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La “via di sentiment” e la comprensione delle Scritture

In questo capitolo è affrontata la questione epistemologica legata al riconoscimento della divinità dei testi sacri e alla loro comprensione: Jean Claude e Pierre Jurieu attribuiscono al sentiment non solo la capacità di rafforzare la fede, ma anche di suscitarla, indicando all’intelletto, ma soprattutto al cuore, le verità divine contenute nelle Scritture. I due teologi, infatti, assegnano a quella “vista interiore” della coscienza, attraverso cui è percepita la testimonianza dello Spirito, la capacità di cogliere la verità in maniera immediata, in modo affine a quello con cui i sensi esterni percepiscono gli oggetti e permettono di conoscerli con immediatezza.

Una prima definizione della “via di sentiment”, fondata sulla capacità della mente illuminata di riconoscere la divinità e il senso dei testi sacri in modo immediato, è proposta da Claude nell’ambito della controversia sulla fede dei semplici con Pierre Nicole. L’idea di Claude trae origine dalla dottrina, espressa già da Calvino, secondo la quale le Scritture non necessitano di dimostrazioni o della conferma di un’autorità umana, ma forniscono esse stesse le ragioni per essere ritenute credibili, per il fatto di essere prodotto e immagine di Dio1. Claude individua nella “via di sentiment e d’impressione” la strada con cui i semplici, con l’aiuto della grazia, possono arrivare a riconoscere con certezza la divinità e il senso dei testi sacri in modo intuitivo, senza dover eseguire un esame approfondito delle Scritture di cui non sarebbero in alcun modo capaci.

Anche Jurieu, nella sua battaglia contro il principio di autorità adottato dalla Chiesa cattolica, fa appello al sentiment, di cui sottolinea la capacità naturale di cogliere la verità in modo immediato, alla stregua dei sensi. La via d’esame è descritta come ragionevole e conforme alla natura umana razionale, in contrasto con quanto egli sostiene nella lotta contro il pajonismo, ove – lo vedremo nel prossimo capitolo - la dottrina dell’azione immediata dello Spirito è giustificata sulla base della superiorità delle verità divine rispetto alla ragione umana e posta in antitesi con la scienza e il principio dell’evidenza.

3.1. Le obiezioni di Pierre Nicole alla via d’esame riformata

La Défense de la réformation (1673), forse l’opera più celebre Jean Claude, rispondeva ai Préjugez légitimes contre les calvinistes (1671) di Pierre Nicole, in cui il giansenista negava la fattibilità

1 La caratteristica di essere credibili di per sé (autopistia) attribuita alle Scritture compariva già nella Confessio Belgica (1561) e in quella gallicana (1559): cfr. H. van den Belt, The Authority of Scripture, p. 2-7.

dell’esame individuale delle Scritture2. La disputa di Claude con i giansenisti era già cominciata una decina di anni prima, partendo da un tema relativamente più tecnico dal punto di vista teologico, cioè la questione eucaristica. Dagli anni Settanta del XVII secolo, la controversia si era ampliata fino a toccare alcune questioni fondamentali, quali la validità della religione come conoscenza, i criteri di scelta e di validazione del sapere tramandato dalle Scritture, la coerenza stessa delle dottrine teologiche. Arnauld e Nicole, protagonisti centrali di questa disputa, cercano di evidenziare la fragilità di una fede che, non fondandosi su di un’autorità infallibile come quella della Chiesa di Roma, manca ai loro occhi di un solido appiglio: l’interpretazione delle Scritture, essi protestano, non può essere lasciata ai fedeli, di qualunque genere ed estrazione sociale siano, anche la più umile. Prendendo le mosse da un’asserzione di Claude, che aveva definito l’esame individuale delle Scritture «court, facile, proportionné à la capacité de tout le monde», Nicole obiettava che, al contrario, «l’examen dont il s’agit est tres-long, tres-difficile, & tres-disproportionné à la capacité des simples» 3. Al centro della controversia il giansenista poneva la fede dei semplici: il suo intento era dimostrare che la via d’esame non poteva essere quella scelta da Dio per l’uomo, poiché troppo ardua e praticamente impossibile a compiersi, soprattutto per i fedeli meno istruiti.

L’esame delle Scritture, spiegava Nicole, richiede che le proprie conclusioni non si fondino su

«marques équivoques et trompeuses» quali la confiance, il repos e la tranquillité, che può provare anche chi erra, ma piuttosto su segni più certi e più solidi 4. Occorrono dei «passages de l’Ecriture formels et decisifs», cioè delle massime chiare e di autorità divina, con cui i fedeli possano provare la verità della loro religione5. Nicole non è d’accordo con la pretesa di alcuni riformati che cinque o sei passaggi delle Scritture bastino per convincere le persone sincere che le Scritture siano la sola regola di fede e che contengano chiaramente tutto ciò che si deve credere: pochi passaggi non dispensano dall’esaminare a fondo le questioni più spinose, che hanno dato luogo a tanti volumi.

Quanto alla chiarezza di un oggetto di conoscenza, Nicole riconosce che talvolta essa può essere così viva ed eclatante da non poter essere oscurata da pregiudizi o passioni ed essere, perciò, riconosciuta uniformemente da tutti gli uomini: ad esempio, la chiarezza degli oggetti esposti ai sensi, le dimostrazioni matematiche o «certains faits attestez par un consentement general», su cui gli uomini non hanno mai opinioni discordanti6. Altri oggetti, invece, appaiono chiari soltanto dopo essere stati ben esaminati: su di essi è possibile sbagliarsi, se non si applica una certa attenzione e non si ha la disposizione necessaria. Occorre, afferma Nicole, essere sinceri con se stessi ed essere

2 P. Nicole, Préjugez légitimes contre les calvinistes, V.ve de C. Savreux, Paris, 1671; J. Claude, La défense de la Réformation contre le livre intitulé Préjugez légitimes contre les calvinistes, J. Lucas, Quevilly, 1673.

3 Cfr. P. Nicole, Préjugez légitimes contre les calvinistes, p. 378.

4 Cfr. ivi, p. 44-46.

5 Cfr. ivi, p. 332.

6 Cfr. ivi, p. 339-340.

certi di non avere trascurato nulla di ciò che è necessario fare per eseguire un esame accurato7. La chiarezza della Scrittura non è del primo tipo: lo dimostrano le divisioni tra le confessioni, incapaci di trovare un accordo sugli articoli essenziali alla salvezza8.

La chiarezza dei testi sacri richiede dunque «un examen raisonnable», poiché non tutti i passaggi che sembrano contenere chiaramente delle verità le contengono davvero: essi ingannano facilmente coloro che si fermano al primo significato apparente. Condizione necessaria per fare questo esame è quindi porre molta attenzione, per non cadere nell’errore di attribuire avventatamente a un passo un senso sbagliato: occorre confrontare quel passo con tutti gli altri che hanno qualche rapporto con esso e possono essere utili a comprenderlo meglio9. Gli stessi protestanti e riformati – Nicole cita Zwingli e Lutero – sostengono che, prima di prendere una posizione sul significato apparente di un passo delle Scritture, bisogna compararlo con gli altri che sono correlati o trattano dello stesso soggetto10. Tuttavia, vi sono passi simili nell’espressione che, però, vanno interpretati diversamente:

si pensi alla celebre frase, «Cecy est mon corps», che i riformati prendono in senso non letterale. Vi sono poi dei passi che sarebbero contraddetti da altri passi, se fossero interpretati nel primo significato che si offre alla mente. Pertanto, prima di essere certi del senso di un passaggio, è necessario assicurarsi che non vi siano passi in contrasto con quell’interpretazione o che diano luogo ad altre possibili interpretazioni11.

Per avere «une assurance raisonnable», insomma, l’esame di ogni singolo passo richiede di prendere in rivista l’intera Scrittura, e quella sicurezza infine raggiunta, a detta di Nicole, non è poi così grande… Non si può essere assolutamente certi di essere sempre stati sufficientemente attenti a tutto: «Combien y a-t-il de choses qui nous échappent, quelque attention qu’on tâche d’y apporter ?» 12.

Ma non è finita qui: c’è ancora dell’altro lavoro da fare prima di poter giungere a «un jugement raisonnable [si noti l’insistenza di Nicole su questo termine] de ce differend». Restano da consultare tutti i testi che sono stati scritti per chiarificare il senso di quei passi. Non si possono scegliere solo quelli dei propri correligionari: «cet homme qui veut examiner raisonnablement cette importante question de la regle de la foy, doit écouter les divers sentimens des uns et des autres, et

7 Cfr. ivi, p. 340: «C’est pourquoy on ne se peut jamais assurer de ne s’y pas tromper, que lorsque l’on se peut rendre un témoignage sincere, que l’on n’a rien oublié dans l’examen que l’on en a fait, de ce qui estoit necessaire pour s’en assurer».

8 Cfr. ivi, p. 340-341: «Or il est certain que quelque clarté que l’on puisse attribuer à l’Ecriture dans ce qu’elle nous enseigne touchant la foy, ce n’est point une clarté du premier genre, qui se fasse voir generalement à tout le monde, &

qui soit incapable d’estre obscurcie par les differentes dispositions de ceux qui la lisent. L’exemple de tant de sectes differentes qui sont divisées sur les articles essentiels, & qui croyent toutes trouver leur creance dans l’Ecriture, en est une preuve convaincante».

9 Cfr. ivi, p. 341: «Il n’y a qu’une attention tres-grande qui puisse nous faire discerner les uns des autres ; & cette attention enferme par necessité une revuë de tous les autres lieux de l’Ecriture qui y ont du rapport, & qui peuvent servir à éclaircir les passages dont il s’agit».

10 Cfr. ivi, p. 343.

11 Cfr. ivi, p. 345-346.

12 Cfr. ivi, p. 344.

leurs diverses reflexions sur l’Ecriture, pour embrasser celles qui luy paroîtront conformes au texte». Ecco dunque il povero riformato «embarqué à un terrible travail» 13!

Sarebbero da consultare, poi, gli interpreti antichi, cioè i Padri della Chiesa, e dopo aver fatto tutto ciò che è necessario per assicurarsi del fatto che la Scrittura sia la sola regola di fede, non si sarebbe che all’inizio dell’opera…14 Non basta, infatti, che uno si accerti una volta per tutte di aver scelto la giusta via: il fedele deve compiere più volte lo stesso esame, poiché, col passare del tempo, i motivi per cui ha compiuto la sua scelta finiranno per non essere più tanto vividi nella memoria.

In conclusione, per Nicole la via d’esame è assolutamente impraticabile, tanto per i più dotti e sapienti tra i credenti, quanto, a maggior ragione, per la maggioranza dei fedeli, che non ne hanno l’istruzione né le capacità necessarie. Egli non pensa, quindi, che i riformati abbiano consapevolmente scelto la loro religione per mezzo di questo esame, soprattutto i più semplici: già nella prefazione del suo libro Nicole opera una distinzione tra i padri della Riforma che hanno dato luogo allo «scisma» (anche questo era uno degli argomenti più dibattuti nella controversia tra le due confessioni) e i calvinisti del suo tempo, «qui l’ont trouvé déjà tout formé, qui y sont nez et élevez, et à qui l’éloignement de l’Eglise Romaine est devenu comme naturel, parce qu’ils en ont reçu les impressions en un âge où ils n’estoient pas capables de distinguer la verité de l’erreur ». La religione è qualcosa che s’impara da bambini, quando le idee si formano tramite delle impressioni, termine che Nicole comprende, seguendo la fisiologia cartesiana, come le tracce sul cervello lasciate dagli “spiriti animali” su di un intelletto che non è ancora in grado di distinguere il vero dal falso. Pertanto, per i riformati a lui contemporanei, l’errore è divenuto qualcosa di naturale, che si tramanda di padre in figlio. Nicole si mostra compassionevole e paternamente preoccupato soprattutto per le anime dei semplici, “vittime” degli errori in cui sono stati trascinati per aver obbedito all’autorità dei loro padri15.

3.2. Jean Claude e la fede dei semplici: la “via d’impressione e di sentiment”

13 Cfr. ivi, p. 344-348.

14 Cfr. ivi, p. 350-352: «Supposons qu’il ait reconnu que le mouvement interieur estoit la marque établie de Dieu pour discerner les livres canoniques. Supposons qu’il ait reconnu par cet esprit interieur quels estoient les livres canoniques, ce qui enferme au moins qu’il les ait lus […]. Supposons que dans l’examen de la question ; si l’Ecriture suffit, il ait vu tous les passages que l’on allegue de part & d’autre, afin de reconnoistre le veritable sens de tous ces passages.

Supposons encore qu’il se soit assuré que tous ces passages estoient conformes aux testes originaux […]. Supposons qu’il ait consulté les anciens et nouveaux interpretes de l’Ecriture sur ces mêmes passages autant que la prudence le demandoit, et qu’il soit parvenu par toutes ces recherches à cette conclusion, que dans l’examen des matieres de la foy il ne faut s’arrester qu’à la seule Ecriture […]. Ce seroit sans doute avoir fait de grands progrés ; et neanmoins il ne seroit encore qu’à l’entrée de l’examen qu’il entreprendroit, et la premiere difficulté qu’il découvriroit en suite, le jetteroit encore dans le plus grand embarras».

15 Cfr. ivi, p. 34-35.

Alle obiezioni di Nicole sulla fede dei semplici e sull’impraticabilità della via d’esame, il pastore di Charenton Jean Claude, nella Défense de la Réformation, contrappone la via immediata e accessibile a tutti del sentiment. Claude individua due vie predisposte da Dio per compiere l’esame necessario per giungere alla fede salvifica: la “via di riflessione” e la “via d’impressione e di sentiment”. Egli parte dall’idea che sia possibile convincersi di una verità e riconoscere una menzogna in due modi: o attraverso il ragionamento, attraverso prove e dimostrazioni; oppure in modo immediato, cioè attraverso “la semplice impressione degli oggetti, che si rendono conoscibili per la loro stessa natura”16. Claude sembra condividere l’idea, già espressa da Calvino, che le Scritture siano capaci di persuadere della loro verità e divinità immediatamente, senza che sia necessario ricorrere a prove e dimostrazioni. Come si è visto, Beaulieu in questo senso le aveva definite “principio primo” della fede, in quanto indimostrabili e immediatamente riconoscibili come vere allo stesso modo dei principi primi delle scienze colti per lume naturale.

Claude riconduce la maniera immediata con cui è percepita la divinità e verità delle Scritture non al lume naturale, ma al sentiment, ovvero a quella percezione interiore della propria coscienza priva di quella chiarezza ed evidenza che appartengono alle verità logiche e simile alla conoscenza immediata che procede dai sensi. Egli utilizza anche il termine di “impressione”: il suo riferimento, tuttavia, non sembra essere la fisiologia cartesiana degli spiriti animali, ma quello biblico facente capo alla metafora del sigillo, ampiamente utilizzata dai teologi riformati sulla scia di Agostino e in altre opere dallo stesso Claude. Per descrivere come la conoscenza delle verità di fede sia operata dallo Spirito egli ricorre infatti all’immagine del sigillo, con cui Dio imprime la sua stessa effigie nel cuore umano, su cui la sua grazia ha già operato per renderlo “malleabile” e sensibile ai raggi divini che emanano dai testi sacri17.

Secondo Claude, la “via di riflessione” porta ad una fede di livello più elevato, ma tale via è riservata ai fedeli più istruiti e capaci, perché richiede una conoscenza teologica approfondita e una grande erudizione. I semplici, invece, possono percorrere l’altra via, che si avvale della capacità delle Scritture stesse di mostrare la loro divinità e il loro vero significato, almeno per quanto riguarda le verità necessarie alla salvezza. La Scrittura, spiega infatti Claude, contiene chiaramente le verità necessarie per ottenere la salvezza: le contiene, cioè, in modo che siano alla portata anche dei più semplici. La “via di sentiment e d’impressione” è fondata perciò su due presupposti: che “le cose essenziali” siano esposte nelle Scritture in modo chiaro, cioè abbiano dei caratteri che le

16 Cfr. ivi, p. 200-201: «Car il-y-a deux maniéres d’estre persuadez d’une vérité, et de reconnoistre un mensonge, l’une est par sentiment, et l’autre par réfléxion, la prémiére vient de la simple impression des objets, qui se font discerner par leur nature mesme; et l’autre vient de la méditation et de l’étude, par l’application de certaines régles. J’avouë qu’il-y-a plus de confusion dans la prémiére; mais elle a aussi quelquefois plus de force, et plus de certitude que la seconde».

17 Cfr. infra, p 207.

rendano sensibilmente divine; e che Dio abbia donato a tutti, “anche ai più piccoli dei suoi figli”, il bon sens e la bonne conscience necessari e sufficienti per coglierle18.

Non è perciò necessario che i semplici si addentrino nei meandri della disputa sui libri canonici e apocrifi, né che conoscano le lingue in cui erano originariamente scritti i testi sacri: qualche errore di traduzione non può impedire di cogliere le verità essenziali, poiché esse sono abbondantemente ripetute e distribuite in tutto il corpo delle Scritture. Né occorre che i semplici conoscano le opinioni dei diversi interpreti: gli oggetti di fede sono esposti così chiaramente e più volte ripetuti, così ben connessi tra loro, che la loro semplice presenza (accompagnata, precisa Claude, dalla grazia che agisce negli eletti) basta per formare una solida fede19. Anche il dibattito sui punti fondamentali e non fondamentali non interessa ai semplici: gli articoli necessari alla salvezza soddisfano tutti i naturali e giusti desideri della coscienza e infondono quel repos grazie al quale i fedeli sentono che quelle verità sono sufficienti alla loro salvezza20. La via d’esame è accessibile anche ai più semplici perché la Scrittura fornisce le verità sufficienti alla salvezza in modo chiaro e proporzionato alle forze del loro spirito: esse sono «assez évidemment couchées, pour ne pas surpasser les lumiéres de leur intelligence» e «en assez petit nombre, pour ne pas excéder les forces de leur mémoire»21. Quando Claude parla dei più semplici, tuttavia, è chiaro che egli intende i più semplici tra gli eletti, infatti presuppone che la grazia abbia operato nei loro cuori per metterli in condizione di cogliere i raggi di luce divina che promanano dai testi sacri e permettere loro di goûter le verità che essi contengono.

18 Cfr. J. Claude, La Défense de la Réformation, p. 196: «Mais quant à la seconde maniére en laquelle l’Ecriture est la régle de la foy, savoir, pour former la foy dans un degré de simple suffisance pour le salut, par les choses essencielles qu’elle contient clairement, je dis qu’à cet égard, son usage est déchargé de toutes ces longueurs, et de toutes ces difficultez, et accommodé à la portée des plus simples, ne supposant qu’autant de bon sens, et de bonne conscience, que Dieu en donne aux plus petits de ses enfants. Prémiérement, il n’est pas besoin pour cela, qu’un homme étudie la question des livres apocryphes et Canoniques ; car cette discussion, qui est nécessaire lorsqu’on veut pénétrer jusqu’aux choses abstruses de l’Ecriture, qui s’en tirent par des conséquences éloignées, ou par un éxamen éxact de ses termes, et de la structure de son discours, parce que ces choses particuliéres ne portent pas un caractére si sensible de leur divinité, que les autres : Cette discussion, dis-je, qui est nécessaire en ce cas, ne l’est pas lorsqu’on se restreint, comme font les plus simples, aux choses essencielles que l’Ecriture enseigne clairement, parce que ces choses-cy se font reconnoistre sensiblement divines, et par conséquent Canoniques, ce qui suffit pour la certitude de leur foy s’ils demeurent dans ce degré».

19 Cfr. ivi, p. 197: «les objets de leur foy y sont si clairement expliquez, ils y sont proposez en tant de lieux, ils y sont si bien liez les uns avec les autres, ils y sont d’une maniére qui pourvoit si bien à tout ce qui est nécessaire pour l’instruction de l’esprit, qu’avec la grace de Dieu qui les accompagne dans ses Elûs, ils n’ont besoin que de leur simple présence pour s’insinuër et s’affermir dans les cœurs, et pour former une véritable foy».

20 Cfr. ivi, p. 198: «Mais, dit l’Auteur des Préjugez, ce n’est pas assez que ces choses suffisent pour le salut des plus

20 Cfr. ivi, p. 198: «Mais, dit l’Auteur des Préjugez, ce n’est pas assez que ces choses suffisent pour le salut des plus