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La dottrina riformata sulla conversione: l’illuminazione, il témoignage dello Spirito e le prove di divinità contenute nelle Scritture

1.1. Le facoltà dell’anima e la dinamica dell’assenso nella dottrina ortodossa sulla conversione

Il contesto teologico in cui Jurieu studia e comincia a elaborare il suo pensiero sulla conversione è caratterizzato dalla concorrenza tra le due principali accademie riformate di Francia, quella di Sedan, tradizionalmente considerata la roccaforte dell’ortodossia, e quella di Saumur, culla di correnti teologiche che mettevano in rilievo il valore della ragione nell’ambito della fede1. Dopo aver compiuto gli studi umanistici presso l’accademia di Saumur, presso cui si diplomò nel 1656, continuò i suoi studi nei Paesi Bassi e in Inghilterra, dove fu anche ordinato ministro della Chiesa anglicana. Tornato in Francia per svolgere il ministero pastorale, Jurieu nel 1674 fu chiamato a Sedan, dove superò l’esame in Lingue orientali con una tesi sulla Cabala, e in Teologia, sostenendo la tesi De potestate clavium assegnatagli da Louis Le Blanc de Beaulieu. Alla morte di Beaulieu, nel 1675, gli subentrò alla cattedra di teologia2.

Il grande “avversario” con cui dovette confrontarsi, in quegli anni, fu il pastore Claude Pajon, che per un breve periodo, dieci anni prima, era stato docente di teologia all’Accademia di Saumur ed aveva elaborato una dottrina sulla conversione che, pur rimanendo entro le linee generali della dottrina ortodossa, vi introduceva alcune significative modifiche3.

1 Sulle accademie riformate in Francia cfr. P.-D. Bourchenin, Étude sur les académies protestantes en France au XVIe et au XVIIe siècle, Paris 1882 [rist. Genève 1969]. Su Saumur in particolare, cfr. J. Prost, La philosophie à l'Académie protestante de Saumur (1606-1685), Paris 1907; F. Laplanche, Orthodoxie et prédication. L’œuvre d’Amyraut et la querelle sur la grâce universelle, Paris 1965; Jean-Paul Pittion, Intellectual life in the Académie of Saumur (1633-1685): a study of the Bouhéreau collection in Marsh’s Library Dublin, tesi di Dottorato in Filosofia presso l’Università di Dublino, Trinity College, 1969; F. P. Van Stam, The controversy over the theology of Saumur:1635-1650. Disrupting debates among the Huguenots in complicated circumstances, Amsterdam 1988; AA. VV., Saumur, capitale européenne du protestantisme au XVIIe siècle, [Colloque tenu à Fontevraud du 26 au 28 Avril 1991], Fontevraud 1991; L.-J.

Méteyer , L'Académie protestante de Saumur. Histoire de Saumur au XVIIe siècle, Carrières-sous-Poissy 2005. Sul razionalismo a Saumur, cfr. W. Rex, Essays on Pierre Bayle and religious controversy, The Hague 1965, p. 77-120;

Laplanche, L’évidence du Dieu chrétien. Religion, culture et société dans l’apologétique protestante de la France classique (1576-1670), Strasbourg 1983, p. 101-137. È inoltre possibile consultare online la ricca documentazione manoscritta contenuta negli archivi dell’Accademia di Saumur e la storia dell’Accademia a cura di Jean-Paul Pittion:

http://archives.ville-saumur.fr/r/58/academie-protestante-de-saumur (consultato il 17/06/2019).

2 Cfr. art. «Jurieu» in Chauffepié, Nouveau Dictionnaire, II, p. 57 e 59, rem B.

3 Per quanto riguarda la biografia di Pajon, la sua attività d’insegnante all’Accademia di Saumur, la sua dottrina e le controversie che lo coinvolsero, nonché le questioni storico-bibliografiche che lo concernono, l’opera attualmente più completa e aggiornata è quella di A. Gootjes, Claude Pajon (1626-1685) and the Academy of Saumur. The First Controversy over Grace, Leiden-Boston 2014; inoltre, dello stesso autore, si vedano Un épisode méconnu de la vie de la communauté réformée au milieu du XVIIe siècle : la première controverse pajoniste sur la grâce, in «Bulletin de la Société de l'histoire du protestantisme français», n. 156 (avril-mai-juin 2010), p. 211-229; Id., L'héritage de John Cameron en France au XVIIe siècle: les origines de la pensée de Claude Pajon (1626-1685), in «Bulletin annuel :

Le ipotesi elaborate da Pajon e Jurieu sulla modalità di azione dello Spirito nella conversione si fondano su diverse concezioni delle facoltà dell’anima e del loro rapporto. Le teorie morali più diffuse e insegnate, nel XVII secolo, erano quelle di origine aristotelica; esse distinguevano tra un’attività dell’anima più propriamente “fisica” e legata ai sensi, propria dell’anima sensitiva e una di tipo più astratto che comprendeva i pensieri e le volizioni (facenti capo all’anima razionale, dotata di appetito intellettivo). Le conoscenze erano acquisite tramite le percezioni sensoriali, le quali, riunite e trasformate in pensieri dal “senso comune”, erano utilizzate dall’immaginazione o dall’intelletto per le loro operazioni e immagazzinate nella memoria. Per quanto riguarda l’attività morale, all’intelletto era riconosciuto il compito di porgere alla volontà il bonum intellectum, ovvero ciò che esso aveva giudicato essere un bene. La volontà, deputata all’azione e al comportamento morale, era subordinata all’ultimo dictamen dell’intelletto pratico. Secondo la dottrina aristotelico-tomista le passioni, che traevano origine dalla “parte bassa” dell’anima, quella legata ai piaceri sensibili, erano negative solamente quando erano di ostacolo e impedivano all’anima di volgersi a Dio. Esse, infatti, potevano arrivare a imporsi sull’intelletto e sulla volontà, inducendoli a considerare come un bene un atto contrario al volere di Dio. La subordinazione della volontà al giudizio dell’intelletto e soprattutto all’ultimo dictamen dell’intelletto pratico costituiva uno dei nodi più problematici di tale dottrina morale, poiché rischiava di costituire una limitazione a quella libertà della volontà che era il presupposto per ogni valutazione morale del comportamento umano4.

La diffusione del neostoicismo nel XVII secolo aveva suscitato una vasta discussione sulla dinamica delle facoltà, portando alla ribalta il discorso sulle passioni: vari trattati di morale si preoccupavano di definirle, classificarle e spiegare come potessero essere dominate. In contrasto con i neostoici, i quali facevano dell’intelletto la facoltà suprema, in grado di dominare la volontà e di reprimere le passioni, diversi autori cominciarono a rivalutare le passioni, o meglio certe

Institut d'histoire de la Réformation» (Genève), n. 32 (2010-2011), p. 51-70 ; Id., Calvin and Saumur: the case of Claude Pajon (1626-1685), in «Church history and religious culture», n. 91 (2011), p. 203-214.

4 Alcuni tra i più famosi trattati sulle passioni del XVII secolo sono quelli di Jean-Pierre Camus, Passions de l’âme dans Les diversitez de Messire Camus, Chappelet, Paris 1614, t. IX, 1614; François-Nicolas Coëffeteau, Le Tableau des passions humaines, S. Cramoisy, Paris 1620; Jean-François Senault, De l’Usage des passions, Journel, Paris 1641, oltre al saggio di René Descartes, Les passions de l’âme, H. Le Gras, Paris; L. Elzevier, Amsterdam 1649. S’interessarono al discorso morale anche B. Pascal, Pensées sur la religion et sur quelques autres sujets, G. Desprez, Paris 1670 e P.

Nicole, Essais de morale, veuve C. Savreux et al., Paris 1671-1678. Sulle principali teorie morali del XVII secolo e le loro origini, si vedano A. Levi, French Moralists. The Theory of the Passions 1585 to 1649, Oxford, 1964; G. Rodis-Lewis, Maîtrise des passions et sagesse chez Descartes, in Cahiers de Royaumont. Philosophie n° II. Descartes, 1987, p. 208-236; G. Ferreyrolles, Augustinisme et concupiscence : les chemins de la réconciliation, in Littérature et séduction, Paris 1997, p. 171-182; Id., Du discours théologique à la réflexion morale : prolégomènes à la concupiscence, in Caractères et passions au XVIIe siècle, Dijon, 1998, p.75-87; B. Guion, Pierre Nicole moraliste, Paris, 2002; E. Bermon, La théorie des passions chez Saint Augustin, in Les passions antiques et médiévales. Théories et critiques des passions, a c. di B. Besnier et al., I, Paris, 2003, p. 173-197; L. Renault, « Nature humaine et passions selon Thomas d’Aquin et Descartes », in Les passions antiques et médiévales. Théories et critiques des passions, I, p.249-267; C. Talon-Hugon, La question des passions dans l’œuvre de Pascal, in Les passions à l’âge classique, a c. di P.-F. Moreau, Paris 2006, p.119-145; C.-O. Stiker-Métral, Narcisse contrarié. L’amour propre dans le discours moral en France (1650-1715), Paris 2007.

passioni, e, pur distinguendole dalle vere virtù, quelle ispirate dall’amor di Dio, ne riconoscevano l’utilità per una vita sociale ben regolata.

Accanto alle filosofie morali più razionaliste come quella tomista e quella stoica, che fondamentalmente consideravano l’influsso delle passioni o come causa di falsi giudizi oppure come fattori disturbanti da domare e neutralizzare tramite la ragione, nel XVII secolo fiorisce anche un’altra tendenza, d’ispirazione agostiniana, che interpreta l’attività morale alla luce della teoria

“dei due amori”, sul modello delle due città, la Città dell’uomo e la Città di Dio. Per i pensatori agostiniani l’anima è mossa dal desiderio, che può essere di due generi: concupiscenza o carità.

Questi due moventi dipendono l’uno dalla parte bassa dell’anima (connessa alla sensibilità e alla fisicità) e l’altro da quella alta (astratta e rivolta alle cose spirituali). La motivazione dell’azione, dunque, era il criterio in base a cui giudicare la moralità di un atto: in quest’ottica, era virtuosa solo una buona azione compiuta per amore di Dio.

La dottrina ortodossa sulla conversione, sancita dal Sinodo di Dordrecht, si fondava sulla concezione scolastica delle facoltà umane: la grazia, secondo i Canoni, operava dapprima sull’intelletto, in quanto a tale facoltà spettava l’attività conoscitiva e valutativa, e poi agiva sulla volontà, incaricata di determinare l’azione. Tuttavia, era possibile per i teologi riformati discostarsi dal modello filosofico soggiacente a tale dottrina senza essere, per questo, accusati di eterodossia.

La definizione delle modalità di azione e interazione delle facoltà dell’anima, infatti, pur fornendo basi teoriche alla dottrina sulla conversione, non era ritenuta propriamente di competenza della teologia, anche se aveva certamente delle conseguenze sul modo di concepire le operazioni dello Spirito sulla conversione. Ad esempio, nel 1622 i teologi della facoltà di Leida, tra cui André Rivet, nell’esprimere le loro riserve sulla correttezza delle opinioni sulla conversione avanzate da John Cameron, professore a Saumur, non entrarono nel merito della dottrina “fisica” concernente i rapporti tra le facoltà dell’intelletto e della volontà5. John Cameron, pur attenendosi alla bipartizione tomistica delle facoltà, aveva impresso alle proprie idee morali un’impronta neostoica, facendosi sostenitore di un imperio dell’intelletto sulla volontà capace di determinarne necessariamente i movimenti. Per Cameron, la fede risiedeva nell’intelletto e non nella volontà, ed

5 Cfr. lettera della facoltà di teologia di Leida a J. Cameron, Leida, 31 gennaio 1622, in J. Cameron, Τα Σωζοµενα sive Opera partim ab auctore ipso edita, partim post eius obitum vulgata, partim nusquam hactenus publicata, vel à Gallico idiomate nunc primùm in Latinam linguam translate, P. Chouet, Geneva 1659 (nelle prossime note indicheremo tale volume solo come Opera), p. 709a, cit. da A. Gootjes, Claude Pajon, p. 42: «Deinde etsi de controversiâ illâ physicâ litem nemini intentemus, num voluntatis determinatio, necessario sequatur ad ultimum iudicium rationis, ac intellectus ut vocant practici, quam sententiam novimus quosdam ex plurioribus Scholasticis fuisse amplexos…» (corsivo mio).

John Cameron (1579-1625), nato a Glasgow, fu professore di filosofia all’Accademia di Sedan dal 1602 al 1604, poi tenne la cattedra di teologia all’Accademia di Saumur dal 1618 al 1621 e dal 1623 al 1624, infine passò all’Accademia di Montauban nel 1624, dove morì l’anno successivo: cfr. l’art. «John Cameron» a c. di L.W.B. Brockliss, in Dictionary of national biography, a c. di H.C.G. Matthew e B. Harrison, Oxford 2004 (consultabile anche online:

http://www.oxforddnb.com); L. Armour, Reason, Culture and religion : Some Thoughts on the Foundations of the Calvinist ‘Heresies’ of John Cameron and His Successor at Saumur, in Protestantismes et autorités, a c. di F. Knopper, J.-L. Berteau e B. Ruymbeke, Toulouse 2005, p. 147-162; T. Sarx, Reformed Protestantism in France, in A companion to Reformed Orthodoxy, a c. di J. H. Selderhuis, p. 227-260, in part. p. 243-244; A. Gootjes, Claude Pajon, p. 26-27.

essa era operata dallo Spirito attraverso la persuasione della verità6. L’azione della grazia, perciò, operava sulla volontà per mezzo dell’intelletto7.

L’opinione ritenuta più ortodossa, invece, in quanto maggiormente aderente ai Canoni di Dordrecht, era quella che Rivet volle ribadire in una pubblica disputa che lo contrappose a uno degli allievi di Cameron, Paul Testard: lo Spirito, affermava Rivet, non solo illumina la mente, ma muove e piega la volontà, che altrimenti non sarebbe rivolta a Dio, con un’azione non solo morale, ma che affetta la volontà immediatamente, producendone il movimento e l’azione8.

Pur essendo compatibile con la libertà della volontà postulata dai teologi ortodossi9, la dottrina di Cameron sembrava per certi versi limitarla in quanto introduceva un elemento necessitante, che limitava la possibilità della volontà di determinarsi. Da un altro punto di vista, invece, quella stessa dottrina pareva concedere troppa libertà all’uomo: il teologo scozzese aveva appunto suscitato la disapprovazione dei teologi dell’Università di Leida perché la sua dottrina implicava che lo Spirito nella conversione operasse sulla volontà solo in modo mediato10.

Intorno alla metà del XVII secolo, lo schema conoscitivo scolastico era stato messo in discussione da Cartesio. Egli rifiuta la ripartizione dell’anima, concependola come una sostanza unitaria, rigorosamente distinta dalla materia. Per Descartes l’anima e il corpo, pur non fondendosi tra loro, formano comunque un insieme funzionale11. Per quanto riguarda il giudizio, il filosofo attribuisce

6 Cfr. A. Gootjes, Claude Pajon, p. 39.

7 Ivi, p. 39-42.

8 Cfr. André Rivet, Disputationum theologicarum trigesima prima, de fide et perseverantia sanctorum, (13 e 16 luglio 1622), Elsevier, Leiden 1622, anche in Synopsis purioris theologiæ, disputationibus quinquaginta duabus comprehensa, Elsevier, Leiden 1625, t. 9: «qui mentem illuminat, et voluntatem alioquin à Deo aversam movet et flectit, idque non tantum metaphorico causandi modo, et actione quam moralem vocant Scholastici, per modum finis, ut loquuntur, proposita objecti bonitate et convenientiâ; per intellectum illuminatum, et practicum suum judicium ultimum proponentem; quod voluntas necessariò sequatur: sed etiam per actionem suam immediate voluntatem afficientem, et in motum ejusdem et actum influentem» (cfr. A. Gootjes, Claude Pajon, p. 38). La Synopsis purioris theologiæ divenne un manuale molto diffuso presso l’accademia di Leida e fu ristampata cinque volte tra il 1625 e il 1658, perciò A.

Gootjes ritiene che le disputationes ivi contenute possano rappresentare la posizione ortodossa: A. Gootjes, ibidem.

9 I teologi dell’università di Leida riconoscono che la compatibilità di un certo tipo di necessità con la libertà era stata condivisa da molti scolastici (cfr. infra, p. 25, n. 10) e Cameron stesso la difende nelle sue Theses D. Ioh. Cameronis De contingentia, v, in Opera, p. 792a. A. Gootjes, Claude Pajon, p. 40 n. 86, fa riferimento a questo proposito al parere espresso dall’eminente teologo ginevrino François Turrettini, nella celebre Institutio theologiæ elencticæ, S. de Tournes, Genève 1679-1685, 3 v., locus X, quæstio II, iv: «Quarta necessitas rationalis determinationis ad unum ab intellectus practici judicio, cui refragari non potest voluntas»; vi-vii : «Sed si duæ istæ necessitatis speciæ à nobis commemoratæ [scil. la necessitas physica et bruta e la necessitas coactionis], cum libero arbitrio pugnant; non eadem est ratio aliarum, quæ cum eo subsistere possunt, et quibus non tam destruitur, quàm conservatur et perficitur, quod sigillatim quoad quatuor necessitatis species ante notatas ostendi potest. Primò quoad necessitatem dependentia à Deo.

[…] Secundò quoad necessitatem rationalem determinationis ad unum ab intellectu practico. Cum enim voluntas sit appetitus rationalis, ea est ejus natura, ut non possit non sequi ultimum intellectus practici judicium».

10 Cfr. lettera dalla facoltà di teologia di Leida a J. Cameron, Leida, 31 gennaio 1622, in J. Cameron, Opera, p. 709a:

«Deinde etsi de controversiâ illâ physicâ litem nemini intentemus, num voluntatis determinatio, necessario sequatur ad ultimum iudicium rationis, ac intellectus ut vocant practici, quam sententiam novimus quosdam ex plurioribus Scholasticis fuisse amplexos, non possumus tamen probare quod videris in toto tuo scripto nullam aliam mutationem in voluntate aut concedere, aut requirere præter moralem illam quæ fit ab obiecto monstrato et rationis iudicio de eo eligendo aut rejiciendo, aut preferendo sine ullo influxu Dei immediato, in ipsam voluntatem, præsertim in rebus supernaturalibus» (corsivo mio).

11 Sull’attività dell’anima e i suoi rapporti con il corpo in Descartes, cfr. G. Rodis-Lewis, L’anthropologie cartesienne, Paris 1990; Id., Le développement de la pensée de Descartes, Paris 1997; Id., L’anthropologie cartésienne, in Union et

alla volontà e non all’intelletto la facoltà di esprimere l’assenso. La volontà, per Descartes, non è

“schiava” della ragione: essa, anzi, ha il potere di influire sull’intelletto attraverso il controllo dell’attenzione, un fattore necessario per l’apprensione delle verità. Ciò fa della volontà un elemento chiave del processo di formazione delle conoscenze. Da essa, infatti, dipende in parte la capacità di scorgere il vero e di accoglierlo: persino di fronte alle verità più evidenti, Descartes ritiene che la volontà possa riaffermare la sua libertà di scelta e rifiutarsi di riconoscerle, distogliendo l’attenzione da esse12.

La dottrina morale di Descartes, se applicata alla lettura dei testi biblici, rischiava perciò di fare della fede una scelta, una conquista della ragione (illuminata, s’intende, dalla grazia) raggiungibile con uno sforzo di dominio sulla volontà e sulle passioni: la fede, insomma, sarebbe finita per dipendere dalla volontà umana e non dalla grazia. Anche per questo il pensiero di Descartes risultava sospetto (oltre che, ad esempio, per la difficoltà di conciliare l’esigenza di chiarezza e distinzione, collegata alla verità, con l’irrazionalità dei misteri) e suscitò una forte opposizione, al punto che all’Università di Leida nel 1676 alcune tesi cartesiane sospettate di pelagianesimo vennero condannate ufficialmente13.

1.2. La dottrina pajonista sulla conversione

distinction de l’âme et du corps: lectures de la VIe Méditation, a c. di D. Kolesnik-Antoine, Paris 1998, p. 9-17; Th.

Gontier, Union de l’âme et du corps ou unité de l’homme?, in Union et distinction de l’âme et du corps: lectures de la VIe Méditation, p. 83-99; D. Kolesnik-Antoine, L’homme cartésien, Rennes 2009; Ph. Desoche, Ego sum res cogitans.

La philosophie de l’esprit chez Descartes, in Lectures de Descartes, a c. di F. de Buzon, É. Cassan, D. Kambouchner Paris 2015, p. 233-277.

12 M. E. Scribano, in Da Descartes a Spinoza, Milano 1988, approfondisce la questione del rapporto tra il cartesianesimo e il calvinismo, soprattutto olandese, mettendo bene a fuoco il problema causato dalla dottrina morale che attribuiva l’assenso alla volontà e che si prestava, comunque, a diverse interpretazioni : «I Principa Philosophiæ [I, 37] e la lettera a Mesland del 9 febbraio 1645 [Œuvres de Descartes, a c. di Ch. Adam et Paul Tannery, Paris 1897-1909,11 v., IV, p. 116] parlano chiaramente dell’esistenza di un potere di scelta presente in tutte le occazioni, evidenza teoretica e morale compresa. Nel testo della quarta Meditazione [Meditationes de prima philosophia, in Œuvres de Descartes, VII, p. 57-58], alla libertà intesa come potere di scelta si affiancava invece una nozione di libertà che non escludeva la determinazione univoca (da parte del vero e della grazia), ma solo la consapevolezza della determinazione.

In questo caso, come verrà ribadito nelle risposte alle seste obiezioni, […] di fronte al vero la volontà non è meno libera perché univocamente determinata. Non il potere di scelta, ma la semplice volontarietà della determinazione – presente anche nel caso di azione efficace della grazia dal momento che la sua azione non è avvertita – costituisce allora l’essenza della libertà. Quest’ultima teoria è ovviamente quella più facilmente assimilabile ad una teologia, come quella del calvinismo rigido, che riduca al massimo l’indipendenza del volere umano dall’azione divina, mentre la prima ha indubbiamente un sapore arminiano-molinista, e pone seri problemi riguardo al rapporto tra la libera scelta e la causalità divina». Nella lettera a Mesland del 2 maggio 1644 (Œuvres de Descartes, IV, p. 116) Cartesio affermava che, davanti a una proposizione evidente, la volontà poteva distogliere l’attenzione, permettendo di sospendere il giudizio o formularne uno contrario, mentre nella lettera del 9 febbraio 1645 sosteneva che l’assenso all’evidenza poteva essere negato anche solo per dimostrare a se stessi il libero arbitrio.

13 Cfr. M. E. Scribano, Da Descartes a Spinoza, p. 252, n. 78 e 79, riporta alcune delle tesi condannate a Leida il 7 gennaio 1676 che rispecchiano l’accusa di pelagianesimo: tesi 8: «in questioni di fede la norma della verità è la percezione chiara e distinta»; tesi 9: «la Scrittura parla secondo i pregiudizi erronei del volgo»; tesi 20: «abbiamo una facoltà con la quale possiamo evitare di errare; l’errore è realmente solo nella volontà». Sulle tesi cartesiane condannate dall’Università di Leida, cfr. A. Goudriaan, Theology and Philosophy, in A companion to Reformed Orthodoxy, a c. di H. J. Selderhuis, Leiden-Boston 2013, p. 27-64, p. 45-51. Sulla difficoltà di conciliare la filosofia di Descartes con la teologia nei Paesi Bassi, cfr. anche A. Vos, Reformed Orthodoxy in the Netherlands, in A companion to Reformed Orthodoxy, a c. di H.J. Selderhuis, p. 121-176, in part. p. 127-129; T. Verbeek, Le cartésianisme hollandais, in Lectures de Descartes, a c. di F. de Buzon, É. Cassan, D. Kambouchner, Paris 2015, p. 413-434.

La permanenza di Pajon a Saumur aveva aperto una crisi teologica a metà degli anni Sessanta del Seicento: influenzato dalle idee di Cameron14, Pajon sosteneva che a determinare l’uomo alla verità e al bene bastasse la comprensione della Parola, “animata” dallo Spirito sempre presente in essa.

Come Cameron, Pajon riteneva che lo Spirito intervenisse solo sull’intelletto per illuminarlo e che la sola conoscenza del bene attraverso l’incontro con la Parola fosse sufficiente a determinare la volontà. In questa prospettiva, l’azione della grazia non era realmente immediata, poiché il suo effetto si realizzava attraverso la mediazione della Parola e delle “circostanze” in cui essa era letta e

Come Cameron, Pajon riteneva che lo Spirito intervenisse solo sull’intelletto per illuminarlo e che la sola conoscenza del bene attraverso l’incontro con la Parola fosse sufficiente a determinare la volontà. In questa prospettiva, l’azione della grazia non era realmente immediata, poiché il suo effetto si realizzava attraverso la mediazione della Parola e delle “circostanze” in cui essa era letta e