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4. V ERSO IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DEL GENERE : UN CONFRONTO SU PIÙ LIVELLI

4.1. Diritto internazionale

4.1.2. La Commissione internazionale dello stato civile (CIEC)

La CIEC è un’organizzazione intergovernativa fondata nel 1948 con lo scopo di promuovere la cooperazione internazionale in materia di stato civile. L’8 settembre 1976 l’organizzazione ha concluso una convenzione (n. 16) sul rilascio di estratti multilingue dei registri di stato civile.

64 Cfr. capitolo 3.2.4 del presente lavoro. Il 18 giugno 2018 l’OMS ha pubblicato l’undicesima versione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), che potrà essere implementata dai singoli Stati membri a partire dal 1° gennaio 2022 (OMS 2019a).

Ai sensi dell’articolo 5 della convenzione, è possibile iscrivere negli atti dello stato civile solo il sesso maschile o femminile (M / F).

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Anche i moduli previsti dalla nuova Convenzione CIEC (CIEC 2014, n. 34) sul rilascio di estratti multilingue dei registri di stato civile, sottoscritta a Strasburgo il 14 marzo 2014, non mettono in discussione la struttura binaria di genere. Tuttavia, se il sesso di una persona è indeterminato, le caselle che indicano «maschio» o «femmina»

possono essere lasciate vuote (appendice 3, punto 12c)

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. La convenzione CIEC è menzionata in particolare nel regolamento (UE) 2016/1191, in vigore dal 2019, «che promuove la libera circolazione dei cittadini semplificando i requisiti per la presentazione di alcuni documenti pubblici nell’Unione europea». Negli allegati, la convenzione riproduce moduli standard multilingue, pensati a mo’ di agevolazione alla traduzione dei documenti provenienti dai registri nazionali dello stato civile. Alla menzione del sesso, «femminile» o «maschile», è stata aggiunta la dicitura «indeterminato».

Nonostante continui, di base, a riconoscere il carattere binario del sesso, la CIEC ha apportato un enorme contributo alla chiarificazione e all’uniformazione della terminologia in materia di stato civile soprattutto all’interno del contesto europeo, di cui fanno parte gran parte degli Stati firmatari. L’introduzione di moduli plurilingue come riferimenti per le traduzioni nazionali, costituiscono un gran passo in avanti e sono indice della volontà di fare chiarezza terminologica a livello internazionale. Il regolamento (UE) 2016/1191 è entrato di vigore solo nel 2019, gli sviluppi in materia si manifesteranno nei tempi a venire.

4.2. L’Unione europea

Nel 2016 il Parlamento europeo, insieme al Consiglio d’Europa, ha adottato il regolamento (UE) 2016/1191 sulla promozione della libera circolazione dei cittadini (Parlamento UE e CdE 2016). Con esso sono stati semplificati i requisiti per la produzione di alcuni atti pubblici all’interno dell’Unione europea e sono stati introdotti moduli per facilitare la traduzione degli estratti dello stato civile. L’Unione Europea non ha altrimenti competenze proprie relativamente al diritto di famiglia materiale (UFG 2018b: 17).

65 «Pour indiquer le sexe sont exclusivement utilisés les symboles suivants: M = masculin, F = féminin.»

Convenzione (CIEC 1976, n. 16, pag. 1).

66 «Dans l’hypothèse d’une personne de sexe indéterminé, les cases «1-8-2-1 Sexe masculin» et «1-8-2-2 Sexe féminin» seront laissées en blanc» (CIEC 2014, n. 34 pag. 19).

4.2.1. Il Consiglio d’Europa

Conformemente all’articolo 8 sul diritto al rispetto della vita privata e familiare della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 4 novembre 1950, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto nella sua giurisprudenza il diritto per persone transessuali di ottenere gli attestati dello stato civile corrispondenti al loro sesso (Büchler 2002: 31, Büchler 2005: 125). La Corte europea dei diritti dell'uomo si è pronunciata in tal senso nella causa A.P., Garçon e Nicot contro la Francia e ha emesso una sentenza molto chiara in merito: le autorità non hanno il diritto di richiedere cure ormonali, interventi chirurgici o qualsiasi altro dipo di intervento medico di riattribuzione del sesso per accordare la modifica del nome e il sesso all'anagrafe (CEDU 2017). Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è necessario fornire una dichiarazione medica che certifichi che la persona è transgender. Ciò lede le persone coinvolte sia nel loro diritto al rispetto della vita privata sia in quello al rispetto dell’integrità fisica (UFG 2018b: 17). Negli ultimi 20 anni le leggi e le pratiche degli Stati europei sono notevolmente cambiate e i diritti all’autodeterminazione delle persone transgender sono sempre più in primo piano. In Europa attualmente solo la Danimarca e Malta non richiedono la prova di terzi medici (Recher 2015:

626). Gli studi hanno dimostrato che con l’introduzione di una procedura legale più accessibile senza la necessità di operazioni mediche, il numero di richieste di persone desiderose di cambiare il loro genere ufficiale è aumentato considerevolmente. Con l’introduzione di una procedura legale più accessibile senza la necessità di adeguamenti operativi, il numero di richieste di persone in volontà di cambiare il loro genere ufficiale è aumentato considerevolmente (Recher 2015: 626).

Il 31 marzo 2010 il Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa ha adottato la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (CdE 2010). Gli Stati membri sono stati chiamati a controllare le procedure giuridiche in uso a livello nazionale per il cambiamento ufficiale del sesso e a provvedere all’eliminazione di richieste preliminari abusive del diritto alla vita privata e all’integrità fisica quali gli interventi medico chirurgici e le cure psichiatriche. Gli Stati sono stati invitati ad attuare le misure necessarie per permettere il pieno riconoscimento giuridico del nuovo sesso, facilitando il rilascio dei nuovi documenti d’identità.

Il 22 aprile 2015 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la

Risoluzione 2048 in materia di discriminazione nei confronti delle persone transgender in

Europa (CdE 2015: 6.1 e segg.), per esortare gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per garantire alle persone coinvolte l’accesso ai servizi sanitari necessari (CdE 2015: 6.3 e segg.), per sensibilizzare il pubblico e le parti interessate (CdE 2015: 6.4 e segg.), per attuare procedure rapide e trasparenti per il cambiamento del nome e del sesso e per abolire la sterilizzazione, le cure mediche o le diagnosi psichiatriche come prerequisiti per il riconoscimento di una nuova identità di genere. La Risoluzione invita gli Stati membri a considerare inoltre l’eventualità di permettere alle persone che lo desiderano di poter scegliere una terza voce di genere per i loro documenti d’identità (CdE 2015: 6.2.4).

Il 12 ottobre 2017 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato la risoluzione 2191 sulla promozione dei diritti umani e l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle persone intersessuali (CdE 2017). Essa prevede la semplificazione delle procedure per il riconoscimento giuridico del sesso conformemente alle raccomandazioni della risoluzione 2048 (CdE 2015: 7.3 e seguenti).

4.3. La legislazione nazionale

4.3.1. La Repubblica federale tedesca

Il codice massimilianeo del Ducato di Baviera (Bayerisches Zivilgesetzbuch) del 1756 e il codice prussiano (Allgemeines Landrecht für die Preußischen Staaten) del 1794, in vigore fino al 31 dicembre 1899, comprendeva disposizioni relative ai bambini ermafroditi («Zwitter») (Büchler 2002: 26, Büchler 2005: 118). Questi regolamenti prevedevano che il bambino fosse cresciuto secondo il genere definito dai genitori ma che all’età di 18 anni, conformemente al

«Selbstbestimmungsrecht», avrebbe avuto il diritto di scegliere liberamente il proprio sesso (Büchler 2002: 27). Con il passare degli anni e dei secoli, l’autorità per la determinazione del sesso si spostò in definitiva a favore della medicina. Con l’introduzione del codice civile tedesco (BGB) nel 1900, prevalse l’opinione medica secondo la quale non esistevano persone

«ermafrodite». Di conseguenza, si rinunciò a definire una classificazione di genere che si discostasse dalla norma binaria di uomo e donna. Nella prima metà del XX secolo, tuttavia, la ricerca medica riprese l’esame del ‘fenomeno’ dell’ermafroditismo, sulla base di nuovi metodi di determinazione sessuale e apparve per la prima volta la nozione di «intersessualità». Se la si mette dunque a paragone con la storia del diritto, quella della biologia moderna sembra conoscere uno spettro di categorie di genere molto più ampio e diversificato (Büchler 2002:

27).

Il 10 settembre 1980 viene adottata la legge sulle persone transessuali

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, la legge che definisce le procedure ammissibili per il cambiamento di nome e sesso. Nel corso degli anni, tuttavia, si sono succeduti vari tentativi di modifica della legge. La Corte costituzionale ha in seguito giudicato la legge per alcune sue disposizioni anticostituzionale e ha emanato una prima sentenza il 16 marzo 1982 (BVerfGE 1982) per sopprimere il limite d’età di 25 anni per il cambiamento di sesso e stabilire la delega della decisione ai rappresentanti legali delle persone sprovviste della capacità civile (i genitori per i minori). Una seconda sentenza del 27 maggio 2008 (BVerfGE 2008) ha portato all’abrogazione del § 8 paragrafo 1 numero 2 della legge: lo stato civile della persona coinvolta (sposata o divorziata) non incideva più sulla decisione del riconoscimento giuridico del cambiamento di sesso. Una terza sentenza dell’11 gennaio 2011 (BVerfGE 2011) ha portato all’abrogazione del § 8, 1 numeri 3 e 4 della legge e ha reso inammissibili i requisiti relativi alla sterilità permanente e agli interventi chirurgici di riattribuzione sessuale. Oggi le due procedure (cambiamento di sesso e nome) sono soggette entrambe alla perizia di esperti che confermino la reale volontà della persona interessata di appartenere all’altro genere (maschile o femminile). In materia di riconoscimento legale di genere, il Comitato ONU sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) ha raccomandato alla Germania di rivedere la sua

Transsexuellengesetz e di ‘depatologizzare’ le identità trans

(ILGA 2019). Le critiche provenienti dalla comunità internazionale hanno portato alla necessità di avviare riforme della procedura probatoria troppo lunga e costosa, nonché intrusiva per la dignità umana, con lo scopo ultimo di ottenere una depatologizzazione della transessualità e sostenere il diritto all’autodeterminazione (UFG 2018b: 20, 21).

Nel febbraio 2012, il Consiglio etico tedesco ha proposto al governo di introdurre un terzo genere. Dal novembre 2013, la legge sullo stato civile (PStG 2007a) include il § 22 che prevede la registrazione della nascita senza riferimento al sesso quando il bambino non può essere assegnato al sesso maschile o femminile. Una persona adulta può inoltre chiedere che il riferimento al sesso registrato sia cancellato. Nel suo passaporto, nella sezione dedicata al sesso figura una «X». Con la sentenza del 10 ottobre 2017, la Corte costituzionale federale ha stabilito che le norme vigenti non rispettano sufficientemente l’identità di genere delle persone che non possono essere attribuite permanentemente al genere maschile o femminile e ha imposto al legislatore tedesco il termine del 31 dicembre 2018 per adottare una soluzione conforme alla Costituzione, che potrebbe consistere nell’eliminare qualsiasi indicazione di sesso dallo stato civile o nel creare una terza opzione di genere.

67 «Transsexuellengesetz» o «TSG»: «Gesetz über die Änderung der Vornamen und die Feststellung der Geschlechtszugehörigkeit in besonderen Fällen» BGBl (2017).

A seguito della decisione della Corte costituzionale del 2017, i legislatori tedeschi erano dunque tenuti a introdurre una terza opzione di genere o a eliminare del tutto la registrazione di genere entro la fine del 2018. Il 14 dicembre la legge è stata approvata dal Parlamento. Le carenze sono state evidenziate dagli attivisti trans e intersex: infatti, i certificati medici sono ancora necessari e la terza opzione di genere «divers» è ammissibile solo per persone intersessuali, escludendo tutte le altre persone non binarie. Il governo non ha ancora iniziato a lavorare alla revisione della legge transessuale tedesca, da tempo attesa. Nel 2018, il ministro federale della giustizia (Dr. Katarina Barley) ha dichiarato che il suo ministero lo inserirà nel suo programma per il 2019. Il Ministero federale per la famiglia, gli anziani, le donne e la gioventù ha commissionato uno studio sulla diversità di genere e sui suoi requisiti legali. I risultati sono attesi nella prima metà del 2019 (ILGA 2019).

Oggi le critiche alla riforma della legge sono diverse: la si accusa di perpetrare la discriminazione di sempre, di essersi rivelata un’occasione mancata per ottenere pari diritti e uguaglianza per la comunità LGBTQI* tedesca. Oggi, di fatto, poche persone decidono di servirsi della possibilità di registrarsi in quanto «divers», sia perché non sentono identificarsi in questa denominazione, sia per paura di subire ulteriori discriminazioni dai propri connazionali e all’estero. Un passaporto figurante la voce «divers» potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per chi cerca riconoscimento in altri Paesi (Rohwedder 2019).

4.3.2. La Confederazione svizzera

Il celebre giurista italiano Rodolfo Sacco ritiene che l’attività legata alla traduzione giuridica sia composta da tre fasi: le prime due fasi appartengono ai giuristi e consistono nella ricerca del significato di un enunciato giuridico in una prima e in una seconda lingua; l’ultima fase appartiene alla traduttrice comparatista che dovrà giudicare se le due idee corrispondono o differiscono l’una dall’altra (Sacco 1987: 849). «La tâche du traducteur», afferma Sacco, «est plus délicate, si celui-ci est un théoricien, et que, dans son pays, la création de modèles [est]

confiée plutôt à la doctrine qu’à la pratique (légale ou jurisprudentielle)» (Sacco 1987: 858).

Nel caso specifico della Svizzera la situazione si complica ulteriormente in quanto le persone

legislatrici, giuriste e le traduttrici comparatiste si confrontano al tempo stesso con altri modelli

di diritto (svizzero, francese, tedesco, italiano), redatti nelle stesse lingue nazionali della

Svizzera: francese, tedesco, italiano e anche inglese – se si considera la Svizzera della Ginevra

internazionale.

L’eventualità che l’Europa e le sue istituzioni possano approfittare dell’esperienza plurilingue della Svizzera è stata ripresa e contestualizzata da Dagmar Richter («die Verschweizerung Europas», Richter 2005: 1239). Richter precisa che se la Svizzera può essere considerata come una prova vivente che uno Stato culturalmente e linguisticamente diversificato è possibile nella pratica, un tale risultato può essere raggiunto solo attraverso il rispetto della singolarità di tutte le differenze territoriali, senza che vi sia il bisogno di un’integrazione in una cultura superiore (Richter 2005: 1243). Nella sua analisi Reine Meylaert (2011), invece, offre la possibilità di contestualizzare alcuni meccanismi tipici delle politiche linguistiche svizzere in materia di traduzione della giurisprudenza. Meylaerts prende in considerazione quattro possibili regimi di traduzione, che possono essere scelti e implementati dalle autorità statali: il primo regime è caratterizzato da un plurilinguismo istituzionale assoluto, il secondo da un monolinguismo assoluto, il terzo da un monolinguismo combinato da traduzioni occasionali, il quarto da una combinazione di monolinguismo istituzionale a livello locale e un plurilinguismo a livello federale. La Svizzera è un esempio di quest’ultimo.

Meylaerts precisa, a tale proposito, che ogni regime linguistico ha un impatto specifico sui diritti delle minorità linguistiche e sulle politiche di traduzione (Meylaerts 2011: 745). Nel caso specifico della Svizzera, i Cantoni hanno ottenuto l’istaurarsi nella maggior parte dei casi di un regime istituzionale monolingue (fatta eccezione per i Cantoni plurilingue di Berna e dei Grigioni). Meylaerts si chiede tuttavia se questo regime non abbia condotto a una «chiusura»

verso le altre minoranze linguistiche. A tale proposito, Denise Merkle (2013) afferma che questo quarto regime di traduzione formulato da Meylaerts «is one of multilingualism with translation primarly, if not exclusively, into the minority language» (Merkle 2013: 125). Le due ragioni alla base per l’adozione di un tale regime linguistico sarebbero quindi quelle di proteggere e promuovere le lingue minoritarie e vulnerabili, per far valere i diritti linguistici, sempre tuttavia partendo dal presupposto dell’esistenza di una lingua dominante, in questo caso specifico del tedesco.

Rivolgiamo dunque l’interesse alla Svizzera, luogo di incontro e dialogo delle lingue e

delle culture affrontate nel presente studio. Grazie alla sua unicità linguistica, il contesto

svizzero consente un lavoro di confronto prezioso e permette di analizzare quanto sopra

osservato da una prospettiva nuova: quella privilegiata del plurilinguismo istituzionale. Nel

presente capitolo si farà riferimento a documenti pubblicati in seno all’Amministrazione

federale, redatti da personalità di riferimento della lingua e della traduzione del contesto

federale.

4.3.2.1. Le lingue della Svizzera

In questa sede, è opportuno iniziare contestualizzando il dibattito intorno al pari trattamento linguistico a livello istituzionale svizzero. Jean Luc Egger parla a tale proposito di un «cantiere»

ancora aperto (Egger 2014: 503). La lingua è in continua evoluzione, non vi è dubbio in materia.

Nel suo articolo

«Diritti dell’uomo» e «diritti umani»: sinonimia pacifica? (2014) Egger

affronta la problematica linguistica del genere soffermandosi su un esempio più volte citato che ha a sua volta scatenato negli ultimi cinquant’anni un dibattito emblematico: diritti

umani o

diritti dell’uomo? Egger parla del «costo» che può comportare l’introduzione di variazioni linguistiche in ambito giuridico, vale a dire l’insieme delle conseguenze derivanti da tali scelte semantiche nuove (Egger 2014: 507) e ne critica la «dispersione terminologica», derivante dall’apertura a varianti di un concetto giuridicamente stabilito e ormai normato, mettendo a repentaglio l’efficacia necessaria della lingua del diritto. Questa lingua, infatti, come abbiamo più volte sottolineato, è sottomessa al fine ultimo della parola della legge: essere chiara, comprensibile e uguale per tutti. A tale proposito si era espressa anche Micheline Calmy-Rey, portavoce della diplomazia elvetica, prima come Consigliera di stato nel Cantone di Ginevra, poi come Consigliera federale a capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) dal 2003 al 2011 e infine come Presidente della Confederazione svizzera nel 2007 e 2011. La sua politica è stata contrassegnata dal quel flair tipico della Ginevra internazionale, frutto della sua attiva partecipazione alla creazione nel marzo 2006 del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Nel corso della sua carriera in Confederazione e non solo, la Consigliera federale aveva preso a cuore la questione della parità tra i generi e il suo lavoro ha contribuito all’avanzamento nella direzione di una lotta per l’uguaglianza che continua ancora oggi. La sua battaglia per «les droits humains des femmes» ha innescato un grande dibattito intorno all’utilizzo dell’espressione storico-normata di «droits de l’homme» (Calmy-Rey 2007). Con il suo successore Didier Burkhalter, il DFAE è ritornato a preferire l’utilizzazione classica di «droits de l’homme», legittimata a sua detta dall’evolversi della storia, dall’Illuminismo, attraverso la Rivoluzione francese, fino ai nostri giorni (Maury Pasquier 2012). I punti di vista a tale proposito sono vari e oltrepassano i confini delle lingue e delle culture qui prese in esame. Essi forniscono, pertanto, una buona panoramica della situazione di partenza con la quale è necessario confrontarsi se si intende parlare di lingua e genere in Svizzera.

Il diritto svizzero non prevede alcuna norma giuridica che stabilisca quali persone sono

considerate donne e quali uomini e quali caratteristiche determinano la classificazione sessuale.

La decisione di assegnare un sesso a una persona intersessuale alla nascita o nelle settimane successive richiede una serie di test genetici e ormonali ed è il risultato di una diagnosi medica.

Chiunque abbia le caratteristiche sessuali maschili esterne alla nascita è considerato un uomo e, analogamente, chi ha le caratteristiche sessuali femminili esterne è considerata una donna.

Con l’iscrizione nel registro delle nascite, una persona è legalmente assegnata ad uno dei due sessi. Le assegnazioni di sesso erronee subito dopo la nascita possono essere rettificate in un momento successivo ai sensi dell’articolo 42 del Codice Civile. Lo scopo è di correggere eventuali errori causati dalla mancanza di chiarezza alla nascita delle caratteristiche corporee determinanti per l’assegnazione specifica a un sesso. Rimane dunque la concezione di fondo che l’ermafroditismo, in realtà, non esista e che vi sia invece sempre un sesso «giusto» – maschile o femminile – che occasionalmente tarda a essere riconosciuto correttamente ma che è comunque presente in ogni singolo essere umano (Büchler 2002: 28).

Il 24 maggio 2018 la Consigliera federale, allora ministra della giustizia, Simonetta Sommaruga, (Partito socialdemocratico, SP) ha annunciato una proposta di legge per consentire alle persone transgender di cambiare legalmente nome e sesso anagrafico senza dover recarsi in tribunale (UFG 2018c). Il Consiglio federale ha posto in consultazione la relativa modifica del Codice civile (v. avamprogetto e rapporto esplicativo). La proposta intende alleggerire la procedura giudiziaria sostituendola con una procedura amministrativa per permettere anche una riduzione dei costi e delle tempistiche. I funzionari pubblici continueranno a esercitare il controllo sulla decisione sulla base di «prove» mediche (quindi non ci sarà una piena autodeterminazione), i minori avranno bisogno dell’autorizzazione dei genitori e le persone non binarie saranno escluse. In un postulato (18.3690 Tutti sono uguali davanti alla legge. Abolire

i riferimenti giuridici al sesso) presentato il 15 giugno, durante la fase di consultazione, Beat

Flach, il Consigliere nazionale rappresentante dei verdi-liberali ha chiesto al Consiglio federale di prender in considerazione l’eventualità di adeguare il diritto svizzero per eliminare tutti i riferimenti giuridici che rimandano al sesso delle persone e redigere un rapporto in merito (Flach 2018). Nella motivazione al suo postulato ha citato l’esempio tedesco della sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe del 10 ottobre 2017: «In alternativa all’introduzione di un terzo sesso, la sentenza apre esplicitamente anche un’altra via: il legislatore potrebbe in generale rinunciare all’iscrizione del sesso nel diritto dello stato civile» (Flach 2018). Il Consigliere nazionale ritiene che l’abolizione di ogni riferimento al genere o sesso di una persona sia la soluzione ideale per garantire una parità di trattamento degli esseri umani tutti davanti alla legge. Il 22 agosto 2018 il Consiglio federale ha proposto di accogliere il postulato.

Il 17 settembre 2018 ha trasmesso due nuovi postulati di Rebecca Ruiz (Ruiz 2017) e Sibel

Arslan (Arslan 2017) che hanno nuovamente chiesto la redazione di un rapporto sulla situazione

Arslan (Arslan 2017) che hanno nuovamente chiesto la redazione di un rapporto sulla situazione