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Ettore Petrolini

Dans le document DELLA COMICITÀ DI (Page 184-189)

non è un dialetto, ma l’italiano parlato male” 120

2.16. Ettore Petrolini

La comicità romana? Penso al mio Gastone. Fu un omaggio a Mario Bonnard e a Wladimiro Apolloni, l’Antiquario. I veri ispiratori di Petrolini.

Senza di loro, lui non faceva un passo. Ne ricercava i tic sarcastici e infastiditi, imitandoli, e ne assimilava quel lato di cattiveria che, in fondo, non era che un’esuberante finzione della bontà. Da Petrolini? No, non ho ereditato nulla. Non l’ho neanche mai visto. E poi, all’inizio, non amavo i comici. Nessun problema di emularli. Mi pareva che solo uno piccolo piccolo, o uno col capoccione, potessero fare il comico. Io non ero piccolo e non avevo il capoccione. Puntavo, perciò, a Clark Gable, Gary Cooper.

Ma ero handicappato dalla lingua. Sì, dal romanesco. L’avevo addosso, come una pelle. Mentre, al primattore, serviva un linguaggio accademico, scolastico. L’Italia ufficiale doveva riconoscersi. Compiacendo la sua faccia baronale, mancante di spontaneità, con vocazioni dittatoriali197.

A differenza di quanto racconta il Nostro (cfr. supra) Lino Carenzio, l’attore che lui chiama “cantante francese” non interpretava il ruolo del protagonista (che apparteneva ad Angelo Musco) ma quello di Gastone “il fine dicitore”. L’omologo personaggio delle figurine Perugina era Adolfo. Corrispondeva all’italianizzazione voluta dall’autarchia di regime, del nome dell’attore Adolphe Menjou che nell’immaginario dell’epoca veniva identificato con la sua famosa interpretazione

196 Dichiarazione di Alberto Sordi a Schiavina Maria Antonietta, in op. cit., pagg. 30-31.

197 Dichiarazione di Sordi riportata da Bevilacqua Alberto in Id. “E Alberto sfidò l’Italia in parrucca. La rivoluzione romanesca di Sordi”, Corriere della Sera, 29 agosto 2011.

dell’elegante e cinico tombeaur de femmes in A Woman of Paris: A Drama of Fate (Charles Chaplin, 1923). Il Pierre Revel chapliniano passando dalle rive della Senna a quelle del Tevere si trasforma nella figura del generone il prototipo della nuova borghesia romana. Era il modello di una nuova classe (nata con l’insediamento dei ministeri nella città eterna) che cercava di emulare l’aristocrazia in sfarzo ed eleganza.

Una specie di dandy cinico, crepuscolare, scettico e dannunziano, che possedeva una efficace, spontanea, quasi innata vena ironica. Una fotocopia dell’immagine pubblica di Mario Bonnard:

Bonnard era la quinta essenza del generone romano... quello che non ha un dialetto, ma che parla male perché è indolente e non ce la fa.

Quello che non si applica... a meno che non ami una cosa e non ci creda veramente... Come me, ad esempio, che ho sempre provato antipatia per l’applicazione, lo studio... e che li ho sempre rifiutati perché sono un istintivo a cui fortunatamente tutto è andato bene. Ma se avessi dovuto arrivare al successo applicandomi, sforzandomi, sacrificandomi, probabilmente lo avrei rifiutato optando per qualche altra cosa. E questo proprio perché sono romano e sento profondamente di esserlo. Bonnard in questa sua indolenza di romano era un grande osservatore, un filosofo, uno a cui non sfuggiva niente anche se parlava poco. Andare a cena con lui, stare con lui era un vero e proprio godimento. Magari per due ore non spiccicava una parola ed io rimanevo a fissare il suo profilo greco romano, finché non se ne usciva con qualcosa, con questa sua filosofia e questo saper vivere, che erano sempre invariabilmente un arricchimento198.

Insomma (come più d’una volta Tonino Delli Colli ha confidato a Goffredo Fofi199) il Nostro stava sempre assieme a Bonnard studiando ed assimilando la sua nonchalance il suo atteggiamento d’aristocratico e decadente danseur mondain.

Assumeva i gesti, il portamento, una certa sotto-filosofia di vita, un certo modo d’organizzare l’approccio con l’altro sesso che ritorneranno in molte delle future

198 Dichiarazione di Alberto Sordi, in Fofi Goffredo., op. cit., pag. 61.

199 Dichiarazione di Tonino Delli Colli, in Ibidem, pag. 59.

caratterizzazioni sordiane. Basti ricordare tutti quei funambolici corteggiamenti farciti di menzogne, di balle colossali narrate come se fossero dei versi di Prevert...

(lo sceicco bianco si confida ad una sua fan con istrionesco tono di patetica menzogna) “Sposato... Ma non devi esser gelosa... Io non l’amo...

Non giudicarmi male... Tu non sai... Io rido, scherzo... Quella donna ha rovinato la mia vita... No non domandare... È una storia lunga e subdola...

Io amavo un’altra: Milena... Era bella... Bella come te... Tu sei molto più bella... Dovevo condurla all’altare... Ma il giorno delle nozze con un subdolo inganno... Con un filtro magico... La donna che ora è mia moglie m’ha addormentato... Mi fece perdere la memoria... Ti giuro... Non capii e quando ripresi conoscenza, seppi che Milena era scomparsa... Forse morta...Vallo a sape’... Non pensiamoci più. Mi perdoni?... Mi credi degno del tuo amore?...” 200.

... Oppure si pensi certa ostentazione parossistica di eleganza che implode ironicamente nel suo contrario come avviene nel sordiano conte Tadini [Accadde al commissariato (Giorgio Simonelli,1954)] che indossa con nobile fierezza una jupe plissée. Come s’anticipava poco sopra, l’immagine dannunziana del Bonnard in frack cilindro e monocolo che soccorre la morente Lyda Borrelli in Ma l’amor mio non muore (Mario Caserini, 1913) viene riassunto nella sua essenzialità dall’affettuosa e parodica macchietta petroliniana di Gastone.

Ettore Petrolini era un grande attore di rivista, inventore e sperimentatore di linguaggi teatrali sempre in bilico tra le convenzioni della farsa popolare e lo stravolgimento, la deformazione comica della tradizione. Petrolini era stato guitto dei teatrini di borgata e chansonnier dei caffè-concerto. Autore tanto di monologhi spassosi ed acidi come di bozzetti beffardi e polemici con cui prendeva in giro tutti gli strati sociali. Ironizzava sul popolo straccione e rumoroso, sui famosi personaggi della storia, della letteratura. Amava mettere alla berlina anche i politici suoi contemporanei, i colleghi e gli amici. La sua vis comica mirava a scardinare l’ordine fittizio della società

200 Fellini Federico, Lo sceicco bianco (sceneggiatura), Milano, Garzanti, 1980, pags. 88-90.

piccolo borghese e fascista, dalla mentalità chiusa nei propri luoghi comuni, idiotamente orgogliosa delle proprie convinzioni...

... Alla grande tradizione dell’attore, Petrolini sottrae ed annulla, tutto l’aspetto di lavoro intimista, l’approfondimento dei personaggi nella definizione per particolari immettendovi un proprio sistema teatrale che mescola autobiografia ed invenzione, irriverenza e quotidianità: il tutto concorre a formare un metodo che stravolge completamente la tradizione borghese, ne azzera i punti chiave, ne ribalta le finzioni e ne denuda le funzioni. È in questa ambivalenza tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che è morto o che muore e il nuovo, che si situa il senso del grottesco legato alla metamorfosi ed alla rigenerazione continua. Una rigenerazione che passa, in quasi tutti gli attori comici, attraverso una grande dose di cinismo e di cattiveria che deforma e stravolge nella realizzazione teatrale il mondo che rappresenta201.

Formidabile osservatore e sarcastico interprete degli aspetti assurdi ed ipocriti di una società che si credeva moderna, ha contribuito a svecchiare il gusto del pubblico italiano. Petrolini ha ripreso il cabaret ed ha divulgato forme espressive delle avanguardie teatrali come la fabbrica dell’attore eccentrico, dove la comicità non nasce a tavolino, ma dalla viva esperienza nella quotidianità e dal contatto diretto con gli umori del pubblico. Ha configurato un nuovo gusto per la demistificazione (eversivamente innocua quindi tollerata dal potere), per la beffa e per il non-sense. Nel frattempo, ha reinventato il registro comico popolare con l’invenzione di tutta una serie di macchiette qualunquisticamente scontente del regime. Così, sommessamente, s’è burlato della politica e della stessa umanità tout court:

Petrolini era solo un macchiettista con il rammarico di non poter fare cinema perché aveva un volto che sullo schermo non risultava simpatico e che il pubblico respingeva. Petrolini era un uomo che aveva una grossa personalità di bullo, di mascalzone. Io so tutto di lui pur non

201 Dichiarazione di Stefano De Matteis, in Fofi Goffredo, op. cit., pagg. 55–56.

avendolo conosciuto personalmente. Lo vidi soltanto un paio di volte al teatro Quirino nel ’34 perché i suoi amici più intimi diventarono anche i miei, ossia Bonnard e l’antiquario Apolloni. Petrolini si ispirava molto a loro due202.

Nel 1959, oltre vent’anni dopo l’incidente del leone, Albertone porterà a termine l’omaggio più diretto all’amico e maestro di vita nel film Gastone, dove lo stesso Sordi ed il fedele sceneggiatore Sonego vorranno fortemente che la regia fosse affidata allo stesso Bonnard:

Nel personaggio di Gastone che interpretai sotto la sua regia non misi assolutamente niente della mia esperienza personale, solo il mio modo di muovermi e di danzare dato che avevo anche fatto il ballerino.

Psicologicamente creai il personaggio proprio ispirandomi a Bonnard rimanendo sempre vicino a lui per sentire cosa diceva... come parlava.

Perché Gastone era lui, Petrolini si era ispirato a lui per il personaggio al Bonnard del Bal Tabarin. Non provai soggezione nel reinterpretare Gastone, perché era un personaggio bellissimo, anche se interpretato da Petrolini era solo una burla, una brutta commedia203.

Queste parole di misconoscimento, in realtà hanno tutto l’aspetto di nascondere freudianamente tracce di profonda ammirazione. Petrolini muore nel 1936, quando Sordi aveva solo sedici anni. È difficile che già dal 1934 ne avesse potuto apprezzare almeno l’interpretazione di Nerone o del Medico per forza. È più plausibile che il Nostro abbia abbia fatto proprio, indirettamente, il lascito petroliniano. Le testimonianze filmiche giunte204 fino a noi, tendono a configurare un passaggio di testimone ipotetico tra i due comici romani205. Sono numerosissime, infatti, le

202 Dichiarazione di Alberto Sordi in ibidem, pag. 61.

203 Ibidem.

204 L’antologia di Petrolini o Petrolineide, edita da Ripley’s Home Video, raccoglie alcuni tra i più famosi sketch del comico romano. Purtroppo a causa dei numerosi montaggi e riedizioni celebrative copia rimasterizzata risulta frammentata e confusa. Si possono, tuttavia, apprezzare alcuni frammenti utili al nostro discorso: Il Medico per forza (Carlo Campogalliani, 1931) e Nerone (Alessandro Blasetti, 1930) dove compaiono anche le macchiette di Fortunello e Gastone.

205 Per i testi teatrali che testimoniano il filo rosso tra la creazione di tipi comici Cfr. Petrolini

similitudini tra la caratterizzazione dell’imperatore romano di Petrolini e la versione realizzata da Sordi in Mio figlio Nerone (Steno, 1956). Moltissimi i debiti dei film Il malato immaginario (1979) e L’avaro (1990) (interpretazioni sordiane entrambe dirette da Tonino Cervi) con gli stravolgimenti petroliniani di Molière.

Comunque, non solo Sordi (i suoi personaggi, le sue macchiette), ma l’intera commedia cinematografica italiana tout court ha potuto beneficiare dell’eredità di Petrolini. Ha lasciato una nuova maniera di raggiungere il grottesco ed il paradossale partendo da osservazioni minute, realistiche. L’idea di macchietta (così come lui la configurava) rappresentava un lavoro di sintesi dello spirito di una società in quelle sue manifestazioni minime. Sintesi satirica di fenomeni sociali vasti e complessi. Una selezione del piccolo, del microscopico: di un infimo... ma dall’enorme valore simbolico. Petrolini, a differenza del Nostro, aveva studiato i classici e ne verificava costantemente forza e validità con frequentazione di botteghe, trattorie, rioni popolari di Roma. Gli stessi luoghi frequentati da Sordi

2.17. La principessa Tarakanova,

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