• Aucun résultat trouvé

Le mythe de Médée de Euripide à Pier Paolo Pasolini et Christa Wolf

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Partager "Le mythe de Médée de Euripide à Pier Paolo Pasolini et Christa Wolf"

Copied!
340
0
0

Texte intégral

(1)

HAL Id: tel-01328658

https://tel.archives-ouvertes.fr/tel-01328658

Submitted on 8 Jun 2016

HAL is a multi-disciplinary open access archive for the deposit and dissemination of sci- entific research documents, whether they are pub- lished or not. The documents may come from teaching and research institutions in France or abroad, or from public or private research centers.

L’archive ouverte pluridisciplinaire HAL, est destinée au dépôt et à la diffusion de documents scientifiques de niveau recherche, publiés ou non, émanant des établissements d’enseignement et de recherche français ou étrangers, des laboratoires publics ou privés.

Le mythe de Médée de Euripide à Pier Paolo Pasolini et Christa Wolf

Federica Maltese

To cite this version:

Federica Maltese. Le mythe de Médée de Euripide à Pier Paolo Pasolini et Christa Wolf. Littératures.

Université de Grenoble, 2013. Français. �NNT : 2013GRENL017�. �tel-01328658�

(2)

Université Joseph Fourier / Université Pierre Mendès France / Université Stendhal / Université de Savoie / Grenoble INP

THÈSE

Pour obtenir le grade de

DOCTEUR DE L’UNIVERSITÉ DE GRENOBLE

préparée dans le cadre d’une cotutelle entre

l’Université de Grenoble et l’Università degli Studi di Torino

Spécialité : Littérature générale et comparée

Arrêté ministériel : 7 août 2006

Présentée par

Federica MALTESE

Thèse dirigée par Michael KOHLHAUER codirigée par Anna CHIARLONI

préparée au sein des Laboratoires LLSH

dans les Écoles Doctorales LLSH de l’Université de Savoie et de l’Università degli Studi di Torino.

Le mythe de Médée de Euripide à Pier Paolo Pasolini et Christa Wolf

Thèse soutenue publiquement le 29 novembre 2013, devant le jury composé de :

M. Jean-Pol MADOU

Professeur à l’Université de Savoie, Prèsident du Jury.

M. Michael KOHLHAUER

Professeur à l’Université de Savoie , directeur de thèse, membre du jury.

Mme. Anna CHIARLONI

Professeur à l’Université de Torino , co-directrice de thèse, membre du jury.

Mme. Angela BIANCOFIORE

Professeur à l’Université de Montpellier , rapporteur M. Justus FETSCHER

Professeur à l’Université de Mannheim , rapporteur

(3)

Per Edita

Definitivamente respinti, cerchiamo conforto in ciò che chiamiamo ricordo.

(Christa Wolf, Nachdenken uber Chrsta T. )

(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
(9)
(10)
(11)
(12)
(13)
(14)
(15)
(16)
(17)
(18)
(19)
(20)
(21)
(22)
(23)
(24)
(25)
(26)
(27)
(28)
(29)
(30)
(31)
(32)
(33)
(34)
(35)
(36)
(37)
(38)
(39)
(40)
(41)
(42)
(43)
(44)
(45)
(46)
(47)
(48)
(49)
(50)
(51)
(52)
(53)
(54)
(55)
(56)
(57)
(58)
(59)
(60)
(61)
(62)
(63)
(64)
(65)
(66)
(67)
(68)
(69)
(70)
(71)
(72)
(73)
(74)
(75)
(76)
(77)
(78)
(79)
(80)
(81)
(82)
(83)
(84)
(85)
(86)
(87)
(88)
(89)
(90)
(91)
(92)
(93)
(94)
(95)
(96)
(97)
(98)
(99)
(100)
(101)
(102)
(103)
(104)
(105)
(106)
(107)
(108)
(109)
(110)
(111)
(112)
(113)
(114)
(115)
(116)
(117)
(118)
(119)
(120)
(121)
(122)
(123)
(124)
(125)
(126)
(127)
(128)
(129)
(130)
(131)
(132)
(133)
(134)
(135)
(136)
(137)
(138)
(139)
(140)
(141)
(142)
(143)
(144)
(145)
(146)
(147)
(148)

146

CHRISTA WOLF (1929-2011)

La Medea che viene dall’Est

La pioggia leggera e incessante, così tipica di Berlino, si accompagna al vento freddo che spazza i viali del cimitero di Dorotheenstädtischer. È qui che, accanto alle tombe di Bertold Brecht, di Heiner Müller, di Fichte et di Marcuse, viene sepolta Christa Wolf, scomparsa a 82 anni dopo una lunga malattia il 1 dicembre 2011. Una folla silenziosa di amici e ammiratori attende l’inizio della cerimonia: la cappella può accogliere solo un piccolo gruppo di persone, tra le quali si intravedono i familiari e qualche viso noto, come il premio Nobel Günter Grass e lo scrittore Volker Braun. Com’è inevitabile, i discorsi commemorativi ripercorrono non solo una vita vissuta nel segno dell’egangement, ma anche - e forse soprattutto – le tracce di un periodo storico su cui ancora non si è spento il dibattito. Nel suo intervento Günter Grass sceglie infatti di ricordare proprio la durissima campagna diffamatoria alla quale fu sottoposta la Wolf all’uscita di Was bleibt, nel 1990

1

: “Quanta miseria nell’anno dell’unità tedesca”

2

– dirà Grass, ricordando la mancanza di scrupoli di alcuni giornalisti :

Aus sicherem Port und berauscht von jenem Gratismut, der offenbar als Topfpflanze besonders gut in Redaktionsstuben gedeiht, warf man der Autorin vor, zu feige gewesen zu sein, ihre Erzählung gleich nach der Niederschrift veröffentlicht zu haben.3

È noto, infatti, che la vincitrice del premio Büchner nel 1980, la scrittrice ascoltata ed rispettata all’Est come all’Ovest, divenne, subito dopo la caduta del Muro, un bersaglio privilegiato nell’ambito di quella liquidazione, di quella Abwicklung

4

che segnò il destino di

1 Christa WOLF, Was bleibt, Aufbau Verlag, Berlin und Weimar, 1990.

2 « Dal loro porto sicuro i giornalisti occidentali, ubriachi del coraggio facile, che a quanto pare cresce particolarmente bene nelle redazioni, rimproveravano all’autrice di non aver avuto il fegato di pubblicare il racconto prima della caduta del muro», Günter Grass, Abschied von Christa Wolf, Frankfurter Rundschau, 14- 12-2011, traduzione di Emilia Benghi. In particolare, Grass fa riferimento alla campagna diffamatoria che seguì la pubblicazione del romanzo: Christa Wolf fu accusata di opportunismo e di atteggiarsi a vittima postuma, volendo punire così la sua scelta di non abbandonare la DDR. Ovviamente non si tenne conto che il testo, a parte qualche modifica di carattere stilistico, era stato elaborato già nel 1979. Per approfondire la vicenda editoriale di Was bleibt, cf. Giulio SCHIAVONI (a cura di), Prospettive su Christa Wolf – dalle sponde del mito, Franco Angeli, Milano, 1998.

3 Ibidem.

4 Come sottolinea Matteo Galli, il termine Abwicklung ha “molteplici significati, ma […] in questa fase venne a significare una cosa soltanto: liquidazione, smantellamento”, cf. Michele Galli, Cronache di Atlantide, in Michele Sisto (a cura di ), L’invenzione del futuro, breve storia letteraria della DDR dal dopoguerra ad oggi, Libri Schweiller, Milano, 2009, p. 222-228.

(149)

147

tutto il complesso apparato che era stata la DDR. Non è un caso, allora, che nel 2011 Grass scelga di orientare il suo discorso proprio sul rapporto tra i media – in particolare la stampa – e la figura della Wolf, quasi a sollecitare un’ulteriore riflessione critica da parte di quei giornalisti che non esitarono ad annullare la figura dell’intellettuale, colpevole soprattutto di aver voluto affermare la propria identità senza abbandonare la società socialista in cui era vissuta per quarant’anni. Persino in rete, dove i toni si fanno facilmente più accesi e la riflessione critica cede spesso il passo alle affermazioni perentorie, l’elegia e il compianto si alternano a commenti poco indulgenti

5

. Christa Wolf come capro espiatorio di una società, simile alla Medea da lei rivisitata? Le Voci su di lei non sono ancora spente, e il loro eco lascia, ancora oggi, la domanda aperta.

«Sono un personaggio sul quale si può proiettare di tutto»

6

, ha dichiarato Christa Wolf in un’intervista rilasciata a Jörg Magenau nel 1994. La sua voce critica, la sua identità consapevole di tedesca orientale aveva fatto di lei un’icona tra gli Ossi – un altro dei tanti vocaboli nati all’ombra del Muro – così come, all’Ovest, era riuscita a guadagnarsi il rispetto e la considerazione di tanti lettori. Non basta: nei suoi romanzi le femministe vi avevano letto una proposta per una nuova fisionomia dei rapporti tra i sessi, così come l’attenzione ai temi pacifisti e alla cura del delicato sistema ambientale le aveva conquistato le simpatie delle varie correnti ecologiche. Inevitabilmente, chi ha tanti ammiratori presta facilmente il fianco ai denigratori: ecco così che Christa Wolf diventa la “poetessa di Stato”

7

, la personificazione stessa dell’intellettuale privilegiata dal regime. Polemiche sterili che spesso nulla hanno a che fare con la letteratura, ma che ben dimostrano il profondo legame dell’autrice con la storia della Germania. «Christa Wolf is an East German women writer and consideration must be given to each facet of her identity if one is to do justice to her work.»

8

: se è difficile delineare con pochi tratti la personalità di un’autrice tanto complessa, è pur vero che forse, tra tutte, questa definizione di Anna Kuhn ha il pregio di situare la biografia e il lavoro della Wolf in un preciso contesto storico-sociale, a mio avviso indispensabile per una corretta interpretazione della sua opera.

Christa Wolf, infatti, è una scrittrice della Germania Est: in un periodo in cui la nazione tedesca divisa rappresentava in Europa lo scontro in atto tra le due grandi potenze mondiali durante la Guerra Fredda, questa precisazione è utile per ritracciare le coordinate storiche, ma soprattutto ideologiche, di un periodo ben determinato. L’impegno politico è infatti una costante di tutto il lavoro della Wolf, in un momento di grandi fermenti in cui lei - come altri intellettuali militanti – aveva creduto nella possibilità di riformare il sistema socialista

5 Cf. i commenti apparsi sul sito http://eastjournal.net/ in risposta all’articolo di Gaetano Veninati, KULTURA: È morta Christa Wolf, del 1 dicembre 2011.

6 Cf. Jörg MAGENAU, Christa Wolf, Kindler Verlag, Berlin, 2002, p 15.

7 Ibidem.

8 Anna Katharina KUHN, Christa Wolf’s Utopian Vision – From Marxism to Feminism, Cambridge University Press, New York, 1988, p. 4.

(150)

148

riconoscendone col tempo i limiti e gli irrigidimenti, ma anche la grande carica utopica

9

. Negli anni successivi, Christa Wolf si interrogherà a lungo sulle ragioni di questa Entscheidung, di questa scelta di campo incondizionata:

La mia, che è oggi la generazione più vecchia, ha vissuto la DDR nei suoi primordi, e naturalmente aveva un legame diverso con lo Stato, il Partito e le strutture rispetto a quella di chi oggi ha trent’anni, che sin dall’inizio non aveva alcun rapporto diretto e che ha – rispetto a tutto ciò – un atteggiamento più critico e distanziato.10

Non bisogna dimenticare che molti intellettuali avevano scelto la DDR dopo l’esilio: Bertold Brecht e Anna Seghers, certo, ma anche Hans Mayer e Ernst Bloch, entrambi docenti a Lipsia nel periodo in cui la Wolf frequentava l’Università. Per entrambe le generazioni la DDR aveva rappresentato l’occasione concreta di costruire un mondo radicalmente diverso, e la carica utopica di quegli anni riecheggia costantemente nelle opere della scrittrice. Tuttavia, proprio questi intellettuali antifascisti, portatori di quei valori positivi ignari ai padri invischiati nel nazismo, rappresenteranno col tempo un nucleo problematico con il quale confrontarsi:

Ich habe begriffen, daβ irgendwann – vielleicht nicht auf einmal, vielleicht endgültig erst heute – die Taue gerissen sind, die unser Lebensnetz an gewissen Halterungen befestig hatten. Taue, die man nicht nur Sicherungen, auch Fesseln nennen konnte. Die vor uns würden für immer von ihnen gehalten und an sie gebunden sein; die nach uns haben die Taue gekappt und sehen sich, losgelöst, frei, zu tun und zu lassen, was ihnen beliebt. Wir würden uns nie mehr auf jene Bindungen verlassen können, sie aber auch, und sei es als Sehnsucht nach ihnen, nie ganz loswerden.11

La sensazione di far parte di questa generazione di mezzo, ormai priva dello slancio ideale ma anche della durezza che aveva caratterizzato quel gruppo di reduci e nello stesso tempo in difficoltà a stabilire un comune terreno di dialogo con i giovani cresciuti all’ombra della SED, è un tema che con il passare del tempo si farà sempre più presente nell’opera di Christa Wolf.

La scrittrice, che aveva accolto – pur con qualche riserva – il programma stabilito alla conferenza di Bitterfeld

12

, si allontanerà progressivamente dalla politica culturale imposta dall’alto, per veicolare, attraverso la sua scrittura, la difficoltà di dire “Io” in una società illiberale. Inevitabilmente, il processo di scoperta dell’identità affiancherà l’amara esperienza

9 «Like many of her compatriots, Wolf saw in socialism the means for achieving a qualitatively new and morally superior social order that would help prevent a repetition of recent German history by transforming human beings from objects into subjects of history.», Ivi.

10 Anna CHIARLONI, conversazioni con Christa Wolf, Christa WOlf al Salone del Libro di Torino, 24 maggio 1997, in Giulio SCHIAVONI (a cura di), Prospettive su Christa Wolf, dalle sponde del mito,Franco Angeli, Milano, 1998, p. 65.

11 « Ho capito che chissà quando – forse non di colpo, forse solo oggi definitivamente – si sono spezzati i cavi che avevano fissato a certi attacchi la rete della nostra vita. Cavi che si possono definire non solo dispositivi di sicurezza, ma anche catene. Quelli prima di noi che ne sarebbero stati trattenuti e insieme vincolati per sempre; quelli dopo di noi hanno tagliato i cavi e ora si vedono affrancati, liberi di fare o non fare a piacer loro.

Noi non avremmo mai più potuto contare sui quei vincoli, ma nemmeno sbarazzarcene completamente, non fosse altro che per nostalgia.», Christa Wolf, Störfall – Nachrichten eines Tages, Luchterhand, München, 2001 (1988), p. 56.

12 Cf. cap. I di questa tesi, Percorsi biografici, p. 147-160.

(151)

149

della disillusione, nonché la constatazione dell’irrigidimento di un potere teso ormai unicamente a conservare se stesso. Il legame con la comunità socialista , e soprattutto con l’utopia che ne era alla base, resta comunque un tratto fondamentale, che influirà anche successivamente, quando la Repubblica Democratica Tedesca sarà liquidata bruscamente dalla storia. Il confronto dell’autrice con la propria biografia, con tutte le crisi d’identità e le riflessioni che ne conseguono, è quindi un elemento imprescindibile per comprendere la trama – d’infanzia e non – che sottende ai suoi romanzi. A mio avviso, dire che Christa Wolf è una scrittrice della Germania Est significa, quindi, non solo riconoscere un dato storico ma soprattutto valorizzare e approfondire le conseguenze che questa scelta – politica e poetica - ha comportato nel suo percorso umano ed artistico. Come scrisse la stessa Wolf a Volker Braun in una lettera del 1993:

Das Schlimmste ist

wir haben dieses Land geliebt

(Regieanweisung: tosendes Gelächter) Dass das Andere

nicht das Unsere war

dass wir es zu dem Unseren auch nicht machen konnten das war und ist allerdings unser Problem

Überanstrengte Leben Hatten wir keine Wahl

Ich Volker hätte damals eine Wahl gehabt Warum haben ich mich nicht verweigert Ich weiß es nicht mehr

Das Gedächtnis

ist ein tückischer Filter. 13

D’altra parte, benché il suo status di cittadina orientale sia determinante nel percorso poetico di Christa Wolf, il suo stesso retaggio biografico l’ha portata a confrontarsi continuamente con i grandi punti di rottura – ideologici e politici – attraversati dalla Germania, dal periodo sotto il nazismo, ai quarant’anni di divisione, fino ad arrivare, infine, al faticoso processo di riunificazione. Così, se al centro della produzione precedente la svolta del 1989 c'e' la riflessione su un passato nazista comune a tutti i tedeschi – Kindheitmuster – gli ultimi anni sono invece dedicati all’elaborazione del proprio ruolo d’intellettuale all’interno della DDR, anche alla luce degli scenari futuri che si aprono nella Germania unificata. La parola tedesca Vergangenheitsbewältigung, difficilmente traducibile in italiano, restituisce la complessità di questo lungo processo di rielaborazione: d’altra parte, proprio quest’analisi continua, che scava a fondo nella memoria personale e collettiva, indagando sul

13 «Il peggio è che/Abbiamo amato questo paese/(Istruzioni della regia: risate fragorose)./Il fatto è che l’Altro/non era il Nostro,/il fatto che noi non potessimo neppure renderlo Nostro/quello era ed è tuttora il nostro problema/Vita terribilmente affannata/Non avevamo scelta?/Io Volker avrei avuto allora una possibilità./Perché non mi sono rifiutata / Non lo so più. La memoria/È un filtro insidioso», La poesia è riportata da Therese Hörnigk, Senza “partecipazione” non c’è memoria, né si dà letteratura. L’intento poetico di Christa Wolf, in Giulio SCHIAVONI ( a cura di), Prospettive su Christa Wolf, op. cit. p. 94.

(152)

150

ruolo stesso del ricordo e delle autocensure del soggetto narrante, è parallela ad un’altra ricerca, che coinvolge direttamente l’uso della lingua.

[…] meine andere Sprache, die in mir zu wachsen begonnen hatte, zu ihrer vollen Ausbildung aber noch nicht gekommen war, würde gelassen das Sichtbare dem Unsichtbaren opfern, würde aufhören, die Gegenstände durch ihr Aussehen zu beschreiben – tomatenrote, wiβe Autos, lieber Himmel! – und würde, mehr und mehr , das unsichtbare Wesentliche aufscheinen lassen. Zupackend würde diese Sprache sein, soviel glaubte ich immerhin zu ahnen, schonend und liebevoll. Niemandem würde sie weh tun als mir selbst.14

Come scrive Erika Pezzo, l’altra lingua di cui parla la Wolf è quella lingua che abbraccia parole libere, «non incarcerate nelle prigioni semantiche che il potere politico, di volta in volta, di periodo storico in periodo storico, ha costruito intorno a loro».

15

La ricerca della Wolf muove quindi dalla sua lingua materna, il tedesco, nel tentativo di liberarla dai significati stereotipati e dal peso della storia: leggere i suoi testi alla luce di questo percorso equivale, quindi, a riconoscere l’adesione dell’autrice a determinati codici, dominanti in un preciso momento (si pensi, per esempio, al realismo socialista della Moskauer Novelle, 1961), fino al suo progressivo allontanamento e messa in discussione degli stessi, quando «l’esigenza di scrivere in modo nuovo è conseguente, sia pure con distacco, a un modo nuovo di stare nel mondo».

16

Non è un caso, quindi, che Anna Kuhn sottolinei la vocazione alla scrittura di Christa Wolf.

Nel suo lavoro, infatti, la scrittura ha anche il compito di portare alla luce i meccanismi di smascheramento delle forme di auto censura e di auto condizionamento del soggetto, articolando la riflessione su piani diversi – il ruolo della memoria, la ricerca del consenso, la propria funzione di intellettuale – per portare il lettore a prender coscienza del difficile processo di decifrazione della realtà.

Es ist wirklich kompliziert zu schreiben. Man darf nicht zulassen, dass dieses freie Verhältnis zum Stoff, das wir uns in den letzen Jahren durch einige Bücher, durch Diskussionen und durch bestimmte Fortschritte unserer Ästhetik erworben haben, wieder verloren geht. Ich weiβ nicht, ob es angebracht ist, hier über Psychologie zu sprechen. Aber es ist so, dass die Psychologie des Schreibens ein kompliziertes Ding ist und nicht gleich, einen Betriebt leiten kann, vielleicht sogar ein halbes Kulturministerium, aber schreiben kann man dann nicht.17

14 «L’altra mia lingua che aveva cominciato a crescermi dentro, ma certamente non si era ancora sviluppata del tutto, avrebbe sacrificato pacatamente il visibile all’invisibile, avrebbe cessato di descrivere gli oggetti attraverso il loro aspetto –automobili rosso pomodoro, bianche, santo cielo! - e avrebbe fatto apparire, sempre di più, l’invisibile nella sua essenzialità. Aderente sarebbe stata quella lingua, almeno questo mi pareva di saperlo, delicata e amorosa. Non avrebbe fatto del male a nessun altro che a me stessa.», Christa WOLF, Was bleibt, in Christa WOLF, Sommerstück, Was bleibt, Luchterland, München, 2001. (Aufbau Verlag, 1990), p. 228.

15 Erika PEZZO, Christa Wolf, la passione per la parola autentica, Per amore del mondo, Università di Verona, dicembre 2006. L’intero articolo è disponibile su www.diotimafilosofe.it, 03/03/2012.

16 Christa WOLF, Leggere e scrivere, in Christa WOLF, Pini e sabbia del Brandeburgo – Saggi e colloqui, edizioni e/o, Roma, 1990, pag. 17

17 «È davvero complicato scrivere. Non possiamo permettere che il libero rapporto con i contenuti che ci siamo conquistati negli ultimi anni grazie ad alcuni libri, ai dibattiti e ai progressi compiuti in campo artistico, vada nuovamente perduto. Non so se in questa sede sia opportuno parlare di psicologia. Ma è proprio così: la psicologia dello scrivere è una cosa complessa. Forse per un certo periodo si potrebbe essere capaci, anche se

(153)

151

Nonostante la profonda responsabilità di cui l’autrice si sente investita – o forse proprio in ragione di questo legame profondo con il suo pubblico – la Wolf non esita inoltre a far entrare i lettori nel suo laboratorio creativo, scegliendo di pubblicare testi importanti sia da un punto di vista artistico, come nel caso di Voraussetzungen einer Erzählung: Kassandra

18

, ma anche ideologico – si pensi alle ricerche su Medea. Questo dialogo continuo dell’autrice con il suo pubblico è in grado di contribuire notevolmente ad approfondire il percorso che porta dall’indagine storica all’elaborazione del materiale letterario evitando, per quanto possibile, una lettura troppo attualizzante o parziale.

La letteratura deve articolare un sentimento del mondo e della vita che appoggi il farsi e il trovarsi dell’uomo, il suo divenir soggetto e formare la propria identità, perché sia possibile mantenere il contatto con le proprie radici.19

Soffermiamoci, infine, sulle figure di protagonista nella narrativa di Christa Wolf: Rita Seidel, Christa T., Nelly, Karoline von Günderode, Cassandra, Medea e infine tutte quelle figure femminili che popolano i romanzi e i racconti, da Selbstversuch a Sommerstück : è sufficiente scorrere velocemente i suoi romanzi per rendersi conto dello spazio riservato dall’autrice alle protagoniste femminili. Infatti, se ancora in Der geteilte Himmel Rita e Manfred si dividono equamente lo spazio del testo, è pur vero che alla giovane maestra e alle sue scelte si indirizzano le simpatie dell’autrice e, di conseguenza, del lettore;

successivamente, in Nachdenken über Christa T. il panorama di figure femminili, ricche e complesse nella loro problematicità, si arricchisce con l’omonima della Wolf, il cui compito è di sviscerare il difficile rapporto tra l’io e la società civile, mentre attraverso la figura di Nelly il lettore è guidato in un’anamnesi del passato nazista. La Günderrode, per certi versi simile alla sua controparte maschile – Heinrich von Kleist – nel suo sentirsi estranea ad un mondo che non li può comprendere, assume tuttavia delle sfumature più tragiche proprio in virtù del suo essere donna, relegata ai margini di un circolo intellettuale dove sono gli uomini a prevalere. Con il mito, infine, la Wolf recupera due grandi figure classiche, riscrivendo la Storia nel caso in cui, a suo avviso, la mano maschile ne abbia pesantemente deformato i tratti: se Kassandra presenta una visione del matriarcato e dei gruppi femminili sulle rive dello Scamandro come possibile alternativa alla violenza della guerra, in Medea. Stimmen l’autrice rinnega la celebre versione dell’eroina omicida per rielaborare il mito da un’altra prospettiva, riflettendo sulle logiche del potere e del capro espiatorio come soluzione alle tensioni della società. Femminile e non femminista, forse, perché in questo recupero positivo della dimensione ginocratica si intravede comunque il pericolo delle moderne amazzoni – giovani donne manipolate da una società patriarcale, sempre più orientate verso

non in modo uguale, di dirigere una fabbrica, o addirittura mezzo ministero della cultura, ma questo non significa saper scrivere...così non si può scrivere. », Cf. Jörg MAGENAU, Christa Wolf, op.cit. p. 177.

18 Il testo viene pubblicato nel 1983, quasi contemporaneamente nella DDR e nella BRD: nella Germania Est il testo è pubblicato nella sua forma completa, riunendo quindi le quattro lezioni di poetica tenute a Francoforte e il racconto (Kassandra. Vier Vorlesungen. Eine Erzählung): vengono tuttavia espunte delle frasi giudicate dal partito ideologicamente indesiderate. Al contrario, all’Ovest, Luchtehand sceglie di pubblicare il testo integralmente, ma in due distinti volumi: Kassandra e Voraussetzungen einer Erzählung: Kassandra. La stessa scelta sarà poi seguita nell’edizione italiana delle edizoni e/o.

19 Christa WOLF, Pini e sabbia del Brandeburgo – saggi e colloqui -, edizioni e/o, Roma, 1990.

(154)

152

quei valori maschili performanti (la carriera, il successo, la competizione) che ne impoveriscono l’essenza in una generale omologazione della natura umana.

Contro una società sempre più uniformante e orientata alla corsa al progresso, la Wolf sembra quindi rivendicare una nuova Freundlickheit, quella gentilezza che conforta e che sembra scorrere solo per via femminile. Infatti, con la significativa eccezione di alcuni personaggi – l’amazzone Pentesilea, l’allieva di Medea, Agameda - la comunicazione che passa tra le varie figure femminili è quasi sempre positiva, laddove invece la comunicazione maschile è vista nel segno della deformazione del linguaggio, orientata a conservare o raggiungere i centri del potere, ma incapace di un reale riconoscimento dell’altro.

Significativo, a questo proposito, è un brano di Selbstversuch, science-fiction in cui la Wolf immagina una scienziata alle prese con un esperimento per diventare uomo:

Non avrei mai potuto io, Anders, nominare gli stessi oggetti con le stesse parole che avrei invece usato quand’ero donna e traboccavo solo di altre parole.20

Il divario tra uomo e donna riguarda, dunque, non solo la sfera del potere: una diversa concezione di linguaggio, il rifiuto della mercificazione e dell’alienazione del soggetto e – in ultimo – la capacità di amare

21

, sono tutti elementi analizzati e sviscerati a fondo dalla Wolf.

Questo fil rouge fondamentale, che trova in Medea una ripresa acuta e lucida della problematica in tutta la sua complessità, sarà dunque tenuto presente nella riflessione condotta successivamente.

E’ facile, talvolta, per il lettore pensare al testo di uno scrittore particolarmente amato svincolandolo da ogni rapporto con il suo presente storico e la sua biografia. Meno facile, e forse più pericoloso, è ignorare le suggestioni – ideologiche, politiche, personali – che hanno portato all’elaborazione di quello stesso testo.

Rileggere Christa Wolf e Medea.Stimmen alla luce di queste coordinate - scrittrice, donna e tedesca dell’Est - vuol dire quindi non solo riconoscere l’influenza di un determinato percorso ideologico, avvalorando così la biografia dell’autrice e la fitta rete dialogica che intercorre tra la storia della Germania e il suo vissuto personale, ma anche riconoscere per tempo quelle interpretazioni critiche che, partendo da questi stessi presupposti, si sono arrestate ad una lettura parziale del testo. Come si cercherà di dimostrare nelle pagine successive, infatti, Medea. Stimmen non può essere letto semplicemente come romanzo dello scontro tra due sistemi differenti, né come il canto del cigno di un’autrice il cui sistema di valori è quasi scomparso, o come analisi sulla condizione femminile nella fase finale del matriarcato. Tuttavia, l’interpretazione di alcuni nodi fondamentali – il ruolo del capro espiatorio, i meccanismi del potere, la ricerca della verità – risulta facilitata se si tengono presente le coordinate sulle quali, in generale, abbiamo voluto inscrivere il percorso biografico ed artistico della Wolf.

20 Christa WOLF, Selbstversuch, in Unter den Linden : Geschichten, Luchterhand, Darmstadt, 1974, p. 31.

21 Cf. KUHN Anna Katharina, Christa Wolf’s Utopian Vision, op. cit. p. 12.

(155)

153

Coerentemente con questa scelta, quindi, questo capitolo seguirà una precisa linea di orientamento: nella prima parte traccerò un breve profilo dell’autrice, con una particolare attenzione ai “momenti di crisi” che hanno determinato le sue scelte successive. La seconda parte del capitolo sarà consacrata alle fonti della Medea: la complessa rete di rimandi, in parte rintracciabile in Voraussetzungen zu einem Text: Mythos und Bild, successivo alla pubblicazione di Medea. Stimmen, mostra la volontà dell’autrice di andare oltre un mito radicato nella cultura occidentale, riportando alla luce versioni antiche note solo agli specialisti. A queste prime suggestioni si unisce una più ampia riflessione sui meccanismi persecutori del potere – condotta sul filo delle teorie di René Girard – e sul prevalere del dominio maschile, portatore di una non vita e di una cultura della violenza, interpretata alla luce delle filosofe femministe, soprattutto di area franco-italiana. Infine, dopo una terza parte dedicata all’analisi del testo, propongo – come già per la Medea di Pasolini – una sezione dedicata alla ricezione del romanzo. Il campionario preso in esame, soprattutto giornali tedeschi, mostra bene come i giudizi, in alcuni casi parziali, in altri persino forzati, risentano del clima politico successivo alla riunificazione della Germania, per farsi più lucidi e imparziali con il passare del tempo e la distanza geografica.

Alternando l’amarezza della disillusione a una rinnovata fiducia nell’uomo, Christa Wof ricompone così il ritratto di una nuova Medea: senza nascondere il fallimento dell’utopia né la propria apprensione per tutte quelle vittime innocenti che la Storia, con la sua scia di violenza, continua a trascinare con sé, la sua riscrittura del mito lascia ancora intravedere uno spiraglio di speranza.

« In quale luogo io? » si chiede Medea: la risposta non è affidata alle pagine del testo, ma è

rinviata al lettore, offrendo spunti di riflessione che, a distanza di diciassette anni, sono

ancora quanto mai attuali nella loro dolorosa urgenza.

(156)

154

I. PERCORSI BIOGRAFICI (1929-2011)

«Das Subjektivste und das Objektivste verschränkten sich unauflösbar, >wie im Leben<, die Person würde sich unverstellt zeigen, ohne sich zu entblößen.»1

Ogni 27 settembre, a partire dal 1960, Christa Wolf tenne una sorta di diario: Ein Tag im Jahr, uscito nel 2010, raccoglie quindi più di quaranta anni, sintetizzati in quaranta giornate datate 27 settembre. Sono pagine brevi, che colpiscono il lettore per la loro quotidianità, i gesti di ogni giorno trascritti con costanza – cucinare, invitare gli amici, comprare i fiori per il compleanno della figlia Katrin – quasi che la scrittrice volesse trasformare il boato assordante della Storia nel quieto e rassicurante mormorio del menage familiare. Il lettore che cercasse tra le pagine del diario l’indignazione per l’espulsione di Biermann, le angosce per gli appostamenti della Stasi o persino la commossa partecipazione ai movimenti civici dell’89 resterebbe probabilmente deluso. Eppure, tra le pagine, si intravede la lucida fotografia di un'epoca, benché, certo, “delineata da e su una determinata persona”

2

. Come commentò la stessa Wolf, « dopo che la DDR è scomparsa, in questi fogli è conservato, puro, qualcosa delle normali vite che conducevamo»

3

.

La normalità di una generazione, dunque – con tutte le contraddizioni, i sensi di colpa e le ansie di riscatto – e insieme l’eccezionalità di una persona che ha sempre esposto se stessa e la sua opera alla ricerca della verità e al rischio del disincanto. «Si svolge davanti ai nostri occhi un curriculum addirittura esemplare per tutta una generazione di tedeschi» scrive Ursula Vogt

4

, e davvero si ha l’impressione che, ripercorrendo la biografia della Wolf, si possa seguire parallelamente la storia della Repubblica Democratica Tedesca, con le sue utopie, i suoi slanci e le sue clamorose disillusioni.

Nel 2000, una giovane germanista chiese a Christa Wolf di poter accedere all’archivio per consultare le recensioni di Kassandra. La scrittrice, sul suo diario, annotò: « A quanto pare, dallo status di contemporanea sono scivolata a quello di testimone di un’epoca»

5

, una sorta di reliquia, insomma, forse venerata ma ormai considerata appartenente al passato. Eppure, nessuno meglio di lei ha potuto rappresentare la difficile costruzione identitaria della sua generazione: le autocensure, le maschere, i sotterfugi della memoria, e la conseguente difficoltà di trovare un linguaggio che possa far aderire la lingua al pensiero, sono tutti temi che si ritrovano nei suoi testi. Ripercorrere la sua biografia, dunque, ha un duplice significato. Essa, infatti, ci permette non solo di seguire un itinerario artistico nel suo

1 Cf. Christa WOLF, Selbstanzeige, in Essays, Gespräche, Reden, Briefe 1987-2000, XII di Werke 13 Bände, Luchterhand Literaturverlag, Münhen, 2001, p. 505.

2 MARIETTI Benedetta, Formidabile quel giorno, su D la Repubblica delle Donne, Milano, 18 Novembre 2006, http://d.repubblica.it/dmemory/2006/11/18/attualita/attualita/203sfi525203.html, 30-10-12.

3 Ibidem.

4 Ursula VOGT, Christa Wolf, da Moskauer Novelle a Kindheitmuster, Montefeltro, Urbino, 1983, p. 9.

5 Christa Wolf, Ein Tag im Jahr : 1960-2000, Luchterhand München, 2003, p. 331.

(157)

155

intrecciarsi con i grandi punti di rottura - ideologica e politica - della DDR, ma anche di ripercorrere le vicende di uno Stato che forse la Storia, la Storia dei vincitori, ha relegato troppo bruscamente tra le macerie del passato.

I.1. L’approdo al socialismo.

«Eine durchschnittlich angepasste, durchschnittlich glückliche Kindheit in einer durchschnittlichen Provinzstadt in einer außerordentlichen Epoche»

6

. La cittadina di provincia di cui parla Christa Wolf è Gorzów Wielkoposki – oggi in Polonia - che nel 1929, data di nascita dell’autrice, apparteneva ancora alla Germania, con il nome di Landsberg an der Warthe. Qui, il 18 marzo 1929 nasce Christa Margarete Elfriede Ihlenfeld

7

, da una famiglia piccolo borghese – i genitori gestivano un negozio di alimentari. Nella scuola della cittadina la giovane Christa impara il saluto hitleriano e si prepara ad accogliere il Führer in visita, desiderando ardentemente di unire le sue grida al tripudio generale

8

- episodi, questi, poi rievocati nelle pagine di Kindheitsmuster.

Nel 1945, con l’avanzata dell’Armata Rossa, insieme a migliaia di altri tedeschi abbandona Landsberg, in una lunga e faticosa fuga che la porta prima a Grünefeld – dove brucia il suo diario di adolescente

9

- poi a Gammelin, a pochi chilometri dall’Elba. La casualità volle che nel giugno del 1945 la città venne assegnata al settore di competenza sovietico, stabilendo il destino della giovane Christa e, con lei, di tutta una generazione

10

. Ursula Vogt, nel suo saggio sulla Wolf, sottolinea l’importanza delle massicce migrazioni che portarono molti profughi ad occupare quella che poi sarebbe diventata la DDR. Buona parte di questa popolazione – scrive – «non solo ha perso le radici territoriali, ma ha anche potuto dare un taglio netto ai suoi legami con l’ideologia del Terzo Reich».

11

Se questa affermazione può essere in parte condivisibile non bisogna dimenticare, tuttavia, il lavoro di Trauerarbeit, di elaborazione del lutto, che caratterizza tutto il lavoro della Wolf, in aperta polemica proprio con quella storiografia che vedeva nel 1945 una sorta di cesura a partire dalla quale i tedeschi potevano guardare al futuro

12

. I legami con il nazifascismo sono infatti fondamentali per indagare non solo il tema della memoria, così caro al’autrice, ma anche

6 «Un’infanzia come tante, felice e ordinaria, in una cittadina di provincia come tante, in un’epoca straordinaria», Jorg MAGENAU, Christa Wolf, op. cit. p. 20.

7 Il secondo nome della Wolf, su gentile indicazione di Anna Chiarloni, era appunto Margarete, nome con cui sarà poi identificata nel fascicolo della Stasi come IM.

8 Jorg MAGENAU, Christa Wolf, op. cit. p. 23.

9 L’episodio del diario bruciato verrà ripreso anche in opere successive: Moskauer Novelle, Der Geteilte Himmel, Nachdenken über Christa T. Bruciare il diario rappresenta così una sorta di “ora zero”, atto simbolico di purificazione e recisione dai legami del passato.

10 Cfr. «Auf mir bestehen», colloquio con Günter Gaus, 25 febbraio 1993, in Christa WOLF, Essays, Gespräche, Reden, Briefe, 1987-2000, Luchterhand, München, 2001, p. 446.

11 Ursula VOGT, Christa Wolf, op. cit. p. 11.

12 «Die Stunde Null jedenfalls, die ihn zu einem anderen machte, hat es nie gegeben», afferma provocatoriamente Christa Wolf, preferendo parlare di widerspüchliches Kontinuum. Cf. Christa WOLF, Lesen und Schreiben, Aufsätze und Betrachtungen, Aufbau Verlag, Berlin-Weimar, 1982.

(158)

156

quello, più sfuggente, del desiderio di lode e della dipendenza dall’autorità. «Obbedire ed essere amata sono la stessa cosa», afferma Nelly in Kindheitsmuster, pericolosamente vicina, in questo suo desiderio, all’intransigente giovane socialista redattrice della Neue Deutsche Literatur.

Gli anni tra il 1945 e il 1949 rappresentano tuttavia un periodo di intenso fermento politico e culturale: sono gli anni della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca, che vedono il ritorno dall’emigrazione di molti intellettuali antifascisti, decisi a collaborare attivamente alla creazione della nuova nazione, e l’imporsi progressivo della SED come unico partito di Stato. Christa Ihlenfeld si iscrive alla Friedrich Schiller Universität di Jena e, parallelamente, alla Freie Deutsche Junge (FDJ), per poi prendere la tessera della SED nel 1949. Nel 1951 sposa Gerhard Wolf, conosciuto all’Università, a cui sarà legata da un proficuo sodalizio intellettuale, oltre che affettivo: non solo, infatti, il marito è il primo critico e lettore, lo sguardo attento e partecipe a cui sottomettere le prime stesure, ma è anche il compagno con cui elaborare radiotrasmissioni e adattamenti cinematografici

13

.

Dopo essersi laureata in germanistica con Hans Meyer con una tesi sui «Problemi del realismo nell’opera di Hans Fallada», Christa Wolf si inserisce rapidamente nella vita culturale del giovane stato orientale: le sue recensioni compaiono sul Neues Deutschland, collabora con la Casa Editrice per l’Infanzia Neues Leben e ottiene un posto presso il Deutsche Schriftstellerverband. La morte di Stalin e le manifestazioni del giugno 1953, con l’intervento dei carri armati sovietici, incrinano questo mondo apparentemente stabile; la Wolf, incredula di fronte all’astio degli operai, e con la certezza di stare dalla parte “giusta”, ricorderà l’ingenua fede nel partito evocando l’immagine di lei, fervente attivista, che raccoglie da terra i distintivi della SED gettati per strada dai manifestanti:

Die Zerstörung von Akten, Schreibmaschinen, Büromaterialien habe ich gesehen. Und einen wilden, ungezügelten Haß gegen diesen Staat, der mit dem Anlaß, der ihn angeblich ausgelöst hatte, nicht übereinging – das empfand ich stark. […] Ich habe damals niemanden gefunden, der mir diesen Ausbruch von Destruktionslust, den ich am 17. Juni beobachtet habe, erklären konnte. Ich kam am Abend dieses Tages nach Hause mit einer Handvoll Parteiabzeichen, die ich von der Straße aufgelesen hatte.14

L’aneddoto, rievocato anche nelle pagine di Stadt der Engel, mostra bene fino a che punto la giovane scrittrice procedesse verso il totale inserimento nelle strutture politiche e culturali della DDR: le sue recensioni sulla Neue Deutsche Literatur, in linea con il realismo imperante, non potrebbero essere più lontane dalle posizioni della Wolf scrittrice. La giovane critica militante, infatti, si allinea in toto alle direttive culturali della SED, fedele al realismo

13 Cf. Christa WOLF, Ein Gespräch mit Christa und Gerhard Wolf, in Christa WOLF, Essays, Gespräche, Reden, Briefe, 1975-1986, Luchterhand, München, 2000.

14 Cfr. Christa WOLF, Unerledigte Widersprüche, intervista con Therese Hörnigk, giugno 1987/ottobre 1988, in Christa WOLF, Essays, Gespräche, Reden, Briefe, 1987-2000, op. cit. p. 66.

(159)

157

socialista e alla rappresentazione del ‘tipico’ e dell’ ‘esemplare’. La letteratura dell’Ovest è bollata come ‘kitsch e decadente’, un veleno intellettuale per rimbecillire il popolo

15

.

In quest’ottica di lealtà al partito e di ottimistica fiducia nel socialismo bisogna, a mio avviso, collocare quelle 130 pagine che testimoniano il contatto della Wolf con il Ministerium für Staatssicherheit, la polizia segreta più tristemente nota sotto la sigla Stasi. I 42 volumi che riportano minutamente la vita dei coniugi Wolf – sotto osservazione dagli anni Settanta – dovrebbero essere una prova sufficiente per valutare l’esatta proporzione degli avvenimenti, eppure l’intensa campagna diffamatoria che raggiunse la scrittrice, dopo l’apertura dei dossier nel 1992, mirò a dimostrare il contrario. A nulla valse la dimostrazione che durante quei cinque incontri la Wolf si limitò a ripetere affermazioni già presenti nelle sue dichiarazioni pubbliche e che nessun collega venne incriminato per causa sua: l’immagine di madre spirituale della DDR venne incrinata – forse intenzionalmente – in un momento in cui tutta l’eredità della Germania orientale veniva liquidata bruscamente. L’elaborazione di questo periodo, l’angoscia per l’inaudita violenza della stampa e la sensazione di fare da capro espiatorio in una vicenda volutamente gonfiata dai media saranno fortemente presenti in Medea. Stimmen, e si ritroveranno ancora, quasi ossessivamente, nei ricordi di Stadt der Engel.

La soglia della vergogna è molto alta, si preferirebbe non doverla oltrepassare. […] Dentro di me non trovavo alcun nesso con quella giovane donna, eppure dovevo accettarne l’eredità che mi veniva consegnata con quei fascicoli.16

Nel 1959, tuttavia, la fase di elaborazione e di ripensamento è ancora lontana. La famiglia Wolf (nel ’51 era nata la prima figlia Annette, nel ’56 Katrin) si trasferisce a Halle, in uno dei distretti a più alta concentrazione industriale della DDR. Qui la Wolf aderisce alla nuova fase della politica culturale voluta da Ulbricht e inaugurata con la conferenza di Bitterfeld. Per favorire una maggiore alleanza tra gli intellettuali e il popolo, il partito sollecitava i primi ad entrare nel vivo del processo produttivo, e i secondi a scrivere del loro mondo, al motto di

«Greif zur Feder, Kumpel, die sozialistische deutsche Nationalkultur braucht dich!».

Ad Halle, cercando di conciliare le incombenze famigliari, le riunioni alla fabbrica di vagoni Ammendorf e la sua attività di lettrice per la Mitteldeutscher Verlag

17

, Christa Wolf scrive nel 1961 il suo primo racconto, Moskauer Novelle, e abbozza la trama di Der geteilte Himmel, poi pubblicato nel 1963. «Ein Mädchen von Lande, das zum erstenmal in ihrem Leben in die gröβere Stadt kommt, um hier zu studieren. Vorher macht sie ein Praktikum in einem Betrieb, bei einer schwierigen Brigade. Ihr Freund ist Chemiker, er bekommt sie am Ende

15 Cf. l’articolo Achtung, Rauschgifthandel! su Neue Deutsche Literatur, febbraio 1955, ora conservato al Wolf-Archiv presso l’Akademie der Kunste, vol. II.

16 Cf. Margarete in Santa Monica, intervista con Fritz-Jochen Kopka, su «Wochenpost», 28 gennaio 1993.

17 Il lettore può averne un’idea leggendo il racconto Dienstag 27 September, ora in Ein Tag im Jahr, p. 11- 24.

(160)

158

nicht »

18

. La trama è ancora esile, ma già rivela l’impianto narrativo del racconto finale, incentrato sull’irrevocabile conflitto tra amore e scelta ideologica: i due personaggi principali, infatti, vengono divisi non tanto dal Muro – innalzato il 13 agosto 1961 – quanto dalla diversa disponibilità a collaborare per la costruzione del nuovo stato socialista

19

. Intanto, conclusa l’esperienza di Halle, la Wolf si era trasferita a Berlino e aveva abbandonato la carriera di critica letteraria per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura: Der geteilte Himmel riscuote infatti un successo immediato, di pubblico e – benché con qualche riserva – anche di critica, al punto che la SED la candida al Comitato Centrale e la insignisce del premio Heinrich Mann, onorificenza nazionale della DDR.

Tutti questi riconoscimenti pubblici, tuttavia, sono accolti con riserva e quasi con timore dalla scrittrice, come se il favore accordatole potesse in qualche modo minare la propria indipendenza artistica, vincolandola ai dettami culturali del partito. Non è un caso, allora, che la Wolf scelga Kleinmachnow

una piccola località tra Berlino e Potsdam, così vicino al confine con l’Ovest da poterne vedere le luci sullo sfondo, ma abbastanza isolata dalla vita pubblica per permettere all’autrice una relativa indipendenza dai centri del potere – un aspetto, questo, che sarà fondamentale per l’elaborazione di Nachdenken über Christa T.

I.2. Avvisaglie della crisi.

Il 1965 sarebbe forse trascorso senza troppo rumore, se non fosse per l’XI plenum del Comitato Centrale della SED, tristemente passato alla Storia per aver fatto tabula rasa della vita culturale della DDR.

20

Nei tre giorni di seduta plenaria

21

, infatti, fu chiaro a tutti i presenti che il partito non era più disposto a portare avanti il processo di democratizzazione avviato negli anni precedenti. La critica riguardava ovviamente anche gli intellettuali, e un certo modo “degenerato” di concepire l’arte: sul banco degli imputati furono chiamati, per esempio, la radio DT64 e la FDJ, colpevoli di aver favorito la diffusione della musica rock, ma non vennero risparmiati nemmeno molti testi usciti in quell’anno. Tra questi, la raccolta di poesie Drahtharfe di Wolf Biermann, pubblicata solo ad Ovest, un racconto sulle manifestazioni del ’53 di Heym e soprattutto il romanzo di Werner Braünig, Rummelplatz.

Paradossalmente, proprio gli auspici sollecitati dal Bitterfeld Weg si erano verificati: gli scrittori che, solidarizzando con la classe dei lavoratori, avevano iniziato a descrivere la realtà in modo più efficace, venivano ora accusati proprio perché avevano messo in evidenza gli

18 « Una ragazza di campagna, che fa pratica in uno stabilimento, presso una brigata difficile. Il suo amico è un chimico e alla fine lo perderà…», Christa WOLF, Dientstag 27 September 1960, in Christa WOLF, Ein Tag im Jahr, 1960-2000, Luchterhand, München, 2003 (Neue Deutsche Literatur, n.22, 1974), p. 22-23.

19 Per una più ampia trattazione cf. Anna CHIARLONI, Christa Wolf, op. cit. p. 21-37 e Ursula VOGT, Christa Wolf, op. cit. p. 39-59.

20 Cf. Sonja HILZINGER, Christa Wolf, op. cit, p. 35. «Das II. Plenum des Zentrakomitees der SED im Dezember 1965 ist zu Recht als kultureller Kahlschlag in DDR-Geschichte eingegangen. Bereits im Vorfeld zeichnet sich ab, dass die Partei eine Einschüchterungs und Repressionskampagne gegen Kunstschaffende und Intellektuelle vorbereitet. »

21 L’IX plenum si svolse dal 15 al 18 dicembre del 1965. Per una ricostruzione delle tensioni e dell’atmosfera che precedettero e animarono quei giorni cfr. Jorg MAGENAU, Die weggeschlagenen Hände, Verlierergefühle: Das 11. ZK-Plenum im Dezember 1965, in Jorg MAGENAU, Christa Wolf, op. cit. p. 172-191.

(161)

159

errori e le falle del sistema, destabilizzando così il ruolo egemonico della SED. Non solo, i dirigenti politici si erano resi conto che la destalinizzazione rischiava di favorire l'emergere di voci critiche nei confronti del partito e del suo socialismo – cosa che si sarebbe verificata, due anni dopo, con la rivolta di Praga – e intervennero pesantemente perché la letteratura rientrasse nei ranghi. Emblematica l’affermazione di Ulbricht: « Se vogliamo continuare a incrementare la produttività del lavoro e innalzare la qualità della vita, com’è nell’interesse di tutti i cittadini della DDR, non si possono diffondere filosofie nichiliste, demoralizzanti, disperanti, nella letteratura, nel cinema, nel teatro, nella televisione, sulla stampa».

22

Anche Christa Wolf, che due anni dopo avrebbe pubblicato Nachdenken über Christa T. – la cui protagonista, significativamente, muore di leucemia – chiese la parola, prendendo però le difese dei colleghi, cautamente ma con una fermezza inconsueta per quel genere di evento, cercando di far capire agli ingessati funzionari del partito che «scrivere è un’attività delicata, ben più delicata della raccolta delle rape o della produzione di automobili».

23

Come risultato, il suo nome fu cancellato dalla lista del comitato centrale, e le riprese del film Fraülein Schmetterling, a cui stava lavorando insieme al marito e al giovane regista Kurt Barthel, vennero interrotte. Non solo: a partire da quel momento il telefono della famiglia Wolf fu messo sotto controllo dalla Stasi, a riprova del fatto che la considerazione di ‘fedele compagna’ di cui aveva goduto la scrittrice all’uscita di Der geteilte Himmel era ormai lontana.

D’altra parte, l’itinerario politico di Christa Wolf stava prendendo direzioni ben diverse dalla sicurezza dogmatica che aveva guidato i protagonisti dei primi racconti. Nachdenken über Christa T. , infatti, non solo non ha più nulla dell’eroico trionfalismo auspicato dalla critica sovietica, ma risente di una complessità e di un percorso di ricerca totalmente nuovo: qui l’individuo diventa l’occasione per ripensare dolorosamente il rapporto con la DDR e, di conseguenza, il legame del singolo con la comunità. La trama è esile: la morte di Christa Tabbert, compagna di studi dell’autrice, muore di leucemia, e l’io narrante si appresta – con l’ausilio dei diari dell’amica – a ricostruirne la vicenda umana. La disperata ricerca di Christa T. di «essere nient’altro che un essere umano »

24

è vissuta in modo problematico, in bilico tra il suo desiderio di obbedienza e abnegazione alla causa socialista e il rifiuto di essere solo un numero nelle statistiche del potere. La morte dell’amica è dovuta alla malattia, ma l’autrice lascia intuire che dietro si nasconde un tracollo psichico forse dovuto, almeno in parte, proprio all’impossibilità di salvaguardare una dimensione individuale al’interno del sistema vigente.

Tutto mi sta di fronte estraneo e ostile, come un muro. Tocco le pietre ad una ad una, non c’è un solo vuoto. A che serve che continui a nascondermelo: non c’è alcun spazio vuoto per me.25

22 Cit. da MÄHLERT Ulrich, La DDR una storia breve 1949-1989, a cura di Andrea Gilardoni e Karin Birge Gilardoni-Büch, Mimesis, Milano Udine, 2009, p. 102.

23 Jorg MAGENAU, Christa Wolf, op. cit. p. 178.

24 Christa WOLF, Nachdenken über Christa T., op.cit. p. 45.

25 Ibidem. p. 86.

Références

Documents relatifs

volonté, peut investir l’idéologie de la flamme utopique de l’espoir, face aux résistances du réel. Ce dépassement restait impossible chez Pasolini, où passion et idéologie

In un simile contesto il governo veneziano adottò una linea politica che si può definire di “neutralità attiva”, la quale si trova esposta in modo molto chiaro in un’orazione

En analysant les motivations qui ont conduit Pasolini à utiliser le dialecte frioulan ainsi que les liens unissant le dialecte au corps, nous tenterons de montrer

Il poeta diventa adulto attraverso l’acquisizione di una ideologia laica che gli offre una interpretazione non solo della storia del mondo ma anche della propria storia privata

( ﺪﻛأ ﺎﻤﻛ ) ﺰﺟرﻮﺘﺳ Sturges ( نﻮ ﯾﻮﺑﺮﺘﻟا نﻮﻓﺮ ﺸﻤﻟا ﺎﮭ ﺳرﺎﻤﯾ ﻲ ﺘﻟا تﺎﻃﺎ ﺸﻨﻟا ﻰ ﻠﻋ ذإ ﺘﺗ نأ ﻲﻐﺒﻨﯾ ﺮ ﻦﯿھﺎﺠﺗا ﻲﻓ ﺮﻛ ، ءاﻮ ﺳ ﻢ

bilita dal Prof. Signorini, considero una classe più vasta di moti di tra- scinamento e, con riguardo a tale classe, determino quel moto ri- spetto al quale la

GBIOLI, Questioni di di~a~n,ica det solido pesante as~immetrieo, Rendiconti del Seminario Matematico dell’Università di Padova, A.. altra costante

Compte rendu de l’ouvrage suivant: Lisa El Ghaoui e Federica Tummillo (a cura di), Le tradizioni popolari nelle opere di Pier Paolo Pasolini e di Dario Fo, Pisa-Roma, Fabrizio