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PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

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Academic year: 2022

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PRINCIPI FISICI DI RISONANZA MAGNETICA

1. Introduzione 2. Atomi

1. Atomo di idrogeno: numeri quantici

2. Atomo di idrogeno: livelli energetici e regole di selezione 3. Atomo di idrogeno: momento magnetico e spin dell'elettrone 4. Atomo di idrogeno: momento meccanico totale dell'elettrone

ed energia associata 3. Il fenomeno della risonanza

1. Spin e momento magnetico del protone: transizioni energetiche e frequenza di Larmor

2. Statistica di Boltzmann e Magnetizzazione macroscopica 3. Genesi di un segnale di Risonanza Magnetica e Campo a

radiofrequenza

4. Free Induction Decay - FID 5. Rilassamento T1

6. Rilassamento T2 4. Bibliografia

1. Introduzione.

Tra le tecniche più avanzate per ottenere immagini ad alta qualità dell'interno del corpo umano spicca la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), una tecnica spettroscopica usata per ottenere informazioni microscopiche fisiche e chimiche sulle molecole. Inizialmente le immagini prodotte con la RMN erano solo bidimensionali, ed erano ottenute dal segnale di RMN prodotto da una sottile fetta tagliata idealmente attraverso il corpo umano. L'evoluzione delle tecniche di immagine consente oggi di ottenere anche immagini di volume. In particolare di mezzi di contrasto.

La Risonanza Magnetica Nucleare è un fenomeno che può avvenire quando i nuclei di certuni atomi sono immersi in un campo magnetico statico (B) e vengono esposti ad un secondo campo magnetico oscillante. Alcuni atomi sperimentano questo fenomeno, mentre altri non lo sperimentano mai, e ciò dipende dal fatto che essi possiedano o meno una proprietà chiamata spin sulla quale torneremo.

Un segnale di Risonanza Magnetica è dunque un fenomeno fisico macroscopico, ma ha la sua origine nel comportamento degli atomi, o come vedremo meglio, dei nuclei di alcuni elementi presenti nella materia vivente. Così come, ad esempio, la temperatura è una grandezza macroscopica il cui valore rappresenta in modo statistico il livello di "agitazione termica", o meglio lo stato cinetico, della materia a livello molecolare, altrettanto si può dire per altre grandezze fisiche macroscopiche.

Ad esempio la magnetizzazione netta totale, le cui variazioni permettono di spiegare in maniera rigorosa la genesi di un segnale di RM, è una rappresentazione statistica di fenomeni fisici che si svolgono su scala microscopica, più precisamente delle variazioni di livello energetico degli atomi immersi in un campo magnetico statico.

Sembra dunque utile iniziare la descrizione dei principi fisici di base della RM riassumendo brevemente le caratteristiche fisiche degli atomi. Tra i tanti elementi dotati di spin≠0 presenti nei tessuti biologici [quali 13C (carbonio-13), 14N (azoto-14), 19

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F (fluoro-19), 23Na (sodio-23), 31P (fosforo-31) e 39K(potassio-39)], l'idrogeno fu scelto come elemento rispetto al quale produrre l'imaging di RM poiché è l'elemento più semplice e più approfonditamente studiato da un punto di vista fisico, ma anche perché è il più abbondante nel corpo umano (è presente con una concentrazione di 1019 atomi per ogni mm3 di tessuto) ed è dotato di un momento dipolare magnetico più intenso rispetto a quello degli altri elementi.

Data dunque l'importanza dell'idrogeno per capire il fenomeno della RM, le sue caratteristiche fisiche saranno trattate in modo leggermente più dettagliato.

2. Atomi.

La materia che viene esaminata con la RMN è composta in prevalenza da molecole, le quali a loro volta sono composte da atomi la cui massa è sostanzialmente concentrata nel nucleo. Prendiamo ad esempio una molecola di acqua: essa è composta da un atomo di ossigeno e da due atomi di idrogeno. Come mostrato in figura, gli atomi appaiono come

"nuvole elettroniche": l'atomo di ossigeno è raffigurato da una nuvola lilla, mentre gli atomi di idrogeno da una nuvola blu. Queste "nuvole"

rappresentano la condizione di carica elettrica, propria dello spazio intorno al nucleo, determinata dal moto degli elettroni intorno ad esso.

Per avere un'idea del rapporto dimensionale tra nucleo e nube elettronica si pensi che un valore tipico per il raggio di un nucleo è rn ≈ 1 ÷ 10 fm (femtometri; 1 fm = 10-15 m), mentre per il raggio della nube elettronica si ha re≈ 0,1 nm (nanometri; 1 nm = 10 -9m). Esiste quindi una differenza di cinque ordini di grandezza tra i due: se per ipotesi il nucleo avesse un raggio di 1 metro, allora la nube elettronica avrebbe un raggio di 100.000 metri, ossia di 100 km!

Gli elettroni di fatto non ruotano lungo orbite precise, ma compiono un movimento di rivoluzione intorno al nucleo rimanendo confinati in una porzione di spazio intorno ad esso, quasi dei gusci, compatibile con il loro stato energetico, conservando tuttavia la possibilità di "saltare" da un guscio all'altro in funzione di determinate variazioni di energia che si possono realizzare nell'atomo stesso.

Queste sono, in sintesi, le grandi innovazioni della teoria quantistica, che prende l'avvio con il modello proposto da Bohr, che combina le teorie di Plank, Einstein e Rutherford, basandosi sul postulato (Primo postulato di Bohr) che l'elettrone possa muoversi solo su determinate orbite non- radiative dette stati stazionari, a ciascuno dei quali è associato un preciso valore di energia E0, E1, E2 ecc.. L'emissione, o l'assorbimento, di energia avviene solo per quantità discrete (fotoni) E = hν (Secondo postulato di Bohr) tali da portare l'atomo da uno stato stazionario ad un altro. In questo caso si verifica una transizione, o salto quantico. Viene così evitata l'incongruenza tra le osservazioni sperimentali e quanto previsto dalla meccanica classica circa il bilancio radiativo di un elettrone che, se ruotasse lungo un'orbita definita, dovrebbe perdere energia con continuità e quindi cadere in breve tempo sul nucleo. Alla quantizzazione dell'energia si aggiunge per completezza la quantizzazione del momento della quantità di moto dell'elettrone L (Terzo postulato di Bohr) quando questo si trova in uno stato stazionario.

Nella teoria quantistica completa la quantizzazione di L non è più un postulato come nel modello di Bohr, ma è una conseguenza del dualismo onda-corpuscolo presente sia nella luce (onda luminosa - fotone) che nella materia (onda materiale - particella): in realtà la descrizione

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ondulatoria e quella corpuscolare sono complementari alla rappresentazione di uno stesso processo oggettivo, là dove la descrizione ondulatoria è in genere preferita per rappresentare fenomeni di trasporto, mentre quella corpuscolare è più adatta per spiegare la quantizzazione delle interazioni con la materia. Gli stati stazionari, la cui esistenza nel modello di Bohr veniva giustificata solo attraverso la coerenza dell'ipotesi con i risultati sperimentali, sono le soluzioni stazionarie dell'equazione delle onde di Schrödinger, e le energie quantizzate associate ad essi sono in accordo con quelle ottenute dal modello di Bohr.

2.1 Atomo di idrogeno: numeri quantici.

Nella descrizione ondulatoria della teoria quantistica l'elettrone è descritto dalla sua funzione d'onda Ψ, detta anche onda di De Broglie. La probabilità che l'elettrone si trovi in una certa regione dello spazio intorno al nucleo, ossia in un certo stato stazionario, è data dal quadrato del valore assoluto di questa funzione d'onda |Ψ|² . Le condizioni al contorno sulla funzione d'onda portano alla quantizzazione delle lunghezze d'onda, quindi delle frequenze e dell'energia dell'elettrone, la quale, unitamente al momento della quantità di moto, viene matematicamente espressa attraverso tre numeri, detti numeri quantici, che risultano tra loro interdipendenti.

Il numero quantico principale (n) può essere un numero intero qualsiasi (n = 1, 2, 3, …), e indica a quale livello, o stato stazionario, l'elettrone appartiene, fornendo la probabilità di trovare l'elettrone ad una certa distanza dal nucleo, indicando così il valore dell'energia potenziale dell'elettrone.

Il numero quantico secondario o orbitale (l) indica a quale sottolivello appartiene l'elettrone, individuando la forma della nube elettronica. I valori possibili per l sono numeri interi compresi tra 0 ed n-1. Il numero quantico orbitale fornisce il valore del momento della quantità di moto L dell'elettrone, ossia il valore del momento angolare dell'elettrone dovuto al suo moto orbitale intorno al nucleo. Infatti L è quantizzato come multiplo di ħ secondo la relazione:

L = √l(l + 1)ħ.

È importante notare che in generale non esistono nello spazio direzioni preferenziali per L. Questo significa che L, pur potendo variare solo per quantità finite multiple di ħ, può comunque assumere qualunque orientamento nello spazio.

Il numero quantico magnetico (m) individua invece quali e quanti sono i possibili orientamenti di L quando l'atomo viene posto in un campo magnetico. Scegliendo z come direzione del campo magnetico, la componente di L parallela al campo magnetico sarà quantizzata secondo la relazione L z = mħ. I valori possibili per m sono tutti i numeri interi compresi tra - l ed l, individuando così solo (2l+1) possibili orientamenti della componente Lz.

Dunque, quando un atomo viene immerso in un campo magnetico, la quantizzazione non riguarda solo l'energia e il momento della quantità di moto, ma anche l'orientamento rispetto alla direzione del campo.

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2.2 Atomo di idrogeno: livelli energetici e regole di selezione.

L'atomo di idrogeno può essere trattato come un sistema costituito da un protone, che da solo forma il nucleo, e da un elettrone orbitante intorno ad esso e dotato di energia cinetica ed energia potenziale. La quantizzazione dell'energia dettata dalla teoria quantistica, implica che solo quantità discrete di energia siano permesse, ed in particolare per l'atomo di idrogeno le energie permesse sono date dalla relazione:

En = - Z2 E0 / n2

n = 1, 2, 3, …

E0≈ 13,6 eV

dove E0 è l'energia dello stato fondamentale.

In generale, per atomi più complessi dell'atomo di idrogeno, l'energia non dipende soltanto dal numero quantico principale n, ma anche dal numero quantico orbitale l. Inoltre, nel caso in cui l'atomo sia immerso in un campo magnetico, l'energia dipende anche dal numero quantico magnetico m. La scissione dei livelli energetici di un atomo in un campo magnetico per diversi valori di m fu scoperta da P. Zeeman, ed è nota come effetto Zeeman.

Una transizione da uno stato energetico ad un altro permesso avviene solo per emissione o assorbimento di energia sotto forma di fotone, ossia per quanti di energia. Queste transizioni danno origine alle righe spettrali caratteristiche dell'atomo e obbediscono alle seguenti regole di selezione per m e l: Δ m = 0 , ±1

Δ l = ±1

Le frequenze (o lunghezze d'onda) dell'energia emessa seguono la regola di quantizzazione secondo cui:

hν = Ei - Ef

dove Ei ed Ef sono rispettivamente l'energia dello stato iniziale e dello stato finale della transizione.

2.3 Atomo di idrogeno: momento magnetico e spin dell'elettrone.

Se si osserva una qualsiasi riga spettrale dell'idrogeno ad alta risoluzione, si nota che in realtà essa è costituita da due righe molto vicine. Per spiegare questa struttura fine Pauli ipotizzò nel 1925 che esistesse un quarto numero quantico il quale potesse assumere solo due valori. Nello stesso anno S. Goudsmit e G. Uhlenbeck avanzarono l'ipotesi che questo quarto numero quantico fosse la componente lungo la direzione del campo magnetico (z) di un momento angolare intrinseco dell'elettrone, detto spin. Se si raffigura l'atomo di idrogeno con un modello astronomico (in una rappresentazione corpuscolare dell'elettrone), è semplice immaginare l'elettrone come un pianetino che ruota intorno al suo sole (il nucleo) e allo stesso tempo intorno al proprio asse. È quest'ultimo movimento che genera lo spin elettronico, una cui conseguenza è che l'elettrone possiede un momento magnetico intrinseco, come vedremo meglio nel capitolo successivo. Questa proprietà dell'elettrone può essere capita anche se si considera che l'elettrone, che è una carica elettrica, ruotando su se stesso si comporta come una

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piccolissima spira percorsa da corrente, alla quale sempre è associato un momento magnetico.

Il momento meccanico di spin dell'elettrone, o semplicemente spin , deve seguire anch'esso, come è per L , le regole di quantizzazione delle possibili direzioni nello spazio rispetto ad una direzione prescelta. Se dunque il valore dello spin è s , devono essere possibili (2 s +1) disposizioni. Le componenti di s lungo la direzione prescelta differiranno per valori interi e verranno indicati come m s . Poiché però questo quarto numero quantico deve avere solo due possibili valori per rendere ragione della struttura fine degli spettri, si deve imporre la condizione che (2 s +1) = 2 , da cui segue che

m s = ±½ .

Un elettrone dunque possiede un momento angolare orbitale l e un momento angolare di spin s .

Questi devono essere combinati secondo le regole della somma vettoriale, dando quindi origine ad un momento angolare risultante (totale) j tale che : j = l + s .

I valori possibili per j sono dati dal numero quantico interno j = l + m s , che quindi può avere solo i seguenti valori: j 1 = l + ½ e j 2 = l - ½.

2.4 Atomo di idrogeno: momento meccanico totale dell'elettrone ed energia associata

Il numero quantico interno j , per atomi con numero dispari di elettroni (come è il caso dell'idrogeno), potrà dunque essere solo un semintero, esprimendo così sinteticamente il fatto che per ogni valore di l ci sono solo due possibili valori per il momento meccanico totale in presenza di campo magnetico . Il valore di questa separazione è dato dall'energia necessaria per ruotare gli spin da un orientamento all'altro rispetto a l nel campo magnetico dell'orbita. Vediamo meglio come si arriva alla quantizzazione dei momenti magnetico e meccanico dell'atomo di idrogeno.

Ad ogni carica che si muova nello spazio descrivendo una superficie chiusa S può essere associato un momento magnetico vettoriale M = I S , dove I è l'intensità della corrente generata dalla carica in movimento. Se poi questo sistema viene immerso in un campo magnetico uniforme di intensità B si sviluppa un momento meccanico (responsabile dei moti di rotazione) τ = M × B . Queste relazioni hanno validità generale.

Nel caso di una particella quale l'elettrone, le relazioni scritte sopra si trasformano come segue:

M = I S = q ν π r 2 = ½ q ω r 2 (1)

dove: ν = ω/2π è la frequenza di rotazione della carica q;

I = q ν ; S = π r 2 ; r = raggio dell'orbita.

D'altronde, se la particella ha massa m, il modulo del suo momento angolare orbitale L sarà:

L = m v r = m ω r 2 (2)

Combinando la (1) e la (2) si ottiene M l = (q/2m) L

Nel caso dell'atomo di idrogeno, essendo e la carica dell'elettrone e μ; la sua massa, il momento magnetico orbitale dell'elettrone sarà dato da M l

= (e/2μ ) L .

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Poiché l'elettrone è dotato anche di un momento meccanico di spin S , dovuto ad esso ci sarà anche un momento magnetico di spin dell'elettrone M s = (e/2μ ) γ S .

La costante γ è detta rapporto giromagnetico , e rappresenta il rapporto tra l'intensità del momento angolare e di spin dell'elettrone.

Il momento magnetico totale sarà dunque la somma dei due momenti orbitale e di spin :

M t = M l + M s = e/2μ ( L + γ S )

Il contributo dello spin al momento magnetico totale è dunque tanto maggiore quanto maggiore è il valore del rapporto giromagnetico γ dell'elemento preso in considerazione. Nel caso dell'idrogeno γ = 42.58 MHz/T , ed è il valore più alto tra quelli degli elementi solitamente usati in RM.

Se ora il sistema viene immerso in un campo magnetico uniforme B verrà generato un momento meccanico totale dato da τ t = M t × B che tenderà a far ruotare il sistema in modo tale che M t e B risultino allineati. Ovviamente anche τ t risulterà composto da un contributo angolare legato a L , e da un contributo di spin che comporta una quantizzazione in direzione.

L'effetto di M l sarà quello di indurre una precessione di L intorno a B , con conseguente rotazione dell'orbita, mentre l'effetto di M s sarà quello di individuare due soli orientamenti possibili nello spazio per l'orbita stessa rispetto all'asse di B.

L'energia potenziale associata al momento magnetico è data da E p = - M

t · B. A parità di energia potenziale orbitale c'è dunque un contributo dello spin che rende i due livelli energetici per il momento meccanico totale leggermente diversi.

3. Fenomeno della Risonanza.

Analogamente agli elettroni, anche i protoni e i neutroni possiedono un momento della quantità di moto orbitale e di spin. Infatti anche il loro moto, in una descrizione corpuscolare, può essere rappresentato da una combinazione di una rotazione lungo un'orbita nel loro moto relativo all'elettrone, e di una rotazione intorno ad un proprio asse. Dunque anche il nucleo ha un momento magnetico & 0, e quindi anche la sua energia si sdoppia in presenza di un campo magnetico. Due o più particelle aventi spin di segno opposto possono accoppiarsi ed annullare quindi ogni manifestazione osservabile legata allo spin. In RM sono le particelle con spin spaiati che risultano importanti per il fenomeno.

3.1 Spin e momento magnetico del protone: transizioni energetiche e frequenza di Larmor

Se prendiamo in considerazione un atomo di idrogeno, il suo nucleo è composto solo da un protone, il quale ha numero quantico di spin m s = 1/2. Analogamente a quanto appena visto per l'elettrone, anche il momento magnetico totale del protone ha solo due possibili orientamenti nello spazio se viene immerso in un campo magnetico esterno costante.

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Se chiamiamo μ il momento magnetico totale del protone, l'energia potenziale ad esso associata è data, anche in questo caso, da E p = - μ · B.

Essendo il protone positivo, risulta che E p è minima se μ e B sono paralleli ( spin concorde con B, m s = 1/2), mentre è massima se sono antiparalleli ( spin discorde da B, m s = -1/2). La differenza di energia tra queste due direzioni orientate nello spazio è

ΔE p = 2 (μ z ) p B

e corrisponde al passaggio da m s = 1/2 ad m s = -1/2. È evidente che la differenza di energia tra questi due stati dipende dall'intensità del campo magnetico esterno: tanto più intenso è B, tanto maggiore è ΔE p. Può accadere che un nucleo con energia potenziale corrispondente allo stato più stabile con m s = 1/2 assorba energia esattamente pari a ΔE p, passando quindi allo stato energetico superiore e più instabile. Può accadere poi che esso riemetta la stessa energia sotto forma di fotone hν con una frequenza di risonanza detta frequenza di Larmor e data da : ν

Larmor = γ B dove γ è proprio il rapporto giromagnetico dell'idrogeno. Il rapporto giromagnetico serve dunque a quantificare l'importanza del contributo dato dallo spin alla quantità totale dell'energia di transizione tra i due orientamenti del nucleo: parallelo al campo magnetico (stabile) e antiparallelo ad esso (instabile). Inoltre γ rappresenta anche la frequenza di assorbimento (o emissione ) di energia per l'idrogeno quando esso è immerso in un campo magnetico di intensità pari a 1T.

L'energia

corrispondente ai due stati energetici con m s = 1/2 e con m s = -1/2, può essere rappresentata in un diagramma come nella figura a lato, in cui lo stato più stabile ( m s = 1/2) è quello a energia inferiore, mentre lo stato più instabile ( m s = -1/2) è a energia superiore. L'intensità del campo magnetico aumenta verso destra lungo l'asse orizzontale. Come rappresentato in modo chiaro in figura con una doppia freccia blu, la differenza di energia tra i due stati è l'energia di transizione ΔE p che varia in funzione del valore di intensità del campo magnetico esterno B:

per valori maggiori di B la differenza di energia tra lo stato stabile e lo stato instabile aumenta. Attraverso una modulazione dell'intensità di campo magnetico è quindi possibile aumentare l'energia ΔE p.

Combinando la definizione di fotone E f = hν con la definizione di frequenza di Larmor

ν Larmor = γ B, si ottiene che E f = h γ B

dove h = 6.626 · 10 -34 J s è la costante di Plank.

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L'energia del fotone necessaria per causare una transizione dallo stato stabile a quello instabile è dunque proporzionale anche al rapporto giromagnetico, oltre che all'intensità del campo magnetico esterno.

Questo è uno dei motivi per cui, fra gli elementi dotati di spin ≠ 0, fu scelto l'idrogeno quale elemento rispetto al quale costruire l' imaging di RM, avendo esso il più alto valore per γ.

Quando l'energia E f del fotone incidente sul protone è esattamente uguale alla differenza di energia tra i due stati a spin opposto ΔE p, avviene un assorbimento di energia, e lo spin passa dal valore m s = 1/2 a valore m s = -1/2. Questo implica che il momento magnetico totale μ del nucleo di idrogeno passa dall'orientamento parallelo a B all'orientamento antiparallelo a B.

3.2 Statistica di Boltzmann e Magnetizzazione macroscopica

Quando un gruppo di protoni viene immerso in un campo magnetico statico, ciascuno di essi si allinea parallelamente o anti-parallelamente al campo in funzione del valore del suo numero quantico di spin m s. La popolazione dei momenti magnetici nucleari passa quindi da una distribuzione spaziale casuale in cui non poteva distinguersi alcuna direzione privilegiata, ad una distribuzione con due soli orientamenti, quello parallelo al campo esterno e quello antiparallelo ad esso.

A temperatura ambiente, il numero di protoni allo stato energetico minore (orientamento del momento magnetico totale μ parallelo a B ) è solitamente di poco maggiore del numero di protoni allo stato energetico maggiore (orientamento del momento magnetico totale μ antiparallelo a B ).

La statistica di Boltzmann ci permette di rappresentare la distribuzione dei nuclei di idrogeno tra il livello energetico inferiore e superiore in funzione della differenza di energia tra questi due stati. Avremo infatti che:

N + / N = exp (ΔE p / k T)

dove: N + = numero di nuclei allo stato energetico inferiore N =numero di nuclei allo stato energetico superiore ΔE p = energia di transizione tra i due stati k = costante di Boltzmann = 1.3181 · 10 -23 J K -1 T = temperatura assoluta espressa in gradi Kelvin

Possiamo dunque dire che, a temperatura ambiente, N +≈ N .

Definiamo ora la Magnetizzazione Netta Totale, o Magnetizzazione Macroscopica, come la somma vettoriale dei momenti magnetici associati ai nuclei di idrogeno, ossia:

M = ∑ i μ i = ∑ μ + − ∑ μ

in cui i singoli momenti magnetici μ i sono dunque sommati considerando il loro orientamento nello spazio.

È importante notare a questo punto che, per una popolazione di nuclei di idrogeno quale quella descritta, la componente di M perpendicolare a B risulta nulla. Ciò è dovuto al fatto che, se da un lato i singoli μ i possono avere solo due possibili orientamenti rispetto alla direzione parallela a B

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( nell'ipotesi di B ≠ 0 ), dall'altro non esiste alcuna restrizione per il loro orientamento rispetto alla direzione perpendicolare a B.

Quando dunque si va a calcolare ∑ i μ i, la componente parallela a B, essendo soggetta alla quantizzazione, sarà M || ≠ 0 in funzione del rapporto N + / N , mentre la componente perpendicolare a B sarà M = 0 per motivi di simmetria: infatti, a causa dello sfasamento dei singoli μ i

durante il moto di precessione dei nuclei intorno all'asse del campo B, la somma delle loro componenti perpendicolari a B risulta nulla. Con Magnetizzazione Netta Totale si indica dunque in realtà la componente M ||.

A temperatura ambiente e in assenza di un campo esterno applicato, essendo vero che N +≈ N si può dire che anche M ||≈ 0. Vediamo ora in dettaglio cosa succede quando si applica un campo magnetico esterno.

Abbiamo visto che la differenza

numerica tra le popolazioni di protoni nei due stati energetici è funzione del valore dell'energia di transizione. Se dunque ΔE p aumenta, aumenta anche il numero di nuclei nello stato energetico inferiore rispetto a quelli nello stato energetico superiore, data la maggiore difficoltà di passaggio spontaneo verso quest'ultimo. Ricordando che il valore di ΔE p dipende sia dal rapporto giromagnetico γ che dall'intensità del campo B in cui sono immersi i nuclei, si deduce che è possibile modulare l'ampiezza ΔE

p agendo sia su γ che su B. Si possono dunque combinare questi due elementi in modo tale da ottenere una buona separazione tra i due stati energetici. In pratica, essendo il valore del rapporto giromagnetico quello dell'idrogeno, ossia γ H = 42.58 MHz/T, si agisce solo sull'intensità del campo B in modo da ottenere N + >> N . Il corrispondente valore della Magnetizzazione Macroscopica sarà quindi:

M || = ∑ i μ i = ∑ μ + − ∑ μ > 0.

3.3 Genesi di un segnale di Risonanza Magnetica e Campo a radiofrequenza

Si parla di Risonanza poiché, analogamente al caso acustico, esiste uno scambio energetico tra due sistemi ad una specifica frequenza tale da rendere massima l'ampiezza del segnale.

Il segnale in RM risulta dalla differenza tra l'energia assorbita dai nuclei di idrogeno per effettuare una transizione dallo stato energetico inferiore

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a quello superiore e l'energia che essi emettono in modo simultaneo nella transizione di ritorno alla condizione di equilibrio. L'intensità del segnale è dunque proporzionale alla combinazione di due fattori:

1. la differenza numerica tra le popolazione di nuclei nei due stati (N + − N );

2. l'energia di transizione ΔE p, quindi γ e B, come visto nei capitoli precedenti.

Vediamo ora come avviene il trasferimento di energia da una sorgente esterna al sistema di nuclei di idrogeno in modo da realizzare le condizioni necessarie per rendere massimo il valore della Magnetizzazione Netta Totale.

I protoni, per poter emettere energia, devono prima assorbirla in modo da passare allo stato energetico superiore, cioè quello a spin antiparallelo al campo B. Successivamente, durante la transizione di ritorno allo stato più stabile ad energia inferiore, essi emettono energia pari a un multiplo N = (N + − N ) di ΔE p. È importante che la emissione di energia avvenga per tutti i protoni allo stesso istante o comunque in un intervallo di tempo molto breve, altrimenti, se dovesse durare per un tempo troppo lungo, essa potrebbe generare un segnale non misurabile.

La condizione per una emissione simultanea di energia alla stessa frequenza da parte dei nuclei di idrogeno viene realizzata eccitandoli con l'invio di pacchetti di energia sotto forma di radiofrequenza (rf) alla frequenza ν esattamente uguale alla frequenza di Larmor.

Supponiamo di avere il sistema di nuclei di idrogeno immerso in un campo magnetico esterno statico di induzione B tale per cui sia vero che:

ΔE p = hν Larmor = h γ B.

All'equilibrio, essendo

vero che N + >> N , il vettore Magnetizzazione Macroscopica M è parallelo alla direzione del campo magnetico applicato B, e viene anche chiamato Magnetizzazione di equilibrio M 0. In questa configurazione, illustrata nella figura a fianco, la componente di M lungo l'asse Z, che per convenzione viene scelto come l'asse parallelo alla direzione del campo B, è M Z = M 0, dove M Z è detta Magnetizzazione longitudinale. Si noti che non esiste alcuna componente di M sul piano trasversale, ossia M = 0 (o anche M X = 0 ed M Y = 0 ), a causa, come abbiamo già visto, dello sfasamento del moto di precessione dei nuclei intorno a B.

Se ora applichiamo a questo sistema un campo a radiofrequenza, forniamo al sistema energia sotto forma di pacchetti a radiofrequenza. Se moduliamo questo campo in modo che la sua frequenza ν sia esattamente uguale a ν Larmor, si ha un doppio effetto:

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1. fornendo energia ai nuclei

di idrogeno alla frequenza di Larmor, un certo numero di essi acquisterà energia sufficiente per effettuare la transizione dallo stato energetico inferiore a quello superiore; questo fatto microscopico ha come manifestazione macroscopica una riduzione netta della Magnetizzazione longitudinale M Z poiché le popolazioni N + ed N tornano ad essere quasi uguali, come si vede nella figura. Inoltre, se si continua a fornire energia al sistema, è possibile che il numero di nuclei che effettuano la transizione dallo stato energetico inferiore a quello superiore sia tale che M Z = 0: in questo caso si parla di "saturazione del sistema di spin ".

2. fornendo energia con

frequenza ν = ν Larmor a tutti i nuclei nello stesso istante, si induce una coerenza di fase nel loro moto di precessione intorno all'asse di B ; quindi non solo tutti i nuclei precedono intorno all'asse Z con frequenza pari a ν Larmor, ma sono anche in fase tra di loro.

Questo fatto microscopico implica che non sia più vera la condizione di orientamento casuale dei momenti magnetici nucleari nello spazio rispetto al piano trasversale a B.

Conseguentemente, da un punto di vista macroscopico, si ha la comparsa di una componente netta maggiore di zero della Magnetizzazione Macroscopica sul piano trasversale a B.

Compare quindi una Magnetizzazione Trasversale M ≠ 0, come si vede nella figura qui sopra.

È necessario osservare che gli effetti dell'applicazione di un campo a radiofrequenza, descritti ai punti a) e b), in realtà si realizzano contestualmente. Ciò significa che, durante l'invio dell'impulso a radiofrequenza, si assiste ad una graduale riduzione della componente M

|| della Magnetizzazione Macroscopica e contemporaneamente ad un graduale aumento della sua componente M .

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L'entità di questo "scambio" tra M || e M è proporzionale alla durata dell'impulso a radiofrequenza: infatti più esso è lungo, maggiore è l'energia totale trasferita al sistema di nuclei di idrogeno, e quindi un numero sempre maggiore di nuclei può effettuare il salto energetico ΔE p

e mettersi in fase di precessione intorno a B.

Quando l'impulso è tale che la Magnetizzazione Netta Totale passa tutta dal piano longitudinale a quello trasversale, ossia quando si verifica che M || = 0 e M ≠ 0, si parla di impulso a 90°.

Quando invece l'impulso dura sufficientemente a lungo, oppure è sufficientemente intenso, da portare ad una inversione di polarità della Magnetizzazione longitudinale rispetto alla direzione del campo magnetico, cioè quando tutti i nuclei effettuano il salto quantico al livello energetico superiore, si dice che è avvenuto un ribaltamento della Magnetizzazione Netta Totale. In questo caso la Magnetizzazione trasversale rimane nulla e si parla di impulso a 180°.

3.4 Free Induction Decay - FID

Una volta eccitato il sistema con l'applicazione di un campo a radiofrequenza (o di un campo magnetico oscillante B 1 posto trasversalmente a B ), si interrompe l'invio dell'impulso; a questo punto il sistema tende a ritornare nella sua condizione di equilibrio, obbedendo al principio fisico secondo cui qualunque sistema libero da sollecitazioni esterne tende al suo stato di equilibrio o di minima energia compatibile con il suo stato dinamico.

Per il sistema di nuclei di idrogeno immersi in un campo magnetico statico B, la condizione di equilibrio è, come abbiamo già visto, M Z = M

0, e il sistema tende verso questa condizione cedendo all'ambiente esterno l'energia precedentemente assorbita sotto forma di onda elettromagnetica.

Nel suo processo di ritorno al valore di equilibrio, la Magnetizzazione trasversale oscilla con una frequenza pari a quella di Larmor. In questo modo, secondo la legge di Faraday dell'induzione elettromagnetica, si induce una corrente elettrica (alternata in quanto il campo che la genera è oscillante) in una bobina ricevente posta sul piano trasversale a M Z.

Questo fenomeno, illustrato

nella figura a fianco, viene chiamato FID (Free Induction Decay) e dura per tutto l'intervallo di tempo necessario alla Magnetizzazione trasversale per ritornare al suo valore di equilibrio. Questa corrente alternata transitoria è proprio il segnale da cui potranno essere formate le immagini di RM.

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3.5 Rilassamento T1

Supponiamo ora di aver fornito energia al sistema di protoni con un impulso a 90°. Una volta sospeso l'impulso, M Z varierà da 0 a M 0 . La costante di tempo che descrive come M Z ritorni al suo valore di equilibrio è chiamata tempo di rilassamento spin-reticolo o tempo di rilassamento longitudinale, ed è indicata con T1. Il nome spin-reticolo indica come in questo caso l'energia venga restituita dai protoni eccitati all'ambiente esterno . L'equazione che regola il comportamento di M Z

come funzione del tempo t dopo il suo spostamento dall'equilibrio è

M Z = M 0 ( 1 − e −t/T1 )

Il tempo T1 è dunque il tempo richiesto per cambiare la componente longitudinale della Magnetizzazione Netta Totale di un fattore pari a e (base dei numeri naturali e = 2,728…), come illustrato nella figura a lato.

Alternativamente, ed equivalentemente, si può definire il T1 come il tempo necessario per ripristinare il 63% della Magnetizzazione longitudinale.

Se invece al sistema è stato fornito un impulso a 180°, la Magnetizzazione Netta Totale tornerà alla sua condizione di equilibrio lungo l'asse Z ad un ritmo governato da T1 secondo la seguente equazione (vedi figura a lato):

M Z = M 0 ( 1 − 2 e −t/T1 )

In questo caso il tempo di rilassamento T1 è definito come il tempo necessario per ridurre la differenza tra M Z e M 0 di un fattore e.

Il valore del tempo T1 varia da tessuto a tessuto a causa della differente efficienza presentata dai singoli costituenti molecolari nel trasferimento di energia al reticolo che li circonda. Accade così che le molecole di acqua, essendo più mobili, siano, da questo punto di vista, meno efficienti di quanto non sia, ad esempio, il tessuto adiposo, il quale quindi presenta un segnale ad alta intensità nelle sequenze che esaltano il tempo T1.

3.6 Rilassamento T2

Dopo un impulso a 90° la Magnetizzazione Netta Totale giace sul piano trasversale e ruota intorno all'asse Z con una frequenza uguale alla frequenza di Larmor, che è poi la frequenza di precessione dei momenti magnetici nucleari intorno a B. Tuttavia, in aggiunta a questa rotazione, la Magnetizzazione Netta subisce un processo di dispersione di fase a causa delle disomogeneità magnetiche che si determinano intorno ad ogni singolo momento magnetico nucleare μ i a causa di due fattori:

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1. un micro-campo magnetico associato ad ogni protone in rotazione intorno al proprio asse e in precessione intorno all'asse di B ; questo campo si somma, per il principio di sovrapposizione, al campo esterno determinando in tal modo un'alterazione del valore del campo magnetico totale per le molecole ad esso adiacenti;

2. minime variazioni intrinseche del campo B, che determinano la presenza di disomogeneità persistenti nel campo esterno applicato.

Questi fenomeni implicano che, con il passare del tempo, ogni momento magnetico nucleare μ i ruoterà intorno a B con una sua propria frequenza di Larmor, leggermente diversa da quella dei μ i ad esso adiacenti e rispetto ai quali sarà quindi sfasato. Questo processo, che continua fino ad uno sfasamento completo dei momenti magnetici nucleari, si traduce macroscopicamente in una graduale riduzione del valore della Magnetizzazione trasversale.

La costante di tempo che descrive la graduale riduzione della Magnetizzazione trasversale fino al valore zero a causa dello sfasamento dei momenti magnetici nucleari è chiamata tempo di rilassamento spin- spin ed è indicata con T2.

L'equazione che regola il comportamento della Magnetizzazione trasversale come funzione del tempo t dopo il suo spostamento dall'equilibrio è

M XY = M XY0 e −t/T2

Il tempo T2 è, in pratica, il tempo necessario per ridurre la componente trasversale della Magnetizzazione Netta Totale di un fattore pari a e, come illustrato nella figura a lato. Alternativamente si può dire che il T2 è il tempo necessario per ridurre del 63% la Magnetizzazione trasversale.

Si noti che T2 è sempre minore o uguale a T1. È necessario precisare che il T2 così definito si riferisce esclusivamente all'effetto delle interazioni tra i nuclei di idrogeno. In questo caso si parla di T2 puro.

Quando si tiene conto anche dell'effetto delle disomogeneità del campo esterno B si parla di T2 disomogeneo, che viene indicato con T2* e che si rapporta al T2 secondo la relazione seguente:

1/ T2* = 1/ T2 + 1/ T2 disomogeneo

Anche il tempo T2, come il T1, varia notevolmente in funzione del tipo di molecola prevalente nel tessuto analizzato. I diversi valori di T2 saranno dovuti alla maggiore o minore rapidità con cui si realizza la dispersione di fase dei momenti magnetici nucleari delle varie molecole.

Ad esempio nei tessuti con prevalenza di macromolecole la dispersione di fase avverrà molto rapidamente data la rigidità della struttura che determina una facile creazione di campi magnetici molecolari. Al contrario nel caso di campioni liquidi la coerenza di fase sarà mantenuta a lungo.

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È importante ricordare che i processi di rilassamento T1 e T2, pur essendo stati illustrati separatamente per chiarezza, avvengono tuttavia in modo simultaneo: infatti, contemporaneamente alla riduzione di M XY che tende a zero, M Z cresce per tornare al valore iniziale M 0.

In sintesi, nella genesi di un segnale di RM possono essere distinte tre fasi:

1. incremento della popolazione di protoni nello stato energetico inferiore per aumentare la quantità di energia totale da fornire al sistema (e che verrà successivamente emessa dal sistema stesso) agendo sull'intensità del campo magnetico statico applicato B ; 2. eccitazione del sistema di protoni tramite bombardamento con

pacchetti di energia sotto forma di radiofrequenza alla specifica ν

Larmor ;

3. registrazione del segnale in uscita a seguito del rilassamento del sistema che tornando al suo stato di equilibrio emette l'energia precedentemente assorbita sotto forma di radiazione oscillante.

Bibliografia

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SEQUENZE D'IMPULSI IN RISONANZA MAGNETICA

1. Sequenze d'impulsi in Risonanza Magnetica 2. SPIN ECHO

3. Inversion Recovery

4. Field Echo (Gradient Echo) 5. Concetto di K space

6. Turbo Field Echo (TFE) 7. Turbo Spin Echo

8. EPI (Echo Planar Imaging) 9. Lista degli acronimi in RM

SEQUENZE D'IMPULSI IN RISONANZA MAGNETICA

Una considerevole energia è stata spesa dai costruttori e ricercatori di Risonanza Magnetica per sviluppare sequenza d'impulsi per incrementare la qualità dell'imaging. Per alcuni versi, questa energia è stata guidata dai proprietari, venditori e interessi di marketing che ha avuto come risultato una pletora di acronimi, dei quali è difficile tenere traccia. Per quanto riguarda gli acronimi verrà mostrato uno schema suddiviso per le principali ditte costruttrici che rappresenta le varie sequenze oggi adottate.

In principio saranno trattate le sequenze che oggi sono, sicuramente, presenti in ogni sistema (Spin Echo, Inversion Recovery e Gradient echo) , per poi passare a quelle che hanno rivoluzionato l'imaging e cioè le sequenze veloci (Turbo Spin Echo), fino ad arrivare a quelle ultrafast (Ecoplanari).

La terminologia che sarà adottata prevede delle abbreviazioni:

SE (Spin Echo)

IR (Inversion Recovery) FFE (Gradient Echo) TFE (Turbo Gradient Echo) TSE (Turbo Spin Echo) EPI (Ecoplanari)

SPIN ECHO

In questa sequenza, viene applicato un impulso di Radiofrequenza di 90°

che ruota la magnetizzazione longitudinale (lungo il campo B0) sul piano trasversale (x, y). La precessione avviene sotto l'influenza di gradienti di

campo, Gx, dove x è il gradiente di lettura o gradiente di codifica di

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frequenza e Gy, dove y è direzione del gradiente di codifica di fase

(chiamata talvolta, direzione di preparazione).

Fig. 1: Il grafico mostra la rotazione della magnetizzazione lomgitudinale sula piano trasversale dopo l'applicazione di un impulso di 90°.

Un impulso di 180°, successivamente, ruota la magnetizzazione intorno agl'assi x,y, dopo il quale il gradiente di codifica di frequenza viene di

nuovo acceso. La precessione continua nella stessa direzione, fino a quando gli spins si incontrano per formare il massimo segnale "Echo top", dopo un tempo uguale alla differenza di tempo tra gli impulsi a 90°

e 180°.

Fig. 2: Schema della sequenza Spin Echo, dove sono rappresentati i gradienti di selezione, codifica e frequenza, rispettivamente Gz, Gy, Gx.

L'intervallo tra l'impulso a 90° e il picco del primo echo viene chiamato TE (tempo di echo) . Ripetendo l'impulso a 180° ad intervalli uguali al

TE si generano degli echi ad intervalli simili, ma con ampiezza decrescente (Multiecho).

L'intervallo tra gli impulsi di eccitazione di 90°, quando vengono ripetute successive misurazioni, viene chiamato TR (Tempo di Ripetizione). Fig2

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Fig. 3: Sequenza Spin Echo. La magnetizzazione dopo essere stata messa sul piano trasversale dall'impulso a 90°, decade, dovuta alla perdita di coerenza degli spins. L'impulso di 180° permette il rifasamento e la rigenerazione del segnale sotto forma di echo.

Applicando una trasformata di Fourier a entrambe le informazioni del gradiente di frequenza e quello di fase, permette a ogni voxel (elemento di volume) di essere unicamente localizzato spazialmente e assegnato ad una scala di grigi basata sulle caratteristiche T1 o T2 e densità protonica

o di flusso.

Parametri usati in SPIN ECHO:

TE CORTO TE LUNGO

TR CORTO T1 W Mixed

TR LUNGO PDW (Densità protonica) T2W

Inversion Recovery

Per produrre un segnale MR influenzato dal T1, viene applicato un impulso di RF perpendicolarmente alla direzione del campo principale, con sufficiente ampiezza e durata per invertire la magnetizzazione.

Fig. 1: Sequenza Inversion Recovery

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Alla cessazione dell'impulso RF, gli spins cominciano a ri-orientarsi verso la direzione del campo magnetico statico. Questo processo di rilassamento, se non disturbato, continua fino a che l'equilibrio non viene ricreato. La magnetizzazione resta orientata lungo l'asse z e non precessa.

Quindi il T1 non può essere misurato direttamente. La magnetizzazione deve essere prima ruotata sul piano x,y.

Questo si ottiene dall'applicazione di un impulso di 90° che permette la misurazione del segnale.

Fig. 2: Comportamento dei tessuti con T1 breve e lungo tra l'impulso a 180° di inversione e l'impulso a 90°.

Il tempo tra l'impulso di inversione di 180° e l'impulso a 90° viene chiamato tempo di inversione (TI). Tessuti con T1 corto recuperano il loro equilibrio prima che l'impulso a 90° venga applicato e quindi contribuiscono ad un alto segnale nel'immagine, mentre tessuti con T1 lungo contribuscono pochissimo al segnale nell'immagine. Il tempo di ripetizione (TR), in questa sequenza deve essere relativamente lungo per permettere a tutti i tessuti di riguadagnare la loro magnetizzazione originaria.

Il valore del TI è uno dei fattori che determinano il contrasto nell'immagine. Un particolare tipo di contrasto può essere ottenuto usando diversi tempi di inversione.

Alcune di queste sequenze, quali STIR (Short Time Inversion Recovery) e FLAIR (Fluid Attenuated Inversion Recovery), impiegano diversi tempi di inversione.

Nel caso della sequenza STIR, la scelta di un tempo di Inversione breve (120-150ms, dipendente anche dal campo magnetico), viene usato per sopprimere il segnale del grasso. Nella sequenza FLAIR, oggi notevolmente usata nell'imaging con RM, il tempo di inversione è particolarmente lungo per sopprimere fluidi o tessuti con T1 lungo.

Field Echo (Gradient Echo)

Questo tipo di sequenza differisce principalmente dalla SE, per la sostituzione dell'impulso a 180° di rifasamento degli spins, con un impulso generato da un gradiente.

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Fig.1

Questo importante metodo di imaging, viene chiamato Field Echo. Le caratteristiche principali di questo metodo sono, prima di tutto la riduzione del tempo necessario per generare un echo, di conseguenza si possono utilizzare tempi di eco più corti. Questo, però, ha degli svantaggi: gli effetti della inomogeneità del campo magnetico e meno evidente nella SE per la presenza dell impulso a 180°, mentre nella FE, i problemi di imaging causati dallo sfasamento degli spins sono molto più frequenti. A prescindere, comunque dalla inomogeneità del campo magnetico in se stesso, ci può essere anche inomogeneità provocata dalla variazione della suscettibilità del paziente dovuta all'aria; l'interfaccia tissutale, vicino a cavita aeree (seni paranasali), può provocare localmente degli incrementi nello sfasamento degli spins in un voxel.

Questi effetti, chiamati off-resonance, sono aggiunti al decadimento T2, e la risultante della combinazione è descritta come T2*(star). In pratica per evitare deterioramento del segnale nella sequenza FE si dovrebbe lavorare con tempi di eco corti (Fig. 1).

Altra caratteristica distinta della FE, è l'effetto provocato quando l'acqua e il grasso, che hanno una precessione giromagnetica che differisce di 3.5ppm (parti per milione), sono contenuti nello stesso voxel. Questo può causare linee nere che circondano i tessuti, con decremento del segnale dal voxel che contiene entrambi.

Questo effetto varia a determinati tempi di eco e campi magnetici.

A 0.5T(Tesla), l'acqua e il grasso sono in opposizione di fase quando il TE è un multiplo dispari di 6.9ms (3.45ms a 1.0T e 2,3ms a 1.5T).

Parametri in Field Echo

Flip Angle (α) TE (ms) T1W Large (45-90) Short (8-15) T2W Small (5-20) Long (30-60) PDW Small (5-15) Short (8-15)

Concetto di K space

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Il concetto di K-space è spesso impiegato nella discussione di come si realizzano i dati di acquisizione. Il K-space è la rappresentazione dei dati grezzi di un immagine acquisita come matrice bidimensionale di punti.

Le coordinate di ogni punto rappresentano un'unica combinazione di frequenze (Kx) e fase (Ky) che corrisponde all'integrale di tempo dei gradienti di frequenza e codifica rispettivamente.

Le strutture che hanno i contorni ben netti sono descritte come alte freqeunze spaziali, quelle con meno dettagli, invece, sono descritte come basse frequenze spaziali. La porzione centrale del k-space contiene le più basse frequenze spaziali, che principalmente contribuiscono al contrasto nell'immagine. La porzione esterna del k-space contiene le frequenze più alte, che determinano la risoluzione dell'immagine.

Ogni punto del k-space non corrisponde direttamente ad un singolo punto nell'immagine risultante, ma ogni punto contribuisce all'aspetto totale dell'immagine risultante.

Fig.1: Rappresentazione grafica del K-space.

Il metodo con il quale le frequenze spaziali sono collezionate determina la traiettoria del k-space. La traiettoria del k-space in una sequenza d'impulsi deve coprire tutti i punti lungo la frequenza (Kx) e la fase (Ky), per generare un immagine completa.

Con una sequenza standard SE o FE, dopo ogni impulso di eccitazione RF, che corrisponde ad un profilo di codifica di fase, i dati collezionati contengono tutte le informazioni di frequenza lungo ogni singola linea del Ky. Questo processo deve essere ripetuto per tutte le linee della codifica di fase (Ky), fino a quando tutti i dati sono acquisiti, dopo di che comincia la ricostruzione.

Il tempo di acquisizione è così uguale a:

(Np) x TR x NSA x pacchetti

dove Np rappresenta il numero delle linee e NSA il numero di quante volte i profili vengono eccitati.

L'acquisizione delle traiettorie del k-space per il fast imaging, sono differenti dall'imaging tradizionale. Invece di acquisire delle linee singole di fase (Np) sono generate delle linee multiple da ogni singola eccitazione. Per fare ciò, però, sono necessarie particolari forme d'onda

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generate da gradienti ad alto campo. Questi gradienti sono particolarmente utilizzati nell'imaging ecoplanare, di cui verrà discusso più avanti.

Turbo Field Echo (TFE)

La tecnica turbo field echo (TFE) permette all'imaging gradient echo di utilizzare tempi di ripetizone (TR) e tempi di eco (TE) molto brevi.

Questa tecnica è ottimizzata per ottenere una elevata qualità d'immagine con tempi di scansione molto brevi. Le maggiori applicazioni diagnostiche di queste sequenze, sono per la riduzione degli artefatti respiratori e il movimento peristaltico addominale.

La principale differenza con la tecnica standard gradient eco (FE), sta nell'acquisizione dell'immage che avviene metntre si approccia al cosiddetto steady state, vale a dire, lo stato di equilibrio costante degli spins. Questo steady state, si ottiene quando la magnetizzazione lungo l'asse B0, dovuta all'impulso di eccitazione di RF, eguaglia il rilassamento, dovuto al T1, durante ogni Tempo di ripetizione.

Fig.1: Flip Angle Sweep. La sequenza TFE utilizza un approccio meno drastico allo steady state. La scansione comincia con un flip angle basso. Durante la scansione il flip angle incrementa fino all'angolo specificato nei parametri di sequenza. Il flip angle sweep permette l'uso di flip angle più larghi senza l'introduzione di artefatti nell'immagine, con, tuttavia, un aumento del rapporto segnale rumore e del contrasto.

Il contrasto nelle sequenze TFE viene manipolato con l'utilizzo di prepimpulsi, oltre che con i normali parametri di TR, TE e Flip Angle.

Questi preimpulsi contribuiscono ad un miglioramento del contrasto in T1 e T2, mediante l'aggiunta di impulso aggiuntivo, chiamato spoiled, particolarmente rilevante nelle sequenze T1.

L'effetto migliore dei preimpulsi si ottiene quando il tempo per il profilo K0 del k-space, che corrisponde al contrasto, è corto.

Il tempo dal preimpulso al profilo K0 viene definito tempo di ritardo o delay time.

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Fig.2: Tipi di preimpulsi utilizzati nelle sequenze TFE.

I preimpulsi utilizzati nelle sequenze TFE possono essere di due tipi per la pesatura in T1.

Impulso di Inversione a 180°.

Impulso di Saturazione a 120°.

Un impulso di inversione, in TFE, lavora come nelle sequnze Inversion Recovery. Il segnale è invertito e ritorna all'equilibrio per effetto del campo magnetico statico. I tessuti con differenti T1 presenteranno diverse curve di recupero; per esempio il tessuto che al momento del profilo K0 attraversa lo 0 nonp resenterà segnale.

L'impulso di saturazione, invece, riduce la pesatura in T1.

Turbo Spin Echo

L'imaging con il metodo di acquisizione Turbo Spin Echo (TSE), permette di ottenere immagini Spin Echo, mediante l'acquisizione di più profili per ogni eccitazione, portando quindi ad un notevole calo del tempo di scansione, rispetto alla tecnica convenzionale SE. Oggi le TSE sono diventate parte dell'imaging di routine grazie all'elevata possibilità di ottenere immagini anche con alta risoluzione.

Il metodo classico Spin Echo è basato sull'acquisizione di un singolo profilo per eccitazione (TR). Con una matrice 256*256, questo richiede 256 eccitazioni per poter acquisire tutti i 256 profili necessari per produrre l'immagine.

La TSE, quindi adotta l'acquisizione di multipli profili del K-space per eccitazione combinando il tutto con la tecnica multislice (vedi fig.1)

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Fig.1: Tecnica Multislice, in un TR vengono misurate più fette.

Nella TSE sono impiegati un numero di impulsi consecutivi a 180° per eccitazione, e viene misurato un echo dopo ognuno di questi impulsi, che corrispondo anche ad un numero di profili. Ogni gruppo di profili viene chiamato shot o segmento. Il numero dei profili misurati per ogni eccitazione viene chiamato TURBO FACTOR.

I segmenti sono acquisiti ad intervalli regolari (TR) fino a completare l'immagine.

Fig. 2: Il metodo Turbo Spin-Echo

Il Turbo Factor regola, quindi, il numero dei profili acquisiti per TR e tuttavia è possibile acquisirli tutti in una singola eccitazione dando vita a quella che viene chiamata sequenza single-shot.

Il contrasto nell'immagine viene determinato dai profili vicini allo K0 nel K-space. Il punto nel quale questi vengono misurati viene chiamato Tempo di Eco effettivo ed è quello che viene generalmente immesso nei parametri di sequenza per ottenere il contrasto desiderato.

Per ottenere immagini in T2 il tempo di eco effettivo deve essere lungo, es:150ms o più lungo per immagini estremamente pesate in T2. Un immagine in densità protonica richiede un tempo di eco effetivo più corto, es.: 20-30ms; mentre un tempo ancora più corto, es.:12ms si utilizza per immagini pesate in T1.

Come abbiamo già avuto modo di ribadire più volte, in precedenza, l'ordien dei profili più bassi sono responsabili del contrasto nell'immagine, quindi l'ordine con cui vengono misurati è molto importante.

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Fig. 3: Rappresentazione di un ordini di profili lineare.

Come rappresentato nella fig.3 l'ordine di acquisizione lineare comincia vicino al valore Ky minimo e i profili sono misurati verso il valore Ky massimo.

Nella figura successiva (fig.4) l'ordine dei profili comincia intorno al K0 e la misurazione avviene in modo alternato. In questo caso un tempo di eco effettivo corto sarebbe l'ideale perchè i profili intorno al K0 sono acqisiti all'inizio della sequenza.

Fig. 4: Rappresentazione dell'ordine di acquisizione low-high

L'ordine di profili lineare generalmente viene utilizzato per sequenze T2 pesate. Le sequenze T1 e PD (densità protonica) fanno uso dell'ordine di profili low-high.

Nell'applicazione diagnostica le TSE possono essere usate in tutte le parti del corpo, e là,dove sono necessari tempi di scansione più brevi abbinati ad un'elevata qualità d'immagine.

Le sequenze TSE sono anche utilizzate in combinazione ad altri metodi di acquisizione come le Inversion Recovery generando così, le Turbo Inversion Recovery (IR-TSE). Come nelle standard IR, la sequenza comincia con un impulso a 180°, che inverte la magnetizzazione. Dopo il tempo di inversione definito (TI), viene generato l'impulso di eccitazione TSE con il treno di echi relativo.

Un esempio di queste applicazioni IR-TSE viene fatto con le sequenze di soppressione del grasso STIR e soppressione dei fluidi,come il fluido cerebro-spinale (FLAIR).

Un aspetto tipico delle TSE pesate in T2, è la presenza del grasso iperintenso; a questo scopo le sequenze di soppressione del grasso

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(FATsat) o SPIR sono impiegate nella routine. Queste sequenze sono da non confondere con le STIR, perchè nelle SPIR l'impulso di soppressione è ottimizzato sulla frequenza individuale del grasso.

Lo svantaggio di queste sequenze e la non omogenea soppressione in presenza di parti metalliche, come nelle protesi dentarie o mascara, e in quando si uilizzano campi di vista molto ampi (FOV's).

EPI (Echo Planar Imaging)

L'imaging Ecoplanare, è conosciuto, come un metodo rapidissimo di acquisizione, che colleziona tutti i profili, in una eccitazione o shot.

Nell'imaging ecoplanare, viene prodotto un treno di echi dal rapido cambio di polarità del gradiente di lettura. Le EPI oggi rappresentano le più veloci tecniche di acquisizione disponibili in Risonanza Magnetica.

Come descritto nel capitolo riguardante il K-space, le traiettorie di acquisizione dei profili devono coprire tutti i punti lungo le linee Kx e Ky (frequenza e fase), per generare un immagine completa. Nelle ecoplanari le traiettorie sono collezionate in modo diverso rispetto alle tecniche convenzionali. Linee di codifiche di fase multiple, vengono misurate da una singola eccitazione RF,invece che una singola. Per poter ottenere questo, sono necessari gradienti, con forme d'onda particolari.

Fig.1: Traiettoria del K-Space nella sequenza EPI

Come si può vedere dalla fig.1 in questo metodo di attraversamento del K-space, chiamato blipped, viene impiegato un impulso positivo del gradiente di lettura Gx, che attraversa lo spazio da sinistra a destra, poi il primo blip positivo del gradiente di fase Gy, insieme ad un'inversione del Gx, provoca il movimento da destra a sinistra nel K-space. Questo viene ripetuto fino al completo campionamento dello spazio.

Se il segnale ottenuto, deriva solamente dal gradiente di rifocalizzazione la tecnica viene chiamata gradient-EPI (FE-EPI). Quest'ultima risulta, però molto sensibile agli effetti di suscettibilità, ed è un vantaggio nell'imaging funzionale (Perfusion). Un modo per poter ridurre questi effetti di suscettibilità, sta nell'aggiunta di un'impulso di 180° dopo quello di 90°, e in questo caso si parla di SE-EPI.

Tuttavia le EPI sono considerate come un metodo di fast imaging per le tecniche di scansione esistenti.

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I metodi di acquisizione in EPI sono principalmente due: Single Shot o Multi Shot.

Nelle Single Shot le informazioni necessarie per ricostruire un'immagine sono ottenute da una sigola eccitazione.

Ogni linea trasversale del K-space è misurata da un impulso positivo e negativo del gradiente di lettura. Questo numero di linee viene chiamato EPI factor.

Nelle single shot, il tempo di acquisizione è limitato dal tempo di rilassamento T2 del tessuto e dalle inomogeneità (errori di fase) causate dai gradienti, che limitano la risoluzione d'immagine. Per questa ragione la velocità di campionamento deve essere la più veloce possibile. I tessuti con tempi di rilassamento T2 più corto del tempo di acquisizione conduce ad una situazione dove il segnale è gia scomparso prima del campionamento dei valori di Ky, provocando immagini offuscate. Un altro problema è provocato dai ghosting (immagini fantasma), derivanti dalle discontinuità di fase provocate dall'attraversamento rapido da sinistra a destra e viceversa del K-space.

Praticamente, le single shot, possono essere acquisite con gradienti ad alto campo e con bassa rsioluzione d'immagine.

Con l'avvento di quest'ultimi, le EPI single shot sono diventate molto utili nelle applicazioni funzionali cadiache e cerebrali.

Nelle EPI multi shot, invece il numero di profili campionati e quindi l'EPI factor è limitato. Di conseguenza gli errori di fase e gli offuscamenti (blurring) nel'immagine sono ridotti. Lo svantaggio sta nel tempo di scansione più lungo; anche se di contro c'è la possibiltà di eseguire questa tecnica anche su normali scanner privi di gradienti ad alto campo.

Fig. 2: Sequenza EPI

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