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La domanda di salute e le risposte del SSN Il SSN e il cittadino

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Il SSN e il cittadino

La domanda di salute e le risposte del SSN

Nel delineare l’articolazione generale dei vari settori del Servizio Sanitario Nazionale, e quindi le risposte che vengono offerte ai bisogni di salute dei cittadini, è bene premettere alcune considerazioni che riguardano le trasformazioni che la salute degli italiani ha subito negli ultimi anni: l’evoluzione demografica, così come le mutate condizioni economiche e sociali della popolazione, hanno portato il sistema sanitario ad adeguarsi, non solo dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi, ma anche da quello normativo.

Il progresso compiuto dalla medicina, sia nella diagnostica che nella terapia, le nuove tecnologie, hanno permesso di allungare sensibilmente la vita media della popolazione e di migliorarne la qualità. I tassi di mortalità si sono ridotti, l’attesa di vita è aumentata ed è sensibilmente cresciuta la popolazione anziana; allo stesso tempo sono aumentate le cosiddette “malattie del benessere”, come l’obesità o il disagio mentale. In modo parallelo, è cresciuta la consapevolezza dei cittadini rispetto ai propri bisogni e alle possibilità di miglioramento del proprio stato di salute e ciò ha consentito di dare un’importanza sempre maggiore al fattore della prevenzione.

La sanità in rapporto alla popolazione

Secondo gli ultimi dati ISTAT la popolazione italiana è in costante crescita. Il 1 gennaio 2006 la popolazione italiana residente (compresi gli stranieri) era composta da 58.751.711 unità (28.526.888 donne e 30.224.823 uomini). Dodici mesi prima i residenti erano 58.462.375, quindi circa 300mila unità in meno. Aumenta anche il numero delle “presenze” degli stranieri (con cittadinanza non italiana) che risultano essere il 4,5% del totale dei residenti, per lo più bambini tra 0 e 15 anni (20%) e giovani tra i 20 e i 39 anni (48,6%).

Cresce anche l’invecchiamento della popolazione: gli italiani con più di 65 anni rappresentano il 20% della popolazione e in particolare i grandi anziani - con più di 90 anni di età - sono circa 500mila. I dati relativi all’anzianità della popolazione italiana residente sono sensibilmente superiori a quelli di altri paesi dell’Unione Europea dove in nessun caso si arriva a sfiorare il numero di 130 anziani per ogni 100 ragazzi con età fino a 14 anni, quota superata dall’Italia già all’inizio degli anni duemila.

La spesa sanitaria cresce anche naturalmente in relazione con l’aumento dell’età. Invecchiando, le persone si ammalano di più, si complicano le malattie croniche, aumentano i consumi sanitari e le spese mediche. Questo dato di fatto crea motivi di preoccupazione per l’evoluzione della spesa sanitaria se si guarda alle previsioni demografiche che segneranno l’Italia nei prossimi cinquant’anni.

Secondo l’ISTAT, nel 2050 la popolazione italiana avrà subito una diminuzione di 4,7 milioni di abitanti, rispetto al 2005, e le persone anziane costituiranno il 34% del totale. Su 52 milioni di

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L’uso dei servizi sanitari cresce progressivamente con l’aumentare dell’età. Attualmente, la popolazione con oltre 60 anni di età assorbe, infatti, la grande maggioranza delle prestazioni sanitarie: l’87% dei ricoveri in ospedale, il 69% dei farmaci e il 51% delle prestazioni specialistiche.

La salute in cifre

Il Ministero della Salute ha diffuso recentemente gli ultimi dati statistici riferiti alla incidenza delle patologie cardiovascolari, delle neoplasie, del diabete, delle affezioni respiratorie, di quelle reumatiche, delle malattie mentali. I dati evidenziano come le malattie cardiovascolari siano sempre al primo posto tra le cause di mortalità e di morbilità della popolazione.

In Italia, ogni 14 minuti circa, una persona muore di infarto acuto del miocardio (IMA) mentre ne muoiono sette ogni ora per ictus cerebrale.

Inoltre, è da segnalare che lo scompenso cardiaco colpisce notevolmente la popolazione anziana:

vi sono circa tre milioni di persone affette da tale patologia. E proprio lo scompenso cardiaco è al primo posto in assoluto tra le cause di ricoveri ospedalieri.

Per le neoplasie si calcola che annualmente ne vengano diagnosticate oltre 250mila (nuovi casi) di natura maligna ed ogni anno si registrano 940mila ricoveri per tali affezioni.

Il diabete rappresenta un problema sanitario per le persone di tutte le età con un maggiore coinvolgimento per le classi economicamente più svantaggiate. Questa malattia è in costante aumento tanto che gli esperti parlano di una vera e propria “epidemia mondiale di diabete”.

Le malattie respiratorie prevalenti sono l’ asma e la bronchite cronica che colpiscono più del 20%

della popolazione con età superiore ai 65 anni. Le malattie respiratorie rappresentano la terza causa di patologia cronica, mentre la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è la quarta causa di morte nel mondo industrializzato.

L’ OMS (Organizzazione Mondiale delle Sanità) indica poi nelle malattie reumatiche la prima causa di dolore e disabilità in Europa e precisa che esse rappresentano la metà delle affezioni croniche che colpiscono persone al di sopra dei 65 anni.

Infine, la tutela della salute mentale continua ad essere oggetto di attenzione prioritaria nella programmazione degli interventi sociali e sanitari nei Paesi industrializzati ed anche in Italia vi è un aumento della prevalenza di disturbi mentali con diversi gradi di disabilità e di sofferenze individuali e dei relativi costi economici.

I livelli essenziali di assistenza

La definizione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) costituisce nel nostro Paese un punto di svolta determinante per il sistema sanitario, in quanto rappresenta la risposta del Servizio Sanitario Nazionale alla domanda di salute degli italiani.

Definiti con DPCM del 29/11/2001, i LEA sono l’insieme di tutte le prestazioni, servizi e attività che i cittadini hanno diritto ad ottenere dal Servizio Sanitario Nazionale, prestazioni che devono essere garantite in condizione di uniformità, ovvero a tutti e su tutto il territorio nazionale, indipendentemente quindi dal reddito e dal luogo di residenza, in tempi adeguati alle condizioni cliniche.

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riconfermata con il decreto legislativo n.229 del 1999, che ne offriva una definizione più dettagliata, sia pure in controluce, dal momento che definiva i possibili contenuti dei fondi integrativi (ossia quelle risorse destinate a coprire prestazioni aggiuntive, non comprese nei livelli essenziali di assistenza).

Infine, in virtù dell’Accordo Stato-Regioni dell’agosto 2001 e con il supporto dell’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, si è arrivati all’approvazione, tramite un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del novembre 2001, del provvedimento di definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza che, così definiti, costituiscono, nel loro insieme, un quadro di riferimento nazionale omogeneo per l’offerta dei servizi sanitari, in termini quantitativi ma anche qualitativi, naturalmente in relazione a predeterminate risorse economiche.

Con la definizione dei LEA si supera il precedente orientamento del sistema sanitario che prevedeva di utilizzare i livelli di assistenza per determinare una quota di spesa pro-capite, quale risultanza della divisione del monte di risorse disponibile per il numero degli assistiti.

Il punto di svolta costituito dai LEA consiste nel fatto che, con il provvedimento citato, si passa da una logica secondo la quale tutti gli italiani hanno diritto alla stessa “quota di spesa sanitaria” a quella per la quale tutti gli italiani hanno diritto a ricevere le stesse “prestazioni”. Questa impostazione rappresenta, nel panorama internazionale, un elemento di novità che contraddistingue certamente il sistema sanitario italiano.

L’obiettivo del legislatore nell’individuare i livelli di assistenza è stato, infatti, quello di connotare il Servizio Sanitario Nazionale come un sistema universale e solidale, in grado di rispettare la dignità della persona umana, di rispondere al bisogno di salute dei cittadini, di garantire equità di accesso all’assistenza, qualità delle cure, appropriatezza delle prestazioni erogate rispetto alle specifiche esigenze e di economicità delle risorse.

Vale la pena di soffermarsi su alcune di queste caratteristiche per meglio comprendere la natura del provvedimento.

Sono livelli “essenziali”, e non livelli “minimi” in quanto racchiudono tutte le prestazioni, tutte le attività che lo Stato, in relazione al grado di sviluppo sociale e culturale in cui si trova la società italiana, considera così importanti da non poter essere negati ai cittadini.

Con essenziale si intende quindi non il razionamento delle prestazioni (livelli minimi) ma piuttosto l’impegno a garantire le cure appropriate, basate su prove di efficacia (evidence based) in grado di evitare gli sprechi e con la massima attenzione rivolta al paziente.

A questo proposito è bene sottolineare che la definizione dei livelli nasce da un accordo stipulato in sede di Conferenza Stato-Regioni e quindi le Regioni, nell’erogare l’assistenza sanitaria, non possono escludere autonomamente prestazioni contenute nei Lea, mentre possono definire livelli

“ulteriori” di assistenza non compresi nei livelli.

Ogni amministrazione regionale, infatti, può decidere come applicare i livelli essenziali di assistenza, nel rispetto dei principi formulati a livello nazionale, ma gode anche di notevole autonomia sia per quanto riguarda la programmazione, sia per quanto riguarda l’allocazione delle risorse.

Sono livelli “uniformi”, in quanto devono essere forniti a tutti i cittadini senza distinzione di reddito, di territorio di residenza (dalle città metropolitane alle isole minori), di religione, di etnia, di grado di istruzione, di atteggiamento individuale nei confronti della salute o altro.

Viene così garantito il principio di equità del Servizio Sanitario Nazionale, di uguaglianza

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Visti in quest’ottica, i Livelli Essenziali di Assistenza costituiscono una vera e propria sfida: da una parte pongono le Regioni, che li devono erogare in modo uniforme, di fronte ad una rinnovata responsabilità nella gestione del proprio territorio nonché al rispetto del principio di sussidiarietà e di solidarietà e dall’altra richiedono un alto livello di vigilanza da parte della popolazione, per verificare l’effettiva responsabilità politica per quanto attiene alla tutela della salute e alla organizzazione dei servizi sanitari.

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I contenuti dei LEA

L’elenco delle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale contenuto nel decreto di definizione dei LEA prevede praticamente tutte le voci che hanno rilevanza per la tutela della salute e viene, per comodità, suddiviso in tre grandi aree (prevenzione, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera) ripartite come segue.

Prevenzione

Assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alla collettività e ai singoli (tutela dagli effetti dell’inquinamento, dai rischi infortunistici negli ambienti di lavoro, sanità veterinaria, tutela degli alimenti, profilassi delle malattie infettive,vaccinazioni e programmi di diagnosi precoce, medicina legale).

Assistenza distrettuale

Comprende tutte le attività e i servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio, dalla medicina di base all’assistenza farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di protesi ai disabili, dai servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi ai servizi territoriali consultoriali (consultori familiari, SER.T, servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione per i disabili, ecc…), alle strutture semiresidenziali e residenziali (residenze per gli anziani e i disabili, centri diurni, case famiglia e comunità terapeutiche).

Assistenza ospedaliera

Assistenza in pronto soccorso, in ricovero ordinario, in day hospital e day surgery, in regime di ricovero per la lungo-degenza e la riabilitazione.

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Appropriatezza

Oltre alla lista delle prestazioni garantite dal Servizio Sanitario Nazionale sono presenti nel provvedimento sui LEA altri tre elenchi. Il primo elenco riguarda le prestazioni totalmente escluse dai LEA, per le quali cioè non si è ritenuto che esistano sufficienti prove di efficacia; nel secondo sono comprese le prestazioni parzialmente escluse, in quanto erogabili solo secondo precise indicazioni cliniche, mentre il terzo elenco comprende le prestazioni incluse nei LEA che però presentano un profilo organizzativo potenzialmente inappropriato, o per le quali occorre comunque individuare modalità più appropriate di erogazione.

Per fare qualche esempio, il Servizio Sanitario Nazionale non rimborsa gli interventi di chirurgia estetica a meno che si rendano necessari in conseguenza di incidenti o di malformazioni; così come non si fa carico delle prestazioni delle terapie non convenzionali (con l’unica eccezione dell’agopuntura in anestesiologia).

Le cure odontoiatriche vengono garantite solo per i bambini e per alcune categorie di adulti.

Nell’elenco delle prestazioni da fornire, ma in modo appropriato, compaiono una serie di DRG «a rischio di inappropriatezza»: si tratta di 43 tipologie di ricoveri considerati potenzialmente inappropriati se forniti in regime di ricovero ordinario, in quanto le medesime prestazioni potrebbero essere erogate diversamente, per esempio in ricovero diurno o in regime ambulatoriale. In sostanza, per razionalizzare le risorse, si intende fornire la stessa prestazione invece che in regime di ricovero ospedaliero (occupando quindi un letto di ospedale per più giornate di degenza con il relativo costo) in modo più appropriato, in ambulatorio, in day hospital, o, per interventi chirurgici poco complessi, in day surgery.

Per fare qualche esempio, tra gli interventi e le prestazioni più frequentemente erogati in regime di ricovero ospedaliero si trovavano quelli sul cristallino (cataratta), la decompressione del tunnel carpale, ovvero prestazioni che, con un’adeguata riorganizzazione dei servizi, non necessitano di ricovero ospedaliero.

E’ evidente che un aumento delle prestazioni ambulatoriali comporta una maggiore appropriatezza , nonché un risparmio consistente di risorse, come dimostra l’analisi effettuata dall’ASSR Agenzia per i servizi sanitari regionali nel maggio 2007 relativa a tutti i ricoveri effettuati ( ordinari e in day hospital) nel periodo 2001-2004 Nelle tabelle da 1 a 10 sono illustrati nel dettaglio i risultati di tali analisi riferita ai 43 DRG “ a rischio di inappropriatezza” se effettuati in regime di ricovero ordinario.

Dai dati analizzati risulta che, nel periodo considerato, relativo agli anni 2001-2004, ovvero i dati più aggiornati disponibili, per questi DRG sono stati effettuati più di 300.000 ricoveri impropri in meno Un calo di ricoveri ordinari “inappropriati” e un aumento di ricoveri in day hospital che si registra in tutte le Regioni, anche se con una notevole variabilità. Tra i fattori determinanti di questa variabilità vi è, senza dubbio, anche la diversa capacità delle regioni di trasferire dal regime di ricovero a quello ambulatoriale alcune procedure. Diversa capacità riconducibile sia alla struttura per età della popolazione sia a quella dell’offerta.

In particolare, in alcune Regioni - Toscana, Emilia Romagna - per alcuni DRG ( Drg 006 Decompressione del tunnel carpale, Drg.039 Interventi sul cristallino con o senza vitrectomia) diminuiscono sia i ricoveri ordinari che in Day hospital chirurgico perchè queste prestazioni vengono erogate in regime ambulatoriale.

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Tab 1 -DRG ad alto rischio di inappropriatezza - Confronto 2001- 2004 (Ricoveri Totali, Ordinari, Day Hospital)

2001 2004 Variazione % 2004 - 2001

Ricoveri Ordinari Ricoveri Ordinari Ricoveri Ordinari

Ricoveri Totali

Ricoveri

DH Totale 0_1 gg > 0_1 gg

Ricoveri Totali

Ricoveri

DH Totale 0_1 gg > 0_1 gg

Ricoveri Totali

Ricoveri

DH Totale 0_1 gg > 0_1 gg

Medici 1.854.393 561.150 1.293.243 204.019 1.089.224 1.525.475 603.185 922.290 168.746 753.544 -17,74 7,49 -28,68 -17,29 -30,82

Chirurgici 1.487.603 562.004 925.599 217.684 707.915 1.505.546 906.649 598.897 221.628 377.269 1,21 61,32 -35,30 1,81 -46,71

Totale 3.341.996 1.123.154 2.218.842 421.703 1.797.139 3.031.021 1.509.834 1.521.187 390.374 1.130.813 -9,31 34,43 -31,44 -7,43 -37,08

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La manutenzione dei LEA

E’ evidente che, una volta fissato il quadro generale delle prestazioni fornite dal Servizio Sanitario Nazionale, siano necessarie continue operazioni di manutenzione dal momento che lo stato delle conoscenze scientifiche, la pratica, sia clinica che organizzativa, evolvono continuamente e di conseguenza la complessa macchina della sanità pubblica deve essere messa in grado di continuare a funzionare, diversificando e migliorando sempre l’offerta.

Per questo motivo, fermo restando il contenuto dei LEA che deve restare uniforme su tutto il territorio nazionale, le Regioni hanno, in alcuni casi, ampliato la propria offerta di prestazioni o, in altri casi, riempito eventuali lacune normative, adottando iniziative che tuttavia si riferiscono sempre ai criteri di efficacia, appropriatezza ed economicità che sono alla base del decreto sui LEA.

Ad esempio, per quanto attiene alle prestazioni escluse dai LEA, molte Regioni hanno garantito un “livello ulteriore” regionale, come le certificazioni di idoneità alla pratica sportiva che pressoché tutte le Regioni forniscono gratuitamente o l’erogazione dell’agopuntura in presenza di determinate condizioni cliniche che alcune Regioni hanno deciso di erogare ai propri residenti.

Per quanto attiene alla manutenzione dei LEA dobbiamo tener presente che i nuovi servizi informativi consentono di esaminare la documentazione clinica sotto diversi aspetti, e quindi di poter valutare, per ogni prestazione, non solo il costo, ma anche la necessità medica dell’assistenza fornita, così come le modalità con cui è stata erogata e la sua durata.

Un monitoraggio costante delle prestazioni erogate, inoltre, è reso necessario considerando che la pratica medica e il management sanitario si vanno sempre più sviluppando, così come è aumentata la disponibilità di tecnologie sanitarie più raffinate, come la chirurgia laparoscopica e mininvasiva, la radiologia interventistica e i laser. Tutti questi elementi, opportunamente valutati, consentono di ridurre le lunghe degenze negli ospedali e di fornire nello stesso tempo un’assistenza più efficace e meno costosa.

In particolare, per quanto riguarda i costi, si è visto che, applicando in misura sempre crescente le modalità di appropriatezza organizzativa dei ricoveri, sono diminuiti i ricoveri ordinari per i 43 DRG “inappropriati” e le stesse prestazioni vengono sempre più fornite in regime di day hospital o day surgery, con una significativa riduzione dei costi sostenuti.

La valutazione dei risultati ottenuti, in termini economici ma anche di efficacia, ha indotto a formulare recentemente una proposta di estendere ad ulteriori 55 DRG, sia medici che chirurgici, la qualifica di “a rischio di inappropriatezza”, invitando le Regioni a far sì che anch’essi vengano erogati in regime di day hospital o day surgery.

I costi della salute

Come conseguenza dei cambiamenti della struttura demografica e delle modifiche intervenute negli anni sia nei volumi che nell’intensità della pratica clinica si è andata via via

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allargando la forbice tra bisogni e risorse della sanità. I costi della sanità, in Italia come in tutti i paesi industrializzati, crescono anno dopo anno.

I fattori che influiscono maggiormente sull’incremento della spesa sanitaria pubblica, a parità di popolazione raggiunta dai diversi sistemi sanitari, sono generalmente l’evoluzione delle tecnologie e l’invecchiamento della popolazione. Gli effetti dei due fattori sono per altro in parte interdipendenti, in quanto, se l’evoluzione tecnologica ha consentito l’allungamento della vita media, l’aumento della popolazione delle fasce di età più avanzata ha comportato un incremento di consumi sanitari generato soprattutto dalle cronicità.

La spesa sanitaria pubblica è andata aumentando in Italia come negli altri paesi europei. Il grafico n.1 mette a confronto l’andamento della spesa sanitaria pubblica dell’Italia con quello di Francia, Germania, Olanda, Regno Unito e Spagna.

Appare evidente come il nostro Paese abbia un andamento della spesa più simile a quello della Francia e del Regno Unito e che per tutti i paesi presi in considerazione un incremento più sensibile della spesa si manifesta dal 2000 in poi.

Grafico n.1

Spesa sanitaria pubblica complessiva a parità di potere d'acquisto (PPA)

0 50000 100000 150000 200000 250000

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005

Fonte: ECO-SALUTE OCSE, ottobre 2006

milioni di $

Francia Germania Italia Olanda Regno Unito Spagna

Il confronto dei valori della spesa pubblica complessiva (espressi in milioni di dollari anche per i paesi europei per tener conto della parità di potere di acquisto - un metodo convenzionale per confrontare dati di diversi paesi e di diversi periodi temporali) nella tabella n.1 dimostra come per tutti i paesi la variazione della spesa dal 2000 al 2004 (ultimo anno per il quale sono disponibili i dati dei paesi considerati) sia quasi il doppio di quella registrata dal 1995 al 2000.

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Tabella n.1

Spesa sanitaria pubblica complessiva (milioni di $) (*)

Nazioni 1995 2000 2004

Francia 89.539 109.544 149.017 Germania 148.304 172.282 193.127 Italia 62.606 85.721 106.595 Olanda 20.006 22.674 30.834 Regno Unito 67.379 88.463 129.486 Spagna 33.931 43.823 63.364

(*) a parità di potere d'acquisto (PPA)

Fonte: ECO-SALUTE OCSE, ottobre 2006

Il confronto dei dati relativi alla spesa complessiva pro-capite (Tabella n. 2) vede in testa in tutti i periodi considerati la Francia e la Germania, insieme al Regno Unito nel 2004, mentre l’Italia si colloca sempre su un valore vicino alla media tra i paesi considerati.

Tabella n.2

Spesa sanitaria pubblica complessiva procapite - valori in $ (*)

Nazioni 1995 2000 2004

Francia 1.548 1.858 2.475 Germania 1.816 2.097 2.341 Italia 1.103 1.499 1.852 Olanda 1.294 1.424 1.894 Regno Unito 1.161 1.502 2.164 Spagna 861 1.088 1.484

(*) a parità di potere d'acquisto (PPA) Fonte: ECO-SALUTE OCSE, ottobre 2006

La spesa per la salute in Italia

Attualmente, il finanziamento del SSN proviene, per il 95% circa, dalla imposizione fiscale diretta (sui redditi delle imprese e delle persone fisiche) e da quella indiretta (sui consumi) e, per la rimanente parte, da ricavi ed entrate proprie delle aziende sanitarie, nonché dalla compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria pubblica (co-payment). In particolare, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs 56/2000 sul federalismo fiscale, le fonti di finanziamento del SSN, in relazione alla loro origine, sono rappresentate da: risorse regionali, quali IRAP e addizionale IRPEF, compartecipazione all’IVA, accise sulla benzina, ulteriori trasferimenti dal settore pubblico (regioni, province, comuni, ecc…) e da quello privato, risorse proprie

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Sanitario Nazionale per il finanziamento di quota parte dei costi per i LEA delle sole regioni Sicilia e Sardegna, per quelli derivanti da accordi internazionali, dal funzionamento di alcuni enti particolari del SSN e dalla realizzazione di specifici obiettivi previsti da leggi speciali. In base alla normativa in vigore, le regioni Valle d' Aosta e Friuli Venezia Giulia e le Province Autonome di Trento e di Bolzano provvedono al finanziamento dell’assistenza sanitaria pubblica esclusivamente con risorse a carico dei propri bilanci senza alcun onere a carico dello Stato, mentre le regioni Sicilia e Sardegna devono concorrere al fabbisogno finanziario suddetto con ulteriori proprie risorse. Risorse pubbliche aggiuntive vengono destinate al finanziamento degli investimenti e della ricerca in campo sanitario.

In Italia i dati sull'evoluzione della spesa sanitaria, forniti dal Ministero della Salute, (Tabella n.3) mostrano, nel periodo compreso tra il 2002 e il 2005, un incremento molto diversificato tra regione e regione. Nella spesa complessiva del Servizio Sanitario Nazionale (in milioni di euro) vengono considerate quelle sostenute dalle strutture pubbliche del SSN (Aziende Unità Sanitarie Locali e Aziende Ospedaliere), dalle strutture private accreditate, dagli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico “IRCCS”, dai Policlinici universitari, sia pubblici che privati e da altri enti (tra cui la Croce rossa italiana, gli Istituti zooprofilattici sperimentali) per l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), così come individuati dal DPCM del 29 novembre 2001, e per il raggiungimento di altri specifici obiettivi di sanità pubblica previsti dalla vigente legislazione. Nella tabella 3 non si ricomprendono, pertanto, i costi sostenuti dai cittadini per acquisti di prestazioni sanitarie presso strutture private non accreditate.

La spesa media pro-capite nazionale è di 1.621 euro. A livello territoriale si riscontra un’ampia variabilità, con il valore minimo di 1.404 euro della Calabria e il valore massimo pari a 2.076 euro della Provincia Autonoma di Bolzano; i valori più bassi sono concentrati prevalentemente nel centro-sud del Paese, con le eccezioni rappresentate dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana e dalle Marche, con valori al disotto della media, e dal Lazio, dall’Abruzzo e dal Molise, con valori al di sopra della media.

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Tabella n.3

SPESA DEL SSN Anni 2002 - 2005

(milioni di euro)

+ / - + / - + / - + / -

anno procapite anno procapite anno procapite anno procapite

preced. euro preced. euro preced. euro preced. euro

% % % %

PIEMONTE 5.851,179 2,4 1.373 6.145,739 5,0 1.446 7.110,731 15,7 1.654 7.166,116 0,8 1.655

V. AOSTA 190,255 6,6 1.576 197,592 3,9 1.627 208,997 5,8 1.707 228,131 9,2 1.857

LOMBARDIA 12.710,670 7,6 1.394 12.716,438 0,0 1.386 13.396,702 5,3 1.437 14.795,632 10,4 1.575

PA BOLZANO 860,740 10,9 1.846 907,932 5,5 1.934 937,446 3,3 1.976 990,263 5,6 2.076

PA TRENTO 753,565 4,6 1.568 804,212 6,7 1.651 822,149 2,2 1.664 856,463 4,2 1.721

VENETO 6.277,243 3,9 1.377 6.530,028 4,0 1.416 6.966,003 6,7 1.491 7.596,163 9,0 1.616

FRIULI 1.669,569 5,2 1.403 1.731,769 3,7 1.449 1.885,340 8,9 1.569 1.997,232 5,9 1.658

LIGURIA 2.403,832 2,7 1.506 2.471,386 2,8 1.569 2.862,378 15,8 1.806 2.918,385 2,0 1.833

E. ROMAGNA 5.870,923 6,4 1.461 6.110,902 4,1 1.507 6.710,160 9,8 1.630 7.000,379 4,3 1.686

TOSCANA 4.999,490 3,8 1.416 5.130,930 2,6 1.449 5.671,978 10,5 1.583 5.891,250 3,9 1.637

UMBRIA 1.190,716 6,9 1.422 1.276,166 7,2 1.517 1.342,779 5,2 1.573 1.389,707 3,5 1.618

MARCHE 2.037,773 4,8 1.380 2.083,768 2,3 1.394 2.276,704 9,3 1.506 2.341,424 2,8 1.542

LAZIO 7.485,195 1,3 1.433 8.072,280 7,8 1.560 9.659,174 19,7 1.844 9.570,581 -0,9 1.816

ABRUZZO 1.822,755 8,1 1.427 1.972,322 8,2 1.541 1.953,022 -1,0 1.511 2.208,463 13,1 1.700

MOLISE 451,734 2,5 1.394 526,421 16,5 1.638 519,568 -1,3 1.614 596,801 14,9 1.854

CAMPANIA 7.561,066 6,2 1.314 7.788,404 3,0 1.356 8.765,836 12,5 1.518 9.279,091 5,9 1.603

PUGLIA 5.041,181 3,9 1.243 5.126,498 1,7 1.271 5.422,360 5,8 1.337 5.826,964 7,5 1.432

BASILICATA 730,007 3,8 1.215 769,244 5,4 1.289 826,589 7,5 1.385 880,804 6,6 1.477

CALABRIA 2.552,141 1,4 1.260 2.515,577 -1,4 1.252 2.765,603 9,9 1.376 2.821,076 2,0 1.404

SICILIA 6.472,178 3,7 1.288 6.642,651 2,6 1.332 7.515,868 13,1 1.501 7.799,852 3,8 1.556

SARDEGNA 2.210,690 6,0 1.346 2.272,758 2,8 1.386 2.441,675 7,4 1.483 2.628,372 7,6 1.593

TOTALE 79.142,901 4,7 1.374 81.793,018 3,3 1.420 90.061,063 10,1 1.548 94.783,151 5,2 1.621

Fonte: MINISTERO DELLA SALUTE: SIS: dati di consuntivo. Per l'ultimo anno, dati al 4° trimestre.

Si ricomprendono:

- i valori della mobilità passiva verso il B. Gesù e lo Smom (dal 2004).

Non si ricomprendono:

- i valori della mobilità passiva interregionale ed infraregionale;

Per Spesa del SSN si intende la somma dei costi di produzione delle sole funzioni assistenziali con il saldo della gestione straordinaria (Ricavi straordinari e Costi straordinari, stimati e variazione delle rimanenze) e con il saldo relativo all'intramoenia.

2003 2004 2005

2002

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Il “Patto per la salute”

Nel corso degli anni molte regioni hanno prodotto “disavanzo”, cioè hanno speso per la sanità importi maggiori dei finanziamenti previsti. Questo fenomeno ha reso sempre più necessaria la verifica dell’effettiva erogazione dei LEA, in particolare nel confronto tra i costi sostenuti a parità di LEA erogati.

Bisogna infatti considerare che il finanziamento dei LEA assorbe la gran parte della spesa sanitaria corrente per i residenti praticamente in tutte le Regioni italiane. Secondo i dati di una recente ricerca Farmafactoring-Ce.R.G.A.S Bocconi riferiti al 2005, si rileva che l’incidenza del finanziamento per i LEA sulla spesa effettiva si attesta, ad esempio, al 98,5%

per la Puglia, al 97,8% per la Calabria, al 97,0% per la Lombardia.

In tale contesto, si è reso necessario prevedere misure adeguate, sul fronte della spesa sanitaria, per la copertura di eventuali disavanzi. Tali misure si propongono sia di individuare forme di incremento delle entrate, sia di adottare iniziative di razionalizzazione della spesa.

Una delle più importanti iniziative per contenere il fenomeno è stata la promulgazione della legge 405/01 con la quale si attribuisce alle Regioni l’onere di copertura dei disavanzi sanitari. In particolare, l’art. 4 della 405/01 stabilisce che “gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati (…) sono coperti dalle regioni con le modalità stabilite da norme regionali che prevedano alternativamente o cumulativamente l’introduzione di: misure di compartecipazione alla spesa sanitaria (…); variazioni dell’aliquota dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste dalla normativa vigente; altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l’adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci”.

Nel nuovo contesto normativo che attribuisce alle Regioni piena competenza in materia sanitaria e al governo la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza da garantire in condizione di uniformità su tutto il territorio nazionale, un passo decisivo è stato compiuto il 22 settembre 2006 con l'intesa tra il Governo e le Regioni relativa a un nuovo “Patto per la Salute” di valenza triennale.

Il Patto si compone di un aspetto finanziario e di un aspetto normativo e programmatico.

L’accordo, siglato dal Ministro della Salute, dal Ministro dell’Economia, e dal Presidente della Conferenza delle Regioni, punta alla riduzione degli sprechi, alla stabilizzazione della spesa e al miglioramento della qualità dei servizi e delle prestazioni, anche attraverso il superamento del divario tra nord e sud con particolare riferimento all'assistenza oncologica e alle malattie rare.

Gli elementi essenziali dell'accordo finanziario possono essere così sintetizzati:

• le risorse messe a disposizione dallo Stato centrale saliranno da 91,2 miliardi nel 2006 a 97 miliardi nel 2007, comprensivi di un fondo di accompagnamento di 1 miliardo per sostenere il risanamento delle Regioni attualmente non in linea con i livelli di spesa concordati;

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• la spesa sanitaria complessiva si attesterà nel 2007 a 101,3 miliardi, facendo registrare una diminuzione di 2,4 miliardi rispetto al tendenziale del 2007 (pari a 103,7 miliardi) nonché una leggera flessione rispetto al livello previsto nel 2006 (pari a 102 miliardi);

• per le Regioni che non raggiungeranno gli obiettivi di spesa concordati verranno confermati i meccanismi di piena responsabilizzazione finanziaria, come le misure di affiancamento e gli "automatismi fiscali" (aumento delle aliquote regionali dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP);

• il Governo svolgerà azioni di contenimento della spesa - tra cui quella farmaceutica - di riorganizzazione dei dispositivi medici e di omogeneizzazione di forme di partecipazione alla spesa.

Il Governo, dopo il 2007, continuerà a dare certezza riguardo alle risorse finanziarie messe a disposizione delle Regioni per il SSN, garantendo per conto dello Stato centrale un livello di finanziamento adeguato.

L'accordo, normativo e programmatico, è stato definito nelle sue linee di indirizzo e nei suoi contenuti essenziali, ed è finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l'appropriatezza delle prestazioni, a garantire l'unitarietà del sistema.

Queste le sue maggiori caratteristiche:

• adeguamento dello stanziamento pluriennale ex art. 20 della legge 67/88 per il cofinanziamento degli investimenti nel SSN in modo da consentire la definizione di nuovi accordi di programma per la qualificazione delle strutture sanitarie, l'innovazione tecnologica e il superamento del divario Nord-Sud;

• inserimento della tematica "sanità-sviluppo economico" tra le finalità per l'utilizzo dei fondi strutturali dell'Unione Europea 2007-2013;

• aggiornamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria) ai nuovi bisogni di assistenza; revisione e ampliamento dei 43 DRG ad alto rischio di inappropriatezza, analisi dei costi delle prestazioni ricomprese nei LEA, assumendo come riferimento i costi delle pratiche più efficienti;

• attivazione di un sistema di monitoraggio basato su un "pacchetto" adeguato di indicatori, concordato tra il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e le Regioni;

• promozione e valorizzazione delle risorse umane del SSN e partecipazione del personale medico e delle altre professioni sanitarie al governo del sistema;

• riorganizzazione e potenziamento della rete delle cure primarie, mediante la promozione di forme evolute di associazionismo tra i medici di medicina generale e di integrazione con l'attività dei distretti sanitari;

• sviluppo dell'integrazione socio-sanitaria a partire dall'assistenza alle persone non autosufficienti;

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• riorganizzazione e umanizzazione della rete ospedaliera, finalizzata anche al recupero di maggiore efficienza nell'utilizzo delle risorse nelle Regioni;

• razionalizzazione dei sistemi di acquisto di beni e servizi attraverso modalità di esercizio sovraziendale e di centralizzazione degli acquisti.

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La sanità e il cittadino

Fino ad una quindicina di anni fa la maggioranza delle persone, e tra queste la maggioranza degli operatori, tendeva ancora a considerare la qualità dei servizi sanitari come una componente implicita e non ben definibile degli stessi, prevalentemente focalizzata sugli aspetti tecnici.

La soddisfazione dei cittadini o, più genericamente, le loro valutazioni sulla qualità dei servizi erano ritenute marginali. Per una serie di fattori concomitanti, la situazione è andata rapidamente modificandosi, prima con la progressiva presa di coscienza delle diverse componenti della “qualità” (tecnica, organizzativa, relazionale), poi con la richiesta sempre più pressante di superare la tradizionale autoreferenzialità delle persone e delle strutture per raggiungere invece modalità oggettive di definizione, misurazione e valutazione dei livelli qualitativi forniti.

Lo sviluppo di questi principi, unito all’aumentata coscienza dei propri diritti da parte dei cittadini, ha portato a sempre maggiori richieste di trasparenza, verificabilità, richieste di tutela dei propri diritti. La capacità di garantire predefiniti livelli qualitativi è diventata quindi una esigenza crescente, sia in una logica strettamente contrattuale (garanzia della qualità del servizio fornito), sia in una logica più generale quale quella di un sistema sanitario pubblico a cui è richiesto di garantire ai cittadini prestazioni/servizi, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi.

I diritti del cittadino nel Servizio Sanitario Nazionale

La normativa è intervenuta in questo settore con diversi atti, tra i quali meritano di essere ricordati i seguenti:

• D.Lgs 502/92, dove all’art. 14 comma 1 si afferma la necessità di realizzare “indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie relativamente alla personalizzazione ed umanizzazione dell'assistenza, al diritto all'informazione, alle prestazioni alberghiere, nonché all'andamento delle attività di prevenzione delle malattie”, ed al comma 2 si afferma che “Le regioni determinano altresì le modalità della presenza nelle strutture degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti, anche attraverso la previsione di organismi di consultazione degli stessi”

• DPCM 27/1/1994 “Principi sull’erogazione dei servizi pubblici”, che individua i principi cui deve essere uniformata progressivamente, in generale, l'erogazione dei servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione.

In base a tale decreto tutte le aziende sanitarie accreditate, pubbliche o private, devono garantire il rispetto e la promozione di alcuni principi fondamentali, ovvero:

eguaglianza: erogazione dei servizi con regole uguali per tutti, indipendentemente da

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imparzialità: erogazione obiettiva, non condizionata da pregiudizi, o da valutazioni improprie;

continuità: erogazione, nell'ambito delle modalità stabilite dalla normativa di settore, deve essere continua, regolare e senza interruzioni;

diritto di scelta: l'utente ha diritto di scegliere il soggetto erogatore del servizio;

partecipazione: il cittadino-utente ha diritto a partecipare alle prestazioni, anche attraverso le associazioni di utenti, di volontariato e di tutela;

efficienza ed efficacia: i servizi erogati devono essere in grado di ottenere i risultati migliori ed ai costi minori.

• DPCM 19/5/95: Schema Generale di riferimento della “Carta dei Servizi Pubblici Sanitari”: costituisce un atto fondamentale per l’introduzione di una nuova modalità di rapporto del Servizio Sanitario Nazionale con il cittadino. Oltre alla affermazione di una serie di principi e modalità organizzative, si precisano le responsabilità delle regioni e delle aziende. Queste ultime devono in particolare garantire:

informazione: su prestazioni fornite, modalità di accesso, procedure, partecipazione;

accoglienza: limitare disagi, comprendere bisogni, accompagnare, corretto uso dei servizi e delle strutture;

tutela: regolamenti per la tutela dei diritti, gestione dei reclami, attivazione degli Uffici Relazione con il Pubblico (URP);

partecipazione: progetti di adeguamento alle esigenze dei cittadini, rilevazione gradimento, rapporti con il personale e comfort;

adozione di standard di qualità e quantità.

Nell’ambito normativo è opportuno ricordare anche la “Carta dei diritti del malato”

presentata a Bruxelles il 15 novembre 2002 e realizzata da un insieme di associazioni di tutela dei diritti dei cittadini malati. Il documento, seppure non costituisce un atto normativo, è un importante riferimento culturale per la rilevanza dei principi affermati e l’ampiezza del dibattito di cui sono frutto (per maggiori informazioni, si veda www.cittadinanzattiva.it). Esso propone la proclamazione di quattordici diritti dei pazienti, che nel loro insieme cercano di rendere i diritti fondamentali previsti dal trattato di Nizza concreti, applicabili e appropriati alla attuale fase di transizione dei servizi sanitari. Tutti questi diritti mirano a garantire un “alto livello di protezione della salute umana” (articolo 35 della Carta dei diritti fondamentali) assicurando l’alta qualità dei servizi erogati dai diversi sistemi sanitari nazionali. Essi dovrebbero essere tutelati in tutto il territorio della Unione europea, e sono:

• 1. Diritto a misure preventive;

• 2. Diritto all’accesso;

• 3. Diritto alla informazione;

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• 4. Diritto al consenso;

• 5. Diritto alla libera scelta;

• 6. Diritto alla privacy e alla confidenzialità;

• 7. Diritto al rispetto del tempo dei pazienti;

• 8. Diritto al rispetto di standard di qualità;

• 9. Diritto alla sicurezza;

• 10. Diritto alla innovazione;

• 11. Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari;

• 12. Diritto a un trattamento personalizzato;

• 13. Diritto al reclamo:

• 14. Diritto al risarcimento.

In ogni situazione nella quale il cittadino abbia la sensazione che i suoi diritti, o quelli dei suoi familiari, siano stati lesi, ha il diritto di presentare reclamo all’azienda che - sia essa pubblica o privata - ha il dovere di rispondere in modo confacente e in tempi contenuti. Oggi tutte le aziende sanitarie hanno procedure per la gestione dei reclami, che possono variare nei dettagli; solitamente è necessario presentare un reclamo scritto, indirizzato al direttore generale, spiegando in modo sintetico ma chiaro l’oggetto del reclamo, e segnalando l’indirizzo a cui si desidera ricevere la risposta. Il cittadino può presentare direttamente il reclamo o può farlo attraverso le associazioni di tutela dei diritti del cittadino.

Dove cercare altre informazioni: www.ministerosalute.it/qualita/qualita.jsp

Accessibilità e tempi d’attesa

Il problema dei lunghi tempi d’attesa per ottenere prestazioni sanitarie è presente in tutti i sistemi sanitari avanzati, ed è ovunque ai primi posti nelle proteste dei cittadini. Questa situazione può derivare da fattori molto diversi, legati a problemi di offerta (ad esempio, inadeguato numero di strutture) o di domanda (eccesso di richieste non appropriate).

A livello di sistema, i principali fattori determinanti le lunghe attese possono essere così sintetizzati:

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• risorse economiche limitate e/o investimenti inadeguati;

• distribuzione dei servizi non funzionale;

• carenza di professionisti o di tecnologie;

• la difficoltà dei professionisti e dei sistemi a contenere la pressione della domanda inappropriata;

• la crescita dei contenziosi e la diffusione della “medicina difensiva” (fare accertamenti non perchè ritenuti utili per il paziente, ma per proteggere i medici da possibili proteste o denunce);

• l’inadeguatezza dei sistemi organizzativi ed informativi dei servizi sanitari;

• l’aumento del “valore salute” nella cultura dei cittadini delle società industriali avanzate;

• la diffusione delle informazioni su malattie e cure;

• le attese create dai mass media rispetto all’evoluzione scientifica ed alla capacità di cura;

• la difficoltà dei cittadini ad accettare l’idea di malattia e di riduzione del benessere.

Negli ultimi anni si è realizzato un incremento quasi incontenibile della domanda di prestazioni, con costi in tale crescita da rendere difficile la stessa sostenibilità economica del sistema. La normativa italiana è ripetutamente intervenuta sull’argomento, in particolare con il D.Lgs 124/98 (che indicava l’obbligo di fissazione dei tempi massimi di attesa da parte delle aziende sanitarie), il DPCM 16/4/2002 (che rende il “tempo d’attesa congruo” uno degli aspetti che devono essere garantiti dal Servizio Sanitario), la legge 266/2005 (proibisce la sospensione delle prenotazioni, da indicazioni sulla gestione delle agende di prenotazione, rende obbligatori i tempi massimi d’attesa, prevede l’attuazione di un Piano nazionale per il contenimento dei tempi d’attesa, che è stato approvato in Conferenza Stato-Regioni il 28 marzo 2006).

Nel corso del 2006, in adempimento del Piano nazionale, tutte le regioni e province autonome hanno predisposto dei piani regionali nei quali sono indicati i tempi massimi d’attesa che devono essere garantiti ai cittadini, oltre che le modalità con cui migliorare l’accessibilità alle prestazioni. E’ evidente che vanno considerate in modo completamente diverso le situazioni di emergenza (dove vi è un immediato pericolo di vita e che devono quindi trovare risposta immediata), di urgenza (dove vi sono sofferenza e rischio che devono trovare risposte entro alcune ore o un massimo di pochi giorni), rispetto a tutte le altre situazioni, dove, pur con differenti necessità di risposta in termini di tempo, è possibile

“programmare” le prestazioni nell’arco di giorni, settimane o addirittura mesi.

Molte sono state le soluzioni tentate per contenere il problema (aumento della produzione di prestazioni, linee guida, riorganizzazione dei servizi), ma nessuna è del tutto soddisfacente.

Tra gli strumenti ritenuti più utili per ridurre il problema, vi è l’uso della differenziazione delle richieste programmabili per classi di priorità, che consiste nel distinguere le richieste tra quelle che necessitano di risposta in tempi brevi (da 3 a 10 giorni), quelle che possono

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aspettare alcune settimane, e quelle che non hanno necessità di risposte in tempi ravvicinati (controlli a distanza, accertamenti preventivi, screening).

La differenziazione del tempi d’accesso per priorità trova solide basi anche sul piano etico, poiché l’equità rispetto all’accesso ai servizi deve essere intesa come parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute e, quindi, accessi diversi per bisogni diversi. Questo approccio permette di organizzare i servizi in modo più razionale e sostenibile.

I Centri Unificati di Prenotazione (CUP)

Un altro strumento utilizzato per il miglioramento dell’efficienza e della trasparenza dell’accesso alle prestazioni è il CUP (Centro Unificato di Prenotazione), anche se i dati disponibili non sono sempre confortanti. Un’indagine svolta dal Ministero della Salute nel 2003 ha evidenziato la presenza nel nostro paese di 181 CUP, dei quali 43 erano definiti sovra-aziendali, 79 aziendali e 63 sub-aziendali.

Un dato sorprendente dell’indagine era costituito dal fatto che, sul totale dei CUP, 46 erano aperti per meno di 7 ore al giorno e per almeno 5 giorni alla settimana, 44 per almeno 7 ore, ma per meno di 5 giorni alla settimana, e 3 addirittura per meno di 7 ore al giorno e per meno di 5 giorni alla settimana.

Questi risultati hanno posto in evidenza come, attualmente, prevalga una concezione quanto meno limitata dell’utilizzo del CUP, che viene visto ancora forse più come modalità di accentramento di alcune attività di prenotazione in luoghi definiti, magari per semplici motivi logistici, piuttosto che come un diverso modo di rappresentare e gestire l’offerta.

Una recente indagine condotta dall’ASSR (Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali) ha riscontrato come spesso il CUP non offra all’utenza una rappresentazione dell’intera offerta disponibile nel proprio territorio, dal momento che vi sono diverse prestazioni che non sono prenotabili tramite il CUP.

Un dato particolarmente critico rilevato dall’indagine è costituito dalla constatazione che, nella maggioranza delle regioni, i CUP delle diverse aziende di una stessa Regione non sono in grado di comunicare tra loro, arrivando frequentemente al punto di ritenere “normale”

che il CUP ospedaliero non comunichi con il CUP della ASL nel cui territorio è collocato. Il collegamento tra i diversi CUP risulta invece fondamentale non solo per una rappresentazione più efficace e corretta dell’offerta, ma anche per ottimizzare la sua gestione, rappresentare i tempi migliori o le più idonee modalità di accesso. Inoltre l’integrazione fra CUP favorisce lo svolgimento di controlli incrociati tra le diverse agende di prenotazione nelle aziende sanitarie, per ridurre il malcostume delle cosiddette “prenotazioni multiple“, che comportano crescenti livelli di mancata presentazione degli utenti prenotati, un fenomeno che raggiunge anche il 30-40% delle prenotazioni.

In realtà, i CUP, opportunamente progettati e gestiti, sono in grado di migliorare i servizi, con semplificazione delle procedure, riduzione dei tempi di attesa, promozione di una maggiore omogeneità e trasparenza nell’accesso alle prestazioni. Consentono, inoltre , una più ampia garanzia di equità nell’accesso, con tempi differenziati secondo il bisogno clinico del

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diagnostico-terapeutici predefiniti. Tra gli sviluppi più interessanti vi sono nuove soluzioni, tecnologiche ed organizzative, già poste in atto, quali:

• la molteplicità delle possibilità di accesso alla prenotazione, attraverso le farmacie, i medici di famiglia ecc.;

• la possibilità per i pazienti di prenotare alcune prestazioni via internet, come pure di avere le risposte con la stessa modalità;

• l’uso del CUP per analizzare e governare la domanda di prestazioni, le risorse disponibili, le liste di attesa;

• la possibilità di gestire i problemi dei pazienti che hanno necessità di prestazioni multiple, tra loro correlate e con intervalli temporali definiti, ed altre ancora.

Dove cercare altre informazioni: risultati del Progetto Mattone “Tempi d’Attesa”, www.assr.it/mattoni/Mattone_tempi_conc.htm

La sicurezza del paziente.

Qualunque attività sanitaria erogata ai pazienti (somministrazione di farmaci, svolgimento di esami con tecnologie, interventi chirurgici, ecc…) è potenzialmente in grado di causare loro dei danni. La probabilità che il danno si realizzi e la misura della gravità del danno possono variare enormemente in funzione della situazione clinica del paziente, dei tipi di farmaci somministrati, del grado di collaborazione del paziente ecc… La coscienza di questa realtà rende necessaria la realizzazione di misure idonee a prevenire, eliminare o, almeno, contenere i rischi reali per il paziente, poiché nella maggior parte dei casi questi non sono del tutto eliminabili.

Bisogna anche distinguere tra rischio teorico (possibilità che un evento si verifichi), rischio reale (quando l’evento è accaduto) e danno (che, sebbene possibile, non sempre si è realmente verificato, anche se è accaduto l’evento che lo poteva provocare).

All’interno di una struttura sanitaria o durante lo svolgimento di una attività sanitaria i rischi sono solitamente più legati a:

• • ambienti (per inadeguatezza di strutture, attrezzature, impianti, ecc…);

• • operatori (per carenze legate a preparazione, organizzazione, carichi di lavoro ecc…);

• • pazienti (non informati, non collaboranti, ecc...).

Il primo tipo di rischi è prevalentemente evitato attraverso la corretta realizzazione e manutenzione delle strutture, delle attrezzature e degli impianti, che sono regolamentati da apposite leggi e norme tecniche; in questi casi, i problemi di solito insorgono quando queste non sono applicate in modo corretto.

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E’ molto più frequente che la responsabilità di un errore venga attribuita agli operatori, anche se una attenta analisi delle situazioni mostra che quasi sempre vi è in realtà una causa organizzativa, ovvero che, sebbene fosse noto che quell’evento avrebbe potuto accadere, non si sono poste in atto le misure preventive idonee (ad esempio: standardizzazione delle procedure, doppi controlli ecc…).

Come il cittadino può contribuire alla propria sicurezza

Un aspetto sul quale si pone oggi sempre più attenzione è il coinvolgimento diretto del paziente nella prevenzione dei suoi rischi, soprattutto attraverso una informazione più completa delle sue condizioni e dei rischi connessi alle procedure od ai farmaci cui viene sottoposto. Il paziente può contribuire a rendere più sicuro il sistema di erogazione delle cure in diversi modi:

• - informando esattamente le strutture sanitarie (medico, infermiere, farmacista ecc…) sulle proprie condizioni di salute, precedenti problemi, intolleranze ecc…;

• - richiedendo precise informazioni sulle proprie condizioni di salute (consenso informato) ed esprimendo le scelte di trattamento;

• - segnalando disservizi e problemi che sono sotto la sua diretta osservazione, vigilando sulle proprie sicurezze.

• Da parte sua, invece, l’Azienda sanitaria può aiutare i cittadini e i pazienti a ridurre i rischi seguendo alcuni principi:

• - informando correttamente i cittadini di quali rischi sono connessi alle cure fatte o non fatte;

• - realizzando modalità di comunicazione interne tali da rendere possibile “per davvero”

l’ascolto dei cittadini e dei pazienti;

• - dimostrando con trasparenza quanto è stato predisposto per la maggior sicurezza del paziente nel percorso sanitario;

• - utilizzando i reclami e le segnalazioni come fonte di miglioramento continuo.

Il consenso informato

Il consenso informato è l’espressione della volontà del paziente che, opportunamente informato, permette al professionista di eseguire su di esso una specifica procedura sanitaria; rappresenta una concreta traduzione del rispetto dei diritti di libertà della persona, così come sanciti dalla nostra Costituzione (articoli 11 e 32).

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Non si tratta quindi di una mera autorizzazione, ma costituisce un fondamentale momento di comunicazione in cui il medico ottiene la totale partecipazione del paziente nella scelta delle cure e rappresenta concretamente la fase in cui si instaura la relazione di fiducia tra il medico, che esegue il trattamento sanitario, ed il paziente, che lo riceve.

Il consenso informato deve essere acquisito in forma scritta nei casi contemplati dalla legge ed in quelli in cui vengono proposte prestazioni per le quali si ritiene che vi sia un apprezzabile rischio per il paziente. Le prestazioni per le quali la legge sancisce la necessità di acquisizione per iscritto del consenso informato, sono le seguenti:

• trasfusione di sangue;

• accertamento diagnostico per HIV;

• donazione di tessuti e di organi tra persone viventi;

• prelievo e innesto di cornea;

• procreazione medicalmente assistita;

• interruzione volontaria di gravidanza;

• sperimentazione clinica;

• prescrizione di farmaci per indicazioni non previste da scheda tecnica.

E’, inoltre, consigliato acquisire il consenso informato in forma scritta nelle prestazioni per le quali è ravvisabile un apprezzabile rischio per il paziente come, ad esempio, nei casi di:

• procedure chirurgiche;

• procedure diagnostico-terapeutiche invasive (RCP, cistoscopia, ecc…);

• prestazioni anestesiologiche;

• trattamenti oncologici;

• somministrazione di mezzi di contrasto (angiografia, risonanza magnetica, TAC, PET, ecc...);

• trattamenti medici ad elevata e/o significativa incidenza di reazioni avverse;

• trattamenti che determinano perdita temporanea o definitiva della capacità procreativa, ad eccezione dei comuni trattamenti contraccettivi.

• Il consenso esplicito ed informato può essere richiesto:

• direttamente al paziente, in caso di maggiorenne capace di intendere e di volere, indipendentemente dall’eventuale parere dei suoi congiunti, tranne i casi in cui vi sia la documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione;

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• in caso di paziente minorenne, a seconda dei casi: congiuntamente ai genitori legittimi (naturali o adottivi), oppure al tutore od all’autorità giudiziaria in tutti i casi controversi; va però sempre tenuta in debita considerazione l’opinione del minore, a cui deve comunque essere fornita un’idonea informazione calibrata in base alla sua età e al suo grado di maturità. Vi sono delle particolari eccezioni a questi casi (accertamenti diagnostici per malattia sessualmente trasmessa, prestazioni inerenti la procreazione responsabile, richiesta di accertamenti diagnostici e interventi terapeutici e riabilitativi in caso di uso di sostanze stupefacenti ecc…).

• L’informazione dovrebbe sempre:

• essere fornita con un linguaggio comprensibile a chiunque, tenendo conto del livello culturale, dell’età e dello stato d’animo del paziente;

• essere esaustiva ed obiettiva, facendo riferimento a valide fonti scientifiche;

• essere il più possibile veritiera con particolare riferimento alla prognosi, senza creare false illusioni, ma senza neppure demoralizzare oltremisura il paziente.

In caso di urgenze, oppure quando il paziente è in pericolo di vita, il medico è tenuto ad intervenire anche senza l’acquisizione del consenso, a patto che il pericolo sia attuale, improcrastinabile ed inevitabile (non eliminabile in altro modo).

I congiunti, che hanno diritto ad essere informati, non hanno potere decisionale.

Ai conviventi, sul piano formale, potrebbero essere rifiutate anche le semplici informazioni.

Superato lo stato di necessità bisogna acquisire il consenso per tutte le ulteriori prestazioni.

Il medico di medicina generale

Il medico di medicina generale è il professionista che, nell’ambito dei servizi garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale, ha la responsabilità complessiva della tutela della salute del proprio assistito, per il quale svolge attività finalizzate a:

diagnosi;

terapia;

riabilitazione;

prevenzione individuale;

educazione sanitaria.

Il rapporto tra l'assistito ed il medico di medicina generale è fondato sulla fiducia. Nel caso in cui venga meno il rapporto di fiducia, l'assistito può cambiare il medico. Anche il medico può

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fiducia. L'assistito esercita il suo diritto di scelta individuando il proprio medico tra quelli operanti dell'ambito territoriale di residenza e disponibili in base al numero massimo di scelte previsto dalla normativa (ovvero, il cittadino sceglie il proprio medico tra quelli della sua zona e che hanno ancora posti disponibili). I Medici di Medicina Generale svolgono la propria attività per i cittadini residenti nel territorio di competenza, dall’età di 14 anni, fino ad un massimo di 1.500 assistiti. I bambini da 6 a 14 anni possono indifferentemente essere iscritti ad un pediatra o ad un medico di medicina generale. Nel caso di trasferimento di residenza in un comune vicino, ma che appartiene alla stessa Azienda Sanitaria, l'assistito non è obbligato a cambiare medico e può mantenere lo stesso medico di fiducia.

In questi casi, l'assistito deve informare in modo scritto il proprio Distretto. Nel caso di trasferimento di residenza in un comune non vicino, ma appartenente alla stessa Azienda Sanitaria, l'assistito può mantenere il proprio medico di fiducia, comunicando tale scelta al proprio Distretto e allegando il parere favorevole scritto del medico. Le operazioni di iscrizione, scelta e revoca del medico vengono effettuate presso le sedi dei Distretti Sanitari, talvolta anche presso altri uffici (ad esempio: gli uffici anagrafe dei comuni). Per l’iscrizione, è sufficiente un documento d'identità personale, oltre all’autocertificazione relativa ai propri dati anagrafici e alla propria residenza.

L'attività medica viene prestata nello studio del medico che deve essere aperto almeno 5 giorni alla settimana secondo un orario stabilito dal professionista ed esposto all'ingresso. Le visite nello studio del medico, salvo i casi d'urgenza, avvengono normalmente su prenotazione. I cittadini che, per motivi di lavoro, studio, ecc…, soggiornano per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un’altra Azienda Sanitaria o regione, possono chiedere di scegliere un medico curante nel luogo di domicilio. L’iscrizione temporanea del cittadino sulla base del domicilio ha durata non superiore ad un anno ed è rinnovabile.

È garantita l'assistenza medica ai cittadini che, trovandosi occasionalmente fuori dal proprio comune di residenza, hanno necessità di un medico di medicina generale. In questi casi, il costo delle visite è a carico dell'assistito, secondo le tariffe omnicomprensive (che comprendono tutto) fissate a livello nazionale. Attualmente, sulla base dell’art. 57 dell’Accordo collettivo nazionale per la medicina generale reso esecutivo dalla Conferenza Stato-Regioni il 23 Marzo 2005, le tariffe per le visite occasionali sono 15,00 euro per la visita ambulatoriale e 25,00 euro per la visita domiciliare. L'importo pagato può essere rimborsato dall'Azienda Sanitaria di appartenenza per le seguenti categorie: cittadini ultrasessantenni, minori di 12 anni, soggetti portatori di handicap con invalidità superiore all'80%.

Le forme associative

I Medici di Famiglia, possono lavorare in modo singolo o associarsi. Le forme associative rappresentano modalità di erogazione del servizio tali da garantire maggiore fruibilità e accessibilità da parte dei cittadini dei servizi e delle attività dei medici di medicina generale, con miglioramento di standard qualitativi e di performance operative. Le forme associative principali presenti nel territorio del distretto sono:

− Medicina in associazione: si tratta di medici che, pur non vincolati dalla sede unica (ognuno quindi opera nel proprio studio) garantiscono, oltre a quanto previsto dalle

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condizioni generali dell’associazionismo, maggior orario di accessibilità al servizio (es. uno degli studi dei medici associati deve garantire la apertura giornaliera, da lunedì a venerdì, fino alle ore 19, secondo modalità organizzative concordate tra i medici che fanno parte della associazione);

− Medicina di gruppo: si caratterizza per una sede unica, dove vi sono più studi medici.

Prevede l’utilizzo di supporti tecnologici e strumentali comuni, eventuale personale di segreteria e la miglior accessibilità e fruibilità del servizio da parte dei cittadini.

Visite domiciliari: come ottenere il servizio

Il medico valuta se la visita deve essere fatta al domicilio dell'assistito, considerando in particolare la trasferibilità del paziente. Le visite domiciliari vanno di norma richieste entro le ore 10 del mattino, e devono essere effettuate nella giornata. Se la chiamata viene raccolta dopo le ore 10, la visita deve essere effettuata al massimo entro le ore 12 del giorno successivo. Le chiamate urgenti, ricevute dal medico, devono essere soddisfatte nel più breve tempo possibile. Nella giornata del sabato, il medico può non svolgere attività ambulatoriali, ma è tenuto ad effettuare le visite domiciliari richieste durante il venerdì e quelle ricevute entro le ore 10 dello stesso sabato. Nei giorni prefestivi valgono le stesse regole previste per il sabato, con l'obbligo di effettuare l'attività ambulatoriale per i medici che normalmente in quel giorno la svolgono al mattino. Nei giorni festivi opera il servizio di continuità assistenziale (guardia medica).

Le prestazioni del Medico di medicina generale sono erogate in forma gratuita per il cittadino, e riguardano principalmente:

• visita medica ambulatoriale e domiciliare;

• prescrizioni di farmaci;

• richieste di visite specialistiche ed analisi;

• proposte di ricovero ospedaliero o di cure termali;

• assistenza programmata domiciliare nei confronti dei soggetti non deambulanti;

• assistenza programmata a favore di soggetti non autosufficienti ospiti di residenze protette (Case di Riposo);

• assistenza domiciliare integrata;

• prestazioni di particolare impegno professionale (es. prima medicazione, sutura, rimozione punti, ecc… ovvero, previa autorizzazione dell'Azienda Sanitaria locale, cicli di fleboclisi o di medicazioni, ecc…);

• accesso presso gli ambienti di ricovero in fase di accettazione, degenza o dimissione dell’assistito (se ritenuto opportuno dal medico di famiglia, nell’interesse del proprio assistito anche al fine di evitare dimissioni improprie);

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