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3. Sintomi e segni di patologia cardiovascolare

a. Dolore toracico

Il dolore toracico o precordialgia è un sintomo molto comune nei pazienti cardiopatici ed è necessario che venga riconosciuto dall’infermiere, al fine di permettere un tempestivo intervento diagnostico e terapeutico. Quando la precordialgia è di origine coronarica, è causata dal ridotto apporto di ossigeno alle cellule miocardiche (ischemia miocardica). Si tratta di un dolore classicamente di tipo oppressivo o costrittivo (un senso di peso o di “stretta al cuore”), localizzato in sede retrosternale ed anteriore sinistra, spesso irradiato al giugulo e al braccio sinistro oppure, meno frequentemente, ad entrambe le spalle o in regione epigastrica. Viene spesso rappresentato dai pazienti con una mano aperta che stringe il petto (segno di Levine). Se tale dolore viene evocato in seguito ad uno sforzo o ad uno stress emotivo si parla di angina stabile. Essa è causata da un restringimento fisso delle coronarie che non permette un adeguato aumento di flusso sanguigno; il dolore dura tipicamente pochi minuti (meno di 10 minuti) ed è alleviato dal riposo oppure dai nitrati a breve durata d’azione assunti per via sublinguale. Si definisce, invece, angina instabile un dolore con le stesse caratteristiche precedentemente descritte ma che può insorgere anche a riposo o può essere esacerbato dallo sforzo e che dura più di 10-15 minuti e non sempre risponde al riposo o ai nitrati a breve durata d’azione. In questi casi, l’angina è secondaria ad un restringimento delle coronarie che si può variare con il tempo ed è associato ad una componente di trombosi e/o spasmo coronarico. Non è semplice fare diagnosi differenziale tra questo tipo di dolore e quello dell’infarto miocardico acuto, generalmente più intenso e prolungato (>30 minuti): è necessario un attento approfondimento diagnostico. Ad ogni modo, angina instabile ed infarto miocardico acuto vengono riuniti nello stesso gruppo di quadri clinici denominato “sindromi coronariche acute” (SCA).

L’ischemia miocardica non sempre è associata a dolore anginoso; in molti pazienti, soprattutto se diabetici o anziani, essa può manifestarsi con dispnea, nausea o sudorazione (che in questo caso vengono definiti equivalenti anginosi).

Il dolore toracico è uno dei principali motivi di accesso al Pronto Soccorso e può essere associato a molte altre patologie, anche non cardiache, spesso non pericolose per la vita (tabella 3.1 e 3.2).

Effettuare una corretta diagnosi differenziale riveste quindi un ruolo di primaria importanza: un dolore violento, molto intenso, “a pugnalata”, con irradiazione posteriore in sede interscapolare, può essere causato da una dissecazione aortica; un dolore intenso, viscerale, che si modifica con gli atti del respiro o con le posizioni del tronco, può essere causato da una pericardite o da una polmonite o pleurite; un dolore precordiale accentuato dalla digitopressione locale può essere dovuto anche a un trauma toracico oppure ad una nevralgia erpetica.

b. Palpitazioni

Le palpitazioni sono la percezione soggettiva del battito cardiaco, che normalmente non viene avvertito. Il battito cardiaco può essere avvertito sia come tachicardia o come bradicardia, regolare o irregolare. La sensazione di avvertire il proprio battito è comune negli stati ansiosi, dopo intenso esercizio fisico o in particolari posizioni come in decubito laterale sinistro; queste condizioni non

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devono destare preoccupazione e richiedono soltanto rassicurazione da parte del medico e dell’infermiere. I battiti prematuri (extrasistoli) possono essere avvertiti dai pazienti come battiti mancanti, una pausa seguita da un battito più forte e anche in questo caso sono solitamente benigni.

Le palpitazioni possono anche essere spia di aritmie cardiache di maggior rilievo Le tachicardie parossistiche, per definizione, iniziano bruscamente e sono avvertite come battito cardiaco accelerato; spesso terminano all’improvviso ma possono anche rallentare e scomparire gradatamente. Tra queste ricordiamo la fibrillazione atriale parossistica che viene avvertita come ritmo irregolare e tachicardico. Le altre tachicardie sopraventricolari e quelle ventricolari sono invece solitamente regolari e possono, se prolungate, causare astenia, dispnea, dolore toracico, pre- sincope o sincope. Un cuore normale riesce a sostenere una frequenza elevata per un periodo abbastanza lungo di tempo; un paziente cardiopatico può, invece, necessitare di farmaci che rallentino la frequenza in tempo breve o richiedere il ripristino del ritmo sinusale anche con scariche elettriche esterne (cardioversione elettrica). Anche una frequenza molto bassa può essere alla base delle palpitazioni. In questo caso bisogna assicurarsi della stabilità emodinamica del paziente, stabilire il ritmo sottostante, correggerne le cause ed eventualmente programmare l’impianto di un pacemaker definitivo.

c. Sincope

La sincope è una perdita improvvisa e transitoria della coscienza e del tono posturale dovuta ad un insufficiente perfusione cerebrale e può essere la conseguenza di varie patologie cardiovascolari. E’

fondamentale innanzitutto distinguere la sincope vera da altre cause di perdita di coscienza di origine neurologica primitiva (come la crisi epilettica) oppure di origine metabolica (ipo o iperglicemia, coma uremico, ipossia ed ipercapnia, intossicazioni), così come dalle cadute a terra senza perdita di coscienza. Le cause di sincope vera possono essere diverse e possono avere diverso significato patologico. La forma più frequente di sincope è quella di origine riflessa neuromediata.

Comuni tra i soggetti giovani ed in genere privi di patologia sono le sincopi vaso-vagali (svenimento comune), che possono essere evocate da un forte stress fisico o emotivo che attiva il sistema nervoso autonomo parasimpatico causando brusca ed intensa vasodilatazione periferica con conseguente ipoperfusione cerebrale. La sincope può insorgere anche in associazione con determinate situazioni in cui viene attivato il sistema nervoso parasimpatico (tosse e starnuti, deglutizione, defecazione, minzione, dolore intenso). Queste forme di sincope sono benigne e non richiedono terapia; possono essere prevenute, se riconosciuta la fase pre-sincopale, stringendo le mani o le gambe ed aumentando il ritorno venoso al cuore; spesso le conseguenze traumatiche dovute alla caduta sono più importanti della sincope in sè. Tra le sincopi neuromediate troviamo, inoltre, la sindrome del seno carotideo, molto frequente nei soggetti anziani con vasculopatia ateromasica carotidea che mostrano una ipersensibilità alla pressione del seno carotideo.

La sincope può, inoltre, essere la conseguenza di un’inadeguata risposta autonomica a stimoli normali come il passaggio dal clino all’ortostatismo; è il caso dell’ipotensione ortostatica, definita come differenza di pressione sistolica maggiore di 20 mmHg tra il clino e l’ortostatismo, che si può manifestare per disfunzione autonomica (diabetica o secondaria a malattie neurologiche come il morbo di Parkinson), per ipovolemia o su base iatrogenica (uso di farmaci anti-ipertensivi). Al fine di svelare la presenza di una ipotensione ortostatica, l’infermiere può eseguire un semplice test a

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letto del paziente, misurando la pressione arteriosa al paziente in posizione seduta e dopo aver assunto la posizione eretta al primo, terzo e quinto minuto, registrano l’eventuale caduta pressoria che consente di porre la diagnosi. Dal punto di vista delle cause vascolari di sincope, essendo necessaria un’ischemia corticale globale o bilaterale per produrre una sincope, raramente si osserva questo sintomo in caso di patologia carotidea monolaterale. Talora, però, la sincope può essere conseguenza di una patologia del sistema vertebro-basilare con ischemia del tronco encefalico. Le cause cardiache di sincope possono essere suddivise in aritmiche e dovute a cardiopatia strutturale.

Le aritmie che possono causare sincope sono le bradicardie come la malattia del nodo del seno e i disturbi di conduzione atrio-ventricolare, le tachicardie parossistiche sopraventricolari e ventricolari. Le bradiaritmie possono giovarsi dell’impianto di pacemaker definitivo e le tachiaritmie di farmaci anti-aritmici o, nei casi di aritmie pericolose per la vita, dell’impianto di defibrillatore/cardiovertitore automatico impiantabile (AICD). Le cardiopatie strutturali che possono causare sincope solitamente sono caratterizzate da una ostruzione all’efflusso di sangue dal cuore (ad es.: stenosi valvolare aortica severa, miocardiopatia ipertrofica ostruttiva ed i mixomi atriali mobili) oppure da una improvvisa riduzione della portata cardiaca (ad es.: tamponamento pericardico, infarto miocardico acuto ed embolia polmonare massiva). Infine, va ricordato che in una percentuale di pazienti che può arrivare fino al 50%, la causa della sincope non può essere determinata; ad ogni modo, il fattore più importante nello stabilire la diagnosi consiste nel raccogliere un’accurata anamnesi dell’evento, in particolare da parte di chi ha assistito allo stresso.

d. Soffi cardiaci

Il soffio è un rumore che si genera quando il flusso del sangue diventa turbolento: il flusso laminare del sangue, presente in condizioni ideali, non determina alcun rumore. I soffi possono essere ascoltato col fonendoscopio non solo in corrispondenza dei focolai cardiaci, ma anche a livello vasale. I soffi cardiaci dipendono essenzialmente da: un ostacolo al flusso (ad es.: valvola stenotica), un flusso non fisiologico (ad es.: nel difetto del setto interventricolare, con flusso del sangue da un ventricolo all’altro) e un’aumentata velocità e/o un’aumentata quantità del flusso (ad es.: insufficienza aortica o mitralica). I soffi cardiaci possono essere distinti in base alla loro cronologia (ovvero fase del ciclo cardiaco sono udibili), al timbro ed intensità, alla sede di ascoltazione ed alla irradiazione. In base alla cronologia si distinguono i soffi sistolici, diastolici e continui (sisto-diastolici). Il soffio può occupare tutto il ciclo cardiaco (soffio olosistolico oppure soffio olodiastolico) oppure una parte solo della sistole o diastole (proto-, meso- o tele- a seconda che occupino solo la parte iniziale, intermedia o finale. Per quanto riguarda il timbro, i soffi vengono definiti con gli aggettivi dolce, rude, aspro, aspirativo, raspante oppure con il termine rullio per indicare il carattere a rullio di tamburi del soffio diastolico della stenosi mitralica.

L’intensità dei soffi viene espressa per quelli sistolici secondo la scala a 6 gradini proposta da Levine; in presenza di un soffio molto intenso le vibrazioni generate dalla turbolenza del flusso si possono palpare come fremiti, appoggiando il palmo della mano sul focolaio di ascoltazione del soffio. Si intende per soffio da 1/6 quel soffio che si avverte ascoltando il cuore con grande attenzione, da 2/6 quello udibile ma relativamente debole, da 3/6 quello facilmente udibile perché forte, ma non accompagnato da fremito, da 4/6 quello forte ed accompagnato da fremito, da 5/6

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quello molto forte, accompagnato da fremito, ma non udibile se si solleva il fonendoscopio ad 1 cm dalla cute; infine il soffio da 6/6 è quello soffio fortissimo, accompagnato da fremito, che si continua ad ascoltare anche sollevando il fonendoscopio ad 1 cm dalla cute. La sede di ascoltazione di un soffio cardiaco è la regione del precordio dove il soffio presenta la massima intensità. Sono quattro i focolai dell’ascoltazione cardiaca: mitralico (regione della punta del cuore), tricuspidalico (regione dell’apofisi ensiforme dello sterno), aortico (secondo spazio intercostale sulla margino- sternale destra) e polmonare (secondo spazio intercostale sulla margino-sternale sinistra).

L’irradiazione del soffio è la regione, diversa dalla sede di origine, in cui è ancora possibile udirlo bene. Tipicamente, il soffio dell’insufficienza mitralica si irradia all’ascella ed il soffio della stenosi aortica si irradia ai vasi del collo. I soffi sistolici possono essere distinti in soffi eiettivi e soffi da rigurgito: i primi possono essere sia organici, cioè secondari ad una patologia valvolare, sia funzionali, ovvero legati a motivi non strutturali (ad es.: aumentata velocità del flusso di sangue nel caso di contrazione cardiaca vigorosa), i soffi da rigurgito, invece, sono sempre organici. I soffi sistolici eiettivi hanno in genere la caratteristica morfologia in crescendo-decrescendo, “a diamante”, mentre i soffi da rigurgito hanno un aspetto “a nastro” conservando la stessa intensità per tutta la loro durata. La tabella 3.3 illustra i soffi cardiaci e le valvulopatie che li causano. I soffi diastolici sono quasi sempre organici, e comprendono il rullio diastolico della stenosi mitralica e della stenosi tricuspidalica ed il soffio dell’insufficienza aortica e dell’insufficienza polmonare (che possono avere la caratteristica morfologia “in decrescendo” proto-mesodiastolico. I soffi continui sono sempre legati ad una patologica comunicazione fra il circolo arterioso e quello venoso, con shunt artero-venoso che dura per tutto il ciclo cardiaco. Il prototipo del soffio continuo è quello generato dalla pervietà del dotto arterioso di Botallo, che si ascolta in sede sottoclaveare sinistra.

e. Ortopnea

Si tratta della dispnea avvertita dal paziente in posizione supina, alleviata dall’assunzione della posizione seduta. E’ sintomo caratteristico dei pazienti con scompenso cardiaco congestizio, che tendono infatti a dormire con due o più cuscini in quanto l’aumento del ritorno venoso, correlato alla posizione clinostatica, produce un aumento della dispnea. La posizione clinostatica, infatti, favorisce la redistribuzione dei liquidi dalle posizioni declivi del corpo verso il torace, con successiva congestione venosa polmonare ed imbibizione parenchimale. Spesso questi stessi pazienti riferiscono di svegliarsi alcune ore dopo l’inizio del sonno per improvvisa ed intensa dispnea, con necessità di mettersi in piedi o seduti davanti ad una finestra aperta e graduale ritorno alla normalità in un periodo di tempo variabile: è il quadro della dispnea parossistica notturna, anch’essa legata alla ridistribuzione centrale dell’edema periferico in posizione supina.

d. Edemi periferici

Gli edemi periferici accompagnano comunemente la patologia cardiaca, ma si possono osservare anche in caso di patologia renale (ad es.: sindrome nefrosica), epatica (ad es.: cirrosi) e patologia venosa locale (ad es.: tromboflebite, stasi venosa cronica). Nel quadro della patologia cardiaca, l’edema compare in conseguenza di un aumento della pressione venosa, con alterazione dell’equilibro tra forze idrostatiche ed oncotiche e trasudazione di liquido nello spazio

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extravascolare (che la circolazione linfatica non riesce a drenare), con imbibizione dei tessuti molli delle zone declivi del corpo (arti inferiori nel soggetto deambulante, regione sacrale nel soggetto allettato). Caratteristicamente, l’edema periferico dell’insufficienza cardiaca presenta il segno della

“fovea”, ovvero la persistenza di un infossamento della cute dopo applicazione di una digitopressione sulla regione edematosa. L’edema è esacerbato da lunghi periodi di stazione eretta, è peggiore alla sera, migliora dopo essere rimasti sdraiati a lungo e può essere notato inizialmente quando un paziente ha difficoltà a calzare le scarpe. In genere, l’edema visibile è preceduto da un lieve aumento del peso corporeo (3-5 Kg), indicativo di ritenzione idrica. Nei pazienti con insufficienza cardiaca, la causa della ritenzione idrica è la riduzione della gittata cardiaca (per alterato riempimento ventricolare o incompleto svuotamento), con conseguenti risposte neuro- ormonali anti-diuretiche ed anti-natriuretiche. Con il progredire dell’insufficienza cardiaca, l’edema si può estendere alle cosce, ai genitali esterni ed alla parete addominale, con quadro di imponente imbibizione tissutale diffusa e trasudazione del liquido in cavità addoiminale, con ascite, e nello spazio pleurico, con versamento pleurico: si determina in tal modo uno stato anasarcatico.

d. Ascite

Un versamento di liquido libero nella cavità peritoneale è definito ascite. L’ascite può avere diverse etiologie e caratteristiche: può essere ematico (in caso di trauma o neoplasia addominale), essudatizio (di origine infiammatoria, neoplastica o infettiva) o trasudatizio (nella cirrosi epatica e nello scompenso cardiaco del cuore destro, per aumento della pressione sinusoidale e

“gocciolamento” in addome). Quantità ingenti di liquido in cavo peritoneale possono essere ben tollerate; l’ascite, però, può richiedere l’evacuazione percutanea (paracentesi evacuativa) se il liquido raggiunge quantità tali da compromettere la funzionalità respiratoria, comprimendo il diaframma e limitando l’espansione e quindi la capacità funzionale dei polmoni, o quella cardiaca, diminuendo il ritorno venoso per compressione della vena cava inferiore.

d. Versamento pleurico

Il versamento pleurico consiste nella presenza di liquido tra il foglietto pleurico parietale e quello viscerale, a riempire lo spazio pleurico, virtuale in condizioni normali. Nel caso dello scompenso cardiaco il versamento è di tipo trasudatizio, quindi con bassa quantità di proteine, e si genera per aumento della pressione venosa ed ultrafiltrazione a livello dei capillari sanguigni. In altri casi il versamento pleurico può essere di tipo infiammatorio (versamento essudatizio) oppure ematico. In tutti i casi si ha una ripercussione di variabile entità sulla dinamica respiratoria: essa sarà più grave nel caso di versamento formatosi rapidamente o in pazienti con patologia polmonare cronica, mentre sarà meno importante se il versamento si forma lentamente. Se il versamento raggiunge quantità cospicue e compromette in modo importante l’emodinamica e la funzione respiratoria si può ricorrere al drenaggio percutaneo (toracentesi evacuativa), attraverso la puntura con ago della parete toracica.

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e. Turgore delle vene giugulari

In condizioni normali, le vene giugulari in posizione seduta sono collassate, mentre può essere osservato un lieve riempimento delle stesse in posizione supina. La distensione di tali vene, invece, può essere espressione di ipertensione venosa sistemica, condizione che esprime ostacolato deflusso di sangue dal cuore destro. Se il turgore si manifesta unilateralmente può essere causato da ostruzione della vena anonima, mentre se è bilaterale, una volta esclusa la compressione diretta sulla vena cava superiore da neoplasie o altro, esprime fedelmente l’aumentata pressione a livello dell’atrio destro. Tale condizione può essere causata dall’insufficienza sistolica del ventricolo destro oppure può essere secondaria a patologie valvolari che alla lunga determinano dilatazione e disfunzione del ventricolo destro con aumento delle pressioni a monte. Anche la pericardite costrittiva, limitando il riempimento diastolico delle sezioni destre, può determinare turgore delle giugulari. Il turgore delle giugulari è, pertanto, un segno clinico di forte rilievo e per evidenziarlo bisogna eseguire un attento esame obiettivo del paziente con il busto inclinato a 45°. L’insufficienza cardiaca destra e la congestione del circolo venoso, se non immediatamente evidenti, possono essere evocati attraverso la manovra del reflusso epato-giugulare che si esegue applicando una pressione con la mano aperta sull’ipocondrio destro per 1-3 minuti: tale manovra fa refluire il sangue eventualmente accumulato a livello epatico al cuore destro rendendo evidente la distensione delle vene giugulari.

f. Altri sintomi e segni non specifici associati a patologia cardiovascolare: dispnea, astenia, sudorazione, lipotimia, epatomegalia, poliuria, oliguria e nicturia.

Esistono molti altri segni e sintomi che possono presentarsi in pazienti con patologia cardiovascolare: non sono specifici e si possono presentare anche in pazienti con patologie non cardiache, ma è utile la loro conoscenza in quanto si integrano nel formare il quadro clinico complessivo.

Dispnea

La dispnea è una fastidiosa consapevolezza del respiro, definita anche come “fame d’aria”. E’

spesso sintomo di patologia cardiaca, ma può essere dovuta pure a malattie primitivamente polmonari o della parete toracica, e si associa anche ad anemia, obesità, decondizionamento fisico e disturbi d’ansia. La comparsa improvvisa di dispnea, con o senza dolore toracico, può avvenire in caso di embolia polmonare o di pneumotorace spontaneo. Tra le cause cardiache, la più frequente è sicuramente l’insufficienza cardiaca sinistra che determina un aumento della pressione ventricolare diastolica e/o atriale sinistra che si trasmette attraverso le vene polmonari al sistema capillare polmonare, producendo in tal modo una congestione vascolare polmonare. Il polmone perde la propria elasticità ed aumenta il lavoro necessario per la respirazione Con il tempo, la congestione vascolare esita in una trasudazione di liquido nello spazio alveolare, con compromissione degli scambi gassosi attraverso la membrana alveolo-capillare. La dispnea compare, in genere, sotto sforzo nelle fasi iniziali dell’insufficienza cardiaca, mentre si presenta a riposo nelle forme più gravi di cardiopatia. Per tale motivo, è molto utile classificare la dispnea in base all’entità di sforzo necessario per provocare il sintomo. La classificazione della New York Heart Association (NYHA) è molto semplice ed è largamente utilizzata al fine di stabilire lo stato funzionale del paziente (non

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compromesso, lievemente-moderatamente o gravemente compromesso); in questa classificazione vanno intesi come sintomi: astenia non motivata, dispnea, palpitazioni o angina.

Classe NYHA I: attività fisica assolutamente normale. L’attività fisica abituale non provoca sintomi.

Classe NYHA II: lieve limitazione dell’attività fisica. Benessere a riposo, ma l’attività fisica abituale provoca sintomi.

Classe NYHA III: grave limitazione all’attività fisica. Benessere a riposo, ma attività fisiche di entità inferiore a quelle abituali provocano sintomi.

Classe NYHA IV: incapacità a svolgere qualsiasi attività senza disturbi. I sintomi di insufficienza cardiaca sono presenti a riposo, con aumento dei disturbi ad ogni minima attività

Astenia

Si tratta di stanchezza o facile faticabilità muscolare e può essere indipendente dalla dispnea. E’

responsabile di una riduzione più o meno importante della qualità di vita. E' importante saperla riconoscere poiché può essere la prima espressione dello scompenso cardiaco. Si tratta di un sintomo che può anche esser presente in altre patologie come le miopatie, l’anemia ed altro.

La sudorazione, riflesso dell’attivazione del sistema neurovegetativo, può accompagnare il dolore toracico nel quadro di una sindrome coronarica acuta, soprattutto se si presenta come “sudorazione algida”, cioè non associata a sensazione soggettiva di caldo.

La lipotimia, ovvero la sensazione di pre-svenimento o di capogiro, una volta escluse le cause neurologiche centrali e di pertinenza otorinolaringoiatrica, può essere associate a ridotta perfusione cerebrale come nel caso di ridotta portata cardiaca secondaria ad aritmie (bradi o tachiaritmie), stenosi aortica, scompenso cardiaco o tamponamento cardiaco.

L’epatomegalia, cioè un ingrandimento del parenchima epatico per congestione venosa e stasi ematica, può essere l’espressione di uno scompenso del cuore destro. L’epatomegalia da stasi non determina necessariamente un peggioramento della funzione epatica sebbene nei quadri di scompenso cronico del cuore destro è possibile osservare un quadro di “cirrosi cardiaca” molto simile alla cirrosi epatica virale o alcolica.

Poliuria, oliguria e nicturia

Considerato che circa il 25% della gittata cardiaca perfonde i reni, appare chiara la stretta relazione tra questi due organi. Nei pazienti cardiopatici un peggioramento della funzionalità renale può essere secondario a due diversi meccanismi:

- ipertensione arteriosa cronica scarsamente controllata con secondario danno glomerulare;

- ridotta perfusione renale nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica.

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Entrambe queste situazioni possono determinare alterazioni della quantità di urine prodotte durante la giornata. Un quadro di glomerulo-sclerosi cronica su base ipertensiva (un’alterazione renale comune nei pazienti cardiopatici con compromissione renale) si manifesterà soprattutto con una maggiore produzione di urina (poliuria, solitamente con produzione di urina superiore a 2-2.5 litri al giorno), con un peggioramento della “qualità” di quest’ultima poiché il rene ha perso parte della sua capacità di concentrarla. La nicturia è un sintomo abbastanza precoce di insufficienza cardiaca e consiste in una riduzione della diuresi durante il giorno con aumento della diuresi stessa nelle ore notturne. Infatti la posizione supina mantenuta durante il riposo notturno, consente un'aumentata perfusione renale con conseguente incremento della diuresi. L’insufficienza cardiaca cronica, oltre a determinare una condizione di ridotta perfusione cronica del parenchima renale, può, in fase di scompenso, determinare oliguria (diuresi < 400 mL/giorno oppure < 17mL/ora negli adulti), o addirittura anuria (diuresi < 100 mL/giorno).

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