3.2. Prima fase: testo originale tedesco e traduzione ufficiale inglese a confronto
3.3.5. Estratto n. 10: «sexuelle Identität», «sexual identity», «identità sessuale» (sezione B.,
Corte costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, Sentenza del 10 ottobre 2017, Prima Sezione, BverG 2019/16
Traduzione in italiano a cura di Roberto de Felice
2. L’articolo 3, comma 3 prima frase della Costituzione protegge non solo gli uomini dalla discriminazione a causa del loro sesso maschile e le donne dalla discriminazione a causa del loro sesso femminile, ma anche le persone che non si ascrivono a queste due categorie nella loro identità sessuale, dalle discriminazioni a causa di questo genere che non è né maschile né femminile (si omette la dottrina).
Per la prima volta, nella traduzione italiana appare «questo
genereche non è maschile né femminile» per introdurre una categorizzazione che va oltre lo standard. Questa difficoltà a nominare una realtà altra, sembra una specificità tutta tipica della lingua italiana (se paragonata al tedesco e all’inglese). Nel paragrafo successivo concluderemo la nostra indagine con alcuni accenni in merito all’idea di identità sessuale e al concetto di genere nel contesto della lingua italiana.
3.3.5. Estratto n. 10: «sexuelle Identität», «sexual identity», «identità sessuale» (sezione B., II, 2)
BVerfG, Beschluss des Ersten Senats BVerfG, Order of the First Senate
vom 10. Oktober 2017 of 10 October 2017
In systematischer Hinsicht besteht kein Widerspruch zum Gleichberechtigungsgebot des Art. 3 Abs. 2 GG, das nur von Männern und Frauen spricht ([…]).
So nennt schon der Wortlaut des Absatzes 3, anders als Absatz 2 nicht Männer und Frauen, sondern spricht allgemein vom Geschlecht. Vor allem aber besitzt Art. 3 Abs. 2 GG gegenüber Art. 3 Abs. 3 Satz 1 GG eigenständige Bedeutung, die die engere Fassung von Absatz 2 erklärt. Der über das Diskriminierungsverbot des Art. 3 Abs. 3 GG hinausreichende Regelungsgehalt von Art. 3 Abs. 2
GG besteht darin, dass er ein
Gleichberechtigungsgebot aufstellt und dieses auch auf die gesellschaftliche Wirklichkeit erstreckt (BVerfGE 85, 191 <206 f.>). Seit 1994 betont Art. 3 Abs. 2 Satz 2 GG die tatsächliche Durchsetzung der Gleichberechtigung im Geschlechterverhältnis.
[…]
Auch die Entscheidung des verfassungsändernden Gesetzgebers, das Merkmal der «sexuellen Identität»
nicht in Art. 3 Abs. 3 GG aufzunehmen, spricht – ungeachtet von Bedeutungsunterschieden zwischen Geschlechtsidentität und sexueller Identität – nicht gegen eine weite Interpretation des Merkmals
«Geschlecht». Zuletzt wurde die Einfügung des Merkmals der sexuellen Identität nicht wegen inhaltlicher Bedenken gegen den angestrebten Diskriminierungsschutz der sexuellen Identität, sondern mit dem Argument abgelehnt, dieser sei rechtlich bereits verwirklicht; der Schutz vor Diskriminierungen wegen der sexuellen Identität durch Art. 3 Abs. 1 GG decke sich nach der Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts mittlerweile mit dem Schutz nach Art. 3 Abs. 3 GG (vgl. BTDrucks 17/4775, S. 5).
There is no systematic contradiction to the requirement of equal rights under Art. 3(2) GG, which only refers to men and women […]. The wording of Art. 3(3) GG, unlike Art. 3(2) GG, does not refer to men and women, but to gender in general.
Above all, Art. 3(2) GG is of distinct relevance and independent of Art. 3(3) first sentence GG, which explains the narrower wording of Art. 3(2) GG. The regulatory content of Art. 3(2) GG exceeds the prohibition of discrimination under Art. 3(3) GG; it sets out the requirement of gender equality and
The decision of the constitution-amending legislature not to include the element of «sexual identity» in Art. 3(3) GG does not run counter to a broad interpretation of the element «gender» – irrespective of differences of meaning between gender identity and sexual identity. Most recently, an insertion of the element of sexual identity was declined not because of concerns linked to the content of the protection of sexual identity against discrimination. Rather, it was argued that this protection had already become a legal reality.
Further it was claimed that, according to the case-law of the Federal Constitutional Court, the protection against discrimination based on sexual identity under Art. 3(1) GG by now corresponds to the protection under Art. 3(3) GG (cf. BTDrucks 17/4775, p. 5).
Corte costituzionale della Repubblica Federale Tedesca, Sentenza del 10 ottobre 2017, Prima Sezione, BverG 2019/16
Traduzione in italiano a cura di Roberto de Felice
In una prospettiva sistematica, non sussiste alcun contrasto con il precetto di eguaglianza di trattamento di cui all’articolo 3, comma 2 della Costituzione che parla solo di uomini e donne (si omette la dottrina). Così si esprime la lettera del comma 3 che, diversamente dal comma 2, non parla di uomini e donne, ma in generale di ‘sesso’. Ma, soprattutto, l’articolo 3, comma 3 della Costituzione, nei confronti dell’articolo 3, comma 2, ha un significato a sé stante che spiega la più ristretta versione del comma 2. Il contenuto normativo aggiuntivo dell’articolo 3, comma 2, rispetto al divieto di discriminazione di cui all’articolo 3, comma 3, consiste in ciò che esso enuncia, un dovere di eguaglianza di trattamento che estende anche alla realtà sociale: v. la nostra sentenza 85,191< 206 e ss.>. Dal 1994 l’articolo 3, comma 2 seconda frase della Costituzione sottolinea l’effettiva imposizione dell’eguaglianza giuridica tra i sessi.
[…]
Anche la decisione del legislatore che ha emendato la Costituzione, di non includere nell’articolo 3, comma 3, il connotato della identità sessuale – indipendentemente dalle differenze di significato tra identità di sesso e identità sessuale-, non rileva contro una larga interpretazione del connotato ‘sesso’. Infine, l’inserimento del connotato dell’identità sessuale non fu rifiutato a causa di considerazioni contenutistiche contro l’ambita tutela dalle discriminazioni a causa dell’identità sessuale, ma con l’argomento che questa fosse giuridicamente già realizzata; la tutela mediante l’articolo 3, comma 1 della Costituzione di fronte alle discriminazioni a causa dell’identità sessuale può coincidere, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, con la tutela di cui all’articolo 3, comma 3.
Questo estratto è idealmente collegato all’estratto n.7 e mette in evidenza il vuoto semantico che il traduttore italiano con le sue scelte crea nel testo di arrivo:
geschlechtliche Identität sexuelle Identität
gender identity sexual identity
identità sessuale identità sessuale
Il genere nella lingua italiana è innanzitutto un concetto grammaticale: esso ricopre le categorie
del nome e forma sintagmi con aggettivi grammaticali o lessicali (dove il sintagma finale della
parola è mobile e flessivo in base al sesso dei parlanti). Il genere in grammatica serve ad
accordare gli elementi in una frase, a classificare i nomi e a conferire la costruzione di identità,
fisica e sociale di un oggetto animato o inanimato (Cavagnoli 2013:7). Nella lingua italiana il
genere grammaticale maschile è considerato il genere normativo (non marcato), quello
mediante il quale si costruiscono le altre flessioni. La flessione nominale della lingua italiana
appare dunque come prevalentemente androcentrica (fatta eccezione di alcuni lemmi che si
riferiscono a mestieri tradizionalmente femminili dove la forma femminile è la forma
prototipica). Secondo Stefania Cavagnoli questo fa sì che vi sia una predominanza
androcentrica nella rappresentazione della realtà, «declinata» così sempre di principio al
maschile (Cavagnoli 2013:7). Il maschile generico contribuirebbe secondo Cavagnoli ad un
appiattimento della realtà. Eppure il genere non è solo uno strumento grammaticale di
concordanza delle parti del discorso: è anche una «categoria semantica», fatta di un simbolismo
profondo che è espressione della differenza sessuale / di genere degli individui. Cavagnoli parla
di «asimmetria semantica» della lingua: quella che attribuisce due significati diversi a una stessa
parola, nelle sue due flessioni femminile e maschile (Cavagnoli 2013: 10). Se il punto di
partenza di flessione della lingua è sempre il maschile allora la rappresentazione della realtà è
sottoposta a un’asimmetria di fondo. I tentativi di un linguaggio italiano neutro, in cui il
maschile sia sostituito da forme non marcate, sono spesso considerate forzate, a scapito della
leggibilità e della chiarezza di un testo. La parola «genere» è una «costruzione culturale, oltre che politica, un’ulteriore dimostrazione di quanto la lingua sia una scelta» (Cavagnoli 2013:
10). Cavagnoli ritiene che «genere» sostituisca ormai «sesso» nel diritto positivo:
non è solo la scelta di un termine che suona più ‘raffinato’, ma è una scelta teorica ben precisa nella direzione della negazione della naturale differenza uomo/donna come fondamento antropologico dell’identità sessuale e della famiglia. (Cavagnoli 2013: 10)
La sensibilità linguistica per comprendere il significato di cui si carica al giorno d’oggi la nozione di «genere» è presente anche nella lingua italiana. Il modellamento della lingua è d’altronde un processo in fieri che non può procedere a passi discordi con la realtà sociale che lo circonda. Il linguaggio, carico anche delle relazioni di potere comunicativo, forti delle teorie dalla sociolinguistica e dalla pragmatica, può essere considerato come una costruzione di azioni e relazioni sociali (Cavagnoli 2013: 10). La lingua cela in sé il seme del cambiamento che deve essere guidato da un’azione volitiva da parte dei suoi parlanti.
Il linguaggio del diritto esige chiarezza e esattezza. Cavagnoli si chiede «che ruolo [abbia]
in questa vaghezza, l’utilizzo praticamente esclusivo del maschile», e aggiunge: «[s]i può dire che il linguaggio giuridico sia ambiguo anche per il suo non uso della lingua di genere?»
(Cavagnoli 2013: 97).
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