociologia economica che non si accontenti di servire come ausiliaria all'economia ortodossa.

Da questo punto di vista, le differenze tra il ricorso alla metafora del ra- dicamento (embeddedness) di Mark Granovetter e Polanyi possono essere considerate come emblematiche e sottolineano la specificità di quest'ulti- mo. I1 concetto di radicamento originariamente elaborato da Polanyi, è sta- to reso popolare da Granovetter. I1 problema è che questa volgarizzazione aumenta la distanza tra le due posizioni. Per confrontare le due accezioni, riprendiamo gli argomenti di Granovetter per compararli in seguito con quelli di Polanyi.

L'economia ortodossa, ivi compresi gli sviluppi recenti dell'economia neo-istituzionalista, procede dall'utilitarismo quando considera le istituzio- ni esistenti come il risultato di scelte effettuate per ragioni di efficacia. Se- condo Granovetter, la sociologia economica contesta giustamente questo funzionalismo che scoraggia l'analisi dettagliata della struttura sociale, es- senziale per comprendere la genesi delle istituzioni. Queste, lungi da rap- presentare la soluzione unica e obbligata a problemi di efficienza, sono il frutto della storia umana e come tali sottomesse alla contingenza storica.

Non è dunque possibile conoscere il fenomeno sociale rappresentato da un'istituzione senza studiare il processo storico da cui essa proviene. Al- l'origine di una istituzione, vi è una pluralità di possibilità in termini di eventi storici e l'istituzione si origina dalla cristallizzazione di certe rela- zioni personali particolari. I1 radicamento secondo Granovetter rende conto dell'iscrizione delle azioni economiche nelle reti di relazioni sociali inter- personali, che occorre individuare a partire dallo studio della loro struttura.

È il loro sostenersi sulle reti sociali che può, ad esempio, spiegare, gli iti- nerari seguiti dalle imprese nei loro sviluppi. Resta il fatto che tali percorsi sono finalizzati in un7economia di mercato. Granovetter propone dunque di spiegare certe traiettorie in seno ad un'economia di mercato considerata come dato di fatto.

Per Polanyi, si tratta invece di affrontare una questione più ampia. L'e- conomia indica l'insieme delle attività relative dalla dipendenza dell'uomo dalla natura e dai suoi simili. Con radicamento, egli intende l'iscrizione dell'economia così definita nelle regole sociali, culturali e politiche che reggono certe forme di produzione e di distribuzione di beni e servizi.

Nelle società pre-capitalistiche, i mercati sono limitati e la maggior par- te dei fenomeni economici sono oggetto di un'iscrizione nelle norme e nel- le istituzioni preesistenti che danno loro forma. L'economia moderna si di- stingue per la tensione tra modernità democratica ed economia.

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Egli ritiene che assimilare I'economia al mercato auto-regolato conduca ad un progetto di società radicata nei meccanismi della sfera economica.

L'economia di mercato quando non conosce limiti sfocia nella società di mercato, nella quale il mercato è ritenuto sufficiente ad organizzare l'intera società. L'irruzione di questa utopia di un mercato auto-regolato distingue la modernità democratica dalle altre società umane, nelle quali sono esistiti elementi propri al mercato senza che esso abbia tentato di configurarsi quale sistema autonomo.

Queste differenti accezioni di radicamento possono allora non essere in- tese in opposizione l'una all'altra, ma concepite in modo complementare, così come invita a fare Granovetter [2000, p. 391 quando minimizza le cri- tiche al Polanyi «polemico», riconoscendo l'apporto del Polanyi «maliti- co». L'economia di mercato può essere allora studiata integrando le strut- ture relazionali senza le quali essa non si sarebbe sviluppata. Fondamentali per comprendere mercati come quello del lavoro, le reti relazionali posso- no spiegare certe strategie. Al di là di queste forme di sostegno sui contatti interpersonali, la maggior parte dei mercati esistenti sono strutturati da isti- tuzioni che elaborano in particolare delle regole sociali o ambientali. La sovrapposizione tra mercati e istituzioni può essere sostituita nel quadro di una tensione storica tra de-regolazione e regolazione che è costitutiva del- l'economia di mercato.

L'approccio di Polanyi non implica dunque alcuna negazione dell'inseri- mento delle relazioni di mercato all'interno di reti relazionali. Tuttavia ai suoi occhi tale radicamento rimanda ad un registro ben differente e solleva una questione che Granovetter ignora: quella di ritenere il mercato come rappresentazione adeguata della realtà. Quando egli concepisce l'economia come processo istituzionalizzato, esso mostra quanto l'autonomizzazione dell'attività economica nella società contemporanea sia il risultato di un progetto politico. In questo senso il processo di sradicamento è da inten- dersi come l'esito della preferenza da parte dei poteri pubblici per I'econo- mia formale e dunque per il mercato. Il sradicarnento dell'economia appa- re così come una forma particolare di radicamento politico che privilegia le pratiche relative ad una rappresentazione esclusivamente formale dell'e- conomia; l'efficacia di tale processo risiede nel rendere invisibili quelle pratiche che rimandano ad una rappresentazione sostantiva del17economia, le attività nelle quali I'economia è un mezzo al servizio di finalità di diver- so ordine - ciò che Weber definisce attività economicamente orientate.

Al contrario di ciò su cui certi autori hanno concentrato le proprie criti- che, è secondario polemizzare sulla cronologia di tale o tal altra fase della società di mercato. Il proposito di Polanyi è centrato sulla questione del ra- dicamento politico (nel senso ampio del termine politico). In effetti, se si

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ritiene che la società di mercato minacci la democrazia, è logico dare la priorità allo studio dell'iscrizione dell'economia nel quadro politico, senza negare d'altro canto l'interesse per la comprensione dell'inserimento delle attività economiche all'interno delle reti sociali. Parecchi autori, quali Sha- ron Zukin e Paul DiMaggio [1990], hanno altrove insistito su questo radi- camento politico e criticato il ribaltamento del concetto di radicamento nelle reti sociali. In questa prospettiva teorica, la sociologia economica può essere intesa quale prospettiva sociologica applicata a un'economia che non si riduce alla sola economia di mercato e nella quale il mercato non si riduce a un mercato autoregolato.

I1 ritorno a Polanyi permette di arricchire la riflessione sui rapporti tra economia e società, soggetto centrale della sociologia economica dei padri fondatori, in parte abbandonato dalla prospettiva micro-sociologica propria alla nuova sociologia economica nella sua versione "granovetteriana".

Democrazia, economia e pluralismo

Le analisi di Polanyi sono, lo abbiamo detto, indissociabili da un proget- to etico-politico, e la loro attualità conduce a interrogarsi sulla tenuta di questo progetto, in un contesto diverso da quello in cui è stato scritto.

A tal riguardo, le sue conclusioni si collocano in netta rottura con le considerazioni moderate che celebrano la cosiddetta "fine della storia" alla quale condurrebbe l'alleanza tra la democrazia parlamentare e il mercato.

Nella terza grande tesi sopra ricordata, Polanyi afferma che il sistema del mercato ha quali esiti la de-socializzazione e la disumanizzazione delle attività economiche, dunque non è psichicamente sostenibile. Eventual- mente il sistema del mercato si trasforma nella ri-socializzazione fanta- smagorica verso la quale si adoprano i diversi capitalismi. A questo pro- posito la storia insegna: le contraddizioni tra le idee politiche dell'età dei Lumi e la tendenza della società di mercato sono sfociate nel fascismo e nel comunismo.

Per il fascismo, la democrazia è un anacronismo poiché solo uno Stato autoritario permette di arginare le perturbazioni inerenti il capitalismo.

Non ritenendo possibile che l'individuo esprima in maniera cosciente e deliberata tendenze di tipo comunitario, esso incanala le aspirazioni al senso di comunità verso una dipendenza di tipo carismatico; il culto del capo rimpiazza l'autonomia personale ed è abbinato con una dottrina corporativa che esalta un ordine tecnico organizzato nei settori produttivi che divengono i depositari del potere economico. L'obiettivo del fasci- smo è dunque di sopprimere la democrazia e di organizzare la società a

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vantaggio di un sistema economico strutturato attraverso gerarchie im- mutabili.

L'ambizione del regime comunista è inversa: essa consiste nell'estende- re la democrazia al sistema economico. Ma esso assimila la democrazia economica al cambiamento della proprietà dei mezzi di produzione attra- verso modalità che si rivelano totalmente sprezzanti nei confronti del dirit- to e della democrazia rappresentativa, considerate acquisizioni meramente formali, sovrastrutture che incarnano l'egemonia borghese.

La catastrofe totalitaria ha grandemente contribuito alla ri-legittimazione del capitalismo. Confortata dal crollo dei regimi comunisti che rafforza lo slogan secondo il quale non vi sarebbero alternative possibili, l'offensiva neo-liberale si regge su due ambiguità. L'ipotesi sostenuta è che il poten- ziale dell'economia di mercato è ostacolato da un insieme di regole che la paralizzano.

Ma la constatazione di ieri resta valida anche oggi: società di mercato e democrazia permangono incompatibili. Ormai ciò che minaccia la società, ciò che produce una disumanizzazione insopportabile - come quella che, secondo Polanyi, aveva condotto al totalitarismo -, non è più il mercato auto-regolato dei beni, è il mercato auto o de-regolato della finanza, sem- pre più "de-territorializzato", che trova rifugio in quella variante odierna del porto franco che sono i paradisi fiscali.

Dunque, se si concorda con Polanyi, e tutto porta a credere che egli ab- bia ragione, un tale sradicamento della finanza non sarà sopportabile a lun- go. In questo inizio di XXI secolo, conviene recuperare le lezioni prove- nienti dal XX secolo: i tentativi di superare il capitalismo si sono rivelati vicoli ciechi di stampo totalitario, d'altra parte, il neo-liberalismo rimanda ad una lunga storia, quella del dogmatismo di mercato le cui conseguenze si sono rivelate disastrose.

La replica democratica si rivelerà dunque cruciale per il divenire della società; in assenza, non resterà che assistere a confronti - per esempio tra

"Mac World" e "Djihad" - per riprendere i termini irnmaginifici di Barber [1996]. La mondializzazione del mercato e la sua estensione a domini che prima non ne erano coinvolti potrebbe avere quale corollario l'aumento dell'integralismo religioso. I1 rischio è reale ed è confermato da eventi drammatici.

Pertanto, le indiscutibili difficoltà insite nel primato del principio del mercato non devono condurre a una nuova versione del determinismo economico. Una nuova grande trasformazione sarà inevitabile. Ma questo contro-movimento può assumere forme dittatoriali, neo-totalitarie o, al contrario, democratiche. Quali sono le chances di questa seconda solu- zione?

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Ancora una volta Polanyi riparte dal pessimismo weberiano che sottoli- neando la contemporanea permanenza della razionalità formale e materia- le, ritiene sia impossibile far valere le esigenze di una razionalità sostan- ziale e non solamente formale. Senza fornire delle risposte certe, Polanyi suggerisce tuttavia parecchi punti appoggio per un cambiamento demo- cratico. Citiamone tre.

Come è stato menzionato precedentemente, alcuni saggi di Polanyil4, propongono il potere di trasformazione dello spirito e della volontà del- l'uomo, che dispone in sé della capacità di restituire corpo alle idee di giu- stizia, di diritto e di libertà. Da qui il ruolo attribuito alla cultura, alla so- cialità collettiva, che conduce Polanyi a riprendere Jean-Jacques Rousseau per interrogarsi sull'articolazione tra libertà ed uguaglianza che permane il punto nodale della democrazia in una società complessa. Egli propone una teoria relazionale che si oppone all'individualismo metodologico e il suo rifiuto dell'atomismo induce un'attenzione diretta alle pratiche sociali, al- l'educazione e all'impegno pubblico.

Si tratta così di sviluppare modalità attraverso le quali sperimentare nei comportamenti una visione del mondo e questo appello alla realtà vissuta non avviene senza evocare la grammatica delle lotte sociali di Axel Hon- neth; con la preoccupazione che l'organizzazione economica la rispecchi e a questo proposito il riferimento è all'economia morale di Edward P.

Thompson. Ciò che importa è generare dei modi di azione, ma anche dei

"regimi discorsivi"l5, cioè delle maniere di pensare che concettualizzino le esperienze combinando ricerca teorica ed empirica.

Quando essa diviene un fine in sé, la visione economica del mondo nega al processo democratico il diritto di assumere un significato e una proget- tualità propria all'umano. È questo diritto che può divenire oggetto di una progressiva riappropriazione.

Le modalità considerate da Polanyi fanno eco all'effervescenza propria alla "Vienna rossa"; esse si avvicinano anche alle preconizzazioni di G.D.H. Cole e dei Webb, teorici del socialismo della Gilda, o di Mauss (ammiratore di Beatrice e Sidney Webb) che affida allo Stato il compito di ridistribuire la ricchezza prodotta attraverso il mercato, ma al fine di pro- muovere e rendere dinamico l'insieme delle associazioni di produttori e consumatori che formano la "carne viva" della società, di un tipo di so- cietà che oggi si denominerebbe società civile. La convergenza con Mauss è particolarmente marcata; essa poggia sull'analisi dell'economia: la de-

14. Si tratta, ricordiamolo, del testo a cura di Michele Cangiani e Jér6me Maucourant, Essais de Karl Polanyi, Seuil, Paris, 2008.

15. Secondo D. Harvey [2000], citato in Mendell, infra.

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