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Analisi storiografica di alcuni aspetti della funzione zeta di Riemann

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Preprint submitted on 29 Aug 2015

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Analisi storiografica di alcuni aspetti della funzione zeta di Riemann

Giuseppe Iurato

To cite this version:

Giuseppe Iurato. Analisi storiografica di alcuni aspetti della funzione zeta di Riemann. 2015. �hal-

01188385�

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Analisi storiograca di alcuni aspetti della funzione zeta di Riemann

Giuseppe Iurato Università di Palermo, IT

2015

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Indice

Prefazione . . . . 3

Prologo riemanniano . . . . 4

Introduzione . . . 13

1. Argomenti di storiograa delle scienze . . . 18

2. Momenti di storia della teoria dei numeri . . . 31

3. Alcuni sommari accenni alla storia della teoria delle funzioni di variabile complessa . . . 44

4. Richiami di storia dei teoremi di fattorizzazione delle funzioni intere . . . 55

4.1 Antecedenti protostorici . . . 55

4.2 Prolegomeni alla teoria della fattorizzazione delle funzioni intere . . . 61

4.3 Sul contributo di Riemann . . . 68

4.4 Sul contributo di Weierstrass . . . 83

4.5 Un resoconto storico dei procedimenti di fattorizzazione delle funzioni intere da Weierstrass in poi. Il contributo di Enrico Betti . . . 94

4.6 Su altri sviluppi della teoria della fattorizzazione delle funzioni intere e complementi . . . 107

5. Lineamenti di storia della teoria delle funzioni intere . . . 116

5.1 Preambolo . . . 116

5.2 Elementi di storia della teoria delle funzioni intere . . . 119

5.3 Brevi cenni storici sui concetti basilari della teoria delle funzioni intere . . . 126

5.4 Ulteriori svolgimenti della teoria delle funzioni intere . . . 130

6. Su alcune applicazioni della teoria delle funzioni intere . . . 135

6.1 Sulle applicazioni della teoria delle funzioni intere alla fun- zione zeta di Riemann: i lavori di J. Hadamard, H. Von Mangoldt, E. Landau, G. Pólya ed altri . . . 135

Il contributo di J. Hadamard . . . 136

I contributi di H. Von Mangoldt, E. Landau ed altri . 157

(4)

Il contributo di G. Pólya . . . 160 6.2 Richiami storici sui teoremi di T.D. Lee e C.N. Yang . . . 165

Premesse introduttive . . . 165

I lavori originali di T.D. Lee e C.N. Yang . . . 174

Altre considerazioni sui teoremi di Lee-Yang. Il com- mento di Mark Kac . . . 181 6.3 Su ulteriori applicazioni della teoria delle funzioni intere,

ed altro . . . 189

7. Considerazioni nali . . . 197

Referenze . . . 205

(5)

Prefazione

Nel redigere questo lavoro, sono state soprattutto utili, n dall'inizio, osser-

vazioni, critiche e note di molti docenti e studiosi stranieri, che debitamente

ringrazio, fra i quali i Pro. Enrico Bombieri, Louis de Branges, Je La-

garias, David Cardon, Barry McCoy, Chen Ning Yang, Iossif Vladimirovich

Ostrovskii, Soya Ostrovskae e, soprattutto, Paul B. Garrett che ha costan-

temente seguito l'evoluzione di questo lavoro no alla sua denitiva stesura,

fornendone una valutazione nale positiva che è stata indispensabile per il

superamento dell'esame nale; a lui, dunque, i maggiori ringraziamenti.

(6)

Prologo riemanniano

Dal punto di vista della losoa della scienza, nonché secondo alcune sem- plici ma basilari considerazioni epistemologiche e metodologiche esposte in (Fromm 1979, 1.), il cosiddetto accesso conoscitivo ad un sistema di pensiero razionale di un qualsiasi autore, è possibile solo quando si ha una dettaglia- ta e chiara visione del generale quadro gnoseologico in cui tale sistema s'è venuto a costituire come tale nella relativa contestualità storica, assumen- do, dapprima, una iniziale posizione critica e, come dire, sovversiva, cioè non codicata o non istituzionalmente riconosciuta come appartenente alla paideia

1

coeva a questo nuovo sistema di pensiero, per venir, poi, gradual- mente accettato dalla relativa comunità socioculturale cui esso si proponeva come tale. Tutto ciò è, d'altra parte, riscontrabile, per quanto attiene alle discipline più prettamente scientiche, nelle ben note teorie epistemologiche kuhniane relative ai cosiddetti paradigmi scientici, la loro nascita e la loro evoluzione storica nel dato contesto socioculturale, in cui, tra le altre cose, v'è pure posta una certa attenzione all'ineludibile ed indissolubile legame fra storia interna e storia esterna. Questo stato iniziale di non uciale ri- conoscimento di un dato sistema di pensiero, che pretendeva di porsi come innovativo, è apparentemente contraddittorio perché, in un certo periodo sto- rico, esso inizialmente deve necessariamente risultare essere in conitto con la cosiddetta scienza normale, senza la quale non avrebbe più carattere di novità, indi distinguersi come tale rispetto alla scienza normale, rientrando, dunque, nella cosiddetta scienza straordinaria. A questo stadio ha luogo un serrato, dialettico e continuo confronto fra i paradigmi della scienza normale e quanto si vuol porre in posizione critica od antagonista rispetto ad essa (fase pre-paradigmatica), n tanto da portare o ad un suo rigetto completo oppure alla sua accettazione, da parte della data comunità scientica, come un nuovo paradigma scientico, ovvero come un nuovo sistema di pensiero, il quale dapprincipio venne ad istituirsi dopo l'occorrenza di vari, primi tenta- tivi di risoluzione di ben determinate problematiche a cui la scienza normale era stata chiamata a fronteggiare ma che, ciononostante, non fu in grado di dare risposte esaurienti alle inerenti questioni sollevatesi.

Tuttavia, per quanto attiene più propriamente alle scienze matematiche, tali considerazioni epistemologiche vanno applicate con cautela ed in modo più circostanziato, come nel caso storico che vogliamo considerare in questo

1

Paideia è un termine greco originariamente usato da Marco Tullio Cicerone e da Marco

Terenzio Varrone (cfr. (Riera Matute 1970)), il quale rimanda alla complessiva formazione

culturale dell'uomo vincolato, in un dato momento storico, ad una verità basata sulla

conoscenza losoca vista come la più alta e degna forma di sapere. Il corrispondente

termine latino è humanitas.

(7)

lavoro che riguarda la funzione zeta di Riemann e la relativa famosa conget- tura la quale, diversamente da altre problematiche, tuttora resiste come tale, nonostante la sua centenaria storia abbia annoverato molti e vari tentativi di risoluzione ciascuno dei quali ha, nel complesso, contribuito a determinare un vero e proprio disomogeneo corpo di metodi, tecniche, approcci, nuove teo- rie e possibili sviluppi applicativi così vasto, complesso e variegato che, allo stato attuale, nessuna seria ricognizione storica-critica e comparativa è stata condotta per cercare quanto meno di descriverlo ed inquadrarlo in un com- piuto, sistematico e più organico resoconto. In una celebre comunicazione all'Accademia delle Scienze di Berlino, del 1859, George Friedrich Bernhard Riemann presentò il suo primo ed unico lavoro sulla teoria dei numeri in cui egli cercò di determinare delle stime per la quantità di numeri primi minori di una certa quantità prestabilita, sulla base di precedenti lavori di Euler, Bertrand, Dirichlet, Legendre, Tchebyche e Gauss

2

. Egli prese le mosse dalla famosa relazione di Euler

(ζ(s) .

=) ∑

n∈N

1

n

s

= ∏

p∈P

1

1 p

s

s C , (s) > 1, dove P .

= { p; p N , p primo , p 2 }, introducendo una nuova funzione, la cosiddetta funzione ζ(s) di cui al primo membro, la quale sarà esplicitamen- te considerata, per la prima volta, come una funzione di variabile complessa proprio da Riemann, ragion per cui essa verrà, da allora in poi, denominata funzione zeta di Riemann o, semplicemente, ζ di Riemann. Con questa fon- damentale relazione, Euler ucialmente aprì la strada all'uso degli strumenti e delle tecniche della teoria delle funzioni di variabile complessa in teoria dei numeri, segnando quindi la nascita della cosiddetta teoria analitica dei nume- ri

3

, lungo questa strada avendo poi proseguito Gauss, Legendre e, appunto, Riemann con questo suo unico e singolare lavoro in teoria dei numeri degli anni 1858-59. In esso, egli cercò di dedurre caratteristiche formali della di- stribuzione dei numeri primi tramite una serie di proprietà matematiche di questa nuova funzione di variabile complessa, una delle quali porterà, ap- punto, alla celebre ipotesi di Riemann. La

4

relazione di Euler di cui appena sopra risulterà essere estremamente utile e fruttuosa di nuovi indirizzi e idee, dando luogo ad un'ampia e profonda linea di ricerca in teoria dei numeri.

Come già detto, nell'opera di Euler

5

possiamo scorgere parte delle origini della teoria analitica dei numeri la quale ha a che fare, in linea di massima,

2

Cfr. (Narkiewicz 2000, Preface) e (Niven et al. 1991, Chapter 8).

3

Cfr. (Karatsuba 1994, Introduction).

4

Cfr. (Karatsuba 1994, Introduction).

5

A tal riguardo, cfr. pure (Weil 1975).

(8)

con due principali problematiche, quella concernente la distribuzione dei nu- meri primi (donde scaturisce la cosiddetta teoria moltiplicativa dei numeri) e l'altra riguardante equazioni aventi numeri interi come soluzioni e che lo stesso Euler, nel loro approccio risolutivo, inizialmente arontò tramite il cosiddetto metodo delle funzioni generanti - donde scaturisce la cosiddetta teoria additiva dei numeri - a cui faranno poi seguiranno altri metodi fra i quali il cosiddetto metodo del cerchio di Hardy-Littlewood-Ramanujan ed il metodo di Vinogradov delle somme trigonometriche; inne, un'altra linea di investigazione in teoria dei numeri fu quella concernente i numeri trascen- denti. La nostra analisi storiograca, in quanto volta al lavoro di Riemann del 1859, riguarda dunque la teoria moltiplicativa dei numeri giacché, come detto, la funzione zeta di Riemann fu introdotta proprio in merito a questioni attinenti alla distribuzione dei numeri primi.

Come ha sottolineato Peter B. Borwein

6

, tranne lodevoli storie sulla fun- zione zeta di Riemann e relativa congettura, aventi un livello divulgativo, nonché brevi rassegne tecniche sparse in articoli di varia natura e concezione, non esiste tuttora molta letteratura specialistica né una singola monograa

7

, dedicata ad una storia della funzione zeta di Riemann, che abbia vasto respiro ed un'ampia visione, comprendente quella numerosa, multiforme e disomo- genea pletora di risultati qual è venutasi sempre più a formarsi attorno ad essa, già dal 1859 in poi. I soli dati storici disponibili in merito, sono dissemi- nati appunto nei vari articoli, testi specialistici e trattati sull'argomento, per cui qualsiasi approccio storiograco ad esso deve, al momento, partire solo da un esame della letteratura primaria, data l'esiguità di quella secondaria che, comunque, è stata sempre, all'occorrenza, presa nella giusta e dovuta considerazione, laddove presente. Se si volesse cercare una qualche ragione a tale carenza storiograca, forse potrebbero addursi due principali motiva- zioni. Infatti, da una parte abbiamo il fatto che, a tutt'oggi, esistono solo parziali tentativi di risoluzione dell'ipotesi di Riemann, condizioni necessarie o sucienti, sue varie interpretazioni, riformulazioni e condizioni equivalen- ti, risultati caratterizzanti e stime, nonché un inusitato numero di approcci risolutivi fallimentari che, nella loro vasta totalità, hanno scoraggiato una tale impresa se si tiene conto di alcuni pregiudizi riguardanti la sociologia delle istituzioni scientiche e che può esser sommariamente esemplicata nel famoso ma in parte infondato adagio dello storico italiano Niccolò Rodolico secondo cui la storia è fatta dai vincitori, simile peraltro a quell'ideale della cosiddetta storiograa Wigh che, in parole povere, rigetta ogni teoria morta o fallita; mentre, dall'altro lato abbiamo un possibile timore nell'arontare un

6

Cfr. (Borwein et al. 2008).

7

Fa parziale eccezione proprio la sua opera (Borwein et al. 2008).

(9)

tale compito, anche pur a livello storico, poiché, come Alain Connes riferisce in un suo lavoro in merito alla funzione zeta di Riemann - mutuando un inci- sivo commento di uno dei sui maestri

8

, Gustave Choquet, proprio in merito alla risoluzione della congettura riemanniana -, sovente nella comunità mate- matica

9

si assiste allo spiacevole malvezzo per cui uno studioso è più spesso malauguratamente ricordato per qualche suo fallimento nell'arontare teme- rariamente una problematica particolarmente ostica ed impegnativa, qual'è quella insita in una congettura, piuttosto che per tutti i suoi precedenti meriti e risultati conseguiti con successo. Perciò, auspicabile sarebbe ogni tentativo, seppur ambizioso, di colmare una tale lacuna nella storia della matematica, anche se fosse solo volto a raccogliere organicamente e sistematicamente i vari tentativi nora compiuti per risolvere la congettura di Riemann, se non altro per rispondere sia a quanto propugna la recente didattica ed episte- mologia dell'errore

10

che per avere un orientativo quadro-guida quanto più completo possibile di questi stessi tentativi, fedeli a quanto Giovanni Vailati aermava a tal proposito, ovvero che ogni errore ci indica uno scoglio da evitare, mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire

11

.

Lo spunto per il presente lavoro è frutto di questa prospettiva con cui poter guardare alla storia della funzione zeta di Riemann ed ai vari tentativi, storicamente succedutisi, di risolvere la relativa congettura. Abbiamo voluto seguire un percorso storico, per lo più condotto con metodo storiograco, che parte da una ben precisa proprietà matematica della funzione zeta di Riemann, formalizzata da una particolare equazione funzionale a cui essa soddisfa, da cui è stato possibile dedurre un'altra funzione, detta funzione

8

Con precisione, egli dice che: According to my rst teacher Gustave Choquet one does, by openly facing a well known unsolved problem, run the risk of being remembered more by one's failure than anything else. After reaching a certain age, I realized that waiting safely until one reaches the end-point of one's life is an equally self defeating alternative (cfr. (Connes 2000, p. 35)). Tali considerazioni potrebbero, ad esempio, ben applicarsi al caso del noto matematico Louis de Branges che, nonostante i notevoli risultati da lui conseguiti in passato, negli ultimi anni circolano pretestuose biograe su di lui fondamentalmente volte a dileggiarlo per i suoi ultimi tentativi di provare la congettura di Riemann, come quella di Karl Sabbagh (cfr. (Sabbagh 2004)) la quale è, per lo più, incentrata su ininuenti ed impertinenti aspetti e momenti della sua vita personale, persino riportando, a detta del giornalista, tratti del suo carattere i quali, però, indipendentemente dalla loro fondatezza o meno, non hanno alcuna rilevanza da un obbiettivo punto di vista storico-critico in merito all'opera scientica di de Branges, bensì scadono solo ad un basso livello cronachistico da mediocre rotocalco od ordinario settimanale. Tutto ciò, forse, rientra nello spirito dell'antica massima secondo cui le buone intenzioni umane lastricano le vie dell'inferno.

9

Ma non esclusivamente limitata ad essa.

10

Cfr. (Binanti 2001).

11

Cfr. (Vailati 1972, I.).

(10)

ξ di Riemann, che appartiene alla classe delle funzioni complesse intere e che verica una importante proprietà di fattorizzazione la quale fa sì che la teoria della funzione zeta di Riemann incontri la teoria delle funzioni com- plesse intere. Ebbene, da questo particolare e magico luogo d'incontro ha inizio la nostra analisi storiograca che, fra gli altri, vede coinvolti i nomi di Weierstrass, Riemann, Hadamard, no a Pólya, anche se l'originaria moti- vazione per intraprendere questo percorso è stata tutt'altra, essendo partita dalla storia della sica teorica moderna. Invero, esaminando, da un punto di vista storico, alcune importanti testimonianze in merito ad alcuni notevoli risultati esatti di meccanica statistica conseguiti dai sici T.D. Lee e C.N.

Yang ai primi anni '50 dello scorso secolo, emergeva, da certe testimonian- ze storiche, il dato di fatto centrale secondo cui un ruolo di primo piano, nella prova rigorosa di questi risultati, sarebbe stato svolto da alcuni lavo- ri di George Pólya degli anni '20 dello scorso secolo relativi a tentativi di risoluzione della congettura di Riemann attraverso alcune rappresentazioni integrali della funzione ξ di Riemann i quali, a loro volta, erano imperniati su certi lemmi la cui prova faceva uso di fattorizzazioni di funzioni intere del tipo Weierstrass-Hadamard. Quindi, da una nale visione consuntiva, risultava come un nucleo fondante dei fatti storici ivi accennati fosse alla n ne riconducibile a tutti quei risultati relativi alla fattorizzazione di funzioni intere, ragion per cui si sentì l'esigenza, da un punto di vista storiograco, di approfondire le origini storiche dei teoremi di fattorizzazione delle fun- zioni intere, partendo dunque dai lavori di Cauchy, Weierstrass, Riemann e Hadamard, no ad arrivare al punto da cui eravamo partiti, ovvero i cosid- detti teoremi di Lee-Yang di cui appena sopra, completando, così, un ideale percorso, quasi ciclico ed variamente itinerante, che ha incontrato diversi per- sonaggi e toccato vari luoghi. Tale percorso storico, perciò, ha visto correre, pressoché parallelamente, matematica e sica i cui cammini, come ben noto, non possono disgiungersi gli uni dagli altri soprattutto da un punto di vista storico

12

. D'altronde la sica è stata sempre base fondante, motivante e pro- pulsiva della teoria delle funzioni di variabile complessa sin dai suoi primordi, per cui non è proprio possibile prescindere dalla prima in un'attenta analisi storica della seconda, osservazione metodologica, questa, che è valsa pure per questo nostro resoconto storico il quale è stato condotto, lo ripetiamo, con metodo storiograco principalmente analizzando tutte quelle fonti storiche che hanno, più o meno indirettamente, testimoniato, in un qual modo, su aspetti, momenti e situazioni inerenti i passi centrali e decisivi del percorso storico che abbiamo voluto seguire, riportando, anche a costo di esser ripe- titivi ma più incisivi, la testimonianza di ciascuna di tali fonti, in più punti

12

Cfr. (Enriques 1982, Libro III, Capitolo I, Ÿ 6) e (Klein 1979, Chapter VI).

(11)

della trattazione.

D'altra parte, a parziale motivazione delle linee metodologiche seguite in questo lavoro, si può far appello ai più tipici aspetti della losoa della scienza quale intesa da Riemann, per i quali ci sembra suciente riporta- re testualmente alcuni brani della prefazione a (Maurin 1997), uno dei più completi ed interessanti testi sull'eredità scientica lasciata da Riemann in matematica e sica, dai quali è, difatti, possibile individuare quali possano essere le più corrette linee metodologiche da seguire in merito all'accostamen- to alla stessa opera riemanniana. Invero, Maurin, a tal proposito, aerma che The study of the ways in which great mathematical ideas are born, deve- lop and die out (i.e., their so-called 'history' [of ideas]) is undoubtedly one of the most fascinating branches of history. However, it requires an extensive and profound knowledge of contemporary mathematics. Being involved with the life of great mathematical ideas, it is fruitful not only for mathematics and physics but also for the person involved. It enables him (or her) to come into contact with and participate in the life of the world of ideas (the 'cosmos noethos' of the Platonists). For nowhere can we see more concretely, one is tempted to say almost palpably, the enormous spiritual energy which, althou- gh acting in people, still lacks clear contours and desires 'to be mounded' and developed by people - people called mathematicians. Plato, being strongly in- uenced by the Pythagoreans, was aware of this. So was Eudoxos, one of the greatest mathematicians of antiquity active in Plato's Academy. [...] It was Riemann, who probably more than anyone else, enriched mathematics with new ideas. These ideas display an unusual degree of vitality and impulse the whole mathematics as well as many branches of physics. The world of ideas is 'one' - i.e., it is a cohesive living organism in which all 'parts' interact and where even slight stimulations propagate producing echoes in the (seemingly) distant organs

13

which may be called theories or 'branches of mathematics'.

Similarly like in Weierstrass-Riemann principle of 'analytic continuation', a change of a (meromorphic) function even within a very small domain (envi-

13

Questa, d'altronde, rinvia ad uno dei tanti possibili tentativi (azzardati) di denire

la losoa, quello centrato sulla nozione di riferimento, cioè l'istituire una relazione o

un rapporto, una connessione, tra due o più fatti, situazioni, concetti o enti concreti od

astratti, ovvero di rimando o ri-invio, entro uno stesso sistema losoco (di pensiero) o

fra distinti sistemi losoci, grazie a cui sarà possibile, all'interno di una coerente visione

unitaria della conoscenza e del sapere, superare i vari steccati specialistici e i diversi solchi

disciplinari nella molteplicità e varietà delle conoscenze acquisite lungo la storia delle

culture e delle civiltà per pervenire, tramite un metodo essenzialmente logico-comparativo,

sia ad una rete di rapporti di complementarità, di integrazione e di interazione che ad

eventuali punti di vista e principi comuni, prospettive convergenti, idee invarianti, costanti

concettuali, possibili analogie e somiglianze.

(12)

ronment) aects through analytic continuation the whole of Riemann surface, or analytic manifold. Riemann was a master in applying this principle and also the rst who noticed and emphasized that a meromorphic function is de- termined by its 'singularities'. Therefore, he is rightly regarded as the father of the huge 'theory of singularities' which is developing so quickly and whose importance (also for physics) can hardly be overestimated. [...] As we have seen, the most fascinating phenomena in mathematics are those which link seemingly disparate branches of the discipline: analysis and geometry, ana- lysis and arithmetic, geometry and arithmetic, local and global. The last pair is probably the 'hermetic' relation between micro- and macrocosm. Mathema- tics and physics make up one organism - man's task is to actualize this unity of the world of ideas. Riemann was deeply aware of this: he thought of him- self as mathematician and physicist. Constantly repeated, puzzled questions about 'the mysterious and incomprehensible congruity between mathematics and physics' have as their source the unconscious and stubborn inclination to dissect this one (and the same) organism of mathematics-physics. Thus, two dierent, articially created, entities come into being which are in fact or- gans of one great reality. Riemann outward life was brief, punctuated by the deaths of those he loved. It did not abound in any great worldly adventures.

But his true life was devoted to the enrichment of the world of mathematical ideas, which was only natural as he was a profound philosopher, a discipli- ne of G.T. Fechner and his 'Zend Avesta'. Creator lives in his creations!

[(Maurin 1997, Foreword, pp. xiii-xiv, xxi)]

Con queste poche parole, dunque, Maurin ha, in ogni caso, ecacemente delineato quei principali punti della losoa generale di Riemann che, nel nostro caso, meritano una particolare attenzione per quando ci occuperemo, in seguito, dei suoi contributi sia alla teoria delle funzioni di variabile com- plessa che alla teoria dei numeri. Inoltre, coerentemente con quanto appena sopra stabilito da Maurin, en passant riportiamo pure una signicativa frase di Chen Ning Yang, altro autore incontrato lungo il nostro percorso e di cui parleremo approfonditamente in seguito, circa un imprescindibile generale aspetto metodologico della storia delle scienze, secondo cui

It is, of course, true that an idea, especially a scientic idea, does not have a full meaning unless dened against a background of knowledge from which the idea originated and developed. [(Yang 1961, Preface)]

Tutte queste ancorché brevi considerazioni metodologiche sono d'altronde

ampiamente esposte, in modo più completo ed approfondito, in (Kragh 1990),

la quale è un'indispensabile monograa che contiene quanto di essenziale ed

(13)

ineludibile qualsiasi storico della scienza deve avere come minimo bagaglio fondazionale

14

. Per quanto, poi, riguarda la linea storiograca seguita in questo lavoro, prevalentemente orientata alla storia delle idee, vorremmo so- lo ricordare quali possibili beneci essa possa portare alla stessa matematica, bastando rammentare, a tal proposito, il caso del notevole lavoro di Carl Ludwig Siegel - che, inter alia, si occupò pure di storia della matematica - condotto sugli scritti inediti di Riemann, il cosiddetto Riemann's Nachlaÿ, da cui egli dedusse, nel 1932, una nuova fondamentale proprietà della funzio- ne zeta di Riemann, che

15

da E.C. Titchmarsh verrà poi chiamata formula di Riemann-Siegel a sottolineare il debito che Siegel indirettamente ebbe nei confronti di Riemann stesso

16

. D'altra parte, pure André Weil - il quale an- ch'egli, oltre ad esser stato un grande matematico, molto si occupò pure di storia della matematica

17

- ha fornito alcune possibili linee di metodologia e storiograa della matematica in (Weil 1978), le quali sono in sintonia con quelle principalmente seguite in questo lavoro

18

. È bene subito dire, però, a scanso di equivoci, che, come in tutte le generali questioni storiograche, anche nel caso della storia della matematica esistono più indirizzi e scuole di pensiero su cosa sia, e come debba essere condotta, la storia della matemati- ca: approcci biograci, studio delle corrispondenze, metodi di storia esterna, studio delle fonti primarie e secondarie, storia delle idee, etc. Comunque, in merito a ciò, aermiamo che il nostro punto di vista, prevalentemente orien- tato alla storia delle idee, non è tuttavia unilaterale ed esclusivistico bensì pluralistico e, in un certo senso, 'democratico', restando nella convinzione che è piuttosto il complesso, e non una sola, di queste varie possibili metodolo- gie a fornire un completo, organico ed obiettivo resoconto storico di un dato evento o fatto esaminato, ed un riscontro fattuale della convenienza di tale approccio comparativo si avrà proprio alla ne di questo lavoro, nell'ultima osservazione storiograca delle considerazioni nali della sezione 7. Princi- palmente limitazioni di tempo ci hanno tuttavia indotto a scegliere uno di questi indirizzi storici, ossia, come già detto, quello prevalentemente centra- to sulla storia delle idee, sulla falsariga di quello propugnato per esempio da Weil in (Weil 1978), e perseguito adottando una serrata e scrupolosa analisi

14

Qualche altra brevissima linea metodologica di storiograa matematica, seppur datata, è pure rintracciabile in (Loria 1946) la quale è, fondamentalmente, una ricca e completa fonte di informazioni bibliograche relative alla storia della matematica pura ed applicata no alla metà degli anni '40 del XX secolo.

15

Da una comunicazione personale col Professor Enrico Bombieri.

16

Cfr. (Titchmarsh 1986, Chapters II, IV), (Siegel 1932) e (Neuenschwander 1988).

17

Cfr. (Weil 1975; 1978; 1984).

18

Nonostante ciò, le idee storiograche weiliane non sono state del tutto esenti da critiche

ed obiezioni, fra le quali, per esempio, ricordiamo quelle mossegli in (Dauben 1994).

(14)

storiograca di tutte quelle possibili fonti inerenti ai vari argomenti che man

mano incontreremo lungo il percorso storico che abbiamo scelto di seguire.

(15)

Introduzione

L'ormai celebre memoria di Riemann del 1859 sulla distribuzione dei numeri primi, come noto segnò una profonda traccia indelebile nella storia della ma- tematica per il gran numero di intuizioni avute e le molte questioni sollevate e lì lasciate irrisolte, le quali occuperanno le menti e richiederanno gli sfor- zi di molti dei migliori matematici delle generazioni successive a Riemann.

Una di queste è quella oggi nota come congettura (o ipotesi) di Riemann,

relativa alla determinazione del luogo degli zeri non banali della funzione ζ

di cui sopra. Riemann stesso non profuse molti sforzi per la sua chiarica-

zione e risoluzione perché tale questione era solo, nell'intenzione originaria

dell'autore, uno strumento formale ausiliario alla determinazione di ben altre

proprietà inerenti la distribuzione dei numeri primi. Sebbene tutte le altre

questioni che Riemann formulò e lasciò aperte nella suddetta memoria siano

state successivamente riprese e risolte da altri matematici, una sola anco-

ra caparbiamente resiste ad ogni tentativo od esito di chiarimento, appunto

la congettura di Riemann. Tuttavia, nonostante lo scalpore e la notorietà

che essa ha raggiunto, no ad esser reputata uno dei problemi matematici

più dicili di tutta la storia della matematica, come già anticipato sopra,

eccetto brevi articoli di rassegna dalla parziale visione e dal carattere soven-

te euristico, o libri divulgativi che spesso sfociano nel genere romanzesco se

non addirittura fantasioso, a tutt'oggi non esiste un sistematico, organico e

non prosastico resoconto storico di tale congettura, forse dovuto, come già

accennato sopra, sia alla irta e spinosa problematica che l'avvolge quasi a

mo' di misteriosa ed oscura aura, che alla disorientante ridda di approcci e

proposte risolutive che si sono via via avvicendati per oltre un secolo, sco-

raggiando ogni buona e seria volontà di considerare un programma di ricerca

storica avente fondamentalmente natura sistematica e ricapitolativa. L'aver,

dunque, tal mancanza, esortati a gettare un'ancorché rapida scorsa ai vari

tentativi storici che si sono lanciati verso l'ardua ed ambiziosa impresa ri-

solutiva di tale congettura, ci ha però poi condotti all'individuazione di un

particolare e ben distinto percorso il quale è stato tuttavia alquanto trascura-

to da un punto di vista sia storico che storiograco visto nella sua globalità,

ragion per cui ciò ci ha persuasi dell'opportunità d'intraprenderne una più

attenta e circostanziata disamina storiograca di una ristretta parte di tale

programma la quale, alla n dei conti, nonostante la sua specicità, c'è sem-

brata comunque degna di costituire il principale obiettivo di ricerca storica di

una dissertazione dottorale qual'è il presente resoconto. Mossi dallo spirito

di un ritorno all'originario lavoro riemanniano del 1859, tale percorso pren-

de le mosse dalla cosiddetta funzione ξ di Riemann, una funzione intera che

Riemann stesso, in tale memoria, introdusse per lo studio delle proprietà ma-

(16)

tematiche degli zeri dell'iniziale funzione ζ , per il tramite di una ben precisa equazione funzionale scaturita dalla continuazione analitica di quest'ultima la quale risultava non denita in tutto il piano complesso C. Dopotutto, Riemann stesso formulò la sua congettura proprio in relazione a questa sua ausiliaria funzione ξ , non in merito alla ζ ; per questo, s'è sopra parlato di un ritorno al pensiero originario di Riemann.

In merito alle proprietà formali della funzione ξ , Riemann avanzò una se- rie di ipotesi che egli stesso giusticò solo parzialmente, se non ignorandone del tutto la prova, perché, come già detto, si trattava di questioni formali secondarie rispetto ai principali ni che egli si riprometteva di raggiungere.

Il punto di partenza della nostra analisi storiograca è proprio una di queste proprietà intraviste da Riemann, ovverosia quella che riguardava la fatto- rizzazione in prodotto innito di tale funzione, cui egli propose, in merito, un'espressione del tipo

( ⋆ ) ξ(t) = ξ(0)

i

( 1 t

2

α

2i

)

dove α

i

sono gli zeri dell'equazione ξ(t) = 0 , senza darne tuttavia un'ade-

guata prova, avendosi dovuto attendere circa trent'anni, precisamente no

al 1893, per avere una rigorosa dimostrazione ad opera Jacques Hadamard,

tramite i nuovi metodi della teoria delle funzioni intere. Dunque, la ( ⋆ ) è

stato il punto d'inizio del nostro percorso storico, ponendosi come uno dei

primi esempi espliciti di fattorizzazione di una funzione intera, argomento a

cui Riemann stesso si dedicò durante le sue ricerche sulla teoria della funzio-

ni complesse. Quindi, prendendo spunto proprio da questi aspetti di teoria

delle funzioni intere implicitamente presenti nella memoria di Riemann del

1859, abbiamo voluto ampliare il retroscena storico iniziando coll'approfon-

dire gli aspetti storici riguardanti la teoria della fattorizzazione delle funzioni

intere, dai primordi no alla nascita uciale della teoria delle funzioni in-

tere come autonomo capitolo dell'analisi complessa. Da questa ricognizione

storica è risultato come il germe iniziale da cui prese le mosse l'intera teoria

delle funzioni intere debba esser rintracciato nella problematica connessa alla

fattorizzazione di una particolare classe di funzioni complesse, poi denomi-

nate funzioni intere, viste come una generalizzazione dei polinomi quando il

loro grado tende all'innito, teoria i cui primi risultati rigorosi risalgono ad

alcuni lavori di Weierstrass del 1876, ucialmente considerati l'inizio della

teoria delle funzioni intere. Stimolato da alcune questioni irrisolte presenti

nella memoria di Riemann, assieme a quest'ultimi risultati di Weierstrass,

Hadamard pervenne alla prova rigorosa della formula ( ⋆ ) in un lavoro del

1893 in cui si antepongono alcuni altrettanto notevoli risultati della nascente

(17)

teoria delle funzioni intere dovuti a Edmond Laguerre, Henri Poincaré ed Emile Picard, grazie ai quali si introdussero le nozioni di genere ed ordine

19

di una funzione intera, lavori che, a loro volta, furono condotti sulla scia dell'anzidetto lavoro di Weierstrass del '76. In questo lavoro di Hadamard, si perfezionò ulteriormente la teoria della fattorizzazione delle funzioni intere di ordine nito con una nuova e più generale nozione di ordine denita sulla base delle altre già note

20

, pervenendo, così, alle cosiddette fattorizzazioni di Hadamard (o di Weierstrass-Hadamard) delle funzioni intere di ordine nito, dati, tutti questi, che vennero appunto utilizzati nel provare la ( ⋆ ) . Sulla base di ciò, Émile Borel darà poi corpo alla teoria delle funzioni intere, con- tribuendovi pure personalmente, come autonomo capitolo della teoria delle funzioni complesse, scrivendone altresì le prime monograe. Al contempo, i risultati conseguiti da Hadamard nel '93 servirono di base per provare altre questioni di teoria dei numeri, prima fra tutte quella riguardante la prova del teorema dei numeri primi, riuscendovi egli stesso nel 1896, assieme al quasi coetaneo Charles de la Vallée-Poussin, ma l'uno indipendentemente dall'al- tro. In particolare, la prova di Hadamard del suddetto teorema fece solido adamento a questi suoi risultati sulla teoria delle funzioni intere del '93, in particolare sulla fattorizzazione della funzione ξ di Riemann, dando, così, luogo ad un altro lone (seppur minore) di ricerca in teoria dei numeri, quel- lo facente uso di metodi della teoria delle funzioni intere, i cui primi lavori risalgono a Edmund Landau, Hans Von Mangoldt e George Pólya, a cavallo fra la ne dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.

Agli inizi del XX secolo, la teoria delle funzioni intere, il cui corpo di dot- trina era prevalentemente contenuto nelle monograe di Borel, subì un no- tevole incremento soprattutto ad opera della scuola russa di Mark G. Krein e Boris Ya. Levin ad iniziare dagli anni '20 in poi, attraverso cui nuove classi di funzioni intere vennero individuate in merito a problematiche di ap- prossimazione polinomiale di funzioni, in particolare, vennero istituite due ben precise classi funzionali, denominate classi di Laguerre-Pólya ( LP ) e di Hermite-Biehler ( HB ), per mezzo delle quali appunto approssimare, median- te polinomi, certe funzioni intere in dipendenza della distribuzione dei loro zeri sul piano complesso. Al contempo, alcuni lavori di Pólya, pubblicati nella seconda metà degli anni '20, rimettevano in fertile relazione gli ultimi svilup-

19

La nozione di genere, introdotta da Laguerre, fu denita tramite un'estensione per

analogia della nozione di grado di un polinomio, sulla base del lavoro di Weierstrass del

'76.

20

Anche in tale caso, sulla base dell'estensione analogica che portò dalla nozione di

grado polinomiale a quella di genere, l'ordine di una funzione intera, secondo Hadamard,

fu denito seguendo questa stessa falsariga ma pervenendo ad una nozione più generale

delle precedenti nozioni relative all'ordine.

(18)

pi della teoria delle funzioni intere con la funzione ξ di Riemann, aprendo la strada alla teoria dell'analisi armonica applicata alla funzione ζ di Riemann

21

(via la funzione ξ ), strada, questa, che verrà ripresa, sviluppata ed appro- fondita per altri versi, coadiuvandola con la teoria delle funzioni intere e con i nuovi metodi dell'analisi funzionale, da Louis de Branges a partire dagli anni '60. Sulla base di alcune testimonianze di diretti protagonisti (di cui ci occuperemo in seguito), proprio questi lavori di Pólya degli anni '20 sembre- rebbero aver avuto, però, inaspettate applicazioni anche in sica teorica, e poi in sica matematica, tramite l'intervento di Mark Kac che, interpellato dai due sici Tsu-Dao Lee e Chen Ning Yang intorno ai primi anni '50 per delle problematiche formali riguardanti alcune loro ricerche, gli suggerì di far ricorso ad alcuni contenuti di questi lavori di Pólya sulla rappresentazione integrale della funzione ξ di Riemann. Con maggior precisione, Lee e Yang, nella prima fase del loro periodo americano, stavano alacremente lavorando sulla fondazione di una possibile teoria rigorosa delle transizioni di fase di un sistema termodinamico, prendendo in esame alcuni specici sistemi sici ad innite particelle la cui funzione di partizione, denita sull'insieme gran- canonico (e detta funzione di granpartizione), spesso è una funzione intera sotto particolari condizioni, i cui zeri inducono singolarità nelle corrisponden- ti funzioni termodinamiche le quali, a loro volta, corrispondono, appunto, a transizioni di fase. Lee e Yang, dunque, furono i primi a mettere in risalto l'esistenza di questa importante relazione fra la presenza di zeri della funzio- ne di granpartizione e l'occorrenza di transizioni di fase, per cui passarono ad una più approfondita analisi ancorché semirigorosa di questi sistemi ter- modinamici, degli zeri della corrispondente funzione di partizione e le loro relative distribuzioni geometriche nel piano complesso, allo scopo di indivi- duare possibili risultati generali, convincendosi che, in molti casi, tali zeri si distribuiscono secondo tipiche congurazioni geometriche, fra le quali quella data dal cerchio unitario del piano complesso centrato nell'origine. Tuttavia, essi non avevano i mezzi formali rigorosi adatti a dimostrare tali loro suppo- sizioni, ancorché limitatamente ad una certa classe di sistemi termodinamici, per cui si rivolsero, a tale scopo, al loro collega il sico matematico Mark Kac che, una volta avuta una visione generale della loro problematica, im- mediatamente ricordò di un lavoro di Pólya, del 1926, sulla rappresentazione integrale della funzione ξ di Riemann, in cui erano presenti alcuni risultati che si prestavano al conseguimento di quanto Lee e Yang attendevano, e grazie ai quali essi infatti riuscirono nalmente nell'intento, almeno secondo le te- stimonianze in nostro possesso. D'altra parte, da un'analisi storiograca più approfondita, è emerso che quelle proposizioni (Pólya lemmata) contenute in

21

Cfr. (Titchmarsh 1986, Chapter X).

(19)

quel lavoro di Pólya del 1926, le quali servirono - a detta sia di Yang che di Kac

22

- ai due sici per i loro intenti dimostrativi, erano proprio imperniate sull'uso di una fattorizzazione, seppur nella sua forma più semplice, di una funzione intera secondo Hadamard, per cui sembrerebbe esser ritornati nuo- vamente al punto iniziale della nostra analisi storiograca, ovverosia la teoria della fattorizzazione delle funzioni intere, stando alla ricostruzione storica in- feribile da tali testimonianze. In ogni modo, indubbio merito di questi lavori di Lee e Yang fu l'aver aperto il corso alla teoria dei risultati rigorosi in mec- canica statistica

23

, con ulteriori applicazioni sia in sica che in matematica applicata, fra le quali alcune riguardanti la teoria dei polinomi e, soprattutto, la stessa teoria delle funzioni intere, per esempio tramite i recenti lavori di David A. Cardon e collaboratori, i quali, attraverso la teoria delle classi di funzioni LP ed HB , hanno cercato di generalizzare questi risultati di Lee e Yang ad un più vasto contesto formale dell'analisi complessa che abbracci pure tutta quella serie di recenti risultati e conclusioni riguardanti l'analisi armonica applicata alla teoria della funzione ζ di Riemann. Rimandiamo, però, alle considerazioni nali per un più dettagliato e completo quadro di tale situazione.

22

Questo, infatti, è quanto testimoniano sia Kac che Yang, come avremo modo di vedere in seguito, anche se, alla ne della nostra trattazione, questo loro iniziale punto di vista risulterà, secondo noi, alquanto infondato (cfr. le conclusioni nali) se non interpretato nei dovuti termini.

23

Raccolti, per la prima volta, nella celebre monograa (Ruelle 1969).

(20)

1. Argomenti di storiograa delle scienze 24

Come abbiamo accennato all'inizio, Weil, nelle poche pagine di (Weil 1978), in una forma asciutta e limata, ma limpida ed essenziale, delinea alcune possibili linee di storiograa della matematica, quale dovrebbe esser il suo oggetto di studio ed i relativi metodi per perseguirlo da un punto di vista storico. Noi, qui, ci soermeremo solo su quei punti che ci son sembrati più consoni al nostro progetto di ricerca storica precedentemente delineato.

Weil, anzitutto, chiarisce due principali approcci storiograci che egli chiama uno tattico l'altro strategico, chiarendone aspetti, limiti e punti di vista loro inerenti. Per l'esemplare chiarezza espressiva, riportiamo sue testuali parole in merito. In (Weil 1978, pp. 229-230), egli infatti dice che

[...] one has to make clear the distinction, in scientic matters, between tactics and strategy. By tactics I understand the day-to-day handling of the tools at the disposal of the scientist or scholar at a given moment; this is best learnt from a competent teacher and the study of contemporary work. For the mathematician it may include the use of dierential calculus at one time, of homological algebra at another. For the historian of mathematics, tactics have much in common with those of the general historian. He must seek his documentation at its source, or as close to it as practicable; second-hand in- formation is of small value. In some areas of research one must learn to hunt for and read manuscripts; in others one may be content with published texts, but then the question of their reliability or lack of it must always be kept in mind. An indispensable requirement is an adequate knowledge of the langua- ge of the sources; it is a basic and sound principle of all historical research that a translation can never replace the original when the latter is available.

Luckily the history of Western mathematics after the XV

th

century seldom requires any linguistic knowledge besides Latin and the modern Western Eu- ropean languages; for many purposes French, German and sometimes English might even be enough.

In contrast with this, strategy means the art of recognizing the main pro- blems, attacking them at their weak points, setting up future lines of advance.

24

Un preliminare ma necessario inciso: molti e diversi, spesso complementari e in dialet-

tica fra loro, sono i punti di vista o, come suol dirsi, le scuole di pensiero, su cosa sia, e come

debba esser condotta, la storia delle scienze. Quanto segue, non vuole per nulla costituirsi,

a tal riguardo, come impositivo manifesto direttivo od uciale proclama disciplinare, ma

solo indicare quelle possibili linee metodoloiche, pure comprese nella complessa e variegata

molteplicità dei metodi storiograci, che, secondo il nostro punto di vista e la personale

inclinazione od indole rievocativa, debbono essere adottate nel perseguire quell'intento e

quel ne storico che sono stati alla base della presente dissertazione.

(21)

Mathematical strategy is concerned with long-range objectives; it requires a deep understanding of broad trends and of the evolution of ideas over long periods. This is almost indistinguishable from what Gustav Eneström used to describe as the main object of mathematical history, viz., the mathematical ideas, considered historically, or, as Paul Tannery put it, the liation of ideas and the concatenation of discoveries. There we have the core of the discipline we are discussing, and it is a fortunate fact that the aspect towards which, according to Eneström and Tannery, the mathematical historian has chiey to direct his attention is also the one of greatest value for any ma- thematician who wants to look beyond the everyday practice of his craft. [...]

However that may be, [...] we have agreed that mathematical ideas are the true object of mathematical history. [...] It is obvious that the ability to re- cognize mathematical ideas in obscure or inchoate form, and to trace them under the many disguises which they are apt to assume before coming out in full daylight, is most likely to be coupled with a better than average mathe- matical talent. More than that, it is an essential component of such talent, since in large part the art of discovery consists in getting a rm grasp on the vague ideas which are in the air, some of them ying all around us, some (to quote Plato) oating around in our own minds. [(Weil 1978, pp.

229-230)]

Proprio per la fondamentale importanza storiograca che per noi assumono le ultime parole di Weil, qui di seguito le ripetiamo nuovamente, isolandole stavolta per conferirle maggiore incisività. Weil infatti dice che

[...] we have agreed that mathematical ideas are the true object of mathe- matical history. [...] It is obvious that the ability to recognize mathematical ideas in obscure or inchoate form, and to trace them under the many disgui- ses which they are apt to assume before coming out in full daylight, is most likely to be coupled with a better than average mathematical talent. More than that, it is an essential component of such talent, since in large part the art of discovery consists in getting a rm grasp on the vague ideas which are in the air, some of them ying all around us, some (to quote Plato) oating around in our own minds. [ut supra]

Weil, insomma, sottolinea quello che è peculiare del processo di creazione di

un oggetto matematico (quest'ultimo inteso in senso lato), vale a dire l'esplici-

tazione sincronica di quanto era diacronicamnete implicito nella pre-esistente

contestualità matematica, a tal scopo bastando riportare, per esemplicare,

il caso della nascita della nozione di gruppo, il quale fu sottoposto ad un

processo di graduale esplicitazione di quanto diacronicamente contenuto im-

(22)

plicitamente nei lavori di Lagrange e Galois no alla sincronica esplicitazione assiomatica fornita da C. Jordan ed E. Betti verso la ne del XIX secolo

25

. Molto vicino alle idee weiliane sembra, poi, essere pure il metodo storiograco seguito dal trattato (Bottazzini & Gray 2013) che, strano a dirsi, è il primo che sia mai stato scritto sulla storia della teoria delle funzioni di variabile complessa, e che ha costituito una delle nostre principali referenze. D'altra parte, seguendo (Neuenschwander 1994), l'uso delle fonti anzitutto prima- rie e successivamente secondarie, gioca un ruolo fondamentale in storia della matematica poiché esso fornisce i mezzi più potenti per un obbiettivo studio critico della materia orientato verso la storia delle idee. Ad esempio, l'inve- stigazione dell'origine e dell'evoluzione del teorema di Casorati-Weierstrass, è il modello esemplicativo principe che Neuenschwander considera a tal ne, in ciò egli essendo sostanzialmente d'accordo, dunque, con le idee weiliane di cui sopra. D'altra parte

26

, la ricerca storica ha spesso una natura tema- tica, settoriale e specica, soprattutto in storia delle scienze. Infatti, nella fattispecie della matematica, questa spesso non si evolve solo per grandi si- stemi o teorie ma, piuttosto, per il tramite di specici contributi e problemi dalla particolare sionomia, come ebbe pure a sottolineare Francesco Severi nella prefazione alla traduzione italiana del famoso testo di R. Courant e H.

Robbins, What is Mathematics? (cfr. (Courant & Robbins 1941)), per cui sovente si richiede necessario condurre un'analisi storica in maniera intensiva (o comprensiva) piuttosto che estensiva

27

, ovvero, all'occassione, alternare entrambi.

Si è soliti distinguere due principali livelli, o signicati, del termine sto- ria

28

. Al primo livello (diciamo H

1

), siamo in grado di descrivere quei feno- meni od eventi che si sono vericati nel passato, vale a dire, quella storia che suol classicarsi come storia oggettiva. In essa, la storia deve essere intesa come 'il passato', o in relazione ai fenomeni che eettivamente occorsero in passato. Ma dal momento che abbiamo solo, e sempre avremo, una cono- scenza limitata del realtà del passato, la maggior parte di ciò che realmente è avvenuto in passato, sarà sempre al di là della nostra portata. La parte di storia ( H

1

) che noi conosciamo non è solo limitata in estensione, ma è anche il prodotto di un processo di ricerca che include selezioni, interpretazioni ed

25

Un altro concreto esempio di questo processo di creazione di un oggetto matematico che, grosso modo, corrisponde al passaggio (fuor di retorica) dall'implicito all'esplicito, può esser fornito dal caso della struttura di varietà dierenziabile come, ad esempio, brevemente esposto in (Iurato 2012).

26

Cfr. (Peri 1971, Parte I

a

, Capitolo 2).

27

Cfr. pure l'Articolo I di Alessandro Padoa in (Berzolari et al. 1930-1951, Volume I, Parte I).

28

Cfr. (Kragh 1990, Capitolo 2).

(23)

ipotesi avanzate dallo storico. Noi non abbiamo accesso diretto ad H

1

, ma solo a quelle parti di H

1

che sono state trasmesse attraverso le varie fonti.

Al secondo livello (di seguito H

2

), il termine storia è anche usato per riferirsi all'analisi della realtà storica ( H

1

), vale a dire, la ricerca storica ed i suoi risultati. L'oggetto della storia H

2

è quindi la storia H

1

nello stesso modo come l'oggetto delle scienze naturali è la natura. Proprio come la nostra conoscenza (scientica) della natura è limitata ai risultati della ricerca scien- tica che non sono parte della natura, ma solo una interpretazione teorica di essa, così la nostra conoscenza degli eventi del passato è limitata ai risultati della storia H

2

che non sono il passato ma una interpretazione teorica di esso. Così come i loso positivisti hanno sostenuto che l'esistenza di una natura oggettiva è insignicante, e che è impossibile distinguere tra la natura e la nostra conoscenza di essa, allo stesso modo, alcuni storici idealisti hanno sostenuto che la distinzione tra H

1

e H

2

è ttizia, cioè è una nzione che non ha alcun utile scopo; e che non vi è storia attuale diversa, o separata, da quella che lo storico costruisce dalle sue fonti. Il termine storiograa è spesso usato per riferirsi ad H

2

, cioè agli scritti sulla storia, la nostra metodologia essendo proprio di questo tipo. In pratica, la storiograa può dunque avere due signicati: può signicare semplicemente lo scritto specialistico riguar- dante la storia, cioè il resoconto degli eventi o fatti del passato, scritto dagli storici, così come può signicare la teoria o losoa della storia, cioè le ri- essioni teoriche sulla natura della storia ( H

2

). Nel suo ultimo signicato, la storiograa è, quindi, un meta-disciplina, il cui oggetto è H

1

; inoltre, la storia puramente descrittiva non è in sé stessa storiograa ma può essere oggetto di un'analisi storiograca. Noi ci riferiremo, nell'indagine storica successiva, al primo signicato.

Gli

29

eventi storici, a causa della loro collocazione nel passato, non pos- sono essere ricreati o manipolati, ragion per cui le dichiarazioni ipotetiche e contrarie ai fatti sono spesso considerate inaccettabili nelle opere storiche.

Una dichiarazione contro l'evidenza dei fatti è una dichiarazione sulla base di un'ipotesi che è nota essere di fatto falsa, in altre parole, essa non può conciliarsi con i fatti conosciuti. Tali dichiarazioni sono anche dette dichia- razioni controfattuali, le quali contengono il condizionale se ... seguito dalla dichiarazione falsa P . Le ipotesi sono normalmente delle dichiarazioni il cui valore di verità non è noto ma che sono, comunque, utilizzati euristicamente per dedurre delle dichiarazioni testabili per sostenere o indebolire le ipotesi.

La storia controfattuale sembra presupporre che i singoli eventi storici posso- no essere astratti dal loro contesto, senza disturbare niente di più che alcuni altri avvenimenti, mentre secondo molti storici dalla visione 'olistica', questo

29

Cfr. (Kragh 1990, Capitolo 7).

(24)

presupposto è fondamentalmente ingiusticato dal momento che tutte le oc- correnze storiche sono connesse tra di loro. La presupposizione che un evento reale non avesse avuto luogo, avrebbe cambiato tutti gli eventi successivi, in modo del tutto imprevedibile. Nonostante queste obiezioni e nonostante il fatto che non possiamo mai determinare con certezza il valore di verità delle situazioni storiche controfattuali, esse hanno tuttavia un valore nella storia e, in pratica, le domande controfattuali non sono infrequenti nella storia della scienza e in epistemologia

30

. Secondo M. Bernal

31

dovremmo esigere di sapere non solo come fu realizzata questa scoperta, ma anche perché non venne realizzata prima di allora, e quale sarebbe stato il corso della storia se fosse andata diversamente. [(Bernal 1969, p. 1297)]

Domande del tipo perché i fatti accaddero proprio in quel momento ed alla tal maniera, sono naturalmente una parte importante della storia. Tali questio- ni fattuali possono, comunque, essere formulate anche controfattualmente, soprattutto quando si tratta di stabilire connessioni causali tra eventi.

Un elemento fondamentale della metodologia storica è la periodizzazio- ne

32

. Non esiste un unico criterio standard di suddivisione per periodi storici, come pure non v'è una completa libertà di scelta di questi ma, come mini- mo, si procede tramite una suddivisione, grosso modo, per secoli. Tuttavia, per quanto riguarda l'individuazione di eventuali processi di periodizzazione aventi carattere di tipicità, qui menzioniamo quello che usualmente conduce un'analisi storica, come suol dirsi, per sezioni verticali ed orizzontali. Le ana- lisi storiche per sezioni verticali usualmente ssano un determinato intervallo di tempo, diciamo I = [t

1

, t

2

] , entro cui storicamente guardare, da un punto di vista interdisciplinare, la posizione temporale dell'argomento in esame nel generale contesto socio-culturale relativo al dato periodo I scelto (Zeitgei- st). Questo punto di vista concerne pure l'ambito della storia esterna, anche per il carattere multidisciplinare che possiede. Un'analisi storica per sezioni orizzontali, invece, segue l'evoluzione temporale di uno specico argomento.

Prendendo a prestito una notazione temporale consolidata nella tradizione biblica del Nuovo Testamento, una sezione orizzontale consisterà degli istanti t

ν

compresi fra un pressato istante iniziale, diciamo t

α

, ed un altro pressato istante nale, diciamo t

ω

, avendo voluto adottare come deponenti temporali, seguendo la sacralità rivelata, rispettivamente la lettera intermedia ( ν ), la lettera iniziale ( α ) e quella nale ( ω ) dell'alfabeto greco, proprio per rimar-

30

Cfr. (D'Espagnat 1983).

31

Cfr. (Bernal 1969).

32

Cfr. (Kragh 1990, Capitolo 8).

(25)

care l'ordinamento temporale insito in tali sezioni, t

α

t

ν

t

ω

. Questo secondo punto di vista riguarda, dunque, l'ambito della storia interna. In- somma, mentre la storia verticale può suggestivamente paragonarsi, da un punto di vista sincronico, ad un'istantanea della situazione generale, la sto- ria orizzontale è un insieme ordinato di fotogrammi, una pellicola sviluppata diacronicamente, e dedicata ad un argomento specico. È altresì chiaro come sia possibile condurre un'analisi storica incrociata, per sezioni sia veriticali che orizzontali, ed anzi, è auspicabile che sia proprio così, giacché la ricchezza e la portata di una ricognizione storica risiede proprio nel saper magistral- mente condurre un'analisi storica incrociata di tal tipo: invero, per esempio nel caso della storia della matematica, chi si occupa della storia della geo- metria non può permettersi di studiare, seppur in una prospettiva storica, esclusivamente la geometria pura, ma deve esser bensì preparato a studiare pure arte, sica, architettura, losoa, cartograa, religione, politica e molte altre materie. Nonostante la critica che può essere sollevata contro storie di discipline organizzate orizzontalmente, sarebbe sbagliato però seguire coloro che ripudiano completamente questo approccio. Almeno in alcuni casi, è pos- sibile identicare od isolare discipline o temi specialistici di periodi passati, senza commettere errori di anacronismo, come nella storia della matematica moderna. L'unico problema è che questi temi saranno solo raramente identici o analoghi a quelli moderni, come pure solo raramente rimarranno invariati a lungo termine. Il rischio a cui si può incorrere tagliando fuori certe con- nessioni ed integrazioni storiche che solo verticalmente possono innestarsi, dipendono dal periodo di tempo analizzato e dalla disciplina in esame. Un crescente isolamento disciplinare è caratteristico di quel tipo di analisi sto- riche relative a discipline altamente organizzate e specializzate quali quelle che si sono sviluppate nell'epoca moderna, soprattutto dalla ne del XVIII secolo in poi

33

. Per quanto riguarda la scienza moderna è, quindi, meno problematica l'organizzazione della storia in senso orizzontale, per cui se si debba adottare o meno un approccio verticale, interdisciplinare, non è un problema di principio, bensì di contingenza storica; ma, mentre la storiogra- a organizzata verticalmente evita i problemi connessi con l'identicazione di una disciplina intesa in modo stabile ed invariante su un lungo periodo di tempo, essa però si espone, al contempo, ad altri problemi.

Un tipo particolare di analisi storica incrociata a tratti orizzontali e verti- cali, è quella che rimanda alla tesi dei temi storici invarianti, o, in breve, alla tesi dell'invarianza, secondo cui la storia può essere vista come una variazio- ne su un numero relativamente piccolo di temi costanti, o idee-base (o nuclei fondanti), che si manifestano in dierenti periodi in tutti i principali rami

33

Come nel nostro caso.

(26)

della cultura. Secondo A.O. Lovejoy, che fu un fervido sostenitore della tesi dell'invarianza nella storia delle idee, le idee-base possono essere paraganote agli atomi degli elementi: proprio come le centinaia di migliaia di composti chimici possono essere intese come combinazioni di pochi tipi di atomi, così le forme complesse ed estremamente variegate della storia delle idee si pos- sono concepite come combinazione di poche idee-base. Poiché tale tesi tenta di integrare diversi elementi che compongono la cultura e che perdurano nel tempo, essa può essere considerata come un tentativo di aggirare il conitto tra la storiograa orizzontale e verticale. È possibile avere una rapida ma chiara visione della tesi dell'invarianza di Lovejoy, attraverso il seguente bra- no, stralciato da (Lovejoy 1976, Chapter 1), secondo cui

The postulate [...] is that the working of a given conception, of an expli- cit or tacit presupposition

34

, of a type of mental habit, or of a specic thesis or argument, needs, if its nature and its historic role are to be fully under- stood, to be traced connectedly through all the phases of men's reective life in which those workings manifest themselves, or through as many of them as the historian's resources permit. It is inspired by the belief that there is a great deal more that is common to more than one of these provinces than is usually recognized, that the same idea often appears, sometimes considerably disguised, in the most diverse regions of the intellectual world. [(Lovejoy 1976, Chapter 1, p. 15)]

Dopo Lovejoy, la tesi delle idee-base invarianti è stata sviluppata da mol- ti altri autori, fra i quali il sico e losofo M. Sachs

35

, secondo cui

It is my thesis that the actual truths sought by the philosopher and the scientist about the real world emerge in the form of abstract, invariant rela- tions that are independent of the domain of understanding to which they may be applied, whether in the arts, the sciences, the philosophy of religion, or any other intellectual discipline, and that these relations are invariant with respect to the dierent periods of history during which they may be expressed.

In the language of theoretical physics, I am contending that the principle of relativity - the assertion that the laws of nature are independent of the frame of reference in which they may be expressed - applies equally to the relations that govern the evolution of human understanding, i.e. the history of ideas, as it does to the natural phenomena of the inanimate world of the stars, pla- nets and elementary particles. [(Sachs 1976, p. 125)]

34

Si noti, qui, la dualità implicito-esplicito.

35

Cfr. (Sachs 1976).

(27)

Pure S. Sambursky

36

, a tal proposito, aerma che

the inner logic of scientic patterns of thought has remained unchan- ged by the passage of centuries and the coming and going of civilizations.

[(Sambursky 1963, p. 203)]

Nello stesso modo, molti storici hanno puntualizzato su ciò che essi ritengono essere sorprendenti somiglianze tra concetti della losoa naturale classica e della scienza moderna. La tesi di invarianza è stata altresì sviluppata da altri storici, fra i quali P. Gunter, L. Fleck e S.G. Brush, come pure nella cosiddet- ta analisi tematica di Gerald Holton, secondo il quale si può procuamente interpretare tutta l'opera scientica pionieristica e d'avanguardia come basa- ta su concetti, metodi e progetti probabilmente inconsci, cha agiscono come motivazioni o inibizioni 'private', 'soggettive', durante il processo di ricerca.

Questi themata non sono 'scientici' nel senso che spesso non sono ricono- sciuti dallo scienziato e appaiono raramente nel discorso scientico uciale, così come quei themata a cui uno scienziato è intimamente legato non neces- sariamente derivano dalla scienza poiché essi possono formarsi nei primi anni della vita dello scienziato, oppure possono essere il risultato di un qualsiasi altro tipo di inuenza. Come altre forme di idee invarianti, i themata non hanno lo stesso status delle teorie e la loro validità non può essere testata empiricamente o stabilita mediante argomentazioni razionali. L'analisi te- matica di Holton dierisce dalla versione di Lovejoy della tesi dell'invarianza in quanto essa si concentra in un breve periodo di tempo o su singoli scien- ziati, in altre parole, viene utilizzata in verticale anziché orizzontalmente.

Tuttavia, Holton ritiene che vi siano solo pochi themata nella storia della scienza e che solo molto raramente nuovi themata sorgono; e non importa quanto possano sembrare radicali i progressi nel futuro più prossimo, i quali, invece, con molta probabilità, si manifesteranno principalmente in termini dei themata attualmente in uso. Inoltre, i themata considerati da Holton in genere appaiono come coppie opposte di tesi-antitesi, come ad esempio evoluzione/involuzione, pieno/vuoto, gerarchia/unità, riduzionismo/olismo e simmetria/asimmetria. Tuttavia, per quanto stimolante ed interessante la te- si dell'invarianza possa essere, essa deve essere usata con cautela, non come un quadro infallibile per organizzare la storia, ma piuttosto come princi- pio euristico poiché, nella maggior parte dei casi, è problematico parlare di idee-base realmente invarianti come quantità indipendenti nella storia. Le idee-base sono il risultato di un'analisi comparativa eettuata dallo storico,

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Cfr. (Sambursky 1963).

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le quali sono etichette che implicano come opere diverse siano analoghe od appartengono alla stessa categoria. La selezione dello storico ed il suo interesse per la continuità storica può dar luogo a idee-base la cui costanza nel tempo è una pura illusione, dal momento che non si tiene conto del reale contesto storico in cui esse si manifestano. Concetti e idee sono raramente, o quasi mai, gli stessi in un lungo periodo di tempo: anche se i nomi da- ti loro dagli storici possono rivelarsi invariati, concetti fondamentali spesso si sviluppano ben al di là della possibilità di essere riconosciuti attraverso il processo storico. Il problema principale di un utilizzo estremo delle tesi dell'invarianza per lunghi periodi di tempo, è che essa pretende di vedere concetti e forme di pensiero moderno già presenti nella scienza passata che, piuttosto, andrebbe studiata nelle sue proprie strutture del tempo che fu.

Invece, secondo il nostro punto di vista, la tesi dell'invarianza potrebbe esser riformulata in termini di un processo dialettico di graduale passaggio dall'im- plicito all'esplicito (per esempio, mediante statuizione assiomatica di un ente) di ben determinati themata come, per esempio, nel caso studio considerato in questa dissertazione riguardante i teoremi di fattorizzazione delle funzioni intere dovuti a Weierstrass e Hadamard, scaturiti da un lungo processo di gestazione di precedenti forme di fattorizzazione relative a particolari fun- zioni complesse che, per quanto si vedrà successivamente, hanno 'anticipato' questi espliciti risultati uciali.

Secondo

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il punto di vista sincronico la scienza del passato dovrebbe esse- re studiata alla luce della conoscenza che noi oggi abbiamo, nella prospettiva di comprendere i suoi ulteriori sviluppi, specialmente quelli che portano all'e- poca attuale. È del tutto legittimo, se non persino necessario, che lo storico 'intervenga' sul passato con il bagaglio di conoscenze che egli possiede oggi.

La storiograa sincronica, in questo senso, assume pure un comportamento di tipo anacronistico, senza tuttavia scadere nel puro anacronismo. Oggi, tuttavia, c'è un consenso sempre più diuso verso un ideale non sincronico della storia della scienza, anche se, in pratica, quello sincronico è abbastanza diuso da risultare dicile da sradicare, la cosiddetta dottrina presentista od attualista della storia potendo esser vista come una giusticazione teorica della storiograa sincronica. D'altra parte, questa prospettiva è del tutto le- gittima se si suppone che lo scopo della storia della scienza è primariamente connesso alla situazione attuale, se si crede, cioè, che il compito dello storico è quello di comprendere i contenuti tecnici della scienza del passato, e di trasmettere queste conoscenze agli scienziati di oggi. Invece, l'ideale della storiograa diacronica consiste nello studiare la scienza del passato alla luce delle situazioni e delle concezioni reali dell'epoca, cioè trascurando tutti gli

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Cfr. (Kragh 1990, Capitolo 9).

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altri avvenimenti successivi che non avrebbero potuto avere, in alcun modo, nessuna inuenza sul periodo in esame. Anche gli eventi che si vericarono in precedenza, ma che risultavano del tutto sconosciuti in questo periodo, de- vono essere considerati come inestistenti. Così, idealmente, nella prospettiva diacronica, lo storico immagina sé stesso come un osservatore idealmente im- merso nel passato e non del passato. Questo immaginario viaggio nel tempo ha come risultato il fatto che la memoria dello storico-osservatore debba libe- rarsi da ogni conoscenza che provenga da periodi successivi a quello in esame.

Egli non è dunque interessato a valutare la razionalità degli agenti storici, dei protagonisti, o ad appurare se costoro produssero una vera, reale conoscenza in senso moderno ed assoluto, ma se le loro azioni furono giudicate razionali e veritiere dai loro contemporanei, per cui un certo elemento relativistico nella prospettiva diacronica è senz'altro presente. Per certi versi, la concezione della storia secondo Robin G. Collingwood è d'accordo con l'ideale diacro- nico della storia. Nella storiograa sincronica, invece, l'oggetto della storia della scienza è lo stesso di quello della scienza, ovvero fatti scientici e teorie considerati come aventi una stabile esistenza quasi trascendentale anche in periodi in cui non sono stati riconosciuti come tali. Nelle parole di G. Buch- dal

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, la storiograa sincronica si basa

[...] under the misleading presupposition that 'science' (as against scien- tia) is a quasi-object latently existing in all ages, signs or symptoms of which may be discerned to appear during any stages of world history. [(Buchdal 1962, p. 71)]

Di conseguenza, la scienza diventa un fenomeno che necessariamente dà luogo ad un progresso verso la scoperta della verità, per cui è compito dello storico chiarire e mettere in luce questa costante evoluzione verso la vera conoscenza che scaturisce dai successivi esperimenti e le varie teorie. La losoa della scienza che sostiene una storiograa sincronica può condurre a scrivere una storia diretta al passato, quindi una storia della scienza avente pure caratteri teleologici

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, questo tipo di approccio essendo stato, però, molto criticato da Kuhn e da altri loso della scienza d'indirizzo post-positivista, nonostante gli ulteriori aspetti e le interessanti prospettive cui può condurre un'analisi storica condotta secondo quest'ultime direttive

40

.

Per il nostro lavoro, ci preme soermarci su una delle caratteristiche fon- damentali dell'ideale sincronico è la cosiddetta anticipazione, poiché essa ha

38

Cfr. (Buchdal 1962).

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A tal riguardo, cfr. pure il saggio (Heitler 1967).

40

Rimandando, per esempio, a (Heitler 1967) per maggiori dettagli.

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