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Guida alla prassi in materia di trattati internazionali : Traduzione e commento

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Academic year: 2022

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Master

Reference

Guida alla prassi in materia di trattati internazionali : Traduzione e commento

DE CARO, Beatrice

Abstract

L'objectif du présent travail consiste, dans un premier temps, à effectuer la traduction du français vers l'italien du document « Guide de la pratique en matière de traités internationaux

», publié par le Département fédéral des affaires étrangères de la Confédération suisse, et d'une analyse des choix traductifs, dans un second temps. Ce travail de traduction argumentée permet d'approfondir les phases à aborder dans la traduction spécialisée d'un texte juridique portant sur le droit international public et le droit des traités. Cet essai permet notamment d'aborder la problématique du multilinguisme dans le droit international ainsi que celle des traductions authentiques et non authentiques des traités. En outre, l'analyse se concentre sur les choix traductifs relatifs au lexique et à la syntaxe en se concentrant sur les difficultés linguistiques et traductives rencontrées dans le contexte particulier du droit international, moins lié à une approche de type comparatif.

DE CARO, Beatrice. Guida alla prassi in materia di trattati internazionali : Traduzione e commento. Master : Univ. Genève, 2019

Available at:

http://archive-ouverte.unige.ch/unige:122353

Disclaimer: layout of this document may differ from the published version.

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Guida alla prassi in materia di trattati internazionali Traduzione e commento

Beatrice De Caro

Directeur : Jean-Luc Egger Juré : Giovanna Titus-Brianti

Mémoire présenté à la Faculté de traduction et d’interprétation (Unité d’italien) pour l’obtention de la Maîtrise universitaire en Traduction spécialisée

2018-2019 Session de juin

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Déclaration attestant le caractère original du travail effectué

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Ringraziamenti

Tengo a ringraziare innanzitutto il professor Jean-Luc Egger per la disponibilità e l’attenzione con cui ha assistito lo svolgimento del presente lavoro. La sua professionalità è stata per me di grande esempio e ispirazione.

Ringrazio inoltre la professoressa Giovanna Titus-Brianti per aver accettato di seguirmi come correlatrice e per le preziose indicazioni fornitemi.

Un grazie di cuore spetta senz’altro a tutte le persone vicine e lontane che mi hanno accompagnata durante il mio percorso accademico e che mi hanno sostenuta nel raggiungimento di questo traguardo: ai miei carissimi compagni di corso, colleghi, amici, ai miei genitori per il costante appoggio e a Roger, per tutto.

Grazie a Ginevra, per essere diventata casa.

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INDICE

Introduzione ... 3

1 Il diritto dei trattati e la Convenzione di Vienna: una panoramica .. 6

Le fonti del diritto internazionale ... 6

La codificazione del diritto dei trattati ... 7

L’accordo internazionale e procedura di stipulazione ... 8

Diritto internazionale e diritto interno ...11

2 Multilateralismo e multilinguismo ... 14

I regimi linguistici delle organizzazioni internazionali ...15

Traduzione e redazione multilingue dei trattati autentici ...18

Traduzioni non autentiche ...20

Interpretazione di trattati multilingue ...21

3 Tipologia testuale ... 23

Classificazione dei principali testi giuridici in lingua italiana ...23

Gli strumenti istituzionali di riferimento: una tipologia testuale ibrida ...24

Destinatari ...26

4 Approccio traduttivo ... 30

Risorse e metodologia ...30

Peculiarità della traduzione di testi relativi al diritto internazionale ...32

5 Analisi delle scelte traduttive ... 34

Lessico ...34

5.1.1 Le caratteristiche lessicali del linguaggio giuridico ...34

5.1.2 Tradurre la terminologia specialistica del linguaggio giuridico ...39

5.1.3 Osservazioni terminologiche ed esempi di analisi delle scelte traduttive ...43

5.1.3.1 Il titolo: prassi e pratica ...43

5.1.3.2 Terminologia relativa al diritto internazionale pubblico e al diritto dei trattati ...44

5.1.3.2.1 Sostantivi...44

5.1.3.2.2 Verbi ...55

5.1.3.3 Terminologia relativa al diritto della Confederazione Svizzera...56

5.1.3.4 Latinismi ...59

5.1.3.5 Anglicismi ...60

5.1.3.6 Abbreviazioni e sigle ...61

Sintassi ...63

(6)

5.2.1 Le caratteristiche sintattiche del linguaggio giuridico ...63

5.2.2 Osservazioni sintattiche ed esempi di analisi delle scelte traduttive ...67

5.2.2.1 La trasposizione ...68

5.2.2.2 La resa di caratteristiche tipiche del francese ...71

5.2.2.3 Rendere l’impersonalità ...73

5.2.2.4 Esempi di alterazione della struttura della frase ...74

Conclusione ... 77

Bibliografia ... 79

Allegato 1 ... 85

Allegato 2 – Traduzione ... 86

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Introduzione

Il primo obiettivo del presente lavoro è quello di fornire una traduzione della pubblicazione Guide de la pratique en matière de traités internationaux (di seguito, Guida), elaborata dal Dipartimento federale degli affari esteri della Confederazione Svizzera (DFAE) nel 2015. Tale documento, “destinato al personale dell’amministrazione federale in Svizzera e in seno alle rappresentanze svizzere all’estero”1 , è stato redatto in francese e tradotto in tedesco e in inglese. L’assenza di una versione in lingua italiana è dunque il motivo principale della scelta di questo testo per l’elaborazione di progetto di traduzione e analisi.

Tale decisione si è rivelata in primo luogo una preziosa opportunità per cimentarmi con la traduzione di un documento nella sua integralità per la prima volta nel mio percorso accademico di studi in traduzione, fornendomi un’idea decisamente molto più chiara della realtà quotidiana di un traduttore professionista. In secondo luogo, la scelta di tradurre ed analizzare la presente Guida mi ha permesso di approfondire due degli argomenti che hanno maggiormente suscitato il mio interesse nel corso dei due anni di studio che ho trascorso a Ginevra: la traduzione istituzionale in Svizzera e il diritto internazionale pubblico. Nonostante l’immagine della traduzione sia spesso proprio legata al contesto delle istituzioni internazionali, in particolare agli occhi di molti studenti che si avviano ad un percorso di studi simile, la traduzione giuridica relativa al diritto internazionale di rado è trattata in corsi di traduzione per studenti italofoni2, scelta comprensibilmente legata all’assenza dell’italiano tra le lingue ufficiali di una grande

1 Guide de la pratique en matière des traités intérnationaux, DFAE, Berna, 2015, pag. 1.

2 Sulla base dell’esperienza accademica personale dell’autrice.

« C’est pourtant bien simple: pour le mot Italie, en français, nous avons le mot France qui en est la traduction exacte.

Ma patrie est la France. Et France en oriental: Orient. Ma partie est l’Orient. Et Orient en portugais: Portugal!

L’expression orentale: ma patrie est l’Orient se traduit donc de cette façon en portugais: ma patrie est le Portugal!

Et ainsi de suite… »

Eugène Ionesco La leçon

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maggioranza di organizzazioni internazionali intergovernative3. Viene infatti dato maggior spazio a testi redatti nell’ambito di un ordinamento giuridico nazionale, sia esso americano, britannico, francese o svizzero, in cui si prepara lo studente a risolvere problematiche traduttive non solo di tipo linguistico, ma specialmente di carattere culturale e comparativo (Garzone 2002, 39). Il delicato compito di trasposizione di termini e concetti dalla lingua propria di un ordinamento ad un’altra, competenza sicuramente fondamentale per un futuro traduttore giuridico, può però talvolta distogliere l’attenzione dagli aspetti più specificamente linguistici, testuali e traduttivi (Garzone 2002, 38).

All’interno del presente lavoro si tenterà di delineare gli aspetti chiave e le difficoltà che riguardano la traduzione verso l’italiano di testi relativi al diritto internazionale pubblico, più in particolare al diritto dei trattati, proponendo soluzioni traduttive al fine di fornire uno strumento terminologico e di riflessione utile a studenti che vorranno approfondire questo tema così vasto e appassionante, seppur spesso trascurato. Dato il ruolo sempre maggiore che il multilateralismo sta assumendo all’interno degli ordinamenti nazionali e di conseguenza nella vita dei cittadini, possiamo dedurre che la domanda di traduzione in quest’ambito tenderà a crescere.

Da un punto di vista metodologico il lavoro è strutturato in due parti principali che riflettono il processo adottato nell’elaborazione della traduzione. La prima, che include i capitoli 1 e 2, fornisce in primo luogo un’introduzione al tema di fondo della Guida e offre una panoramica generale sul diritto dei trattati e sulla Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati4 (di seguito, CV). Come si avrà modo di approfondire nel capitolo dedicato all’approccio traduttivo, il ricorso ad un’approfondita analisi delle fonti e dei testi afferenti è il primo passo che il traduttore deve compiere dinnanzi a qualsivoglia testo, in particolare se si tratta di un testo specializzato come in questo caso.

3 L’italiano è tra le lingue ufficiali di organizzazioni internazionali a livello regionale quali l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), insieme a inglese, francese, tedesco russo e spagnolo ed è inoltre una delle ventiquattro lingue ufficiali delle istituzioni dell’Unione Europea.

https://www.osce.org/it/who-we-are

https://europa.eu/european-union/topics/multilingualism_it

4 RS 0.111

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Ci si soffermerà in seguito su un tema intrinseco al diritto internazionale e alla redazione di trattati, ovvero quello del multilinguismo. Il diritto internazionale, diritto

“tra i popoli”, senza lingua e di conseguenza senza traduzione non avrebbe modo di esistere. Si tratta di un ambito in cui la traduzione assume un ruolo vitale, probabilmente più che in qualsiasi altro settore della traduzione giuridica se non della traduzione in generale. Un ambito dunque in cui la lingua va ben oltre il suo ruolo di sistema comunicativo, ma diventa l’espressione per eccellenza della cultura e dell’identità di una nazione (Mowbray 2010, 105). In un’epoca di tale espansione per il multilateralismo, difendere e promuovere lo status delle lingue nazionali a livello internazionale è fondamentale al fine di proteggere la diversità linguistica e culturale e affinché tale ricchezza, già così minacciata, non vada perduta. La lingua del diritto si lega qui strettamente ai diritti linguistici, disciplina in espansione e oggetto di strumenti internazionali stipulati negli ultimi decenni5. Garantire la protezione delle lingue minoritarie ed un giusto utilizzo di tutte le lingue nel contesto delle relazioni internazionali risulta fondamentale al fine di garantire un trattamento equo di tutti gli individui, la libertà di espressione e la non discriminazione (European Commission 2012, 6).

La seconda parte, che include i capitoli 3, 4 e 5 così come la traduzione della Guida, rappresenta la fase dello svolgimento vero e proprio della traduzione, dall’analisi della tipologia testuale del testo tradotto all’analisi delle difficoltà incontrate e delle soluzioni traduttive adottate. Queste ultime, data l’ampiezza del documento, sono state suddivise in due categorie orizzontali, segnatamente lessico e sintassi. Il lessico a sua volta è stato suddiviso in diverse sottocategorie: la traduzione di termini relativi al diritto dei trattati, di termini relativi al linguaggio giuridico della Confederazione Svizzera, latinismi, anglicismi, sigle e abbreviazioni. Infine, nel capitolo dedicato alla sintassi, sono illustrate le caratteristiche sintattiche tipiche del linguaggio giuridico reperibili nel testo analizzato ed in seguito sono approfondite le difficoltà traduttive concernenti aspetti morfosintattici dalla resa in italiano del testo.

5 V. per esempio la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie (1992) e la Convenzione UNESCO per la protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali (2005).

https://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/rms/090000168007c095 http://www.unesco.it/it/Cultura/Detail/138

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1 Il diritto dei trattati e la Convenzione di Vienna: una panoramica

Le fonti del diritto internazionale

Il diritto internazionale pubblico disciplina “l’insieme delle regole giuridicamente vincolanti in vigore a livello internazionale”6, in particolare le relazioni reciproche tra gli Stati. Questi, insieme alle organizzazioni internazionali, sono i soggetti esclusivi del diritto internazionale pubblico. Potremmo affermare che in tale contesto è oggigiorno riconosciuta una personalità giuridica, seppur limitata, anche agli individui, specialmente nel campo della protezione dei diritti dell’uomo7.

La particolarità del sistema giuridico internazionale è la sua orizzontalità8, diversamente dal diritto interno che potremmo definire un sistema verticale. La mancanza di un’organizzazione gerarchica nella società internazionale comporta un decentramento dell’attività di produzione del diritto, la quale è esercitata dai soggetti stessi del diritto internazionale, ovvero gli Stati sovrani e indipendenti (Gioia 2006, 19).

Le norme del diritto internazionale non sono dunque elaborate ed imposte agli Stati da un’autorità gerarchica superiore, ma sono poste dagli Stati stessi mediante i loro comportamenti, che rappresentano la consuetudine internazionale, o attraverso manifestazioni della loro volontà, ossia gli accordi o trattati (Gioia 2006, 20). Seppur la nascita delle organizzazioni internazionali abbia affievolito tale situazione, è bene notare che le organizzazioni internazionali con il potere di adottare atti vincolanti per i propri Stati membri restano un’eccezione e si tratta comunque di enti creati da Stati ed il cui potere normativo “esiste solo nei limiti in cui questo è stato conferito agli Stati membri mediante il trattato istitutivo” (ibidem).

Il punto di riferimento per lo studio delle fonti del diritto internazionale pubblico, considerato “patrimonio culturale del diritto internazionale” (Canal-Forgues e Rambaud 2016, 29) è il paragrafo 1 dell’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia (1945). Vi sono elencate, seppur in modo non esaustivo, le fonti formali del diritto internazionale a cui può ricorre il giudice nella composizione di controversie:

6 V. Introduzione, ABC del diritto internazionale pubblico, DFAE, Berna, 2003, pagg. 3-9.

7 Guide de législation, 3e édition mise à jour, Office fédéral de la justice, 2007, n. marg. 462.

8 “Le système juridique international demeure un système essentiellement horizontal” (Canal-Forgues e Rambaud 2016, 24).

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a. le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite;

b. la consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata come diritto;

c. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;

d. con riserva della disposizione dell'articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche.

L’articolo non indica alcuna gerarchia delle fonti, ma nella prassi si è affermata una priorità informale secondo la quale i trattati prevalgono sul diritto generale, i trattati particolari sui trattati generali, e la consuetudine locale sulla consuetudine generale (Canal-Forgues e Rambaud 2016, 28). Alcuni aspetti dell’articolo sono contestati: “i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili” (espressione ormai anacronistica) sono oggi riconosciuti nei valori dello Statuto delle Nazioni Unite. Non sono inoltre menzionati gli atti unilaterali, le raccomandazioni e le risoluzioni delle organizzazioni internazionali, che nel tempo hanno assunto un’importanza sempre maggiore (Canal-Forgues e Rambaud 2016, 29).

La codificazione del diritto dei trattati

Storicamente la consuetudine ha rivestito un ruolo centrale nel diritto internazionale, le cui regole cogenti sono ancora oggi essenzialmente consuetudinarie (Santulli 2013, 60). La consuetudine per potersi affermare e prosperare necessita valori, interessi comuni ed omogenei. Se tale omogeneità viene meno – come accade nella società odierna, molto più articolata e con interessi sempre più divergenti – è inevitabile che la consuetudine entri in crisi e perda il suo carattere esclusivo di generalità (Condorelli 20149; Strozzi 1999, 3). La conseguenza di tale crisi è stata inevitabilmente la codificazione (Condorelli 2014). La perdita o riduzione del consenso nei confronti di certe norme consuetudinarie ha fatto sì che si sviluppasse un diritto convenzionale multilaterale, al fine di disciplinare in modo certo ed universale intere materie applicabili a tutti gli Stati (Strozzi 1999, 4). Ciò ha quindi motivato gli Stati ad elaborare accordi, compromessi convenzionali al fine di conferire certezza al diritto applicabile, recependo vecchi principi consuetudinari e introducendone di nuovi con la precisione propria delle norme scritte (ibidem). Nel secondo dopoguerra si è assistito a una proliferazione di

9 V. voce Diritto internazionale, Enciclopedia Treccani online, di Luigi Condorelli, Diritto online (2014):

http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-internazionale_%28Diritto-on-line%29/

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trattati a vocazione universale e in particolare di trattati di codificazione. In questo contesto, fondamentale è stato il ruolo dell’Assemblea delle Nazioni Unite che a tal fine nel 1947 ha creato un organo apposito: la Commissione del diritto internazionale (Condorelli 2014). Non solo dunque si è visto un aumento degli accordi convenzionali, ma si è reso necessario codificare le norme consuetudinarie relative al procedimento di formazione dell’accordo, così come alle riserve, alle cause di invalidità di estinzione e di sospensione dell’applicazione dell’accordo (Gioia 2006, 68). Il risultato è stato l’elaborazione della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati (CV) da parte della Commissione del diritto internazionale, la quale oltre a codificare norme consuetudinarie ha introdotto numerose norme innovative che hanno dato luogo a un’evoluzione della prassi internazionale (Strozzi 1999, 8). La Convenzione entrò in vigore nel 1980 in seguito al deposito del 35° strumento di ratifica. Fu seguita nel 1986 dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati fra Stati ed organizzazioni internazionali e fra organizzazioni internazionali, la quale però non è ancora entrata in vigore10.

L’accordo internazionale e procedura di stipulazione

L’art. 2 par. 1 della CV definisce il trattato internazionale come “un accordo internazionale concluso per iscritto tra Stati e regolato dal diritto internazionale, che sia costituito da un solo strumento o da due o più strumenti connessi, qualunque ne sia la particolare denominazione”. Per qualificare un trattato come tale non ci si basa dunque sul suo titolo, né sulla forma, ma sul suo contenuto e sulla volontà delle parti di vincolarsi reciprocamente (Strozzi 1999, 6).

La CV, la quale disciplina esclusivamente gli accordi internazionali conclusi tra Stati e per iscritto (art. 3 CV), concede un’ampia libertà di scelta circa i modi di esprimere il consenso ad essere vincolati da un trattato (Gioia 2006, 69). Prevede infatti che il

“consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato può essere espresso con la firma, lo scambio di strumenti che formano il trattato, la ratifica, l’accettazione, l’approvazione o l’adesione, o con ogni altro mezzo convenuto (art. 11 CV). Da un punto di vista dottrinale, si distinguono due principali modalità di stipulazione: il procedimento in forma semplificata e il procedimento in forma solenne (Gioia 2006, 70). Nel primo procedimento

10 All’interno del testo, con CV/Convenzione di Vienna si farà riferimento alla Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati.

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lo Stato concede il proprio consenso ad essere vincolato dal trattato immediatamente mediante la firma del testo emerso dai negoziati; nel secondo invece il consenso dello Stato ad obbligarsi avviene in un secondo momento mediante ratifica (ibidem).

Entrambi i procedimenti iniziano con la fase dei negoziati, “in cui gli Stati concordano le regole da inserire nel testo scritto sulla cui base manifesteranno successivamente la loro volontà di obbligarsi” (ibidem). I trattati bilaterali possono essere negoziati a distanza mentre i trattati multilaterali sono negoziati in seno ad una conferenza diplomatica creata per impulso di uno Stato o di un’organizzazione internazionale (ibidem). I protagonisti dei negoziati sono i rappresentanti degli Stati, tradizionalmente detti plenipotenziari (Gioia 2006, 71). Questi infatti, al fine di poter rappresentare il proprio Stato e manifestarne il consenso, devono presentare i pieni poteri (art. 7, par. 1 CV), ovvero strumenti “rilasciati dal Capo dello Stato o dal Ministro degli affari esteri, o comunque dagli organi costituzionalmente competenti in materia di politica estera, dai quali risulta l’autorizzazione delle persone designate a negoziare (o concludere) il trattato” (Strozzi 1999, 26). La CV prevede che sono considerati rappresentati dello Stato senza dover presentare i pieni poteri i Capi di Stato, di Governo e i Ministri degli affari esteri, i capi di missioni diplomatiche e i rappresentanti accreditati degli Stati ad una conferenza internazionale (v. art. 7, par. 2 CV).

Se risultano proficui, i negoziati si concludono con l’adozione del testo del trattato (Gioia 2006, 71). Conformemente all’art. 9 CV, l’adozione del testo di un trattato ha luogo con il consenso di tutti gli Stati che hanno partecipato alla sua elaborazione. Tuttavia, nel caso dell’adozione del testo di un trattato in una conferenza internazionale, questa si compie con la maggioranza dei due terzi degli Stati presenti e votanti, a meno che detti Stati non decidano, con la stessa maggioranza, di applicare una norma diversa (art. 9 par.

2 CV). L’adozione del testo di norma coincide con l’autenticazione del testo (art. 10 CV), procedura mediante la quale il testo di un trattato viene dichiarato autentico e definitivo.

Una volta autenticato il testo, gli Stati non potranno più modificarne unilateralmente le disposizioni11. Se una procedura di autenticazione non è espressamente prevista dal

11 V. voce Authentification, Glossaire des termes relatifs aux formalités se rapportant aux traités, Collection des traités des Nations Unies:

https://treaties.un.org/pages/overview.aspx?path=overview/glossary/page1_fr.xml#authentication

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trattato, questa può essere effettuata mediante firma, firma ad referendum o parafatura da parte dei rappresentanti degli Stati (art. 10 CV).

Per quanto riguarda la manifestazione della volontà degli Stati ad essere vincolati da un trattato, può avvenire mediante la firma di plenipotenziari (art. 12 CV) o mediante lo scambio di note diplomatiche (art. 13 CV) in caso di stipulazione a distanza. Questi casi rappresentano la stipulazione in forma semplificata, la quale in genere riguarda i trattati bilaterali (Gioia 2006, 73). Per gli accordi stipulati in forma solenne, come si è avuto modo di accennare, il consenso ad essere vincolati da un trattato è espresso con un atto successivo alla firma, ovvero la ratifica (art. 14 CV). Mentre la firma è apposta dal plenipotenziario, la ratifica proviene dall’organo statale costituzionalmente competente a stipulare un trattato (Gioia 2006, 73). Nel lasso di tempo che intercorre tra firma e ratifica, lo Stato firmatario ha l’obbligo di astenersi dal compiere atti suscettibili di privare un trattato del suo oggetto e del suo scopo (art. 18 CV). Uno Stato non firmatario può vincolarsi successivamente ad un trattato mediante adesione, quando il trattato lo prevede (art. 15 CV).

Una volta espresso il consenso a vincolarsi, si procede al perfezionamento dell’accordo, il quale può avvenire mediante lo scambio degli strumenti di ratifica (in genere nel caso di trattati bilaterali) o con il deposito delle ratifiche o delle adesioni presso il depositario, più frequente nell’ambito dei trattati multilaterali (art. 16 CV) (Gioia 2006, 74).

Il momento dell’entrata in vigore, che spesso precede il perfezionamento dell’accordo, è infine specificato nel testo del trattato: per l’entrata in vigore di trattati multilaterali è solitamente richiesto un numero minimo di ratifiche o adesioni. Per esempio, la CV entrò in vigore il 27 gennaio 1980 in seguito al deposito del 35° strumento di ratifica (Strozzi 1999, 8) come stabilito dall’art. 84 della Convenzione stessa: “la presente convenzione entrerà in vigore trenta giorni dopo la data del deposito del trentacinquesimo strumento di ratifica o di adesione”.

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Diritto internazionale e diritto interno

Il capitolo 3 della Guida di legislazione12, intitolato Droits fondamentaux et droit international (pagg. 177-213), fornisce una panoramica concisa ma esaustiva della relazione tra diritto internazionale e diritto interno in Svizzera13.

I due modelli possibili sono quello monista e dualista. L’approccio dualista richiede che la norma internazionale venga recepita da un atto giuridico interno affinché questa possa essere applicabile all’interno dei confini nazionali. Il monismo per contro sancisce il primato del diritto internazionale sul diritto interno: in tal modo, un trattato internazionale concluso da uno Stato sarà direttamente applicabile nel suo ordinamento dal momento dell’entrata in vigore. Secondo la dottrina e prassi dominanti, nell’ordinamento svizzero si applica l’approccio monista (Guide de législation, pagg. 186- 187).

Nella Costituzione federale del 18 aprile 1999 (di seguito Cost.) non è disciplinato in modo esplicito quale primazia il diritto svizzero riconosca al diritto internazionale (Guide de législation, pag. 187). La Cost. riporta tuttavia che:

a) la Confederazione e i Cantoni rispettano il diritto internazionale (art. 5 cpv. 4).

b) le leggi federali e il diritto internazionale sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate dell'applicazione del diritto (art. 190).

c) le disposizioni cogenti del diritto internazionale non possono essere violate (art. 193 cpv. 4).

d) la dignità della persona va rispettata e protetta (art. 7).

Il Tribunale federale ammette il primato del diritto internazionale, tranne in casi isolati in cui è stata accordata la primazia di atti interni, segnatamente nel famoso caso della decisione Schubert14. Secondo tale decisione, il legislatore può derogare a norme di diritto internazionale nel caso in cui ciò fosse necessario al fine di tutelare interessi fondamentali della Svizzera (Guide de législation, pag. 188).

12 Guide de législation, 3ème édition mise à jour, Office fédéral de la justice, 2007.

13 Le informazioni presentate nel seguito del presente sottocapitolo sono tratte dalla pubblicazione sopracitata.

14 Base costituzionale per la prassi Schubert, mozione Reimann 08.3249:

https://www.parlament.ch/it/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20083249

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Per quanto riguarda la conclusione di trattati internazionali, essa è di competenza della Confederazione anche nei casi in cui un trattato riguardi questioni in genere di competenza dei Cantoni come la cultura, l’educazione o il diritto fiscale. Ai sensi dell’art.

54 Cost., la Confederazione deve tuttavia tenere conto degli interessi dei Cantoni e salvaguardarli. Il Consiglio federale decide in merito all’apertura dei negoziati e a quest’ultimo spetta la negoziazione dei trattati insieme ai dipartimenti competenti (art.

184 cpv. 1 Cost.). L’Assemblea federale non interviene nella fase di negoziazione ma il Consiglio federale deve tuttavia informare e consultare le commissioni degli affari esteri dei due consigli (art. 152 cpv. 2 LParl). I trattati possono essere conclusi dalle autorità federali mediante procedura ordinaria o procedura semplificata. La prima consiste nell’approvazione da parte dell’Assemblea federale, prima della ratifica e della firma definitiva, dei trattati negoziati e firmati dal Consiglio federale (art. 24 cpv. 2 LParl). Per quanto riguarda la procedura semplificata, il Consiglio federale può concludere trattati autonomamente su autorizzazione dell’Assemblea federale (art. 166 cpv. 2 Cost.) o nei casi di trattati di portata limitata (7a cpv.2 LOGA). Il Consiglio federale può inoltre delegare tale competenza a dipartimenti, aggruppamenti o uffici nei casi di trattati di portata limitata. Secondo la prassi attuale, sono da considerarsi trattati di portata limitata (Guide de législation, pag. 197):

a) i trattati che riflettono in modo puntuale il diritto internazionale consuetudinario senza che rappresentino una vera e propria codificazione, b) i trattati di esecuzione destinati ad eseguire trattati anteriori,

c) i trattati concernenti ambiti di competenza del Consiglio federale il cui esercizio esige la conclusione di un trattato internazionale.

Ogni anno il Consiglio federale presenta un rapporto sui trattati conclusi da esso o dalle entità menzionate. Nel caso in cui il Parlamento ritenga che un trattato che è stato concluso dal Consiglio federale è invece di sua competenza, può chiedere che venga sottoposto successivamente alla sua approvazione. Se il Parlamento non approva il trattato, il Consiglio federale deve denunciarlo tempestivamente (Guide de législation, pag.

195).

Nei messaggi concernenti progetti di decreti federali che riguardano l’approvazione di trattati internazionali, è indicato se questi sottostanno al referendum facoltativo o obbligatorio. In breve, sottostanno al referendum facoltativo i trattati di

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durata indeterminata e indenunciabili, i trattati prevedenti l'adesione a un'organizzazione internazionale e infine i trattati comprendenti disposizioni importanti che contengono norme di diritto o per l'attuazione dei quali è necessaria l'emanazione di leggi federali (art. 144 Cost.). Sottostanno invece al referendum obbligatorio i trattati che prevedono l'adesione a organizzazioni di sicurezza collettiva o a comunità sopranazionali (art. 140 Cost.) (Guide de législation, pagg. 200-205).

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2 Multilateralismo e multilinguismo

È impossibile separare il diritto dalla sua espressione linguistica, in quanto è proprio la lingua ad incarnare e rappresentare la norma giuridica (European Commission 2010, 1-2). La lingua diventa una questione particolarmente dedicata in ordinamenti giuridici multilingui, in quanto il messaggio del legislatore deve avere lo stesso significato e la stessa portata giuridica in tutte le versioni linguistiche (ibidem). Tale problematica riguarda principalmente tre ambiti: la legislazione in ordinamenti nazionali con più lingue ufficiali, la redazione di atti di diritto internazionale ed infine il caso ibrido dell’Unione Europea, ordinamento giuridico sovranazionale autonomo che non rientra né nella categoria del diritto nazionale né del diritto internazionale pubblico (European Commission 2012, 13). Nel presente capitolo si tratterà in particolare il secondo degli ambiti citati e sarà approfondita la questione della redazione multilingue e della traduzione di atti normativi di diritto internazionale.

Nell’ultimo secolo si è assistito ad un aumento esponenziale della redazione di trattati internazionali e in particolare ad un’espansione dei temi da essi disciplinati:

cooperazione, commercio, protezione dell’ambiente e di gruppi etnici minoritari, criminalità organizzata, sono solo alcune delle problematiche che interessano oggi gli accordi internazionali tra Stati (European Commission 2012, 13). Molti di questi trattati contengono provvedimenti che riguardano direttamente i singoli individui ed è quindi di cruciale importanza che i trattati possano essere consultati nelle lingue nazionali degli Stati contraenti anche nei casi in cui, per ragioni pratiche e di efficienza, il trattato preveda versioni linguistiche limitate (ibidem). Le lingue in cui il trattato è vincolante sono le cosiddette lingue autentiche, stabilite dal trattato stesso. È in questo contesto che la traduzione gioca un ruolo fondamentale: i trattati internazionali sono in genere redatti in una lingua comune e in seguito tradotti nelle altre lingue autentiche (European Commission 2012, 5). Dato che i testi autentici devono avere lo stesso valore e portata giuridica in tutte le loro lingue, la qualità della traduzione e della redazione delle varie versioni linguistiche deve essere incontestabile (ibidem). Non va però dimenticato l’impatto delle traduzioni non autentiche, ossia quelle traduzioni prodotte dagli Stati contraenti la cui lingua nazionale non è inclusa tra le lingue autentiche. Nonostante la loro non-autenticità, si tratta di traduzioni a cui nella prassi fanno maggiormente riferimento

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individui e giudici nazionali, arrivando spesso fino a sostituire i testi originali (Garzone, 2002, 41).

Alla luce di quanto esposto, si deduce che al fine di garantire un’applicazione più ampia possibile del diritto internazionale è necessario adottare regimi linguistici inclusivi, seppur con i limiti imposti dall’efficienza. La volontà di ridurre eccessivamente le barriere linguistiche mediante l’utilizzo di una sola lingua franca (o di un numero di lingue strettamente limitato) comporta un indebolimento della diversità linguistica e di conseguenza un rischio per la protezione delle libertà individuali (European Commission 2012, 7). È fondamentale dunque che le istituzioni internazionali mirino alla protezione della diversità linguistica pur garantendo il loro buon funzionamento interno (European Commission 2012, 6).

Di seguito verrà fornita una panoramica dei regimi linguistici delle principali organizzazioni internazionali, concentrandosi in particolare sul sistema delle Nazioni Unite e in modo minore sull’Unione Europea. Le politiche linguistiche di tali organizzazioni sono infatti strettamente collegate alla scelta delle lingue autentiche di redazione dei trattati internazionali. Infine, verrà approfondita la questione della redazione multilingue di tali strumenti con particolare riferimento al ruolo del traduttore.

I regimi linguistici delle organizzazioni internazionali

Il multilinguismo funge allo stesso tempo da ponte e da barriera nella costruzione delle relazioni tra gli Stati (Tabory 1980, 1). Per ragioni pratiche facilmente comprensibili, non è possibile per la società internazionale operare utilizzando le oltre 6000 lingue parlate nel mondo. Di qui la necessità di adottare un regime linguistico che definisca le lingue ufficiali e le lingue di lavoro (Mowbray 2010, 91).

In passato la tendenza era quella di avvalersi di una lingua franca per lo svolgimento delle relazioni diplomatiche: nell’età antica tale ruolo è stato svolto da lingue come il sumero, il persiano, il greco, per poi cedere il posto al latino e più tardi allo spagnolo e al francese, rispettivamente nel XV e nel XVIII secolo (Tabory 1980, 4). La supremazia del francese si è imposta fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nonostante l’importanza crescente assunta dall’inglese a partire dal primo dopoguerra (ibidem). Inglese e francese furono entrambe adottate come lingue ufficiali nello svolgimento della Conferenza di Pace di Parigi del 1919 e nella stesura delle versioni

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autentiche del Trattato di Versailles (Tabory 1980, 5). Ad entrambe le lingue venne inoltre accordato lo status di lingue ufficiali dell’Assemblea della Società delle Nazioni e della Corte permanente di giustizia internazionale (ibidem).

La vera e propria era del multilinguismo fu sancita dalla Conferenza di San Francisco (25 aprile-26 giugno 1945) con cui vennero create le Nazioni Unite. Cinese, inglese, francese, russo e spagnolo vennero dichiarate come le cinque lingue officiali dell’organizzazione, con il francese e l’inglese aventi inoltre lo status di lingue di lavoro (Mowbray 2010, 93). Tale distinzione è prassi frequente nella quasi totalità delle organizzazioni internazionali: in genere, tutti i documenti e i discorsi devono essere tradotti necessariamente nelle lingue di lavoro, mentre si ricorre a tutte le lingue ufficiali per la traduzione di documenti e discorsi di importanza particolare (ibidem). Con il consistente aumento di Paesi membri nei decenni successivi, l’arabo venne adottato come lingua ufficiale dall’Assemblea Generale nel 1973, portando il numero di lingue ufficiali a sei (Tabory 1980, 9). Con il tempo cambiò anche il loro status e tutte e sei le lingue vennero dichiarate lingue ufficiali e di lavoro dell’Assemblea Generale (Mowbray 2010, 93). Nel regolamento interno dell’Assemblea Generale venne dunque stabilito che15:

L'anglais, l'arabe, le chinois, l'espagnol, le français et le russe sont à la fois les langues officielles et les langues de travail de l'Assemblée générale, de ses commissions et de ses sous-commissions. (Art. 51)

Les discours prononcés dans l'une quelconque des six langues de l'Assemblée générale sont interprétés dans les cinq autres langues. (Art. 52)

Tout représentant peut prendre la parole dans une langue autre que les langues de l'Assemblée générale. Dans ce cas, il assure l'interprétation dans l'une des langues de l'Assemblée générale ou de la commission intéressée. Les interprètes du Secrétariat peuvent prendre pour base de leur interprétation dans les autres langues de l'Assemblée générale ou de la commission intéressée celle qui aura été faite dans la première de ces langues. (Art. 53)

Il regolamento del Consiglio di Sicurezza riflette quello dell’Assemblea Generale e vi si stabilì che “l’anglais, l’arabe, le chinois, l’espagnol, le français et le russe sont à la fois les langues officielles et les langues de travail du Conseil de sécurité”16. Gli altri organi17

15 A/520/Rev.18, Règlement intérieur de l’Assemblée Générale, Nazioni Unite, New York, 2016.

16 S/96/Rev.7, Règlement intérieur provisoire du Conseil de Securité, Nazioni Unite, New York, 1983.

17 “Sono istituiti quali organi principali delle Nazioni Unite: un’Assemblea Generale, un Consiglio di Sicurezza, un Consiglio Economico e Sociale, un Consiglio di Amministrazione Fiduciaria, una Corte Internazionale di Giustizia, ed un Segretariato” (art. 7, Statuto delle Nazioni Unite, RS 0.120).

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lavorano con un numero di lingue più limitato: ad esempio, il Segretariato e la Corte internazionale di giustizia operano in francese ed inglese, mentre il Consiglio economico e sociale (ECOSOC) ha come lingue di lavoro esclusivamente inglese francese e spagnolo (Mowbray 2010, 94). Il numero di lingue effettivamente utilizzate nella realtà quotidiana dell’organizzazione risulta però estremamente limitato e l’inglese risulta la lingua maggiormente utilizzata in sede di negoziazioni (de Saint Robert 2010, 116) e nella divulgazione di informazioni in rete (Mowbray 2010, 95). A partire dalla fine degli anni

’90, sempre più sensibili alla problematica, le Nazioni Unite hanno preso diverse iniziative in favore del multilinguismo, tra cui la nomina nel 2008 di un Coordinatore per il multilinguismo18.

Diverso è il caso dell’Unione Europea, in merito al quale non si entrerà nel dettaglio data l’attinenza limitata con gli argomenti trattati nella Guida oggetto del presente studio.

Nonostante le istituzioni europee si fondino su trattati costitutivi che sono a tutti gli effetti trattati multilaterali, si tratta di una categoria particolare di diritto sovranazionale: la legislazione e il diritto derivato (regolamenti, direttive, decisioni) concernente ambiti di competenza delle istituzioni europee sono infatti direttamente applicabili agli Stati membri (Prieto Ramos 2011, 202). Il regime linguistico dell’Unione Europea (di seguito, UE) è decisamente unico e riflette lo status particolare dell’istituzione. Dopo l’ammissione della Croazia nel 2013, le lingue ufficiali sono oggi 2419, ovvero le lingue nazionali dei 28 Paesi membri (v. art. 55 par. 1 del Trattato sull’Unione Europea). L’ordinamento giuridico multilingue dell’UE si basa sul principio secondo cui tutti gli atti normativi da esso prodotti devono essere redatti e pubblicati in tutte le lingue ufficiali (European Commission 2010, 16). Inoltre, conformemente al Trattato sull’Unione Europea, ogni cittadino ha il diritto di utilizzare qualsiasi delle lingue ufficiali nella corrispondenza con le istituzioni dell’UE (Mowbray 2010, 96). Anche in questo caso, nella prassi il numero di lingue utilizzate è più ridotto: le lingue di lavoro delle istituzioni europee sono francese, inglese e tedesco (Mowbray 2010, 97). L’inglese risulta la lingua più ricorrente nelle pubblicazioni in rete oltre ad essere diventata la lingua di lavoro dominante negli ultimi

18 Attualmente l’incarico è ricoperto da Catherine Pollard (Guyana), Sottosegretario dell’Assemblea Generale.

19 Per un approfondimento sul multilinguismo dell’UE, consultare la pagina dedicata sul sito ufficiale dell’Unione europea: https://europa.eu/european-union/topics/multilingualism_it

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decenni in quanto preferita al francese e al tedesco dagli Stati membri più recenti (ibidem).

Nonostante le profonde differenze ideologiche e strutturali che caratterizzano i regimi linguistici delle due organizzazioni sovra menzionate, le problematiche nella gestione del multilinguismo risultano comuni: le lingue effettivamente utilizzate sono limitate rispetto alle lingue ufficiali, si osserva una predominanza dell’inglese a scapito delle altre lingue ufficiali e di lavoro ed infine, nelle recenti iniziative a favore del multilinguismo, si nota che l’obiettivo perseguito è di garantire la parità delle lingue ufficiali e non di estenderne il numero (Mowbray 2010, 98). Le conseguenze di un utilizzo limitato delle lingue nella condotta delle relazioni internazionali in seno ad organizzazioni come quelle citate provoca un’esclusione, pratica e simbolica, dei parlanti di determinate lingue e quindi di alcuni Stati (Mowbray 2010, 100). È chiaro che le lingue ufficiali devono necessariamente essere un numero limitato per ragioni di efficienza, ma è fondamentale che nei dibattiti e decisioni concernenti la gestione del multilinguismo le organizzazioni internazionali prendano in considerazione la necessità di un maggiore equilibro tra le difficoltà relative all’ampliamento del multilinguismo e l’esclusione subita da certi gruppi linguistici (Mowbray 2010, 107). Adottando regimi linguistici limitati, il costo che deriverebbe da un impiego più ampio di lingue non viene annullato ma è semplicemente trasferito a carico dei Paesi membri la cui lingua è esclusa (ibidem).

Traduzione e redazione multilingue dei trattati autentici

La scelta delle lingue autentiche per la redazione di trattati20 dipende nella maggior parte dei casi dal regime linguistico dell’organizzazione internazionale sotto i cui auspici è stato stipulato il trattato (European Commission 2012, 15). In questo modo, per esempio, i trattati conclusi sotto l’egida delle Nazioni Unite sono solitamente autentici nelle sei lingue ufficiali dell’organizzazione, gli accordi stipulati nel contesto delle attività dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno come lingue ufficiali e autentiche inglese, francese e spagnolo mentre i trattati conclusi dal Consiglio d’Europa sono in francese e inglese (European Commission 2012, 16). Rari sono i casi in cui un trattato

20 Nel presente sotto capitolo si farà riferimento alle lingue autentiche di trattati multilaterali, le cui problematiche non concernono i trattati bilaterali. Nell’ambito di questi ultimi la scelta spetta agli Stati contraenti. Se i due Stati hanno la stessa lingua ufficiale, verrà utilizzata la loro lingua comune. I trattati bilaterali conclusi tra due Stati che non condividono la stessa lingua ufficiale sono usualmente redatti in entrambe le lingue ed è talvolta inclusa una terza lingua neutra (Tabory 1980, 36).

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multilaterale è autentico in tutte le lingue delle parti contraenti, dato il numero particolarmente elevato di queste ultime. Come nella scelta delle lingue ufficiali delle organizzazioni, anche nella scelta del regime linguistico dei trattati alcune lingue risultano nettamente privilegiate, considerato il loro ruolo all’interno delle organizzazioni internazionali e legato a sua volta a ragioni culturali e geopolitiche (ibidem).

Nonostante i trattati multilaterali abbiano in genere diverse lingue autentiche, nella prassi il testo del trattato è negoziato in una lingua franca (ossia, nella maggior parte dei casi, l’inglese), a partire dal quale sono in seguito prodotti i testi autentici nelle altre lingue (European Commission 2012, 17). Le traduzioni sono elaborate dagli stessi Stati contraenti (ibidem) o, più spesso, per i trattati conclusi sotto l’egida di organizzazioni internazionali, dai dipartimenti di traduzione dell’organizzazione interessata. Fatti salvi rarissimi casi in cui si è sperimentata la redazione plurilingue parallela, il mezzo predominante di produzione di strumenti giuridici multilaterali plurilingue risulta infatti essere la traduzione (Prieto Ramos 2011, 204). In questi casi, il traduttore “elabora testi di arrivo che, una volta autenticati, sono parti integrante del trattato e quindi fonti di diritto e possibili strumenti di interpretazione alla pari dell’originale, compreso in situazioni di risoluzione di controversie interpretative” (ibidem). Da un punto di vista puramente linguistico, la traduzione di trattati internazionali comporta le stesse problematiche strutturali tipiche di ogni tipologia di traduzione, con la difficoltà supplementare della resa di nozioni giuridiche, facilitata quando si trattata di principi condivisi da tutti gli ordinamenti e propri del sistema multilaterale (Prieto Ramos 2011, 206). È fondamentale quindi l’elaborazione di una traduzione accurata e corretta al fine di evitare problemi interpretativi che potrebbero derivare da eventuali errori quali l’uso di formulazioni ambigue, terminologia imprecisa o discrepanze tra versioni linguistiche (European Commission 2012, 20).

L’origine di eventuali errori di traduzione può dipendere dalla grande pressione in termini di tempo a cui è sottoposta la traduzione in ambito istituzionale e dall’assenza di legame tra le fasi di negoziazione e traduzione (European Commission 2012, 24). Una fonte significativa di discrepanze traduttive è, come lo definisce Gallas (2001, 118), il carattere “diplomatico” del diritto internazionale21. Il testo originale spesso riflette

21 “Là où les juristes cherchent la précision, les diplomates pratiquent le non-dit et ne fuient pas l'ambiguïté. Il arrive donc, plus souvent qu'on ne croit, qu'ils ne se mettent d'accord sur un mot que parce

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compromessi arduamente raggiunti utilizzando intenzionalmente termini vaghi (European Commission 2012, 2012, 24). Una redazione ambigua può in tali casi contribuire alla risoluzione diplomatica di conflitti di interessi fortemente divergenti (Flückiger 2007). Non spetta al traduttore determinare l’intenzionalità o le ragioni della vaghezza ma è necessario che anche in tali casi venga mantenuto scrupolosamente il senso voluto dai negoziatori e che il traduttore impieghi una formula che mantenga lo stesso grado di vaghezza senza però aggiungere imprecisioni (Prieto Ramos 2011, 207- 208).

Traduzioni non autentiche

Dato il numero limitato di lingue impiegate nell’ambito del lavoro delle organizzazioni internazionali e nella redazione dei trattati, come si ha avuto modo di osservare, è chiaramente frequente che la lingua nazionale (o le lingue nazionali) di una parte contraente non siano incluse nelle lingue autentiche del trattato. In tali casi, lo Stato deve in genere effettuare una traduzione del trattato nella propria lingua nazionale la quale è allegata all’atto promulgativo e pubblicata sull’organo ufficiale (Eurorpean Commission 2012, 5 e 19).

Significativo e di particolare interesse è il caso della Svizzera. Come riportato dalla Guida nel capitolo IV dedicato alle lingue dei trattati, i trattati ratificati dalla Svizzera devono essere pubblicati negli organi di pubblicazione ufficiali in tedesco, francese e italiano (Guida, n. marg. 68). Il francese è in genere incluso tra le lingue autentiche dei trattati stipulati sotto l’egida di organizzazioni internazionali, dato il suo status di lingua ufficiale nella maggior parte delle organizzazioni intergovernative. Per quanto riguarda il tedesco e l’italiano, raramente incluse tra le lingue autentiche di trattati multilaterali, devono essere effettuate le relative traduzioni dai servizi linguistici centrali della Confederazione. Accade spesso che vengano elaborate traduzioni comuni con Paesi germanofoni e italofoni (Guida, n. marg. 69). In questo caso ci troviamo dinnanzi a esempi di traduzioni ufficiali, in quanto prodotte dai servizi linguistici di un ordinamento nazionale, ma non autentiche in quanto le lingue in questione non sono definite dal

qu'il n'a pas la même signification pour tout le monde. [···] De même encouragent-ils des techniques de rédaction qui permettront de laisser subsister ici et là d'intéressantes - et prometteuses – contradictions” in: Conseil d'État, Rapport public 1992, Paris, Études et Documents, n. 44 (in Gallas 2001, 118).

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trattato come autentiche. Tale argomento è menzionato in particolare ai numeri marginali 68 e 69 della Guida:

68 En Suisse, le Recueil officiel du droit fédéral (RO) et le Recueil systématique du droit fédéral (RS) paraissent en allemand, en français et en italien. Des traductions sont dès lors couramment établies pour la publication. Cependant, seul fait foi le texte authentique désigné comme tel par le traité.

69 Les traités élaborés sous l'égide des organisations internationales ont rarement une version en langue allemande ou italienne. Pour les traités multilatéraux les plus importants, il arrive qu'une traduction commune aux Etats germanophones, respectivement italophones, soit établie par les Etats concernés. A la différence des traductions autonomes suisses, qui se fondent souvent le cas échéant sur la version authentique française, la plus courante, les traductions communes sont faites en général à partir de la version anglaise des traités et peuvent contenir des termes propres aux systèmes allemand, autrichien ou italien.

Questo è inoltre il caso dell’Italia per quanto riguarda, ad esempio, i trattati di cui è parte contraente e stipulati sotto l’egida delle Nazioni Unite in cui l’italiano non è lingua ufficiale. Una volta pubblicate, le traduzioni non autentiche “costituiscono in molti casi il testo a cui nella pratica corrente si fa riferimento” nonostante si tratti di strumenti privi di valore ufficiale e di validità giuridica propria (Garzone 2002, 41-2). Si deduce dunque che nonostante l’assenza del valore autonomo di tali traduzioni sia necessario un particolare rigore traduttivo (ibidem). Di qui la necessità di avvicinare la traduzione, nei testi autentici come in quelli non autentici, alla redazione e al processo di negoziazione, di creare e gestire banche dati terminologiche multilingue relative al diritto internazionale pubblico e al diritto dei trattati, o ancora di fornire modelli di convenzioni commentate e strumenti di riferimento al fine di garantire la qualità di tali traduzioni (European Commission 2012, 6). Si tratta di misure già adottate in ordinamenti nazionali plurilingue, come ad esempio quello svizzero, che potrebbero essere di esempio e trovare applicazione anche in ambito multilaterale.

Interpretazione di trattati multilingue

La problematica dell’interpretazione di trattati multilingue, questione ricorrente in diritto internazionale, è disciplinata dalla CV all’articolo 33:

1. Quando un trattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna di tali lingue, a meno che il trattato non preveda o le parti non convengano fra loro che, in caso di divergenza, prevarrà un determinato testo.

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2. La traduzione di un trattato in una lingua diversa da una di quelle nelle quali il testo è stato autenticato non sarà ritenuta testo autentico qualora il trattato non lo preveda o le parti non abbiano così convenuto.

3. Si presume che i termini e le espressioni di un trattato abbiano lo stesso senso nei vari testi autentici.

4. Ad eccezione del caso in cui un determinato testo prevalga in conformità del paragrafo 1, quando il confronto fra i testi autentici renda evidente una differenza di significato che l’applicazione degli articoli 31 e 32 non permette di eliminare, verrà adottato il significato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concili nel migliore dei modi i testi in questione.

Il punto chiave è sicuramente il paragrafo 3 dell’articolo, in cui si stabilisce la presunzione che “i termini e le espressioni di un trattato abbiano lo stesso senso nei vari testi autentici”. Nel caso in cui tale presunzione non sia possibile, come spesso accade, e si verifichino problemi di chiarezza è innanzitutto necessario fare riferimento alla norma generale di interpretazione contenuta nell’art. 31 della CV, in base alla quale “un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce dei suo oggetto e del suo scopo”. Se ciò non si rivelasse sufficiente, conformemente all’art. 32, è possibile ricorrere a mezzi complementari di interpretazione quali i lavori preparatori e le circostanze nelle quali il trattato è stato concluso. Se nessuno dei due metodi menzionati avesse successo, “verrà adottato il significato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concili nel migliore dei modi i testi in questione”, conformemente a quanto stabilito nell’articolo sopraccitato.

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3 Tipologia testuale

Qualsiasi testo può essere assegnato ad un tipo o genere testuale in base al proprio contenuto cognitivo, alla sua funzione e, nel caso delle lingue speciali, in base al livello specialistico (Scarpa 2008, 115). Tale attribuzione risulta fondamentale in sede di traduzione e rappresenta dunque il primo passo che il traduttore specializzato deve compiere: dalla tipologia testuale e dai relativi tratti linguistici specifici dipende infatti l’approccio traduttivo (ibidem).

Come osserva Scarpa (2008, 115-117) la prima categorizzazione, e sicuramente la più intuitiva, può essere effettuata secondo l’argomento del testo da tradurre. Si parla così di testi di ambito medico, economico, giuridico, ecc., data la loro natura ampiamente standardizzata in particolare da un punto di vista terminologico. La suddivisione risulta senz’altro utile nel contesto didattico e per orientare un traduttore alle prime armi nelle ricerche preliminari sulla materia e in campo lessicale, ma non si può ritenere sufficiente.

I testi specialistici, oltre ad essere caratterizzati da infrasettorialità, sono fortemente legati a fattori pragmatici quali il livello specialistico del testo, l’intenzionalità e i destinatari. Tali elementi devono essere ben chiari per il traduttore e vanno presi in considerazione in ogni fase del passaggio dal testo di partenza al testo di arrivo, affinché intenzionalità comunicativa e aspettative dei destinatari non subiscano alcuna variazione (Scarpa 2008, 116). Di seguito, verrà dunque fornita una breve panoramica delle principali tipologie di testi giuridici e ci si soffermerà poi sulla tipologia testuale della Guida e sui destinatari del testo di partenza così come della traduzione in italiano oggetto del presente studio.

Classificazione dei principali testi giuridici in lingua italiana

Secondo la felice classificazione dei testi giuridici in lingua italiana proposta da Mortara Garavelli (2001, 22-34) e ripresa successivamente da numerosi studiosi del settore, si distinguono le seguenti categorie:

a. testi normativi, i quali includono, nel diritto italiano, le costituzioni, le convenzioni, le leggi (statali e regionali), i decreti legge, i decreti legislativi, i codici, i regolamenti, gli statuti, ecc.;

b. testi interpretativi o dottrinali, la cui sussistenza si basa sul “diritto vivente”, ovvero i testi normativi. Tale tipologia include le note a sentenza, le massime, le

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voci enciclopediche, così come articoli di riviste specializzate, tesi di laurea e di dottorato, interventi a convegni, ecc.;

c. testi applicativi, il cui panorama è particolarmente vasto e comprendono la giurisprudenza, ovvero gli atti prodotti dal giudice durante il processo, gli atti amministrativi, gli atti notarili, gli accordi tra privati, ecc. (Gualdo e Telve 2011, 446)

Si tratta di una suddivisione tutt’altro che rigida, che si incrocia inoltre con la vincolatività del testo: i testi normativi sono tendenzialmente caratterizzati dalla massima vincolatività, mentre quelli interpretativi e applicativi possono essere considerati testi “misti” sia sul piano giuridico che linguistico e testuale (ibidem). Tutte e tre le categorie sono caratterizzate da una marcata intertestualità, ovvero da frequenti rinvii ad altre disposizioni o allegazioni dottrinali, il che comporta interruzioni del discorso e un ampliamento dei periodi (ibidem). Al fine di delineare i confini tra le varie tipologie, come si ha avuto modo di accennare, risulta utile prendere in considerazione emittenti e destinatari del testo. A tal proposito, Cavagnoli e Ioriatti (2009, 181-182) propongono un’ulteriore classificazione diastratica della lingua del diritto, presa in esame per l’utilizzo che ne viene fatto dagli “addetti ai lavori”, in questo caso avvocati, giudici, accademici e studenti universitari, esperti di diritto a vario titolo. Tali considerazioni sono state riassunte dalle autrici nel seguente prospetto (ibidem):

Attori della comunicazione Tipologie testuali Tipo di linguaggio Esperti di una disciplina Monografie, articoli di riviste

specialistiche, saggi

Alto grado di specializzazione

Esperto-quasi esperto Manuali Medio grado di specializzazione Esperto-non esperto Prosa divulgativa, istruzioni Basso grado di specializzazione

Gli strumenti istituzionali di riferimento: una tipologia testuale ibrida

Alla luce di quanto precede, è possibile affermare che il testo in questione presenta alcune caratteristiche proprie dei testi sia normativi che interpretativi ed è destinato a persone esperte della disciplina, come risulta dalle prime righe della Guida (v. pag. 1).

Prima di entrare nel dettaglio e spiegare dunque in che modo la Guida rientra in tali categorie, è necessario soffermarsi su alcune considerazioni riguardanti il contesto legislativo svizzero.

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Gli ultimi due decenni, oltre ad essere stati particolarmente densi di sconvolgimenti da un punto di vista legislativo, sono stati caratterizzati da un aumento del volume di testi pubblicati, dei mezzi di comunicazione e delle persone che se ne occupano nella fase finale della pubblicazione (Egger 2019, 126). A ciò si è aggiunta una crescente necessità di semplificazione e di chiarezza dei testi istituzionali, il che ha richiesto un intervento dell’Amministrazione e una particolare attenzione nei confronti di una scrittura più facilmente comprensibile (ibidem). Tali fattori hanno motivato

“l’esigenza di disporre di regole inequivocabili a cui fare riferimento per normare taluni aspetti della redazione di testi ufficiali” (Egger 2015, 153).

In questo contesto si sono visti nascere strumenti di riferimento che “mirano a codificare gli aspetti formali della redazione di testi ufficiali” (Egger 2019, 125), il cui fine è quello di garantire l’uniformità e la conformità alla legge che caratterizzano i testi istituzionali (ibidem). La particolarità di tali strumenti istituzionali è il loro carattere vincolante: oltre ad essere strumenti di lavoro e dunque a possedere uno statuto ausiliare, sono allo stesso tempo condizioni formali degli stessi testi normativi e, in quanto strumenti di consultazione ufficiale, non risultano mai privi di una certa forza normativa (Egger 2019, 128). A loro volta, i testi normativi sono anch’essi testi di riferimento, poiché oltre a codificare norme, disciplinano anche il modo in cui un contenuto normativo deve essere formulato (ibidem). Tra gli strumenti più importanti di questa tipologia figurano le Direttive di tecnica legislativa (DTL) a cura della Cancelleria federale nelle edizioni del 2003 e 2013, la Guida di legislazione a cura dell’Ufficio federale di giustizia nelle edizioni del 2002 e 2007 e le Istruzioni della Cancelleria federale per la redazione di testi ufficiali in italiano nell’edizione del 2003. A queste pubblicazioni si sono aggiunte numerose altre guide concernenti problematiche più specifiche. A tal proposito, è possibile avere una panoramica dei principali strumenti consultando la pagina Documentazione per la redazione di testi ufficiali22.

È precisamente in tale contesto che si colloca la Guida alla prassi in materia di trattati internazionali pubblicata nel 2015 dalla Direzione del diritto internazionale pubblico (DDIP) del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). Tornando quindi all’affermazione iniziale di questo capitolo, possiamo dunque affermare che da un punto

22 www.bk.admin.ch > Pagina iniziale > Documentazione > Lingue Strumenti per la redazione e traduzione

> Documentazione per la redazione di testi ufficiali

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di vista testuale la Guida è caratterizzata da aspetti normativi in quanto mira a normare aspetti linguistici e pragmatici della stipulazione di accordi internazionali, e da aspetti interpretativi e dottrinali poiché fornisce indicazioni riguardo all’applicazione di norme internazionali e interne nella prassi dei trattati internazionali in Svizzera. Di seguito alcuni estratti della Guida in cui tali funzioni risultano in modo particolarmente chiaro:

Un certain nombre de clauses et de notions doivent ainsi être réservées aux traités et leur usage, pouvant traduire une intention des parties de se lier juridiquement, doit être évité lors de la rédaction d’un instrument qui ne contient pas d'obligations juridiques. A titre d’exemples, il s'agit de retenir dans des instruments non contraignants des termes comme «souhaite», «peut»

ou «a l’intention» et de réserver aux traités ceux de «s’engage à» ou «doit». (Guida, n. marg. 20) Les termes «Conseil fédéral suisse» doivent être préférés à ceux de «Gouvernement suisse»;

l’adjectif «helvétique» doit être évité. (Guida, nota 37)

Pour la Suisse, la rédaction d’une version authentique dans au moins une des langues officielles est, pour les traités dont la publication est obligatoire, une exigence légale, qui souffre toutefois d’exceptions au profit de l’anglais en cas d’urgence, d’impératifs de forme ou d’usage. (Guida, n.

marg. 67)

Il arrive que, outre la signature, le partenaire requière le paraphe de chaque page d'un traité bilatéral par les deux parties. Il convient de déférer à ce désir mais de ne pas l'exprimer du côté suisse, du moins pour un traité dont les pages sont reliées et, par conséquent, inamovibles.

(Guida, n. marg. 91)

Destinatari

Riferendosi al prospetto elaborato da Cavagnoli e Ioriatti citato in precedenza, possiamo affermare che il testo in questione si colloca nella categoria della comunicazione fra esperti. Nella prima pagina della Guida troviamo infatti indicazioni esplicite riguardo all’autore, ai destinatari e all’intenzione comunicativa:

La présente brochure tente de décrire, aussi complètement que possible, les règles et la pratique suivies par la Suisse dans le domaine des traités. Elle est d’abord destinée aux praticiens de l'administration fédérale, en Suisse et au sein des représentations à l'étranger. A cette fin, l'appareil critique est également limité aux besoins pratiques.

Auteur : CLAUDE SCHENKER, avocat, LL.M., Chef suppléant de la Section des traités, Direction du droit international public DDIP, Dép. fédéral des affaires étrangères DFAE

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