• Aucun résultat trouvé

I testamenti di una “strega di Dio” : la beata Caterina da Racconigi (1486-1547)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Partager "I testamenti di una “strega di Dio” : la beata Caterina da Racconigi (1486-1547)"

Copied!
33
0
0

Texte intégral

(1)

HAL Id: hal-01694099

https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01694099

Submitted on 26 Jan 2018

HAL is a multi-disciplinary open access archive for the deposit and dissemination of sci- entific research documents, whether they are pub- lished or not. The documents may come from teaching and research institutions in France or abroad, or from public or private research centers.

L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est destinée au dépôt et à la diffusion de documents scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, émanant des établissements d’enseignement et de recherche français ou étrangers, des laboratoires publics ou privés.

da Racconigi (1486-1547)

Elisabetta Lurgo

To cite this version:

Elisabetta Lurgo. I testamenti di una “strega di Dio” : la beata Caterina da Racconigi (1486-1547).

Quaderni Storici, Il Mulino, 2009, p. 827-58. �hal-01694099�

(2)

QUADERNI STORICI 132 / a. XLIV, n. 3, dicembre 2009

Le fonti che permettono di ricostruire le vicende biografiche delle misti- che rinascimentali sono essenzialmente letterarie e rappresentano una tipo- logia testuale molto particolare, quella delle legende agiografiche. L’accosta- mento di queste ultime a fonti di diversa natura, tuttavia, rivela significativi punti di convergenza che consentono di evidenziare con maggior chiarezza l’apporto degli agiografi alla costruzione di un personaggio esemplare. Il contributo, partendo dall’analisi dei testamenti dettati dalla mistica Caterina da Racconigi, appartenente all’ordine della penitenza domenicano, intende gettare luce sul modo in cui laici ed ecclesiastici, di ogni ceto sociale e livello culturale, percepivano le donne che, emergendo come personaggi dotati di carisma «profetico», si ponevano come mediatrici fra il pubblico e il gruppo che le appoggiava. Non si tratta, in questo caso, di atti notarili redatti per contribuire alla fama sanctitatis di Caterina: essi spostano, dunque, lo sguardo verso un contesto diverso da quello agiografico. I testamenti di Caterina non costituiscono un discorso attraverso cui i consumatori e i promotori della sua santità agiscono per certificarne l’autenticità: in essi Caterina agisce al- l’interno di un contesto sociale estremamente complesso, caratterizzato da una pluralità di riferimenti politici, nel quale emergono conflitti e reti di relazioni familiari.

x x

Nell’aprile del 1546 la «veneranda domina soror Catharina de Mat- theis Raconixio orta, tertii ordinis Sancti Dominici ordinis praedicato- rum vite regularis», la cui fama di mistica e taumaturga era da tempo diffusa aldilà dei confini del suo borgo natale, dettava il suo ultimo te- stamento: la morte l’avrebbe colta nel settembre dell’anno dopo, dando luogo ad aspre liti, che sarebbero sfociate in una causa giudiziaria, fra coloro che si contendevano la sua eredità, materiale e spirituale.

Le fonti che permettono di ricostruire la vicenda di Caterina, la

quale, secondo una tipologia delineata tempo fa, è stata considerata

(3)

come una delle «profetesse di corte» che avrebbero agito nelle corti re- gionali dell’Italia rinascimentale

1

, sono essenzialmente letterarie: queste ultime rappresentano una particolare tipologia testuale, quella delle le- gende agiografiche

2

. Ma una parte importante del corpus documentario riguardante Caterina da Racconigi è rappresentato da fonti non lette- rarie, in particolare dai testamenti, rogati in almeno quattro momenti diversi della sua vita

3

. Non si tratta, in questo caso, di atti notarili redatti per contribuire alla fama sanctitatis di Caterina, in vista dell’apertura di un processo di canonizzazione

4

: essi spostano, dunque, lo sguardo verso un contesto diverso da quello agiografico, che si traduce in un insieme di atti compiuti o trascritti dai promotori di un culto. I testa- menti di Caterina non costituiscono, per così dire, un discorso legale riguardante la santità, attraverso il quale i consumatori e i promotori di quest’ultima agiscono per certificarne l’autenticità: in essi Caterina non è agita ma agente, in un contesto sociale estremamente complesso, ca- ratterizzato da una pluralità di riferimenti politici, nel quale emergono conflitti e reti di relazioni familiari. Come è stato da tempo osservato, i testamenti diventano, a partire dagli ultimi secoli del medioevo, gli strumenti attraverso i quali il morente esprime la propria individualità per creare una ragnatela di rapporti fra i viventi, Dio e i defunti: in questo modo il testatore organizza e gestisce l’immagine teatralizzata della propria morte

5

. Lo status di atti di natura giuridica proprio dei testamenti non autorizza a considerarli testi neutrali, perché qualsiasi testo implica un codice di comunicazione che occorre decifrare

6

: ma essi possono aiutarci a studiare le mistiche rinascimentali non tanto come maestre spirituali o come portatrici di carismi, quanto, in primo luogo, come membri attivi e consapevoli di una comunità laica. Dal punto di vista giuridico non esiste un testamento femminile, diverso da quello maschile: ma anche i testamenti delle donne rappresentano un atto pri- vatamente libero, la manifestazione di una volontà. Nei testamenti da lei dettati, Caterina non è circondata da una corte o guidata da un principe, che si farebbe arbitro del suo carisma

7

: ella emerge piuttosto come un nodo di relazioni, un soggetto che non può essere isolato dall’ambiente entro il quale agisce, anche attraverso atti di volontà e di legittimazione quali i reiterati testamenti.

La lettura parallela delle fonti agiografiche e dei testamenti di Cate-

rina rivela significativi punti di convergenza che consentono di eviden-

ziare con maggior chiarezza l’apporto degli agiografi alla costruzione

di un personaggio esemplare, aldilà delle questioni teoriche poste dai

testi agiografici e della reciproca influenza fra le legendae delle mistiche

rinascimentali.

(4)

1. La tradizione agiografica più antica relativa a Caterina proviene dal- l’ambiente dell’osservanza domenicana: si tratta di una legenda scritta dal confessore di Caterina, Gabriele da Savigliano

8

, fra il 1520 e il 1525:

ne esistono due esemplari manoscritti, che si differenziano notevolmen- te l’uno dall’altro

9

. La seconda tradizione, più nota perché tradotta e pubblicata in almeno due edizioni a stampa, dopo il 1680 e nel 1858, è rappresentata da un Compendio delle cose mirabili riguardanti Cate- rina, scritto in latino dal suo protettore Gianfrancesco Pico della Mi- randola fra il 1528 e il 1532 – utilizzando come fonte anche la legenda domenicana – e integrato da un domenicano osservante, Pietro Martire Morelli, a partire dal 1548

10

.

I problemi che pongono queste fonti sono comuni a tutte le fonti agiografiche, in quanto «racconto mediato», che raccoglie, cioè, la voce del protagonista attraverso la palese mediazione di un interlocutore

11

. L’autore della legenda è quasi sempre il confessore della mistica di cui egli riporta le visioni e le profezie: esso ha quindi un ruolo di mediatore che offre a queste donne la legittimazione necessaria per non essere sospettate di eresia e stregoneria. Il confessore/autore può provocare lui stesso la parola della donna estatica attraverso una serie di domande:

egli, inoltre, riordina il testo che ha trascritto sottoponendolo al giudi- zio dell’autorità ecclesiastica e inserendolo all’interno di una tradizione letteraria che all’inizio del XVI secolo è ormai ampiamente consolidata.

La letteratura agiografica ha sempre una finalità apologetica o didattica, rappresentata dall’esigenza di far conoscere la vita e l’attività di una persona ritenuta santa da un gruppo più o meno numeroso di devoti:

ogni testo agiografico interpreta, quindi, una realtà culturale e religio- sa che è all’origine del suo carattere latamente politico, delle sue moti- vazioni redazionali, delle sue ambizioni pedagogiche e della sua credi- bilità nei confronti di precisi modelli culturali entrati nella mentalità degli agiografi e, quel che più conta, del loro pubblico

12

. Nello studio di testi agiografici relativi alle mistiche si pone, ovviamente, anche la questione del rapporto fra la voce femminile e il mediatore maschile: è stato osservato che delle mistiche medievali e moderne noi conosciamo soltanto ciò che un collaudato modello clericale ha voluto che sapessi- mo

13

, soprattutto quando, come nel caso di Caterina da Racconigi, la memoria e il pensiero di una mistica è affidato non a suoi scritti, ma unicamente a un’agiografia opera di un suo confessore.

Le fonti agiografiche hanno svolto un ruolo fondamentale, fino al-

l’età moderna, nella costruzione e trasmissione dell’identità religiosa e

politica

14

: esse raccolgono e promuovono tradizioni, ritratti e memorie

di personaggi dalla vita esemplare, che molto spesso rappresentano,

in realtà, lo sfondo su cui si proiettano le ideologie e le istanze del

(5)

loro agiografo

15

. Per queste ragioni è necessario interrogarsi anche sul- le motivazioni che muovevano gli agiografi di Caterina, per valutare correttamente il modello di santità da essi elaborato e presentato ai lettori.

Gabriele da Savigliano intende proporre la propria figlia spiritua- le quale esclusiva erede di Caterina da Siena, la santa ispiratrice del- l’osservanza domenicana

16

: Caterina costituiva, infatti, il modello ideale nella ricerca della perfezione, l’«exemplum sanctitatis per eccellenza»

17

, non soltanto per le donne che vivevano la propria esperienza mistica nell’alveo della spiritualità domenicana. La continuità ideale fra la santa senese e Caterina da Racconigi, tracciata nella legenda domenicana, è ribadita dal Morelli soprattutto per evidenziare la superiorità della sua protetta nei confronti di Osanna da Mantova, la «madre spirituale»

della famiglia Gonzaga. La vicinanza spirituale fra Caterina e Osanna,

già messa in luce da Gabriele da Savigliano, è ribadita da Gianfrancesco

Pico

18

, che l’aveva conosciuta di persona

19

: soltanto il Morelli, tuttavia,

sottolinea la predilezione divina per Caterina da Racconigi, rivelata a un

devoto cittadino lombardo

20

. L’obiettivo principale del Morelli – e di

coloro che avevano sollecitato la stesura di nuovi capitoli del Compendio

– era non soltanto proporre Caterina come figura fondante dell’osser-

vanza domenicana nella provincia utriusque Lombardiae

21

, un modello

di santità che potesse competere con quello rappresentato dalla santa

senese, ma anche promuovere l’apertura di un processo di beatificazio-

ne. In questa prospettiva, per il Morelli, che peraltro aveva soggiornato

a Mantova

22

, la rivale di Caterina da Racconigi era proprio Osanna,

della quale erano state stampate due biografie che avevano conosciuto

ampia diffusione

23

e il cui culto era stato riconosciuto ufficialmente già

nel 1515

24

. La tradizione agiografica relativa a Osanna era sicuramen-

te conosciuta anche dal Pico, a cui però premeva soprattutto trovare,

nei colloqui con Caterina, conferme alle proprie teorie sul «lume» che

permetteva ai veri profeti di distinguere le rivelazioni divine da quelle

false, provenienti dal demonio

25

: nel Compendio egli contrappone le

profezie della domenicana alle superstizioni dell’astrologia giudiziaria

e della divinazione pagana

26

. Non è possibile escludere, peraltro, che

Gianfrancesco fosse mosso anche da motivazioni più personali quando

decise di mettere per iscritto le «cose mirabili» che si raccontavano su

Caterina: fra il 1522 e il 1523 egli aveva, infatti, partecipato attivamente

ai processi contro uomini e donne accusati di stregoneria che si erano

celebrati alla Mirandola, decretandone la morte sul rogo

27

. I processi,

presieduti da Gianfrancesco Pico, furono celebrati alla Mirandola dal-

l’inquisitore domenicano Girolamo Armellini da Faenza e dal suo vica-

rio, il fiorentino Luca Bettini, che, insieme a Gianfrancesco, aveva aper-

(6)

tamente difeso la memoria di Savonarola al Concilio Laterano

28

. I con- dannati alla pena capitale furono circa una decina, ma più di sessanta persone furono coinvolte a vario titolo e condannate a pene più o meno lievi. Molti abitanti della Mirandola cercarono di aiutare gli imputati, quasi tutti appartenenti a famiglie notabili, ed espressero disapprova- zione per l’operato degli inquisitori e per l’appoggio loro garantito da Gianfrancesco. Quest’ultimo, per motivare la propria condotta anche davanti ai suoi numerosi amici umanisti, scrisse il dialogo in tre libri Strix sive de ludificatione daemonum: in esso un dotto, personificazione di Gianfrancesco, un giudice e un loro amico, dapprima diffidente ver- so gli inquisitori, interrogano una donna condannata per stregoneria.

Il dialogo fu scritto da Gianfrancesco tra il marzo e l’aprile del 1523, periodo in cui si svolsero la maggior parte dei processi, e fu stampato, a cura del domenicano Leandro Alberti, nel maggio dello stesso anno

29

. Esso, tradotto dallo stesso Alberti e ristampato nel 1524

30

, costituisce la prima opera teorica in lingua italiana sulla stregoneria. Qualche anno più tardi, riordinando ciò che aveva letto su Caterina e aggiungendovi quello che aveva appreso dialogando con lei, Pico propose un modello di santità femminile, quello di una profetessa e «strega di Dio»

31

, che doveva rappresentare l’esatto opposto delle streghe che si recavano al sabba, il «giuoco di Diana o d’Erodiade»

32

.

x

2. I caratteri delle fonti agiografiche fin qui messi in luce suggerisco- no l’utilità di integrare la loro analisi con l’utilizzo di fonti non lette- rarie e in particolare con la lettura dei testamenti, il più antico dei quali fu rogato il 4 aprile del 1516 a Racconigi, nella casa natale di Caterina, sita nel quartiere di San Giovanni, vicino alle mura del ca- stello signorile e a pochi passi dalla parrocchiale di San Giovanni Bat- tista

33

.

Caterina de Matheis era nata a Racconigi, borgo del Piemonte do-

minato da un ramo cadetto dei Savoia-Acaja

34

, nel giugno 1486

35

. Il suo

rigidissimo ascetismo, gli eccezionali fenomeni mistici di cui sarebbe

stata protagonista

36

, insieme alle doti profetiche e taumaturgiche che le

erano attribuite, le avevano suscitato l’ammirazione di potenti signori

laici, ma l’avevano anche resa oggetto di violente ostilità. La fama di

Caterina, legata probabilmente soprattutto alla sua attività taumaturgi-

ca, doveva essere già piuttosto diffusa intorno al 1514, prima del suo

ingresso nell’ordine domenicano: in questo periodo, infatti, secondo gli

agiografi, fu convocata dal tribunale dell’Inquisizione, presso San Do-

menico a Torino, con l’accusa di eresia e di stregoneria. Si può pensare

che la convocazione fosse la conseguenza di una o più denunce presen-

tate contro di lei da qualcuno che la sospettava di pratiche diaboliche,

(7)

assimilate quasi sempre all’eresia, o che, forse, era rimasto deluso dopo essersi rivolto a Caterina per ottenere qualche beneficio

37

. Su questo episodio, che si sarebbe concluso con l’assoluzione di Caterina, non è stata finora reperita alcuna testimonianza documentaria e occorre, dunque, affidarsi alle fonti agiografiche

38

: è possibile che i domenicani l’avessero convinta ad affiliarsi al loro ordine proprio dopo l’assoluzio- ne, per sfruttarne la fama a proprio favore.

Nel 1523, dopo la morte del principale protettore di Caterina, il signore di Racconigi Claudio, il suo successore l’avrebbe bandita dal paese, costringendola a rifugiarsi nella vicina Caramagna: negli stessi anni Caterina riuscì a guadagnarsi la stima di Gianfrancesco Pico, che la ospitò più volte nei suoi castelli della Mirandola e di Roddi d’Alba. Ca- terina morì a Caramagna nel settembre del 1547, disponendo di essere sepolta nella chiesa del convento domenicano di Garessio, dominio dei marchesi di Ceva, da cui proveniva il suo ultimo direttore spirituale, Pietro Martire Morelli.

Nell’anno in cui dettò il suo più antico testamento, Caterina, rima-

sta orfana

39

, viveva nella casa paterna con due compagne, secondo la

regola dell’ordine della penitenza domenicano

40

: con loro si dedicava

alla preghiera e alla tessitura della seta, attività diffusa fra le donne di

Racconigi, dove, fin dalla metà del XV secolo, erano presenti maestran-

ze specializzate nella lavorazione serica

41

. Secondo gli agiografi i primi

mesi del 1516 erano stati per Caterina un periodo di grandi tentazioni

carnali e intense esperienze mistiche, che sarebbero culminate, il primo

maggio di quell’anno, nella quarta estrazione del suo cuore da parte di

Cristo: Caterina sarebbe rimasta priva di cuore, con la piaga aperta nel

petto, fino alla festa di San Giovanni Battista, quando Cristo le avrebbe

restituito l’organo purificato e «splendente d’amore»

42

. Nel testamento

compaiono i due fratelli di Caterina, Antonio e Pietro de Matheis, che

esercitavano la professione di fabbri come il padre

43

, ai quali Caterina

lasciò loro la proprietà della casa in cui viveva, recentemente ristrut-

turata

44

. Gli altri beneficiari nominati nel testamento sembrerebbero

essere tutti parenti della madre di Caterina, Bilia de’ Ferraris, a parte

tre sorores, sicuramente consorelle domenicane, a cui Caterina lasciò

alcune suppellettili di sua proprietà

45

. Poco tempo dopo aver dettato

il testamento Caterina si affrettò a recidere gli ultimi obblighi verso i

due fratelli, che le lasciarono la piena proprietà della casa e dei residui

beni paterni e materni dietro il pagamento di 20 fiorini di Savoia

46

. Ca-

terina nominò suoi eredi universali ed esecutori del testamento i frati

del convento di San Vincenzo a Racconigi, presso la cui chiesa dispose

di essere sepolta

47

.

(8)

Il convento domenicano di Racconigi, intitolato al frate catalano Vincenzo Ferrer, che aveva predicato in Piemonte all’inizio del XV secolo

48

, era stato fondato nel 1506 da Claudio, signore di Racconigi dal 1503

49

. Quest’ultimo, figlio di Francesco di Racconigi e Caterina de Seyssel, ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politiche del ducato di Savoia. Nel 1476 Claudio aveva sposato Ippolita Borromeo, riceven- done una ricca dote, che aveva prestato a Iolanda, sposa di Amedeo IX di Savoia, in cambio del feudo di Sommariva Bosco e del governatora- to di Vercelli. Nel 1479 aveva agito come rappresentante della nobiltà piemontese presso il re di Francia Luigi XI contro le pretese dell’ari- stocrazia savoiarda, che rifiutava di eleggere dei nobili cismontani per affiancare il nuovo duca Filiberto I: tre anni dopo, nel 1482, Claudio era stato proclamato maresciallo di Savoia. Il successore di Filiberto sul trono ducale, Carlo I, si dimostrava più favorevole alla nobiltà savoiarda contro quella piemontese, della quale Claudio era ormai un esponente di spicco

50

: il duca l’aveva quindi privato della carica di maresciallo, intimandogli di consegnare Sommariva Bosco. Claudio, rifiutandosi di obbedire, si era rifugiato a Saluzzo presso il marchese Ludovico II: nel 1486 era riuscito a occupare Sommariva e a impossessarsi nuovamente di Racconigi, Pancalieri e Cavour, alleandosi con il marchese di Saluzzo nella contesa fra quest’ultimo e il duca di Savoia per i diritti sul mar- chesato del Monferrato

51

. Nel dicembre dello stesso anno Racconigi era stata assalita dalle truppe ducali e la comunità aveva dovuto pagare un cospicuo riscatto per evitare il saccheggio

52

: l’assedio è ricordato anche da Gabriele da Savigliano, agiografo di Caterina, che sottolinea come quest’ultima fosse nata in un tempo di «tribulationi et guerra» per il paese

53

. Nel marzo 1487 il duca di Savoia aveva concesso la grazia alla comunità di Racconigi e tre anni dopo, con la morte di Carlo e l’inizio della reggenza di Bianca del Monferrato per il figlio Carlo Giovanni Amedeo, Claudio aveva ottenuto la restituzione di Sommariva Bosco e del governatorato di Vercelli, insieme a una pensione ducale di mil- le fiorini

54

. Secondo gli agiografi di Caterina, Claudio avrebbe voluto patrocinare la fondazione di una comunità francescana osservante, ma non era riuscito nel suo intento: dopo un tentativo fallito presso gli agostiniani, si era infine rivolto ai domenicani osservanti, con i quali aveva avuto contatti durante un soggiorno a Milano

55

. Il priore del con- vento riformato di San Giovanni Battista a Saluzzo

56

aveva accettato di istituire una vicaria a Racconigi, inviando alcuni frati

57

guidati da Domenico da Bra, che sarebbe diventato direttore spirituale di Claudio di Racconigi e di Caterina

58

.

Nel suo testamento Caterina lasciò il proprio corpo ai frati predi-

catori di Racconigi, ma dispose una donazione da destinare «ecclesis

(9)

dicti loci Raconixii videlicet: Sancti Vincentii, Sancti Joannis, Sancte Trinitatis et nostre Domine de gratia et omnibus confrariis»

59

: in questo modo Caterina riuniva sotto il proprio patrocinio il clero secolare e regolare di Racconigi, rappresentato dai domenicani, dai serviti e dai carmelitani, e le confrarie che rappresentavano i tre quartieri in cui era divisa la comunità

60

.

La volontà, dimostrata da Caterina, di associarsi anche ai carmeli-

tani e, soprattutto, ai serviti, nonostante la predilezione per l’ordine

domenicano, è molto significativa: nell’aprile 1516, infatti, era ancora

in pieno svolgimento un’annosa causa fra i serviti e i frati predicatori di

Racconigi, che si trascinava ormai da un decennio. I carmelitani erano

giunti a Racconigi con il patrocinio del padre di Claudio, Francesco, alla

fine del XV secolo, stabilendosi sul confine del quartiere Macra, vicino

alle sponde del torrente Maira

61

; il luogo era quello in cui, nel 1493, un

pastore sordomuto aveva raccontato di aver visto la Vergine, che l’ave-

va guarito e aveva chiesto che fosse costruita una chiesa dedicata alla

Madonna del Carmine

62

. A giocare un ruolo chiave nell’organizzazione

politica di Racconigi erano però i serviti, i quali risultano presenti a

Racconigi, che nell’organizzazione territoriale dell’ordine era parte del-

la provincia di Genova, almeno dagli ultimi decenni del XIV secolo

63

.

Forti dell’appoggio di Ludovico, figlio illegittimo di Ludovico d’Acaja

e capostipite della famiglia dei Savoia-Racconigi

64

, i servi di Santa Maria

si imposero, infatti, come la più influente comunità religiosa del borgo

fino agli inizi del Cinquecento. La loro chiesa, dedicata alla Santissima

Trinità, era il luogo di sepoltura dei signori di Racconigi: a questi ap-

partenevano la cappella di Tutti i Santi e quella della Passione di Gesù

Cristo, dove avevano il sepolcro, mentre le altre cappelle erano proprie-

tà delle famiglie notabili della comunità

65

. La chiesa servita svolgeva

anche funzioni civili e funse da palazzo comunale fino alla metà del XVI

secolo: il nuovo signore di Racconigi, una volta ottenuta l’investitura dal

duca di Savoia, si presentava alla popolazione e riceveva il giuramento

di fedeltà da parte dei sudditi sedendo sulla soglia della porta che colle-

gava la chiesa al chiostro del convento servita, come fece ancora Filippo

di Racconigi nel 1537

66

. La comunità servita non fu estranea, molto

probabilmente, neppure allo sviluppo di un’embrionale industria serica

a Racconigi e all’introduzione della coltura del gelso sul territorio tra la

fine del XV secolo e l’inizio del XVI

67

. Le prime esperienze spirituali di

Caterina si erano svolte, non a caso, sotto la direzione dei servi di Santa

Maria

68

: il suo primo confessore abituale era stato il servita Alessandro

da Monticello

69

. La predilezione dimostrata da Claudio di Racconigi

per i domenicani osservanti causò, ovviamente, forti malumori nella

comunità servita: tanto più che Claudio aveva promesso, nell’atto di

(10)

fondazione del convento, di concedere ai domenicani l’importante be- neficio della chiesa di Santa Maria del Castello, con quaranta giornate di terra ad essa appartenenti

70

. La chiesa di Santa Maria del Castello, situata all’interno delle mura del palazzo signorile, era stata concessa in giuspatronato a Ludovico di Racconigi dal papa Eugenio IV nel 1438 e i diritti su di essa erano poi stati confermati ai suoi successori

71

. Essa era la gestione affidata a un cappellano scelto direttamente dal signore al- meno fino alla seconda metà del Cinquecento

72

e vi officiavano i serviti, mentre la gestione dell’edificio fu di competenza, dall’inizio del XVI secolo, della confraternita di Santa Croce, con la quale i frati avrebbero avuto numerosi contrasti fino ai primi decenni del Settecento

73

.

Lo studio comparato delle fonti documentarie e agiografiche, tut-

tavia, suggerisce che l’ostilità dei servi di Santa Maria verso i dome-

nicani osservanti avesse radici profonde e di antica data, che vanno

cercate, molto probabilmente, nel complesso tessuto politico e sociale

della comunità racconigese. Sebbene gli agiografi presentino, infatti,

la venuta dei domenicani a Racconigi come un evento miracoloso e

inatteso, dovuto all’intercessione di Caterina presso Claudio

74

, sembra

che, in realtà, almeno dalla seconda metà del XV secolo i domenicani

avessero tentato di insediarsi a Racconigi, appoggiati fra l’altro dalla

famiglia Burdino, che aveva una notevole influenza nella comunità. Un

membro di questa famiglia di notabili, Bernardo Burdino, aveva acqui-

stato nel 1475, sul sito in cui sarebbe stato costruito il convento, alcuni

terreni perché i frati predicatori vi si insediassero: e già undici anni

prima un altro notabile di Racconigi, Giacomo Barzella, aveva lasciato

nel suo testamento alcuni terreni da destinare alla costruzione di un

convento domenicano

75

. I Burdino sembrano essere stati fra i maggiori

promotori dell’insediamento domenicano a Racconigi, peraltro devoti

di Caterina: Gabriele da Savigliano afferma che, quando fu scelto il

luogo dove sarebbe sorto il convento, una certa Costanza, «moglie del

speciale dottore messer Ludovico Burdino», aveva esultato perché ve-

deva esaudirsi il desiderio del defunto marito ed era stata liberata da

una grave malattia, per cui Caterina «non si poteva contenir per gran

iubilo et gaudio di core»

76

. I membri di questa famiglia si erano già

scontrati con i serviti, ai quali pure apparteneva uno di loro: fu pro-

prio «Iohannes Burdino, sacre theologie doctor ordinis fratrum beate

Marie Virginis conventus Sancte Trinitatis loci Raconixii», a vendere

a Claudio quindici giornate di terra per l’edificazione del convento di

San Vincenzo

77

. È interessante, infatti, notare che nel 1495 un Giovanni

Burdino, definito «nobilis», confessò pubblicamente di aver rubato e

bruciato molte carte e alcuni libri di conti appartenenti alla comunità

di Racconigi, custoditi nell’archivio dei serviti: nella confessione, regi-

(11)

strata da un notaio comunale, il suo gesto si configura come un vero e proprio atto di sabotaggio, compiuto per danneggiare la reputazione della comunità servita

78

.

I serviti e i carmelitani risultano in causa contro i domenicani già nel gennaio del 1508, per la precedenza nelle processioni, in particolare in quelle del Corpus Domini e della Passione: i carmelitani si ritirarono quasi subito, mentre furono i serviti, significativamente, a insistere e ad appellarsi al vescovo di Torino contro il prevosto della collegiata di Santa Maria di Saluzzo, al quale era stata affidata la risoluzione del contenzioso. Nel maggio del 1516, infine, fu emessa la sentenza dal car- dinale Marco di Senigallia, delegato da Roma, che riconobbe il diritto di precedenza ai frati predicatori

79

. Nei decenni successivi i serviti per- sero gradualmente la loro posizione di preminenza, anche se l’ultimo dei signori di Racconigi, Bernardino II, morto nel 1605, e sua moglie disposero ancora di essere sepolti nella cappella di famiglia nella chiesa della Santissima Trinità

80

. Claudio confermò la propria predilezione per i domenicani con successive donazioni destinate all’ampliamento della chiesa e del convento dei frati predicatori

81

ed eleggendo come propria sepoltura la chiesa di San Vincenzo

82

.

Nonostante il favore del signore, i domenicani dovettero fronteg-

giare, a quanto sembra, fortissime ostilità provenienti anche dalla co-

munità laica e, molto verosimilmente, da chi appoggiava la causa servi-

ta

83

: queste resistenze traspaiono in modo evidente nelle fonti agiogra-

fiche, in cui l’insistenza sulle difficoltà incontrate dai frati a Racconigi

va ben oltre il topos agiografico del santo e dei suoi seguaci vittime

di persecuzioni da parte dei nemici, istigati dal demonio. Se il confes-

sore servita di Caterina, quando quest’ultima gli rivelò l’intenzione di

associarsi a un ordine religioso, le consigliò naturalmente di porsi sotto

la guida dei servi di Santa Maria

84

, molte altre persone, secondo gli

agiografi, cercarono di dissuaderla dall’idea di diventare penitente do-

menicana, perché i frati predicatori erano stati invitati a Racconigi da

Claudio contro la volontà della popolazione

85

. Dalle fonti agiografiche,

in effetti, si ha l’impressione che non pochi considerassero l’arrivo dei

domenicani a Racconigi come un capriccio del signore, ragion per cui

la loro permanenza in paese non sarebbe durata a lungo

86

. È molto ve-

rosimile che fossero soprattutto i serviti a istigare la popolazione contro

i domenicani: ma qualche resistenza doveva provenire probabilmente

anche dal clero secolare, che si vedeva quasi sempre danneggiato dalla

propagazione degli ordini mendicanti e delle osservanze su un territo-

rio. L’insediamento di un ordine mendicante, infatti, oltreché sottrarre

il monopolio della predicazione ai preti secolari, causava la modifica-

zione del tessuto parrocchiale in cui si inseriva l’edificio conventuale: i

(12)

domenicani, in particolare, a partire dal XV secolo tesero ad assumersi direttamente i compiti parrocchiali sotto la guida del priore, reciden- do così ogni legame con l’autorità diocesana

87

. Negli anni intorno al 1520, comunque, i frati dovevano essere ormai riusciti ad appianare i contrasti con i ceti dirigenti e probabilmente anche a guadagnarsi la fiducia della popolazione, perché durante la peste che colpì il territorio pedemontano fra il 1521 e il 1522 la comunità decise di votarsi al santo patrono di Racconigi, Giovanni Battista, ai santi Pietro e Paolo e all’

ispiratrice dell’osservanza domenicana, Caterina da Siena: nel 1524, in adempimento del voto, fu commissionato al pittore Manuele Genoni- xio, altrimenti ignoto, un quadro rappresentante i quattro santi, che fu posto in una cappella della chiesa di San Vincenzo

88

.

x

3. Le difficoltà incontrate dai frati predicatori nei loro primi anni a

Racconigi sono affiancate, nella fonte domenicana, alle ostilità di cui fu

oggetto Caterina. Nel 1523 Caterina fu bandita dal paese e dai domini

dei Savoia-Racconigi su ordine del nuovo signore Bernardino, per ra-

gioni che restano in gran parte oscure

89

: Caterina si rifugiò a Carama-

gna Piemonte, dominio della francese Claudia di Miolans, nipote di Ur-

bano, abate commendatario dell’abbazia benedettina di Caramagna

90

.

Durante la breve signoria di Bernardino probabilmente gli stessi frati

di Racconigi non ebbero vita facile: il bando contro Caterina, secondo

gli agiografi, fu revocato dopo meno di un anno

91

, ma è interessante

notare che nello stesso periodo il vicario del convento di San Vincenzo

e devoto confessore di Caterina, Agostino da Reggio, si preoccupasse di

non vedere confermati i benefici e i diritti dei frati sulle terre concesse

loro da Claudio

92

. Le opposizioni nei confronti di Caterina, protetta dal

defunto signore ma evidentemente non molto apprezzata da Bernardi-

no, provenivano anche dai vertici dell’osservanza domenicana: al bando

da Racconigi, infatti, si aggiunse il divieto di frequentare i conventi e le

chiese della Congregazione lombarda, prolungatosi per due anni

93

. A

quel punto Caterina si ritrovò abbandonata anche dai frati, come peral-

tro, secondo gli agiografi, le era stato preannunziato

94

: molti suoi com-

paesani l’avevano derisa mentre si allontanava da Racconigi e qualcuno

avrebbe persino tentato di ucciderla

95

. Risale probabilmente a questo

periodo di temporaneo distacco dai domenicani di Racconigi, nominati

eredi universali nel 1516, il secondo testamento di Caterina di cui ab-

biamo notizia, rogato a Caramagna dal notaio Secondino Morreta: esso

fu annullato da un nuovo testamento, dettato da Caterina nella sala ca-

pitolare del convento di San Vincenzo il 31 marzo 1535

96

. Nonostante le

difficoltà passate, infatti, Caterina si riavvicinò ai frati predicatori e alla

comunità racconigese: i testimoni dell’atto furono quattro domenicani,

(13)

verosimilmente provenienti dal convento di San Vincenzo, e alcuni abi- tanti di Racconigi. Contrariamente all’uso, nell’invocazione che intro- duce il testo Caterina non si rivolse al santo patrono di Racconigi, Gio- vanni Battista, ma ai santi Vincenzo Ferrer, Pietro Martire da Verona, inquisitore domenicano ucciso nel 1272, e Girolamo

97

. Se il primo può essere considerato una scelta abbastanza ovvia, essendo a lui intitolata la chiesa conventuale, gli ultimi due appartenevano al pantheon perso- nale di Caterina, secondo le fonti agiografiche: i due santi, infatti, le erano stati assegnati come padri spirituali da Cristo, insieme a Caterina da Siena

98

. Agostino da Reggio, allora residente nel convento riformato di Santa Anastasia a Verona, fu designato come erede universale dei beni di Caterina, che, in caso di decesso del frate, sarebbero stati divisi fra gli eredi di quest’ultimo e il convento di San Vincenzo

99

. Lasciti erano previsti anche per la consorella di Caterina, Osanna de Capellis di Caramagna

100

, per sua nipote e per il figlio di quest’ultima

101

. Caterina dispose di essere sepolta nella chiesa di San Vincenzo, all’interno della cappella del Rosario, da lei stessa fondata, per la manutenzione della quale lasciava seicento fiorini di Savoia

102

, ma non dimenticò neppure questa volta le altre chiese e confrarie di Racconigi, per le quali dispose lasciti di minore entità

103

. Fra i testimoni dell’atto c’era il frate Pietro Martire Morelli, che nell’ultimo testamento di Caterina sarebbe stato nominato suo erede universale: il 29 aprile del 1546, infatti, Caterina dettò un nuovo testamento, mentre si trovava ospite a Garessio in casa di un suo devoto, Antonio Torelli

104

. In quest’ultimo testamento sparì ogni accenno ai domenicani di Racconigi: Caterina appare circondata esclusivamente dalla comunità di Garessio, dove esisteva un altro con- vento domenicano, anch’esso intitolato a Vincenzo Ferrer.

Il convento di Garessio era stato edificato, per volontà dei mar- chesi di Ceva, Bonifacio e Giovanni, a partire dal 1480: i frati vi si erano insediati nel 1487, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dal papa Innocenzo VIII

105

. L’edificio conventuale era stato costruito sul luogo dove già si trovavano tre cappelle, una delle quali dedicata a Bernar- dino da Siena, che erano proprietà del comune: queste ultime erano state motivo di forti contrasti fra le autorità comunali e il parroco del- la chiesa di Santa Maria del Borgo, Giovanni Francesco dei marchesi di Ceva, che le aveva unite alla parrocchiale e ne godeva i proventi.

Nel 1488 era stato raggiunto un accordo con il parroco, che avrebbe

avuto metà dei guadagni derivanti dai funerali officiati dai domenicani,

obbligo dal quale i frati furono assolti con la morte di Giovanni Fran-

cesco

106

. Nel 1513 la comunità di Garessio chiese la sostituzione dei

frati conventuali con gli osservanti: la richiesta fu accolta da Leone X

(14)

nel 1514

107

e tre anni dopo i frati osservanti fecero il loro ingresso nel convento

108

.

Da Garessio proveniva, come si è visto, Pietro Martire Morelli, ul- timo confessore di Caterina e suo agiografo

109

, che fu da lei designato esecutore delle sue ultime volontà: i tre testamenti di Caterina testimo- niano, dunque, il progressivo logorarsi dei suoi rapporti con la comunità e i frati di Racconigi, al temporaneo riavvicinamento con i quali non era stata estranea, molto probabilmente, l’influenza di Agostino da Reggio.

La prima impressione che si potrebbe ricavare dalla lettura dell’ultimo testamento è che la gestione del patrimonio di Caterina fosse ormai saldamente nelle mani dei frati di Garessio, guidati dal Morelli e dalla sua numerosa famiglia, che circondava Caterina durante la dettatura del testamento

110

. Pietro Martire Morelli avrebbe costruito sapientemente la fama sanctitatis di Caterina dopo la sua morte, custodendone la me- moria e promuovendone il culto: egli stesso, come già il Pico, aveva certificato tramite atti notarili la realtà di fenomeni come le stigmate sul corpo di Caterina e le testimonianze di chi l’aveva conosciuta o era stato da lei guarito

111

. Il frate si preoccupò inoltre di completare l’opera del Pico, integrando il suo racconto con i propri ricordi e, soprattutto, tentando di porre sotto una luce nuova alcuni aspetti del misticismo di Caterina che avrebbero potuto creare difficoltà nella chiesa tridentina, in particolare il suo carisma profetico, messo in grande evidenza da Gianfrancesco Pico

112

. Il Morelli riprese largamente il tema nelle sue in- tegrazioni al Compendio, giustificando predizioni di Caterina rivelatesi inesatte e reinterpretandone altre, di cui accentuò, molto probabilmen- te, il carattere filofrancese

113

: del resto egli stesso avrebbe dedicato una delle sue opere a Margherita di Valois, moglie di Emanuele Filiberto e discendente da quella stirpe regale francese che aveva ricevuto «lo stendardo chiamato fiamma d’oro» da Cristo

114

.

Caterina, tuttavia, come domina testatrix, non è affatto un soggetto

passivo: sembra quasi, anzi, che essa utilizzi ripetutamente il testamento

come uno dei pochi mezzi per imporre la propria volontà e definire il

proprio ruolo all’interno di una comunità, aggiornando, in definitiva, le

proprie volontà seguendo il corso della propria esistenza. Caterina, in-

fatti, si dimostrò pienamente cosciente dei conflitti che avrebbe potuto

suscitare il possesso del suo corpo – da lei stessa percepito, dunque,

come una reliquia – e affidò al Morelli il compito di dirimere le preve-

dibili controversie, concedendogli di diseredare i frati di Garessio, in

caso di contrasti insanabili, per trasferire la propria eredità su un altro

convento di sua scelta:

(15)

Cadaver vero suum seppelliri voluit in ecclesia conventus S. Vincentii dicti loci Garexii ordinis praedicatorum […] In omnibus aliis bonis suis mo- bilibus et immobilibus, iuribus et actionibus presentibus et futuris ubicum- que reperiantur, et quocumque nomine censeantur heredes suos universales instituit, quos ore proprio nominavit, venerandos fratres pro tempore exsi- stentes eiusdem conventus Sancti Vincentii dicti ordinis praedicatorum de Garexio, agravando ipsos ad celebrandum omni ebdomada per annos viginti quinque a morte dicte testatricis inchoandos missam unam de quinque plagis Domini nostri Jesu Christi et casu quo heredes et fratres predicti sive resi- dentes pro tempore dicti conventus negligentes fuerint, seu moram fecerint post mortem ipsius testatricis in adimplendo voluntatem et omnia singula in presenti instrumento contenta, voluit dicta domina testatrix quod veneran- dus dominus f. Petrus Martir de Garexio eiusdem ordinis sit executor huius ultime voluntatis, et exequi possit omnia et singula in hoc suo testamento contenta omni oppositione et contradictione remotis, et in casu contradictio- nis eiuscumque presidentis sui ordinis dicta testatrix voluit iussit et ordinavit quod dictus dominus f. Petrus Martir possit et valeat dictos fratres et here- des suos suprascriptos privare dicta sua hereditate, et in alium conventum eiusdem ordinis ad electionem dicti domini fratris Petri Martiris transferre, quem quidem conventum in casu premisso, seu fratres in eo habitantes ea- dem testatrix voluit teneri et obligari ad omnia et singula legata et onera in presenti contenta

115

.

Il testo del documento è aperto dall’invocazione «Jesus Maria firma spes mea» che, secondo gli agiografi, costituiva un intercalare tipico di Caterina

116

; come beneficiari di generosi lasciti compaiono nel testa- mento le tre consorelle di Caterina, Osanna e Marta de’ Capellis e Bar- bara da Caramagna, un altro terziario, alcuni nipoti della donna e la serva Mattea Cardellini da Racconigi.

I contrasti fra i conventi di Racconigi e di Garessio, come previsto

da Caterina, si scatenarono subito dopo la sua morte. La cerimonia

funebre si svolse nella chiesa parrocchiale di Caramagna, dove Caterina

fu sepolta il 5 settembre del 1547, a spese dei suoi eredi

117

: ma i frati

di Garessio si affrettarono a far valere i propri diritti, impugnando il

testamento della donna e reclamandone il prezioso corpo. I domenicani

di Racconigi, però, totalmente ignorati nelle ultime volontà di Caterina,

si opposero alle pretese dei confratelli garessini, chiedendo al clero

parrocchiale di Caramagna di trasferire il corpo della donna nel cimitero

della chiesa di San Vincenzo fondata da Claudio: ne scaturì una causa

giudiziaria fra i due conventi che si trascinò per oltre un anno, fino

alla sentenza emessa dal vicario della Provincia utriusque Lombardiae,

delegato come giudice dalle autorità domenicane. Quest’ultimo assegnò

al convento di Garessio le spoglie di Caterina, confermandoli come suoi

(16)

eredi universali

118

: alcune controversie sorte a proposito di altri beni appartenuti a Caterina reclamati dai due conventi si conclusero con la sentenza del priore del convento di San Giovanni Battista a Saluzzo, nel 1549

119

.

Pietro Martire Morelli afferma che il corpo di Caterina fu trasferito a Garessio cinque mesi dopo la sua morte, avvenuta il 4 settembre del 1547 e che, trascorsi due mesi, fu collocato in una cappella della chiesa di San Vincenzo

120

: in realtà dovettero trascorrere almeno otto mesi perché la salma fosse prelevata dai frati, dato che l’esecuzione della sentenza fu temporaneamente sospesa da Paolo della Mirandola il 2 maggio del 1548

121

. Il trasferimento della salma di Caterina a Garessio fu celebrato come una vittoria dai frati e dalla maggior parte della popolazione, che accorse ad assistere alla solenne deposizione delle spoglie nel sepolcro preparato in una cappella della chiesa di San Vincenzo: ma l’entusiasmo celebrato nelle fonti agiografiche doveva essere scarsamente condiviso dagli abitanti di Caramagna e Racconigi, che non si preoccuparono di scortare la salma nemmeno sulla strada per Garessio, dove, in piena notte, l’accolsero i frati accompagnati da numerosi devoti

122

.

Nel 1548, lo stesso anno in cui si risolse la principale controversia fra i due conventi, Pietro Martire Morelli cominciava a integrare e ar- ricchire il Compendio del Pico: un’eco dei contrasti con i frati di Racco- nigi, che l’avevano coinvolto in prima persona, non è assente dall’opera che, nelle intenzioni del Morelli, doveva rappresentare un monumento alla santità della sua protetta. Se nella legenda domenicana, infatti, Ca- terina è sostenuta strenuamente dai frati di Racconigi, che, come lei, sono oggetto di profonde ostilità, nelle parole del Morelli i domenicani di San Vincenzo diventano solidali con la comunità di Racconigi nella persecuzione contro Caterina: è il Morelli, infatti, a sostenere che essi hanno abbandonato la profetessa, diventando suoi nemici, tanto che la stessa Caterina avrebbe rivelato di non aver bisogno della guida di quei frati per i quali, secondo Gabriele da Savigliano, si era tanto battuta

123

. È molto probabile, peraltro, che il Morelli intendesse sottolineare il contrasto fra l’ingratitudine dei frati di Racconigi, che avevano abban- donato la propria figlia, e la lungimiranza dei domenicani di Garessio, che l’avevano accolta e ora ne promuovevano il culto

124

.

x

4. La storiografia moderna ha spesso sottolineato come i frati osservanti

tendessero a legarsi ai gruppi dirigenti e alle famiglie signorili, perché

il quasi totale monopolio della parola, da essi detenuto, li rendeva stru-

menti indispensabili all’attuazione di particolari programmi politici da

parte delle autorità signorili

125

. Tuttavia un’analisi approfondita delle

dinamiche di potere soggiacenti ai nuovi insediamenti religiosi, anche in

(17)

un contesto politico non di primo piano quale era la comunità di Rac- conigi, rivela una situazione molto friabile, nella quale le forze in gio- co sono numerose e spesso difficilmente decifrabili nei loro complessi rapporti. Lo studio comparato delle fonti agiografiche e documentarie ci restituisce questa complessità, confermando nello stesso tempo che i protagonisti delle legendae diventavano soprattutto una proiezione dei valori e degli interessi di chi li rappresentava

126

. In casi come quello qui preso in esame l’analisi di documenti quali i testamenti, slegati dal processo di costruzione della santità, può aiutarci a comprendere ciò che laici ed ecclesiastici, di ogni ceto sociale e livello culturale, perce- pivano di donne che, emergendo come personaggi dotati di carisma

«profetico», si ponevano quali mediatrici fra il pubblico e il gruppo che le appoggiava. Come è stato acutamente rilevato

127

, i risultati ottenuti in ambito microstorico non possono essere trasferiti automaticamente in ambito macrostorico: ma uno sguardo ravvicinato alle fonti, siano esse un atto notarile o una legenda agiografica, ci permette di cogliere gli «elementi incontrollati» di un testo, che si insinuano contro le inten- zioni di chi l’ha prodotto e ci consentono di valutare il ruolo di tutte le persone che sono state parte di un fenomeno storico

128

. Sottoposto a una serrata analisi, il «complesso di segni che si fa propagatore di un messaggio agiografico»

129

ci aiuta a cogliere il significato di esperien- ze storiche e personali complesse, che non possono essere riunite in tipologie delineate a posteriori, poiché presentano, in realtà, notevoli elementi di differenziazione.

E

LISABETTA

L

URGO

Note al testo

1 La tipologia delle cosiddette «sante vive» e «profetesse di corte» rinascimentali è stata introdotta da Gabriella ZARRI nel saggio Pietà e profezia alle corti padane: le pie consigliere dei Principi, in P. ROSSI (a cura di), Il Rinascimento nelle corti padane, Bari 1977, pp. 201-37:

la studiosa ha poi ripubblicato il contributo e approfondito la questione nel volume Le sante vive. Profezie di corte e devozione femminile tra ‘400 e ‘500, Torino 1990 (cfr. pp. 51-85;

87-163). Le riflessioni suggerite da questi studi sono alla base dei successivi contributi della Zarri sull’argomento: Potere carismatico e potere politico nelle corti italiane del Rinascimento, in A. PARAVICINI BAGLIANI, A. VAUCHEZ (a cura di), Poteri carismatici e informali: chiesa e società medioevali, Palermo 1992, pp. 175-91; Les prophètes de cour dans l’Italie de la Renaissance, in A. VAUCHEZ (éd.), Les textes prophétiques et la prophétie en Occident (XIIe-XVIe siècle), Roma 1990, pp. 359-85 [trad. it. in D. BORNSTEIN, R. RUSCONI (a cura di), Mistiche e devote nell’Italia tardo-medievale, Napoli 1992, pp. 209-236]. Per i dati biografici essenziali e una prima informazione sulle fonti su Caterina da Racconigi cfr. G. ZARRI, Caterina da Racconigi, in Il grande libro dei santi, Cinisello Balsamo 1998, vol. I, pp. 390-4; E. LURGO, Caterina da Racconigi (Racconigi 1486-Caramagna 1547): per una storia delle fonti, in «Sanctorum», 4 (2007), pp.

241-64. Caterina è stata recentemente studiata come «an acclaimed Savonarolan living saint»

(18)

in T. HERZIG, , Savonarola’s women. Visions and Reform in Renaissance Italy, Chicago-London 2008 (cfr. p. 171): secondo la tesi della Herzig, che ha rilevato le simpatie filosavonaroliane di due fra i suoi agiografi, il domenicano Arcangelo Marchisello e soprattutto Gianfrancesco Pico, Caterina sarebbe stata coinvolta in «Savonarolan activities», come altre «local holy women» che avrebbero collaborato con i filosavonaroliani nell’Italia settentrionale (pp. 171 e 191); su un

«movimento femminile savonaroliano non limitato a Firenze o alla Toscana medicea» cfr. G.

ZARRI, Lucia da Narni e il movimento femminile savonaroliano, in G. FRAGNITO, M. MIEGGE (a cura di), Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, Firenze 2001, pp. 99-116 (cfr. p. 116).

2 Le legendae erano in origine scritti edificanti sulle vite dei santi che i predicatori degli ordini mendicanti leggevano pubblicamente, destinati a chierici e laici; a partire dalla metà del XIII secolo esse furono raccolte e ordinate secondo le festività del calendario liturgico, come nella celebre raccolta di legendae collazionata dal domenicano Iacopo da Varagine, nota con il nome di Legenda aurea e destinata perlopiù a una lettura privata. Per un panorama sul genere letterario delle legendae agiografiche cfr. C. LEONARDI, Agiografia, in G. CAVALLO, C. LEONARDI,

E. MENESTÒ (a cura di), Lo spazio letterario del Medioevo, vol. I: Il Medioevo latino, parte II:

La produzione del testo, Roma 1993, pp. 421-72.

3 Il corpus documentario da me analizzato è costituito in primo luogo dal fondo prove- niente dal convento domenicano di Racconigi, soppresso definitivamente nel 1979, custodito nell’archivio provinciale domenicano di Torino presso la Biblioteca di filosofia «Tommaso d’A- quino» a Torino (d’ora in poi BdT). Il fondo comprende i documenti sopravvissuti alla prima soppressione del convento, avvenuta nel 1802, e numerose copie ottocentesche di atti notarili del XVI e XVII secolo; nello stesso fondo è conservato il verbale della recognitio delle spoglie di Caterina ordinata da Benedetto XIV nel 1751: all’interno del fascicolo sono stati trascritti anche gli interrogatori eseguiti durante due indagini sulla fama sanctitatis di Caterina disposte dal vescovo di Alba fra il 1613 e il 1620 e dai superiori domenicani nel 1621. Il secondo corpus di documenti, relativo al convento domenicano di Garessio, soppresso all’inizio dell’Ottocento, si trova in gran parte nell’Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi AsTo): esso è costituito da 21 mazzi e raccoglie documenti prodotti tra la fine del XV e l’inizio del XIX secolo. Due mazzi provenienti dal medesimo fondo sono conservati, invece, nell’Archivio vescovile di Mondovì (d’ora in poi AvM): uno di essi comprende le carte relative alla causa fra i domenicani di Garessio e di Racconigi per l’eredità della defunta Caterina. Alcuni documenti appartenenti al convento garessino, fra i quali la versione più antica della Legenda domenicana di Caterina (cfr. più avanti, n. 9), sono conservati nell’archivio parrocchiale del Borgo a Garessio. Nell’Archivio Generalizio dei frati predicatori a Santa Sabina (d’ora in poi AGOP), infine, sono conservati, oltre a una copia della Legenda opera del domenicano Arcangelo Marchisello, una copia manoscritta della biografia di Caterina scritta da Gianfrancesco Pico (su cui si veda più avanti, n. 10) priva delle più tarde addizioni del domenicano Pietro Martire Morelli, e una copia a stampa del Compendio Pico-Morelli, entrambe in traduzione italiana; vi sono, poi, l’originale della bolla di beatificazione di Caterina per culto ab immemorabili da parte di Pio VII nel 1808, alcune lettere relative all’apertura di un processo di beatificazione per Caterina, una trascrizione settecentesca del Verbale recognitio corporis conservato a Torino e la copia autentica di un atto notarile del 1550 che raccoglie le testimonianze di alcuni devoti sulle stigmate attribuite a Caterina. Sulla consistenza e organizzazione degli archivi domenicani in Italia cfr. C. GILARDI, Gli archivi della Provincia di San Domenico in Italia, in E. MONGIANO, G.M. PANIZZA(a cura di), Le carte del diritto e della fede, Alessandria 2008, pp. 63-74.

4 Sull’uso dello strumento notarile in funzione della promozione del culto cfr. i saggi raccolti nel volume R. MICHETTI(a cura di), Notai, miracoli e culto dei santi, Milano 2004: in particolare il contributo di A. BARTOLOMEI ROMAGNOLI, Agiografi e notai. Due stili a confronto tra vite e processi di canonizzazione (pp. 205-31), si concentra sulle peculiarità del linguaggio notarile e di quello agiografico, mettendone in luce la complementarità, nei casi dei processi di canonizzazione relativi a Pietro del Morrone, Chiara da Montefalco e Nicola da Tolentino. Nel caso di Caterina da Racconigi, peraltro, la beatificazione, decretata da Pio VII nel 1808, rappresentò il semplice riconoscimento del culto ab immemorabili: «Monumenta ordinis praedicatorum historia» vol.

XIV, p. 385

(19)

5 Cfr. J. CHIFFOLEAU, Sur l’usage obsessionnel de la messe pour les mort à la fin du Moyen Age, in A. VAUCHEZ (éd.), Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages religieux du XIIe au XVe siècle, Roma 1981, pp. 235-56.

6 Cfr. le osservazioni in proposito di C. GINZBURG, L’inquisitore come antropologo, in Studi in onore di Armando Saitta dei suoi allievi pisani, Pisa 1989, pp. 23-33 (ora in ID., Il filo e le tracce. Vero falso finto, Milano 2006, pp. 270-80).

7 Peraltro lo stesso policentrismo del ducato sabaudo, ai cui domini apparteneva il feudo di Racconigi, e la presenza nel territorio pedemontano di lignaggi locali e di principati territoriali quali i marchesati del Monferrato e di Saluzzo, che non rientrano nella tipologia delle «corti padane» legate a un contesto urbano, che tanta fortuna ha avuto nel dibattito storiografico, rendono difficile parlare di Caterina come di una «habituée de la cour de Savoie», secondo la definizione di A.Y. HARAN, Le lys et le globe. Messianisme politique et rêve impérial en France aux XVIe et XVIIe siècles, Seyssel 2000, p. 119. Sui caratteri delle signorie subalpine fra medioevo ed età moderna, con interessanti puntualizzazioni riguardo alla «lunga assenza di Savoia e Piemonte dal dibattito sulla corte in Italia», dovuta a una «visione cittadina del medioevo padano» cfr.

L.C. GENTILE, Il tardo medioevo, pp. 15-21, in P. BIANCHI, L.C. GENTILE (a cura di), L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna, Torino 2006, pp. 15-21 (cfr. p. 15); si veda inoltre, nello stesso volume, il contributo di P. BIANCHI, La prima età moderna, pp. 219-26.

8 Gabriele da Savigliano è un personaggio piuttosto oscuro. Aldo MAINARDI, nel suo studio Le chiese di Racconigi, Racconigi 1980, p. 76, n. 8, afferma che la sua famiglia era imparentata con Pietro Dolce, il quale acquistò una certa fama come pittore nella prima metà del XVI secolo, e con Giovanni Angelo Dolce, pittore saviglianese: l’ipotesi è basata sul fatto che il frate apparteneva a una famiglia «de Dulcibus», come si legge in un atto notarile del 1523 conservato in BdT, Conventi soppressi, domenicani di Racconigi, cassetta 2, mazzo XII, ma non è suffragata da altri elementi. Gabriele da Savigliano fu vicario dei conventi domenicani di Racconigi e di Garessio e morì durante una pestilenza nel 1525: cfr. C. TURLETTI, Storia di Savigliano, vol.

III, Savigliano 1879, pp. 271-4.

9 Il manoscritto più antico, Legenda de la [Caterina] da [Raconisio], anteriore al 1525, è custodito nell’archivio parrocchiale di Garessio-Borgo, non inventariato (d’ora in poi MD). Il secondo esemplare è una copia manoscritta di mano del domenicano Arcangelo Marchisello, risalente al 1542: Vita della Beata Chatarina de Racconisio Pedemontana o[r]d[in]is S[an]c[ti]

Dominici per fr[atr]es Dominicus de Braida eius confessarium et Gabrielem de Savigliano ordinis predicatorum, AGOP X, 661 (d’ora in poi Marchisello). Di quest’ultimo manoscritto è recen- temente uscita l’edizione critica: E. LURGO, La «Vitta e legenda admirabile» di Caterina da Racconigi di Gabriele da Savigliano OP e Domenico da Bra OP (1525 ca), in «Archivum Fratrum Praedicatorum» (d’ora in poi AFP), LXXVIII (2008), pp. 149-307; l’edizione comprende anche la trascrizione del proemio del MD, assente nella copia del Marchisello.

10 G.F. PICO, P.M. MORELLI, Compendio delle cose mirabili della Beata Caterina di Racconigi, Chieri-Torino 1858 (d’ora in poi CPM). L’edizione più antica nota era stata pubblicata con il titolo Compendio delle cose mirabili della Venerabil Serva di Dio Catterina da Raconisio, Vergine integerrima del Sacro Ordine della Penitenza di S. Domenico, distinto in dieci libri, e composto dall’Illustrissimo sig. Giovanni Francesco Pico Signore della Mirandola e Conte di Concordia, et ultimato dall’Umile Servo di Giesù Christo Fr. Pietro Martire Morelli da Garressio dell’Ordine de’Predicatori, s. l. n. d.; l’erudito Girolamo TIRABOSCHI, nella Biblioteca Modenese, o Notizie della vita e delle opere degli scrittori nati negli Stati del serenissimo duca di Modena, vol. IV, Modena 1783, p. 119, notava che questa edizione doveva essere posteriore al 1680: A. BIONDI, nella sua edizione del dialogo di Gianfrancesco Pico Strega o delle illusioni del Demonio, Venezia 1989, p. 37, n. 3, la colloca a Torino nel 1681. Il più antico esemplare del Compendio del Pico, in traduzione italiana e senza le addizioni del Morelli, è una copia manoscritta che il Marchisello iniziò a compilare nel 1545: Compendio delle cose admirabili di sor Catherina da Raconisio vergine integerrima del sacro ordine della penitentia di San Dominico, distinto in diece libri e composto in lingua latina dal ill. Giovan Francesco Pico signore della Mirandula et conte della Concordia, dappoi tradotto in lingua volgare per satisfatione de quelli a quali non è in uso se non la sua

(20)

propria lingua comune e populare d’Ittalia, et transcritto per me frat’Archangelo Marchesello da Viadana ordinis praedicatorum de verbo ad verbum dal suo proprio originale nel convento di Santa Maria di Angeli in Ferrara, cominciato a scrivere alli IX de settembre de l’anno M.D.XLV, Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. it. 1886. Nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino esiste, invece, una copia latina del Compendio, che probabilmente rappresenta la prima stesura, autografa, di Pietro Martire Morelli: Compendium rerum admirabilium celice virginis Catherine Raconisie, de tertio habitu divi Dominici ab illustri viro Ioanne Francischo Pico Mirandule domino Concordiaeque comite digestum atque ab humillimo Christi servo praedicatorum ordinis alumno fratre Petromartire Garresiensi non paucis adiunctis absolutum, Ms H-VI-10. Il volume, molto danneggiato dall’incendio della biblioteca avvenuto nel 1904, non è di facile lettura perché moltissime pagine sono annerite dal fuoco: il testo, inoltre, è ricco di correzioni e abrasioni, mentre interi passi risultano depennati e non sono presenti nella più antica edizione superstite del Compendio.

11 Cfr. F. SANTI, Il racconto mediato, in CAVALLO, LEONARDI, MENESTÒ, Lo spazio letterario del Medioevo cit., parte I, vol. II, pp. 689-719.

12 Sui caratteri della letteratura agiografica e sui problemi posti dalla sua interpretazione, oltre a LEONARDI, Agiografia cit., si vedano le riflessioni di R. GREGOIRE, Manuale di agiologia, Fabriano 1996.

13 G. BARONE, Come studiare il monachesimo femminile, in G. ZARRI (a cura di), Il monachesimo femminile in Italia dall’alto Medioevo al secolo XVII, a confronto con l’oggi, San Pietro in Cariano 1997, p. 15. Gli studi che affrontano la questione della gender history sono ormai numerosissimi: per il periodo e l’area culturale qui considerati si rinvia a E. SCHULTEVAN

KESSEL, Vergini e madri tra cielo e terra. Le cristiane nella prima età moderna, in N. ZEMON DAVIS,

A. FARGE (a cura di), Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Roma-Bari 2002, pp.

157-99; si vedano inoltre i saggi raccolti in S. SEIDEL MENCHI, A. JACOBSON SCHUTTE, T. KUHEN

(a cura di), Tempi e spazi di vita femminile tra medioevo ed età moderna, Bologna 1999 e in J.C.

BROWN, R.C. DAVIS (eds.), Gender and Society in Renaissance Italy, Harlow 1998. Sul rapporto fra le mistiche e i loro confessori nel tardo medioevo e nell’età moderna cfr. C.M. MOONEY

(ed.), Gender voices. Medieval Saints and their Interpreters, Philadelphia 1999; G. MONGINI, Religione carismatica e direzione spirituale: dall’apogeo alla crisi, in M. CATTO, I. GAGLIARDI, R.

PARRINELLO, Direzione spirituale e agiografia. Dalla biografia classica alle vite dei santi dell’età moderna, Alessandria 2008, pp. 335-87; A. PROSPERI, Dalle «divine madri» ai «padri spirituali», in E. SCHULTEVAN KESSEL (ed.), Women and Men in spiritual culture. XIV-XVII centuries, The Hague 1986, pp. 71-90; in particolare sulla relazione fra direttori spirituali e mistiche in ambiente domenicano cfr. J. COACKLEY, Friars as confidents of holy women in medieval dominican hagiography, in R. BLUMENFELD KOSINSKI, T. SZELL (eds.), Images of sainthood in medieval Europe, [Luogo di Pubblicazione ???]1991, pp. 222-46.

14 Cfr. S. BOESCH GAJANO, R. MICHETTI (a cura di), Europa sacra. Raccolte agiografiche e identità politiche fra Medioevo ed Età moderna, Roma 2002. Un significativo esempio di costruzione agiografica legata alla definizione di un’identità politica è quello studiato da Ivan Pini, riguardante l’ascesa di san Petronio come patrono di Bologna alla fine del XIV secolo, dopo una serrata lotta con il concorrente san Procolo: quest’ultimo era appoggiato dal partito filoimperiale, che lo propose come martire bolognese al momento della conquista della città di Federico Barbarossa, nel 1162. Petronio, d’altra parte, era sostenuto dall’autorità episcopale come vescovo bolognese indipendente dall’autorità imperiale: il suo culto si impose quando Bologna, nel 1376, riconquistò la propria autonomia. Cfr. A.I. PINI, Santo vince, santo perde:

agiografia e politica in Bologna medievale, in P. GOLINELLI (a cura di), Il pubblico dei santi.

Forme e livelli di ricezione dei messaggi agiografici, Roma 2000, pp. 105-28.

15 Cfr. R. PARRINELLO, Introduzione, in CATTO, GAGLIARDI, PARRINELLO, Direzione spirituale e agiografia cit., pp. 1-14; I. GAGLIARDI, La direzione spirituale come oggetto storico: riflessioni storiografiche e problemi di metodo tra medioevo e età moderna, ivi, pp. 205-14.

16 Gabriele da Savigliano, peraltro, definendo la propria opera come «legenda» di Caterina da Racconigi (MD, ff. 1r, 9r; 145v, Marchisello, ff. 1r, 91v) istituisce un parallelo anche letterario con la tradizione agiografica riguardante Caterina da Siena, costituita principalmente dalla

Références

Documents relatifs

L’accès aux archives de la revue « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Scienze » ( http://www.sns.it/it/edizioni/riviste/annaliscienze/ ) implique l’accord

In [1] si eÁ dimostrato che se H eÁ un sottogruppo quasiconvesso (per la definizione si veda [1]) di un gruppo iperbolico G e se G eÁ unione di un numero finito di laterali doppi di

classificazione dei gruppi semplici finiti si dimostrerà che un gruppo A-p- nilpotente è necessariamente p-nilpotente e risolubile.. Alcuni esempi mostreranno che

Applicheremo alcuni dei nostri risultati allo studio degli E-gruppi (cioè dei gruppi in cui ogni elemento commuta con le sue immagini endo- morfe) e dei

- Chiameremo algebre di Riesz regolari le R-algebre (commu- tative) reticolate il cui spazio di Riesz soggiacente sia regolare; e-ideali.. di una tale algebra saranno

I risultati del presente studio mostrano come la pratica di coerenza cardiaca uti- lizzata con gli studenti dopo i momenti più vivaci per promuovere il ritorno alla calma porta

Botta e risposta I Satura Ricordare il tuo pianto (il mio era doppio)… Satura Dopo lunghe ricerche… Satura. Il pipistrello Farfalla di Dinard

[r]