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2. Stato dell’arte

2.1. I linguaggi settoriali

Nel presente capitolo l’attenzione è interamente focalizzata sui linguaggi settoriali, prima definiti su un piano generale e poi caratterizzati a livello testuale, morfosintattico e terminologico. Il discorso sarà in seguito rapportato al linguaggio medico, tema centrale di questo lavoro, con chiarimenti ed esempi tratti dai foglietti illustrativi presi in esame. Si parlerà inoltre della traduzione del linguaggio medico, con particolare attenzione alla traduzione dal francese e dal tedesco verso l’italiano, lingue di lavoro dell’autrice.

Prima di iniziare qualsiasi discorso sui linguaggi settoriali, è importante definire questo concetto.

Secondo Treccani online (s.d.-h) , “in genere, un linguaggio settoriale è il modo di esprimersi proprio di un ambito specialistico, in particolare (ma non soltanto) di natura tecnica o scientifica”. Allo stesso modo, la definizione del Dizionario italiano De Mauro (s.d.-b) precisa che si tratta di un “linguaggio utilizzato in determinati settori specialistici e caratterizzato da una terminologia tecnica che spesso si discosta dal lessico comune o lo usa in accezioni particolari”. Secondo Cortelazzo, per lingua speciale si intende una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore specialistico; la lingua speciale è costituita a livello lessicale da una serie di corrispondenze aggiuntive rispetto a quelle generali e comuni della lingua e a quello morfosintattico da un insieme di selezioni, ricorrenti con regolarità, all’interno dell’inventario di forme disponibili nella lingua” (Cortelazzo, 2007, pag. 8).

Petralli (2003, pag. 169) preferisce invece denominarla lingua speciale, sulla scia del francese langue de spécialité o langue spécialisée.

Non c’è uniformità circa la denominazione di questo sottogruppo della lingua comune: come menzionato da Felici3, coesistono i seguenti modi di nominarlo:

- lingua speciale: Migliorini, Devoto, Berruto, Cortelazzo, Sobrero;

- linguaggio speciale: De Mauro, Cecioni, Petralli;

- linguaggio/lingua di specialità: Schena;

- linguaggio specialistico: Gotti, Cavagnoli;

3 Felici (2017) Materiali corso Communication écrite langue spécialisée.

- lingua/linguaggio settoriale: Beccaria, Serianni;

- sottocodice: Berruto;

- tecnoletto: Wandruszka;

- microlingua: Balboni, Freddi;

- comunicazione specialistica: Cavagnoli.

Come emerge da questo elenco, i modi di designazione sono moltissimi, così come gli studi condotti sul tema. In francese non è raro trovare sia langue spéciale, langue spécialisée e langue de spécialité, mentre in spagnolo si parla di lenguajes especiales ma anche di lenguajes profesionales, metalenguajes, lenguajes técnicos o tecnolectos. In altre lingue, invece, non esiste questo divario terminologico: ad esempio in tedesco tutti concordano con la denominazione Fachsprache (anche se è possibile trovare Sondersprache), mentre in inglese la denominazione che ha la meglio è language for specific purposes o anche language for special purposes o special language, sebbene quest’ultima dicotomia sia poco usata (Petralli, 2003, pag. 169). La denominazione include sia la comunicazione orale sia quella scritta (Hüging, 2011, pag. 6).

Serianni (2005) specifica la distinzione fra lingua e linguaggio, affermando che con lingua si fa riferimento all’elemento orale, mentre con linguaggio si intende l’insieme dei canali espressivi che il locutore ha a disposizione. In questo lavoro di ricerca, per motivi di coerenza, sarà utilizzata la terminologia proposta da Serianni, ossia linguaggio settoriale, termine usato per designare la comunicazione in ambito specialistico, mentre con lingua generale s’intende l’insieme del lessico e delle strutture comuni a tutti i locutori di una lingua.

Caratteristiche del linguaggio tecnico settoriale

Il linguaggio settoriale è utilizzato in ambito specialistico per facilitare la comunicazione fra gli esperti del settore e risulta a volte poco comprensibile per un profano, ossia per chi non ha conoscenze settoriali. Presenta quindi determinate caratteristiche che permettono di definire concetti che lo rendono diverso dalla lingua generale, pur essendone una variante (Hüging, 2011, pag. 6).

La classificazione proposta da Scarpa (2008) suddivide le caratteristiche in tre categorie:

testualità, morfosintassi, lessico e terminologia. Per l’analisi del linguaggio dei foglietti illustrativi e della lingua medica in generale, tema centrale di questo mémoire, saranno utilizzati questi tre criteri, con vari sottopunti.

Testualità

Fra gli aspetti testuali, troviamo le caratteristiche che riguardano l’esposizione del testo specialistico. Esso deve sottostare a un insieme di regole che ne vincolano la redazione e che lo rendono speciale, come ad esempio strutture rigide e rigorosamente impostate (come nel caso dei foglietti illustrativi), riferimenti precisi a concetti definiti all’interno o all’esterno di esso, definizioni e chiarimenti di concetti, uso di tabelle o di elementi grafici, uso di ripetizioni e iperonimi4 (Scarpa, 2008, pag. 32). Il testo è organizzato in modo da facilitarne la comprensione, con una struttura funzionale in cui le informazioni sono enunciate in maniera logica. Come avviene per qualsiasi lingua, ogni ambito possiede le proprie convenzioni, però in linea di principio i dati sono presentati tramite sequenze logiche e gerarchiche (Scarpa, 2008, pagg. 32, 33, 35), collegate tramite connettivi, in modo da facilitare la comprensione, creare un filo logico all’interno del testo e manifestare una certa coerenza.

Un altro aspetto da considerare è la coesione, ossia il “collegamento tra le parti di un testo, assicurato sul piano discorsivo dall’uso di pronomi, congiunzioni, ripetizioni e simili”

(Dizionario italiano De Mauro, s.d.-a). Tali elementi permettono di mantenere una logica nello sviluppo del ragionamento e guidano il lettore nella comprensione delle idee (Scarpa, 2008, pag. 37).

Sabatini (2002) suddivide i vari testi specialistici in tre categorie, a seconda del grado di vincolo posto al destinatario: troveremo testi molto vincolanti, mediamente vincolanti e poco vincolanti. Fra i testi appartenenti al primo gruppo troviamo quelli scientifici: poiché essi hanno una funzione referenziale e servono a veicolare informazioni senza trasmettere emozioni (Dizionari - La Repubblica, s.d.), il livello di coerenza e rigore sarà alto, ciò che richiede grande lavoro da parte del destinatario. I destinatari dei testi molto vincolanti possiedono le conoscenze linguistiche (i termini) ed enciclopediche (i concetti) per decifrare il messaggio contenuto nel testo (Vecchiato & Gerolimich, 2013, pag. 102). Per contrastare il fenomeno della non-comprensione, in Francia, la Haute Autorité de Santé5 ha elaborato delle

4 Questo perché la sinonimia in ambito scientifico è impossibile, perché ad un concetto corrisponde un solo termine.

5 In altri paesi, esistono altri enti con scopi simili a quelli dell’HAS: in Gran Bretagna troviamo il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) mentre in Germania l’Institut für Qualität und Wirtschaftlichkeit im Gesundheitswesen (IQWiG). Non esistono i corrispondenti per la Svizzera e l’Italia (per l’Italia, sono state però formulate direttive per la lingua amministrativa, da cui si potrebbe trarre esempio) (Vecchiato & Gerolimich, 2013, pag. 104; Wikipedia, 2017d).

linee guida che vertono alla semplificazione dei testi scientifici, per renderli più accessibili al grande pubblico (si veda la lista completa in Vecchiato & Gerolimich, 2013, pagg. 102, 103).

Morfosintassi

Per quanto riguarda la morfosintassi, ossia lo “studio sistematico delle regole che presiedono alla formazione di un enunciato linguistico (parole, sintagmi, frasi) mediante la combinazione di morfemi” (Treccani online, s.d.-k), i testi specialistici, rispetto alla lingua comune, presentano strutture sintattiche particolari. Le frasi non sono spesso ellittiche poiché lasciando in sospeso degli elementi si potrebbe compromettere la comprensione e il tempo prediletto è il presente dell’indicativo, tempo della certezza (Scarpa, 2008, pag. 41). Si può inoltre notare un largo uso dello stile nominale, fatto che può rendere il testo meno trasparente per un profano.

Tale stile permette di condensare le informazioni e i concetti, di mantenere un alto livello di tecnicità (Scarpa, 2008, pag. 42) ed è ampiamente utilizzato anche perché i sostantivi possono essere composti e derivati tramite suffissi, prefissi o affissi o addirittura trasformati in aggettivi o avverbi. Si fa anche ampio ricorso alle locuzioni preposizionali, ossia

“combinazioni fisse di due o più parole che costituiscono unità polimeriche (complesse) con funzioni e significati simili a quelli delle preposizioni” (Treccani online, s.d.-o), per collegare i vari elementi del periodo. L’ampio uso dello stile nominale fa perdere potere al verbo, il quale serve spesso solo da copula (Scarpa, 2008, pag. 43), fatto che rende il sostantivo re della frase.

Non è raro notare calchi, prestiti, fenomeni di appiattimento e convergenza (Cortese, 1996, pag. 22).

La sintassi del periodo è quindi più snella ed è prediletta una struttura lineare con poca subordinazione, in modo da concentrarsi maggiormente sul senso veicolato dalla frase piuttosto che sulla sua costruzione (Scarpa, 2008, pag. 45).

Come già enunciato poco sopra, il tempo verbale più utilizzato è il presente dell’indicativo, perché permette di esprimere certezze ed enunciati sempre veri, come “fatti, teorie, definizioni, osservazioni, descrizioni, processi, affermazioni di verità generali e formulazioni di leggi scientifiche” (Scarpa, 2008, pag. 47). È impiegato sia nella sua diatesi attiva che in quella passiva: quest’ultima mette in risalto un particolare elemento focalizzandolo, ovvero facendolo diventare il fuoco della frase. Essendo deagentivato, l’uso del passivo permette di eliminare la componente umana: se l’agente è introdotto nella frase significa che ha valore semantico e svolge la funzione di mettere in luce un determinato elemento (Scarpa, 2008, pag.

46). Oltre alla diatesi passiva, si può notare un ampio uso della forma impersonale, anche in

questo caso per ridurre la componente umana, evitando di dover esplicitare il soggetto e generalizzando l’enunciato.

Con “modalità” s’intende il modo di comunicare il messaggio al destinatario, ossia l’espressione di alcuni elementi che sfumano il significato della frase. Anche questa è usata diversamente rispetto alla lingua comune. Per esprimere un particolare atteggiamento nei confronti del messaggio ci si può servire di alcuni strumenti linguistici, quali i modi del verbo e i verbi modali (Treccani online, s.d.-j), elementi lessicali o certi avverbi. I modi del verbo, come ad esempio l’indicativo, il congiuntivo e il condizionale permettono di esprimere le possibilità di realizzazione di un’azione veicolata dal verbo (Treccani online, s.d.-j). I verbi modali esprimono invece un grado diverso di certezza del locutore (Scarpa, 2008, pag. 48) e sono utilizzati in modo diverso a seconda della lingua. Sono sempre seguiti da un verbo all’infinito, del quale modificano leggermente il significato, ed esprimono la possibilità, la necessità o la volontà (Treccani online, s.d.-i). Gli strumenti lessicali che esprimono la modalità sono, come già annunciato, gli avverbi modali. Esprimono il grado di certezza o di obbligatorietà delle azioni descritte dall’enunciato, come ad esempio forse o probabilmente.

Gli avverbi valutativi introducono invece una valutazione da parte del locutore nei confronti del contenuto della frase, come ad esempio purtroppo o per fortuna, mentre gli avverbi di enunciazione introducono un commento del locutore a proposito della qualità dell’enunciato (non sul suo contenuto), come ad esempio onestamente o francamente (Treccani online, s.d.-j).

Lessico e terminologia

I linguaggi settoriali sono caratterizzati dalla loro terminologia, che serve a veicolare i concetti tecnici tipici dell’ambito di specializzazione.

I termini hanno diversi gradi di specializzazione e possono essere propri a un determinato contesto oppure toccare diversi settori. Le lingue non sono ritagliate allo stesso modo e non sono sovrapponibili totalmente, per questo motivo ci saranno dei vuoti terminologici da una lingua all’altra; il compito del traduttore sarà di individuare la mancanza terminologica e colmarla con gli strumenti linguistici e concettuali che ha a disposizione.

Il linguaggio settoriale è costellato da termini, ossia “referenze specializzate all’interno di una determinata disciplina” (Puato, 2008, pag. 41). In un dizionario terminologico si troveranno i termini di un dato campo del sapere, ossia gli oggetti di studio del settore. Il punto di partenza non sarà quindi il “nome” e il punto d’arrivo la “definizione” (come avviene nei dizionari lessicografici), ma ci si concentra sul concetto cercando un termine che lo descriva (Nuccarini

in Cortese, 1996, pag. 141). La branca della linguistica che si occupa di queste questioni è la terminologia.

In linea di principio, i termini dei linguaggi settoriali sono monoreferenziali, ossia fanno riferimento a un solo concetto: questa caratteristica implica l’impossibilità di ricorrere a sinonimi, omonimi o polisemi e risponde al bisogno di concisione e sinteticità. Se nella lingua comune si fa ampio ricorso a questi tre elementi, nei linguaggi settoriali si preferisce ripetere il termine, per evitare incomprensioni concettuali, oppure usare un iperonimo (Puato, 2008, pag. 41). Secondo (Puato, 2008, pag. 42), “la monoreferenzialità è da intendersi come limitata all’ambito disciplinare in cui il termine è usato”: uno stesso termine può avere significati diversi in settori diversi, come ad esempio “prelievo”, che in medicina designa l’azione di prelievo del sangue per sottoporlo a un esame e che invece designa in economia-finanza l’azione di ritirare soldi da una banca. In un dizionario tecnico bilingue, è importante segnalare questa ambivalenza terminologica e, qualora sia possibile, munirlo di definizione al fine di non far cadere il traduttore in una trappola traduttiva (Sournia, 1986, pag. 9).

Un’altra caratteristica distintiva del lessico specialistico è l’assenza di emotività, i termini infatti non assumono mai connotazioni positive o negative, ma rimangono sempre neutri (Hüging, 2011, pag. 7; Puato, 2008, pag. 43).

Spesso la terminologia specialistica viene normalizzata a livello internazionale da enti come l’ISO, il quale si occupa di raccogliere i termini e di definirli. Non tutti i termini sono repertoriati e questo rende il lavoro del traduttore ancora più difficile (Scarpa, 2008, pagg. 55, 56). A livello nazionale, esistono istituti che si occupano di normalizzazione, come ad esempio l’UNI (Ente Nazionali Italiano di Unificazione) per l’Italia, il DIN (Deutsches Institut für Normung) per la Germania, l’Association française de normalisation per la Francia, il BSI (British Standard Institution) per il Regno Unito, l’Association Suisse de Normalisation (SNV) – Schweizerische Normen-Vereinigung (SNV)6 (designazione inesistente in italiano) per la Svizzera. A livello europeo esiste invece il CEN (Comitato europeo di normazione). Questi enti hanno il compito di repertoriare la terminologia di determinati settori affinché risponda ai bisogni di precisione e concisione e designi in maniera sistematica i concetti del settore (Hüging, 2011, pag. 28; Magris, 1992, pag. 59).

6 Designazione esistente in italiano.