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da esperienze personali di vita” 36

Dans le document DELLA COMICITÀ DI (Page 33-47)

L’immagine più caratteristica del giovane Alberto Sordi è quella che lo mostra addentare un’immensa forchettata di spaghetti - tali sono, anche se li chiama “maccheroni” - in Un americano a Roma (di Steno, 1954).

Messo da parte il vitto all’americana preparato sul tavolo - mentre l’altro, gli spaghetti, era definito “roba da carrettieri” - Alberto torna alle origini: una divorante fame italiana (prima del decollo economico) che ingurgita pasta a testa in giù, la bocca spalancata, gli occhi persi in un miraggio di sazietà e anche di paura per l’attacco di fame a venire. La peculiarità della scena, eternata da poster appesi in molte case italiane, sta in una ferocia particolare con cui, non si fronteggia, ma si assale il bisogno primario del cibo. Gli spaghetti come creatura da cannibalizzare, in un sacrificio al dio atroce della bocca e del ventre. Non sta mangiando un monte di pasta, ma rosicchiando per rivalsa il cranio del mondo. M’hai provocato e io ti distruggo - qui è la favola del lupo e dell’agnello - così suona la dichiarazione di guerra al piatto (si noti, al di là dell’americanata, l’estro sadico del bracciale chiodato al polso di Sordi) [...] All’icona di Un americano a Roma la tradizione figurativa arriva da lontano. Di mostri divoratori aveva popolato la fantasia italiana — accanto ai lupi, agli orchi, ai macellai delle favole europee — il Pinocchio

36 Dichiarazione di Alberto Sordi in La fiera del cinema del gennaio 1960, riportata in Moscati Camillo, “Sordi si confessa”, in Id., Alberto Sordi. Il più amato dagli italiani, Genova, Lo Vecchio, 1989, pag. 57.

di Collodi (1880-1883): da Mangiafuoco al terribile Pescecane, al Pescatore Verde, che fa fritture dei viventi capitati a tiro37.

In un suo recentissimo saggio sul cinema italiano (da cui proviene la suddetta citazione) lo storico Maurizio De Benedectis cerca di vincolare la grande produzione collettiva della stagione aurea del cinema nazionale, alla tradizione culturale italiana figurativa e letteraria. L’autore ipotizza affascinanti connessioni tra l’universo poetico di registi come Rossellini, Visconti, De Sica, Antonioni, Fellini, Pasolini ed i loro corsi di vita38. Mette, cioè, in relazione l’immaginario di questi grandi autori tanto con le traiettorie individuali, come con il proprio sentimento d’appartenenza ad istituzioni sensibili alle transizioni storiche.

Ma De Benedictis non si limita ai grandi totem della regia. Anzi, come s’evince dalla citazione considerata, il suo interesse analitico si dirige anche verso la carriera attoriale di Alberto Sordi. Perfino l’analisi delle capacità istrioniche del Nostro diventa un terreno fertile per l’applicazione dei suoi presupposti. E nello studio globale della lunga galleria sordiana di prototipi italici fa sottendere l’idea che l’identità individuale e quella collettiva si costruiscono sia nel tempo di condivisione generazionale di esperienze (relazioni con altri soggetti in cui l’individuo si riconosce e si specchia), come nel tempo storico (vale a dire come delega di un comportamento collettivo che forma parte di un continuum storico). Quindi quando Sordi afferma che molti dei suoi personaggi nascono da esperienze personali di vita occorre intendere questo “personali”

in senso molto lato. Il percorso formativo sordiano, che mi cimento ad analizzare nel presente lavoro, deve essere inteso come una traiettoria personale, certo, ma soprattutto permeabile a tutti gli altri percorsi individuali che hanno configurato l’habitat del suo lungo tirocinio. Tutta la carriera sordiana, dunque, e nel caso più specifico il periodo d’apprendistato, si considererà un cammino transizionale pieno di crocevia, continuamente intersecato con altri cammini interdipendenti:

37 De Benedictis Maurizio, “Alberto Sordi. L’attore, il mascherone e l’homunculus” in Id., Da Paisà a Salò e oltre: parabole del grande cinema italiano, Roma, Avagliano Editore, 2010, pag. 121.

38 Secondo quanto riportano le sociologhe Manuela Olagnero e Chiara Saraceno: Il corso di vita è l’insieme del modelli di vita graduati per età, inseriti nelle istituzioni sociali e soggetti a cambiamenti di tipo storico. Olagnero Manuela e Saraceno Chiara, Che vita è. L’uso dei materiali biografici nell’analisi sociologica, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1993, pag. 59.

L’individuo non dipende solo dai propri sistemi di significato, dai propri vincoli e risorse ma anche da quelli di coloro con i quali la propria traiettoria si incrocia e si interseca. Le conseguenze delle interdipendenze di questo tipo sono evidenti in maniera particolare nei momenti di transizione...39

In questa direzione Illuminante e suggestivo è il collegamento, che propone De Benedictis, tra la più famosa icona sordiana con i mostri divoratori presenti nelle Avventure di Pinocchio.

Suggestivo perché collega l’atto distruttivo del grande boccone dell’Americano a Roma alla tradizione di pitture e sculture di maschere grottesche del tardo rinascimento come l’orco del giardino delle meraviglie della villa di Bomarzo, o come il portale a forma di fauci spalancate nel volto di un gigante diabolico costruito da Federico Zuccari (1590-1594) per la casa romana di via Gregoriana che porta il suo nome.

Illuminante perché l’accostamento con i mostri voraci di Pinocchio (pare che lo stesso Lorenzini sia stato colto da infarto fulminato, durante una sua passeggiata notturna e solitaria per Firenze, dallo sguardo sardonico di una di quelle maschere grottesche) avvalora un ricordo d’infanzia sordiano dove il Nostro spiegava come proprio il capolavoro collodiano fosse stato il suo unico vero libro di formazione40.

Anche se Rodolfo Sonego insisteva sullo scarso amore letterario sordiano, vorrei seguire non tanto quella linea di pensiero per la quale Le avventure di Pinocchio sia stato uno dei pochi volumi letti dal Nostro, quanto piuttosto rilevare come proprio il capolavoro di Collodi sia stato l’unico libro citato nel lungo racconto autobiografico rilasciato, poco tempo prima di morire, a Maria Antonietta Schiavina. Dall’alto dei suoi, ormai 83 anni, nella prospettiva della lunga distanza è proprio il protagonista del nostro lavoro a discernere quegli episodi o quei particolari che, lontani dall’esperienza quotidiana, assumono un importante valore. Acquistano un profondo significato sia nella traiettoria individuale (riconoscimento del valore epifanico41 della lettura di

39 Olagnero Manuela e Saraceno Chiara in Lonardi Cristina, Raccontare e raccontarsi.

L’approccio biografico nelle scienze sociali, Verona, Qui Edit, 2006, pag. 63.

40 Cfr. Schiavina Maria Antonietta, Storia di un commediante, Milano, Zelig, 2003, pag. 14.

41 Uso qui il termine “epifania” nel senso indicato dalla sociologa Cristina Lonardi (cfr. Lonardi Cristina, Raccontare e raccontarsi. L’approccio biografico nelle scienze sociali, Verona, Qui Edit, 2006, pag. 61) vale a dire come esperienza che lascia un segno profondo nella vita dell’individuo, un’esperienza

Pinocchio) che in quella collettiva: vale a dire come ipotesi di un vincolo tra il Big Swallow sordiano e la tradizione iconografica apotropaica (rappresentazione dell’orrore per avvicinarlo agli occhi ed ai sensi ed esorcizzarlo) assai fertile e presente nell’immaginario pittorico, architettonico e decorativo delle città italiane...

... Passando per largo del Nazareno, nel centro di Roma, si ammira un palazzo nobiliare con sopra la porta una maschera, cioè un testone da belva tra l’oro e il leone, e la scritta “Cum feris ferus”, feroce coi feroci. È una pratica sintesi del carattere apotropaico. Le rappresentazioni mettono paura col richiamo a una terribile violenza, al diabolico; spesso, al contempo, vorrebbero scioglierne il carico con una catarsi generalmente comica. In molti casi le figure mostruose ridono – di scherno, di selvaggio piacere del male – ; ma il ridere è anche una reazione nello spettatore per disinnescare una parte del male42.

L’occuparsi, dunque, della biografia d’un riconosciuto protagonista della tradizione cinematografica italiana, significa considerare quello che questa stessa tradizione ha voluto essere. Significa studiare la configurazione artistico-produttiva che la medesima ha voluto darsi, attraverso la promozione di propri elementi esemplari.

Del resto Oliveros F. Otero nella redazione del suo manuale sulla scelta educativa delle biografie ad usum delphini sostiene che il criterio decisivo per l’assegnazione della patente d’esemplarità assegnata alle storie di vita43, consiste nel selezionare solo quelle che privilegiano lo sviluppo dell’aspetto umano a contatto con altri esseri umani negli avvenimenti della vita quotidiana44.

che sul momento destruttura la routine ma che acquista un importante valore solo retroattivamente, vale a dire quando il protagonista trasforma in racconto quanto gli è accaduto. (N. del A.)

42 De Benedictis Maurizio, op. cit., pagg. 128-129.

43 Senza voler condurre una sterile enunciazione tassonomica, rilevo che utilizzo il termine storia di vita considerandolo come un insieme organizzato in forma cronologico-narrativa, spontaneo o pilotato, esclusivo o integrato con altre fonti, di eventi, esperienze, strategie relativi alla vita di un soggetto e da lui trasmesse direttamente, o per via indiretta a una terza persona. Quando la terza persona raccoglie e configura il racconto in un testo la storia di vita diventa una biografia ed assume il valore di tassello di mosaico nello studio di comunità ed istituzioni (cfr. Lonardi Cristina, op. cit., pagg. 55-57).

44 Cfr. Otero Olivero F., Educar con biografías. Retazos de 33 personajes, Pamplona, Eunsa, 1997, pag. 63 (traduzione mia).

Se Erving Goffman sosteneva che ad ogni individuo le leggi della fisica concedono una biografia45 è altrettanto vero che la storia di vita acquista maggior interesse e significato quanto più la condotta giornaliera si viene a costruire su decisioni di condivisione di valori collettivi, piuttosto che alle semplici necessità personali. Perfino gli stessi racconti autobiografici (che grazie a Maria Antonietta Schiavina incontreremo ripetutamente) acquistano inteso valore quando rifuggono dall’egocentrismo, dalla apologia auto-assolutoria:

A volte prenderemo in considerazione qualcuno che ha scritto la sua propria biografia, sempre che si tratti di una vera autobiografia o di autentiche memorie. Perché ricordare la vita passata significa ricreare la vita presente prolungando all’indietro la nostra esistenza, significa uscire dalle strutture del nostro oggi46.

Dunque proprio l’assunzione della prospettiva di traiettoria collettiva, suggestiva ed illuminante, indicata da De Benedictis, impedisce di cadere nella trappola di quella che Pierre Bourdieu chiama l’illusione biografica47. Impedisce ed allerta, inoltre, sul pericolo di cedere alle lusinghe retoriche di considerare l’esistenza individuale come orientata da una chiara progettualità, come determinata da una coerente intenzionalità, alla stessa stregua d’una pura creazione agiografica.

Il sociologo francese, tendenzialmente critico con la prospettiva che lavora sulla vicinanza morfologica e semantica di storia... historia... història, riconosce la validità scientifica all’approccio biografico solo quando questo stesso si mantiene in tensione dialettica con la traiettoria collettiva della comunità che annovera il biografato tra i suoi membri e che gli conferisce il grado di esemplarità...

... il grado in cui gli individui o i gruppi sono rivolti verso il futuro o verso il passato dipende dalla loro traiettoria collettiva passata o

45 Cfr. Goffman Erving, Stigma. L'identità negata, traduzione di Roberto Giammanco, Verona, Ombre Corte, 2003.

46 Otero Oliveros F., op. cit., pag. 142 (traduzione mia).

47 Cfr. Bourdieu Pierre, Ragioni Pratiche, Bologna, Il Mulino, 1995, pag. 71.

potenziale, cioè dalla misura in cui sono riusciti a riprodurre le proprietà delle generazioni che li hanno preceduti48

Quelle di Pierre Bourdieu, tuttavia, non sono le uniche né le più feroci critiche all’uso privilegiato di biografie e narrazioni (storie... historias... històries) da parte degli studiosi di scienze sociali. Il fatto che raccontare storie di vita sia comunemente vissuto come una delle maniere più familiari di rappresentare e rappresentarsi la realtà (qualsiasi cosa si voglia intendere con questo termine)49, rende assai debole la percezione distintiva tra narrazione di aneddoti personali, genere letterario e modo di fare ricerca.

Se da un lato la nuova cornice teorica storiografica (all’interno della quale s’iscrive questo studio) beneficia della libertà d’attingere ad un repertorio amplissimo (quasi illimitato di fonti, come ricorda Gian Piero Brunetta50) dall’altro deve difendersi dalle eterne accuse di spontaneismo metodologico (secondo cui ognuno diventa autore del proprio metodo) mosse dal delirio quantofrenico degli adepti al paradigma quantitativo. Dunque, senza cadere, per concitazione polemica, nell’ortodossia opposta, nel vuoto metodologico di “tutto quanto fa biografia”, vorrei fissare alcuni punti concettuali per mantenere viva la comunicazione tra la pratica del fare ricerca (per la quale il metodo è strumentale) e la riflessione sulla pratica medesima (fare metodologia).

In questa direzione di aiuto fondamentale s’è rivelato il contributo di Cristina Lonardi ricercatrice del dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Verona, che in suo preziosissimo volume del 2006 (Id. Raccontare e raccontarsi, già

48 Bourdieu Pierre, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino, 1983, pag. 453.

49 Cfr. Niero Mauro, in Lonardi Cristina, op. cit., pag. 9.

50 Quali sono le fonti a cui lo storico può attingere e deve considerare utili al suo lavoro? Quelle filmiche, certo, hanno un ruolo privilegiato, sono il punto prospettico e il cuore della ricerca, ma non sono certo le sole. Nell’Apologia della storia o Mestiere di storico, Marc Bloch, nell’indicare l’infinitezza della varietà di testimonianze storiche, diceva: “Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce e tocca, può e deve dare informazioni su di lui”. Oggi, ogni documento utile a informare su aspetti anche minimi della civiltà o dell’homo cinematographicus ha il diritto al riconoscimento e alla dignità di fonte: sia esso documento filmico o cartaceo, manoscritto, atto amministrativo, ma sia anche qualsiasi materiale che contribuisca alla realizzazione di un film, dalle lettere dei produttori ai primi progetti di sceneggiatura, ai bozzetti per i costumi e le scenografie; o ne accompagni la vita, dalle foto di scena al corredo pubblicitario, ai manifesti, ai gadget, alle strategie pubblicitarie, agli atti censori, alle critiche giornalistiche, a tutto quel materiale che serve alla costruzione e consolidamento dei fenomeni di culto, agli effetti sociali di un film e così via. Senza dimenticare la storia orale... (Brunetta Gian Piero, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Torino, Einaudi, 2003, pag. XIII).

ripetutamente citato in nota) si è adoperata a tracciare una mappa dei diversi modi di fare ricerca ascrivibili all’approccio biografico. La dottoressa Lonardi compie una distinzione assai interessante ai fini del presente lavoro, tra approccio biografico, appunto, e metodo biografico. Con quest’ultimo termine essa intende:

l’utilizzo di documenti di vita personale, la raccolta e l’analisi di storie di vita o racconti di vita o simili, che descrivono momenti precisi o particolari rispetto a frammenti di vita; narrazioni, insomma, che vedono il soggetto narrante come autore, produttore e protagonista della narrazione. [Questo s’evince] a partire dalla definizione di Denzin di metodo biografico, secondo cui esso consisterebbe “nell’utilizzo e collezione a fini di studio di documenti di vita personale, storie, narrazioni che descrivono momenti di svolta nelle vite degli individui”51.

Anche se, come s’è detto, si può considerare tutto il periodo di formazione sordiano (“con il senno di poi”), come una macro fase di transizione, dirigere l’analisi unicamente ai “momenti di svolta”, (intesi come singoli episodi) significherebbe ridurre il vissuto del Nostro ad una serie di exploit teleologicamente determinata.

Al metodo biografico Cristina Lonardi sovrappone l’approccio biografico, come modo di condurre una ricerca basata sulla narrazione biografica. Questo, in quanto modo (e non metodo) è molto più duttile e permeabile a considerare in uno sguardo d’insieme tutto quel mosaico di documenti a cui faceva riferimento Gian Piero Brunetta.

Non solo quindi, l’attenzione del metodo biografico per la cronaca di episodi eclatanti ed avvincenti, ma l’interesse anche per il quotidiano, il contesto nel quale la narrazione di un individuo acquista e condivide significati. Più precisamente, dunque, si considera l’approccio biografico...

... come un vero e proprio approccio teorico fondato sulle storie di vita e come ambito conoscitivo forte... [che] riguarda le tecniche di

51 La dottoressa Lonardi fa riferimento alla definizione di metodo biografico presa in prestito da Normand K. Denzin e Yvonna S. Lincoln vale a dire il lavoro di raccolta di “documenti di vita” che descrivono momenti di svolta nelle esistenze degli individui (cfr. Denzin Normand K. e Lincoln Yvonna S., “Interpretative Biografy”, Qualitative Research Method, London, Sage Publications, 17, 1989, in Lonardi Cristina op. cit., pag. 49).

raccolta dei racconti. Pur collocandosi indubbiamente fra le tecniche qualitative, i modi in cui le storie e i racconti sono distillati acquistano denominazioni diverse (intervista biografica, storia di vita, racconto di vita, autobiografia, etnobiografia, etc.), indicando strumenti diversi e tuttavia simili, che via via gli studiosi hanno affinato, tracciando così delle strade entro il vasto territorio dell’approccio biografico. Si intravede qui un modo di avvicinare la realtà, in senso sociologico, attraverso un atto relazionale ben preciso: l’atto del narrare. La narrazione come atto di costruzione sociale permette infatti di capire come gli individui conferiscano senso alle loro esperienze; come si costruisca la realtà simbolica che restituiscono nei racconti; come attribuiscano una logica agli eventi stabilendo continuità temporali, causali, formali; come le persone strutturino ciò che per il ricercatore è ignoto, senza dimenticare che “ogni comprensione è necessariamente mediata da significati che non sono costruiti solamente dal sé” e, soprattutto, senza dimenticare che

“non si tratta... di cercare di comprendere un particolare individuo, ma un frammento di realtà storico-sociale...”52.

L’approccio biografico, quindi, si propone di considerare con interesse i racconti di vita (story life) vale a dire gli episodi, gli aneddoti, i testi, insomma, in cui si privilegia quell’elemento accidentale che fa scorrere la narrazione. Ma, parimenti, si occupa anche e soprattutto delle storie di vita (history life) dove il particolare viene osservato nella sua contingenza, perché anche i racconti più originalmente individuali, per essere compresi appieno, devono essere osservati nella struttura di cui fanno parte.

Le azioni e le decisioni, più o meno eclatanti, devono essere considerate dentro al proprio gruppo politico e storico, dentro l’appartenenza culturale da cui derivano e a cui s’attengono.

Quando il sociologo Paolo Jedlowski nella sua apologia dell’approccio biografico afferma che...

52 Cristina Lonardi (Id., op. cit., pagg. 49-51, nel suddetto frammento fa proprie le parole di Ricoeur Paul (Id., Tempo e racconto, Volume III, Milano, Jaka Books, 1988) e di Bertaux Daniel [Id.

“Racconti di vita”, in Bichi Rita (curatrice), Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Milano, Franco Angeli, 1998].

... perché vi sia una storia ciò che conta è l’istituzione di una distanza... separare la storia dal presente di chi narra e di chi ascolta...

una storia ha a che fare con la particolarità e con la contingenza... il discorso scientifico tende all’universale, quello narrativo al particolare...

sono due tensioni diverse53...

... sembra proprio materializzare un augurio di Gian Piero Brunetta. Un auspi- ciò secondo il quale si potesse finalmente studiare in profondità la tradizione cinematografica italiana (tradizione dalla straordinaria capacità di leggere le storie reali ed immaginarie della società raccontata) appoggiandosi a strumenti presi in prestito da altre discipline. Tra i nuovi impieghi di dispositivi esogeni (in grado d’esplorare in profondità la storia del cinema italiano, di rimisurare i rapporti interni e di ridefinire i confini territoriali) sembra sia scesa la luce pentecostale proprio sull’approccio biografico. La predilezione di questo modus operandi per la prospettiva della lunga distanza, la valorizzazione della vicinanza, della sovrapposizione quasi l’incastro tra racconti e storie (storie... historias... històries), lo converte in attrezzo privilegiato del nuovo spirito storiografico, che considera, il proprio oggetto di studio, appunto, frammentario e discontinuo come un puzzle incompiuto.

1.5. “Colpa tua! Bell’idea regalarmi un gioco di pazienza [jigsaw puzzle]!”

54

La biografia è un pezzo del mosaico costituito dallo studio di comunità e di istituzioni, tassello indispensabile per testare le assunzioni implicite che si fanno nella routine della ricerca a proposito degli esseri umani55.

53 Jedlowski Paolo, Storie comuni. La narrazione nella vita quotidiana, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pagg. 8-9.

54 Animoso rimprovero diretto a Stanlio (Stan Laurel) in Me and My Pal (Charley Rogers - Lloyd French, 1933) da Ollio (Oliver Hardy) naturalmente doppiato da Alberto Sordi.

55 Becker Howard S., “The life story and the scientific mosaic”, in Id., Sociological Work.

Method and Substance, Allen Lane, The Penguin Press, 1970.

In un ambito di studi sordiani, parlare di puzzle, di gioco di pazienza, incompiuto fa venire in mente il cortometraggio Me and My Pal (Charley Rogers - Lloyd French, 1932) uscito in Italia nel 1947 con il titolo di Il regalo di nozze56. L’argomento del film (interpretato da Stan Laurel e Oliver Hardy di cui il Nostro sarà il più famoso doppiatore in questo e gli altri film della coppia di comici statunitensi) sviluppa tutta una serie di inconsci e maldestri tentativi condotti da Stanlio per ritardare (e mandare a monte) il matrimonio dell’amico con la figlia del magnate Pietro Cocomero (interpretato dal baffone James Finlayson).

Se l’invio di una corona funeraria al posto del bouquet della sposa, causa

Se l’invio di una corona funeraria al posto del bouquet della sposa, causa

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