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(1)

Bart Dreesen

« Adattare il periscopio all’orizzonte ».

Pier Paolo Pasolini e la « poesia inclusiva »

Riassunto

Prendendo spunto dal concetto di « poesia inclusiva » proposto da Eugenio Montale, questo articolo analizzerà le varie strategie discorsive adoperate nella poesia pasoliniana negli anni 1950-1971. Si mostrerà come Pasolini passa da una poesia civile, una poesia in cui il soggetto poetico dialoga con il mondo delle ideologie tramite l’impiego di strutture argomentative e narrative, ad una poesia che evoca il mondo del soggetto poetico nei suoi rapporti diretti con il mondo concreto in cui vive il poeta biografico, al di là di ogni sistema ideologico e stilistico.

Abstract

Taking Eugenio Montale’s concept of “inclusive poetry [poesia inclusiva]”as a starting point, this article will analyse the various discursive strategies in the poetic work of the Italian poet Pier Paolo Pasolini in the period 1950-1971. It will be argued that Pasolini moves from civic poetry, a kind of poetry in which the poetic subject confronts himself with the realm of ideology through the use of argumentative and narrative structures, towards poetry that shows the universe of the poetic subject in its direct relationship to the biographical poet’s world, without imposing any kind of ideological or stylistic filter onto it.

Pour citer cet article:

Bart Dreesen, « Adattare il periscopio all’orizzonte ». Pier Paolo Pasolini e la «poesia inclusiva», Interférences littéraires /Literaire inter-ferenties, n° 24, « Experiments in short fiction:

between genre and media », dir. Elke D’hoker, Bart Van den Bossche, mai 2020, 89-108.

(2)

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« A

DATTARE IL PERISCOPIO ALL

ORIZZONTE

».

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ASOLINI E LA

«

POESIA INCLUSIVA

»

Quando Pasolini nel gennaio del 1950, dopo una denuncia per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico, lascia il Friuli per Roma, porta con sé il trauma di un distacco violento: «Il periodo friulano era finito »,1 scriverà il poeta molti anni dopo, con un tocco di nostalgia, nella Prefazione – intitolata Al lettore nuovo – alla scelta delle sue Poesie (1970) uscita presso Garzanti. Con l’abbandono del Friuli finisce non solo un’epoca della vita, la gioventù, ma anche un’epoca dell’esperienza poetica, quella caratterizzata prima dalla ‘lirica pura’ di matrice simbolista-ermetica (Poesie a Casarsa, 1942), e poi dalla poesia epico-narrativa dedicata alla realtà popolare della ‘piccola patria friulana’ (Dov’è la mia patria, 1949).2 A Roma, la realtà ‘nazionale’

– storica, ideologica, politica e socio-economica – irrompe irreversibilmente e in modo preponderante nell’universo poetico pasoliniano. All’evocazione della realtà nazionale corrisponde il definitivo abbandono della poesia dialettale3 a favore della poesia in lingua. Di questa decisiva svolta psicologica e poetica offre una testimo- nianza la raccolta Roma 1950. Diario,4 resoconto poetico dell’inserimento pasoliniano nel mondo romano delle borgate e del sottoproletariato, che delinea un vero e proprio processo di Bildung. Se all’inizio della raccolta Pasolini – ricollegandosi al « Io non voglio esser uomo »5 di Dal diario (1945-1947) – proclama ancora decisamente

Adulto? Mai – mai, come l’esistenza che non matura – resta sempre acerba, di splendido giorno in splendido giorno – io non posso che restare fedele

alla stupenda monotonia del mistero,6

1 PIER PAOLO PASOLINI, Al lettore nuovo, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, II, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 1999, p. 2516.

2 Cfr. BART DREESEN, Il friulano di Pier Paolo Pasolini: da stratagemma ermetico a strumento mimetico- narrativo, « Rivista di letteratura italiana », [in corso di stampa].

3 Con eccezione di Viers Pordenon e il mont e delle poesie inserite nelle sezioni Appendice (1950- 1953) e Romancero (1953) della Meglio gioventù, che però tematizzano tutte in un modo o nell’altro il congedo dall’universo poetico friulano. Fanno eccezione ovviamente anche le poesie della Seconda forma de « La meglio gioventù » (1974) e di Tetro entusiasmo (Poesie italo-friulane, 1973-74), entrambi pubblicati in PIER PAOLO PASOLINI, La nuova gioventù, Torino, Einaudi, 1975: le prime sono rifacimenti ironici delle Poesie a Casarsa e di parte della Suite furlana, le seconde poesie in cui le parti in friulano si alternano a quelle in lingua. Tuttavia, i componimenti della Nuova gioventù fanno parte di una fase dell’opera poetica pasoliniana in cui l’opposizione dialetto-lingua ha ormai un significato molto diverso da quello che aveva all’inizio degli anni Cinquanta.

4 PIER PAOLO PASOLINI, Roma 1950. Diario, Milano, All’insegna del Pesce d’oro, 1960; ora in IDEM, Tutte le poesie, I, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 2003, pp. 697-713.

5 PIER PAOLO PASOLINI, Dal diario (1945-1947), in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 625; corsivo nel testo.

6 PIER PAOLO PASOLINI, Roma 1950. Diario, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 699.

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nei versi finali sostiene che

Questo muovermi… in giorni tutti fuori dal tempo che pareva dedicato

a me, senza ritorni e senza soste, spazio tutto colmo del mio stato, quasi un’estensione della vita

mia, del mio calore, del mio corpo…

e s’è interrotto… Sono in un altro tempo, un tempo che dispone i suoi mattini in questa strada che io guardo, ignoto, in questa gente frutto d’altra storia…7

Nel finale di Roma 1950. Diario si manifesta dunque in modo definitivo l’alterità del tempo e della storia ‘oggettivi’ rispetto alla percezione soggettiva dell’io lirico: la realtà esterna s’impone al soggettivismo, alla vita dei sentimenti del poeta. Da lì a poco, Pasolini scriverà L’Appenino, il primo degli undici poemetti confluiti nel 1957 nelle Ceneri di Gramsci.

Nella prima sezione di un poemetto del 1949 dedicato alla madre ma programmaticamente intitolato La scoperta di Marx8 e, altrettanto programmatica- mente, come per concludere un determinato periodo dell’esperienza poetica, collo- cato nel 1958 in posizione finale dell’Usignolo della Chiesa Cattolica,9 raccolta « a lungo rimasta nel cassetto »10 che comprende poesie scritte tra il 1943 e il 1949, Pasolini era già arrivato a proclamare: « Fuori dal tempo è nato / il figlio, e dentro muore ».11 Nato come poeta dialettale nel solco della tradizione simbolista-ermetica di lirica pura, atemporale e astorica, incentrata interamente sulla vita interiore dell’io lirico, Pasolini – grazie appunto alla ‘scoperta di Marx’ – sente ormai inevitabile il passaggio ad una poesia diversa: una poesia in lingua, ancorata al tempo e alla storia, che evoca i fenomeni del mondo oggettivo e non soltanto la percezione soggettiva dell’io lirico:

« La lingua [...] / e il tempo [...] / [...] son le pareti // tra cui sono entrato »; « Non soggetto ma oggetto / [...] un inquieto fenomeno, / non un dio incarnato » (p. 502).

Il poemetto – e insieme l’intero volume – si conclude con la presa di coscienza che

« c’è nell’esistenza / qualcos’altro che amore / per il proprio destino » (p. 502), cioè c’è anche il contatto con l’altro, con « la nostra storia! morsa / di puro amore, forza

7 ivi, p. 713.

8 La vera e propria ‘scoperta’ di Marx, cioè la prima lettura « in edizioni volgarizzate », risalirebbe al 1947 (NICO NALDINI, Cronologia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p.

LXXXIV). Poco dopo Pasolini scopre anche Gramsci: « Contemporaneamente, in quegli anni ’48- 49, scoprivo Gramsci » (PIER PAOLO PASOLINI, Il sogno del centauro. Incontri con Jean Duflot (1969-1975), in IDEM, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 1999, p. 1415). Ha dunque ragione Fernando Bandini quando osserva che con La scoperta di Marx Pasolini sembra

« mettere in epoché la sua militanza comunista friulana quasi collocando la vera presa di coscienza politica più in là, nel purgatorio dell’esilio romano e delle borgate » (FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XXIII).

9 PIER PAOLO PASOLINI, L’Usignolo della Chiesa Cattolica, Milano, Longanesi, 1958; ora in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., pp. 381-503.

10 PIER PAOLO PASOLINI, Al lettore nuovo, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, II, cit., p.

2516.

11 PIER PAOLO PASOLINI, La scoperta di Marx, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 499.

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/ razionale e divina » (p. 503). Stabilire un rapporto poetico con la « storia » sarà quello che tenterà Pasolini negli anni Cinquanta con i poemetti raccolti nelle Ceneri di Gramsci.12 Tuttavia, la « storia » non è soltanto « forza / razionale » ma anche

« divina », « morsa / di puro amore »: l’adesione pasoliniana al marxismo « darà infatti avvio all’esperienza della contraddizione fra passione e ideologia ».13 Pasolini sarà sempre diviso tra l’adesione ‘passionale’ alla carica rivoluzionaria e popolare del marxismo e il rifiuto di ogni ortodossia politico-ideologica. Nella Scoperta di Marx, dunque, il poeta da un lato sembra risolvere, sempre a favore del secondo termine, i conflitti tra infanzia e maturità, tra io e mondo, e tra dialetto e lingua, ma dall’altro introduce anche un nuovo conflitto, che sarà alla base della sua ricerca poetica negli anni Cinquanta: quello tra ‘passione’ e ‘ideologia’.

Quando più di un decennio dopo, alla fine della lunga poesia Una disperata vitalità, scritta tra l’inizio degli anni Sessanta e la pubblicazione in rivista nel marzo del 1964, Pasolini, in una cosiddetta « Conclusione funerea:14 con tavola sinottica […] / […] della sua / carriera di poeta »,15 guarda indietro – come da un punto di vista postumo – al suo percorso poetico dalle Poesie a Casarsa fino alle Ceneri di Gramsci, lo riassume nel modo seguente:

Venni al mondo al tempo dell’Analogica.

Operai

in quel campo, da apprendista.

Poi ci fu la Resistenza e io

lottai con le armi della poesia.

Restaurai la Logica, e fui un poeta civile.16

Dopo la prima fase della poesia friulana e in lingua Pasolini ha lasciato alle spalle il procedimento poetico analogico, tipico di molta poesia di matrice simbolista- ermetica, ed è passato ad un procedimento poetico logico e razionale, mirato all’evocazione della realtà concreta.17 Dapprima tale realtà era ancora limitata al

12 PIER PAOLO PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti, 1957; ora in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., pp. 773-867.

13 GUIDO SANTATO, Pier Paolo Pasolini: l’opera poetica, narrativa, cinematografica, teatrale e saggistica:

ricostruzione critica, Roma, Carocci, 2012, p. 159.

14 Non a caso, i versi vengono allineati al centro della pagina come in un’iscrizione funebre.

15 PIER PAOLO PASOLINI, Una disperata vitalità, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 1200.

16 ibidem. L’autoepitaffio pasoliniano ricorda molto da vicino le sintetiche autodescrizioni che le anime dei defunti forniscono al Dante-personaggio (e che il Dante-autore riporta al lettore) nella Divina Commedia (cfr. infra).

17 Cfr. « Il rifiuto del linguaggio poetico di ascendenza ermetica è, a livello di figure, innanzitutto rifiuto dei procedimenti di giustapposizione analogica. Sicché […] tornano ad affollarsi le comparazioni introdotte dal come, talvolta in anafora, contribuendo alle condensazioni paratattiche.

La comparazione ha la funzione di assimilare il primo termine a un secondo il cui referente è un dato fisico o comunque percepibile in una sfera di connotazioni intensamente affettive. È un procedimento di inserzione della ‘fisicità’, coloristica o sensuale, nello svolgimento discorsivo » (VINCENZO MANNINO, Il « Discorso » di Pasolini. Saggio su « Le ceneri di Gramsci », Roma, Argileto, 1973, pp. 127-128. Si vedano ad esempio: « e coma uthiej se ciantava » [« e come uccelli si cantava »] (PIER

PAOLO PASOLINI, El testament Coràn, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 120); « Tal paese desert coma

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mondo popolare friulano e la sua rappresentazione caratterizzata da strutture testuali che potranno ricordare certa narrativa neorealista,18 ma a partire dagli anni Cin- quanta – dopo il suo trasferimento a Roma – Pasolini ha allargato la sua prospettiva alla realtà nazionale e ha superato la poesia di ispirazione (latamente) neorealista. Il Pasolini « poeta civile » che cerca un contatto poetico logico e razionale con la realtà storica, politica e sociale nazionale raggiungerà il suo momento più alto nelle Ceneri di Gramsci.19

« Lo scandalo del contraddirmi ».

Le ceneri di Gramsci

(1957): tra ‘passione’ e ‘ideologia’, tra lirica e narratività

La stesura dei poemetti raccolti nelle Ceneri di Gramsci « si sviluppa nel clima di un ampio dibattito che nei primi anni Cinquanta pone l’accento sulla necessità di una nuova poesia che nasca dalla coscienza di una nuova cultura, attenta al mutarsi delle forme politiche e sociali ».20 Sullo sfondo di tale dibattito Pasolini insieme a Francesco Leonetti e Roberto Roversi fonda nel 1955 la rivista « Officina ». Le concrete scelte poetiche delle Ceneri di Gramsci trovano il loro corrispettivo teorico- concettuale nelle riflessioni pubblicate sulle pagine della rivista bolognese. Il primo

un mar » [« Nel paese deserto come un mare »] (ivi, p. 122); « È già ingiallito il dono / del risveglio, antico come un giorno / di pioggia in qualche desolata, / grave città padana » (PIER PAOLO PASOLINI, Roma 1950. Diario, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 708); « Dentro nel claustrale transetto / come dentro un acquario, son di marmo / rassegnato le palpebre » (PIER PAOLO PASOLINI, L’Appennino, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 777); « annera / il rosso come di vecchio sangue » (PIER PAOLO

PASOLINI, Comizio, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 796); « Uno straccetto rosso, come quello / arrotolato al collo ai partigiani » (PIER PAOLO PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 818); « Povero come un gatto del Colosseo, / vivevo in una borgata tutta calce / e polverone » (PIER PAOLO PASOLINI, Il pianto della scavatrice, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 836); « È come quegli odori che, dai campi / bagnati di fresco, o dalle rive di un fiume, / soffiano sulla città nei primi //

giorni di bel tempo » (ivi, p. 844); « Un po’ di pace basta a rivelare / dentro il cuore l’angoscia, / limpida, come il fondo del mare // in un giorno di sole » (ivi, p. 845); « Nelle panche, nei corridoi, // eccoli con il mento sul petto, / con le spalle contro lo schienale, / con la bocca sopra un pezzetto // di pane unto, masticando male, / miseri e scuri come cani / su un boccone rubato » (PIER PAOLO

PASOLINI, La Terra di Lavoro, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 858); « Questa, se la osservi, non si muove / come una bestia che finge d’esser morta » (ivi, p. 859); ecc. La presenza frequente nel discorso poetico di similitudini introdotte dal ‘come’, nelle quali il secondo termine concretizza il significato del primo tramite il riferimento ad un dato empirico, è uno dei vari tasselli che si possono prendere in considerazione per parlare del rapporto Pasolini-Dante (cfr. infra).

18 Cfr. le poesie di Dov’è la mia patria (1949) e BART DREESEN, Il friulano di Pier Paolo Pasolini:

da stratagemma ermetico a strumento mimetico-narrativo, cit.

19 Cfr. la recensione alle Ceneri di Gramsci di Arnaldo Bocelli pubblicata sulle pagine del « Il Mondo » il 24 settembre 1957: « Dello sperimentalismo proprio dei nostri poeti più giovani, quelli della cosiddetta “quarta generazione”, tutti impegnati ad uscire dall’ambito dell’ermetismo, e cioè a trovare un nuovo linguaggio consono ai nuovi contenuti, e alle mutate esigenze del gusto e della cultura, Pier Paolo Pasolini è certo il rappresentante più tipico e più qualificato […]. […] la forma, i modi di queste composizioni [i poemetti delle Ceneri di Gramsci] sono ormai ben diversi da quelli dell’ermetismo […]. […] si tratta di una poesia […] di intonazione nuova; che racconta, descrive, ragiona, non più dominata dall’io, ma da un fervido interesse per la “vita di relazione”, aperta alla realtà d’oggi, umana e civile ».

20 FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XXVI.

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numero, uscito nel maggio del 1955, vede la pubblicazione di un saggio di Angelo Romanò che può essere considerato come una specie di manifesto poetico-ideolo- gico della rivista. Nel saggio Romanò proclama che, per quanto « la base di un reale rinnovamento della poesia » debba essere costituita dal « distacco di una poesia tesa verso esperienze essenziali nel dominio della parola e della vita interiore, per una poesia tesa verso esperienze essenziali nel dominio della realtà, e della vita di relazione », tale rinnovamento non può essere « un semplice aggiornamento tema- tico e formale come quello in atto dalla fine della guerra in poi [nel neorealismo], ma un rinnovamento della coscienza poetica in relazione alla peculiare condizione dell’uomo contemporaneo ».21 Il programma di « Officina » deve consistere quindi nell’elaborazione di modelli teorici per il rinnovamento della poesia capaci di superare sia la ‘poetica della parola’ dell’ermetismo, sia quell’« idea di un rispecchia- mento della realtà »22 tipica del neorealismo. Per i redattori di « Officina », e in primis per lo stesso Pasolini, tale rinnovamento della tradizione poetica sotto la forma di una poesia tesa criticamente verso la realtà storica, politica e sociale può essere raggiunto soltanto attraverso la sperimentazione di quei modelli stilistici e discorsivi pre-novecenteschi che sono « rientrati ormai naturalmente nei confini del linguaggio razionale, logico, storico, se non addirittura strumentale ».23 O nelle parole di Romanò: « Il solo modo di restituire alla nostra tradizione poetica quell’efficacia culturale che solo raramente ha manifestato, dovrebbe consistere nel definirne e nel rimetterne in circolazione i valori pre-estetici ed extra-estetici ».24 Non a caso, in un articolo del 1960, rivalutando retrospettivamente25 il ruolo del progetto di « Officina » all’interno del panorama poetico e critico novecentesco, Pasolini sostiene:

« Qual è stata la funzione di « Officina »? Vincere il residuo mito novecentesco […]

e ricostruire una nozione di poesia come prodotto storico e culturale ».26 Il « mito nove-centesco » di cui parla Pasolini è la convinzione, storicamente riconducibile a (una determinata interpretazione di) Petrarca ma culminata nell’ermetismo degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, che la poesia possa e debba chiudersi alla realtà storica, politica e sociale e diventare una cosa tutta interiore, un linguaggio assoluto, astorico e autoreferenziale.27 E Pasolini prosegue: « Noi [i redattori di « Officina »]

21 ANGELO ROMANÒ, Analisi critico-bibliografiche [I], « Officina », s. I, 1, 1955, pp. 26-27.

22 CATERINA VERBARO, Il dibattito delle poetiche tra Neorealismo e Neoavanguardia, in GIORGIO

LUTI, CATERINA VERBARO, Dal neorealismo alla neoavanguardia: il dibattito letterario in Italia negli anni della modernizzazione (1945-1969), Firenze, Le Lettere, 1995, p. 51.

23 PIER PAOLO PASOLINI, La libertà stilistica, « Officina », s. I, 7, 1956; ora in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, I, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 1999, pp. 1229-1237, citazione a p.

1235.

24 ANGELO ROMANÒ, Analisi critico-bibliografiche [I], cit., p. 24.

25 La rivista chiude nel giugno del 1959, dopo quattordici numeri divisi in due serie.

26 PIER PAOLO PASOLINI, La reazione stilistica, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, II, cit., p.

2293.

27 Già nel 1956, in pieno periodo officinesco, Pasolini aveva affermato: « Avvolta nello spesso e grossolano nastro isolante del fascismo, è la Parola pura del misticismo tecnico degli ermetici, che conta, fino al ’45. Sì che il primo Novecento si presenta come il Novecento tout court, il periodo della poesia pura e analogica [...] » (PIER PAOLO PASOLINI, Letteratura italiana 1945-1955, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, I, cit., pp. 643-644). Per aggiungervi nello stesso anno, nel famoso saggio La posizione, pubblicato sul numero 6 di « Officina »: « Dopo il crollo di quel mondo assoluto ch’era il mondo borghese nel cui cuore eravamo nati, avevamo passato l’infanzia, e in cui il nostro io si era effuso senza soluzione di continuità; dopo il crollo, intendiamo meglio dire, di quell’involucro conservativo ch’era stato il regime centralistico – con la conseguente acquisizione, da parte dei più

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ci davamo da fare per creare in termini culturali e poetici una nozione di realismo:

che non era più il realismo della cronaca, visivo, immediato, del neorealismo, ma un realismo ideologico, di pensiero ».28 Si capisce facilmente che quando Pasolini parla della necessità di superare sia il ‘novecentismo’, sia il neorealismo attraverso l’adozione e la sperimentazione di modelli stilistici e discorsivi pre-novecenteschi, il poeta si riferisce in primo luogo alla propria pratica poetica, alle scelte poetiche delle Ceneri di Gramsci. Le ceneri di Gramsci costituiscono infatti « il tentativo più forte di fuoruscita dalle poetiche novecentesche, la volontà di lasciarsi alle spalle l’esperienza del decadentismo europeo (e la sua specie italiana individuata principalmente nell’esperienza ermetica) ».29 Se con le Poesie a Casarsa Pasolini si era ancora piena- mente iscritto nella tradizione novecentista di derivazione petrarchesca – una tradizione monolinguistica, selettiva, squisitamente lirica –, e se con Dov’è la mia patria si era avvicinato per certi versi ai modi tipici del neorealismo,30 allora con i poemetti delle Ceneri di Gramsci il poeta intende invece ricollegarsi ad una tradizione poetica modellata sulla Commedia dantesca:31 una poesia plurilinguistica e pluridiscorsiva (narrativa, ragionativa, ideologica, polemica,...) aperta alla realtà storica, politica e sociale, ma non limitata ad una rappresentazione mimetica immediata di essa.

Le ceneri di Gramsci, dunque, sono il risultato poetico dell’incontro pasoliniano con la realtà storica e ideologica, al quale « il poeta era arrivato nel pieno di una convinta e forte polemica che metteva in discussione l’attualità dell’ermetismo e del novecentismo ».32 In Al lettore nuovo Pasolini col senno di poi presenta Le ceneri di Gramsci come una raccolta divisa in due parti, considerando la prima, dall’Appennino all’Umile Italia – ma in realtà comprendente anche Quadri friulani – come « preistorica

» rispetto alla seconda, aperta dal « “poema civile” sulle ceneri di Gramsci ».33 Guido Santato osserva a tale proposito che:

La struttura del libro diviene immagine dell’antitesi che rispecchia [...]. Nelle Ceneri di Gramsci la divisione in due “parti” riconosciuta a posteriori stabilirebbe un prima e un dopo rispetto alla storia, all’ideologia. All’interno del volume

giovani, della esistenza di concezioni diverse di vita, ed una quasi religiosa reinvenzione del mondo sociale oggettivo – ci è parso chiaro come il Novecento non sia per nulla esaurito dal novecentismo»

(PIER PAOLO PASOLINI, La posizione, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, I, cit., p. 628).

28 PIER PAOLO PASOLINI, La reazione stilistica, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, II, cit., p.

2294. A proposito della polemica contro il neorealismo si veda anche: « Dietro al neorealismo, ad esempio, si guardi come non ci sia una forma di conoscenza se non praticistica, immediata, a fine sociale e documentario: non c’è un’idea della realtà, ma semplicemente un suo gusto » (PIER PAOLO

PASOLINI, Osservazioni sull’evoluzione del Novecento, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, I, cit., p. 1062).

29 FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XXXII-XXXIII.

30 cfr. BART DREESEN, Il friulano di Pier Paolo Pasolini: da stratagemma ermetico a strumento mimetico- narrativo, cit.

31 È molto significativa a tale proposito la scelta metrica: la maggior parte dei poemetti sono scritti in terzine di endecasillabi; fanno eccezione solo Il canto popolare (strofe di nove endecasillabi), L’umile Italia (strofe di dieci novenari) e Recit (distici di martelliani). Com’è ben noto la contrap- posizione in termini di lingua e stile tra linea dantesca e linea petrarchesca risale a Gianfranco Contini;

si veda: GIANFRANCO CONTINI, Preliminari sulla lingua del Petrarca, « Paragone », 2, 1951, pp. 3-26.

32 VINCENZO CERAMI, « Le ceneri di Gramsci » di Pier Paolo Pasolini, in Letteratura italiana. Le opere, IV, Il Novecento, II, La ricerca letteraria, a cura di Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1996, p. 653.

33 PIER PAOLO PASOLINI, Al lettore nuovo, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, II, cit., p.

2518.

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la narrazione diaristico-autobiografica si intreccia da un lato con la sensuale immersione nel mondo popolare, dall’altro con i giudizi ideologici sul presente storico e politico dell’Italia. Il pre-storico e lo storico, il pre- ideologico e l’ideologico, l’incoscienza e la razionalità, la contemplazione di un mondo popolare selvaggio e l’ingresso in un ordine razionale e politico:

sono questi i termini delle antitesi che attraversano le Ceneri di Gramsci.34

Le ceneri di Gramsci tracciano dunque un itinerario evolutivo che consiste nella ricerca di un equilibrio – e magari perfino di una riconciliazione – tra ‘passione’ e

‘ideologia’. Questa ‘trasformazione’ o maturazione da parte del poeta costituisce l’evento centrale della raccolta. Da questo punto di vista, Le ceneri di Gramsci possono essere lette a buon diritto come una specie di Bildungsroman. Non a caso, nel saggio critico che accompagna l’edizione Einaudi del 1981 della raccolta, Walter Siti sostiene che Le ceneri di Gramsci sono « un libro che deve essere letto anche come un romanzo ».35 Un romanzo autobiografico, una specie di ‘autobiografia in versi’ in cui viene elaborata « una figura autoriale che entra, come personaggio, all’interno del testo poetico, conferendogli uno specifico aspetto autobiografico »36 e che « mette se stessa in rapporto col mondo ».37 In questo senso, la struttura temporale delle Ceneri è doppia: da una parte c’è la cronologia ‘esterna’ – il tempo storico delle vicende raccontate che si estende dal 1951 al 1956 – che procede linearmente;38 dall’altra parte c’è la cronologia ‘interna’ che delinea il processo di maturazione, di Bildung, da parte del poeta-protagonista. La cronologia interna non è soltanto strettamente legata a quella esterna – in quanto sono le vicende storiche a

34 GUIDO SANTATO, Pier Paolo Pasolini, cit., p. 195.

35 WALTER SITI, Oltre il nostro accanito difenderla, in PIER PAOLO PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, Torino, Einaudi, 1981, p. 171.

36 MARCO ANTONIO BAZZOCCHI, Poesia come racconto, in La poesia italiana del Novecento: modi e tecniche, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Fausto Curi, Bologna, Pendragon, 2003, pp. 154-155.

37 MARCO ANTONIO BAZZOCCHI, Pasolini: autoritratto in forma di poesia, in Autobiografie in versi.

Sei poeti allo specchio, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Bologna, Pendragon, 2002, p. 99. Anche Bandini interpreta Le ceneri di Gramsci come « ulteriore capitolo dell’autobiografia del poeta »: « Il vero tema delle Ceneri è la conquista della maturità da parte del poeta dopo l’Eden friulano, dove una felice compatta innocenza [...] veniva ritrovata nei giacimenti della lingua romanza e cristiana; e dopo il dramma adolescenziale, trascritto in forma di partitura sacra, dell’Usignolo, le cui poesie vengono trascelte e raccolte come capitolo del proprio romanzo autobiografico. Il poeta diventa adulto attraverso l’acquisizione di una ideologia laica che gli offre una interpretazione non solo della storia del mondo ma anche della propria storia privata » (FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XXXIII-XXXIV).

38 Il primo poemetto, L’Appennino, è situato nel « mille / novecento cinquantuno » (PIER

PAOLO PASOLINI, L’Appennino, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 778); il secondo, Il canto popolare, nel

«mille novecento / cinquanta due » (PIER PAOLO PASOLINI, Il canto popolare, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 784); il terzo, Picasso, racconta la visita del poeta alla mostra di Picasso allestita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1953; Recit prende spunto, come precisa il poeta in una Nota posta in chiusura del volume, dall’annuncio della denuncia «per oscenità » di Ragazzi di vita, pubblicato nel 1955; nel Pianto della scavatrice il poeta fa riferimento alla famosa denuncia da parte di Chruscev dei crimini di Stalin durante il XX Congresso del PCUS nel febbraio del 1956; Una polemica in versi si inserisce nella polemica, nata tra l’aprile e il giugno del 1956 ma protrattasi fino alla fine dell’anno, tra Pasolini e i dirigenti della rivista « Il Contemporaneo »; infine, il riferimento alla « bandiera / ormai rossa di assassini » (PIER PAOLO PASOLINI, La Terra di Lavoro, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 861) colloca il viaggio in treno verso la Terra di Lavoro evocato nell’omonimo poemetto chiaramente dopo la repressione nel sangue della rivolta popolare ungherese da parte di carri armati sovietici nell’ottobre-novembre 1956.

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determinare il processo di maturazione del poeta – ma anche alla topografia: nel corso della raccolta la prospettiva spaziale si sposta gradualmente – anche se non sempre in un percorso lineare – da nord a sud, dal Friuli dell’Umile Italia e dei Quadri friulani alla Roma delle Ceneri di Gramsci e del Pianto della scavatrice, per approdare nella Campania della Terra di Lavoro. A livello ‘microtestuale’ il poemetto che apre la raccolta, L’Appennino, anticipa già tale ‘macrostruttura’: il poemetto è costituito da una sequenza di quadri che, a volo d’uccello, evocano i paesaggi dell’Italia centro- meridionale in un itinerario che va da nord a sud, dalla Toscana settentrionale al

« golfo / affricano di Napoli, nazione // nel ventre della nazione... ».39 È molto significativo che Pasolini abbia espunto dalla versione definitiva del testo un lungo brano finale su Ravenna e l’alto Adriatico che figurava ancora nelle prime redazioni:

il poeta ha volutamente costruito il testo come un percorso verso il sud. A livello macrotestuale la topografia dei singoli poemetti, e l’itinerario geografico che delineano, diventa funzionale come strumento narrativo: il percorso geografico si intreccia con il ‘percorso’ psicologico e poetico-ideologico del poeta-protagonista.

Come ha osservato Niccolò Scaffai:

A differenza dell’itinerario dannunziano [compiuto nell’Alcyone], quello compiuto dal protagonista delle Ceneri di Gramsci parte dai luoghi alcyonii [la Toscana costiera] per dirigersi a Sud, verso la Roma delle borgate e, oltre, verso la Terra di Lavoro degli ultimi pastori e contadini. Del percorso dannunziano verrebbe quindi rovesciato l’orientamento […]: dal sublime all’umile, in senso ideale e materiale (dal settentrione al meridione, dalle Apuane alle terre basse). Sul piano della poetica, ciò corrisponderebbe alla programmatica negazione di un estetismo ritenuto fine a se stesso in favore di un’accesa istanza etico-sociale.40

Il punto più alto e più stabile di questa trasformazione insieme psicologica e poetica costituisce senz’altro Il pianto della scavatrice. Il poemetto si apre con una specie di riflessione gnomica, che sottolinea la priorità del presente – verbale e storico – rispetto al passato:

Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato,

non l’aver conosciuto. Dà angoscia il vivere di un consumato

amore. L’anima non cresce più.41

L’incipit riflessivo è seguito dalla narrazione da parte del poeta-protagonista di una sua passeggiata attraverso una Roma notturna, durante la quale vede una macchina scavatrice. La visione della scavatrice dà adito ad una serie di riflessioni intorno al significato del passare del tempo: come la scavatrice, simbolo della frenesia edilizia negli anni di ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, muta un paesaggio secolare, così il tempo muta l’anima dell’io narrante, le sue « speranze » e « passioni »

39 PIER PAOLO PASOLINI, L’Appennino, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 781.

40 NICCOLÒ SCAFFAI, Il poeta e il suo libro: retorica e storia del libro di poesia nel Novecento, Firenze, Le Monnier, 2005, pp. 92-93.

41 PIER PAOLO PASOLINI, Il pianto della scavatrice, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 833.

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(p. 840). Il tempo però non può mutare il puro flusso della vita: « Su tutto puoi scavare, tempo: speranze // passioni. Ma non su queste forme / pure della vita... » (p. 840). Non è un caso allora che le riflessioni intorno al significato del passare del tempo sfocino in un’invocazione dei « giorni di Rebibbia, / che io credevo persi in una luce // di necessità, e che ora so così liberi! » (p. 840). Siamo di fronte ad un cruciale ‘evento’42 mentale: la trasformazione della percezione iniziale dei « giorni di Rebibbia » da « necessità » – intesa non solo in senso materiale come ‘grave mancanza di mezzi’ ma anche, e soprattutto, in senso montaliano come ‘costrizione assoluta, quasi metafisica’ – ad una loro concezione attuale molto diversa: « e che ora so così liberi! ». L’‘evenemenzialità’ di questa trasformazione è sottolineata dalla forte contrapposizione tra le indicazioni temporali (« che io credevo persi » vs. « e che ora so così liberi »; corsivi miei) e le connotazioni semantiche dei verbi (« credevo » vs. « so »: un’incertezza si è trasformata in sicurezza, un’opinione passata si è dimostrata sbagliata alla luce di nuove conoscenze e si è trasformata in verità), nonché dall’enjambement « luce // di necessità », per cui la narrazione dello stato iniziale (la « necessità » appunto) è ritardata di modo che finisca per essere raccontato nello stesso verso di quello finale (« e che ora so così liberi! »), creando un contrasto ancora più forte: tutta la trasformazione mentale è sintetizzata in un solo verso. In quei giorni, continua il poeta, « insieme al cuore » « alla chiarezza // all’equilibrio giungeva anche / [...] la mente ».43 Le « adulte benché inesperte ideologie » derivate dalla lettura di Marx e di Gramsci « respingevano » « il cieco / rimpianto, segno di ogni mia // lotta col mondo » (p. 841), ovvero il rimpianto del mitico universo friulano. Il « mondo » diventava « soggetto // non più di mistero ma di storia » (p.

841). Nel mondo della borgata « Marx o Gobetti, Gramsci o Croce, / furono vivi nelle vive esperienze » (p. 841): era proprio nel tessuto sociale romano che il poeta poteva riconoscere, e vedere all’opera, le dinamiche descritte da questi pensatori nelle loro opere teoriche, che altrimenti sarebbero rimaste lettera morta. Così il contatto con la realtà della borgata « mutò la materia di un decennio d’oscura / vocazione », per quanto spinse il poeta « a far chiaro ciò / che più pareva essere ideale figura // a una ideale generazione » (p. 841). Spingendolo alla poesia impegnata (« ideale figura »), rivolta ad una generazione chiamata a denunciare gli errori della Vätergeneration (« ideale generazione »), il contatto con il mondo sottoproletario fece sì che Pasolini definitivamente lasciò alle spalle la poesia di matrice ermetica (« la materia di un decennio d’oscura / vocazione »). In effetti, sostiene il poeta, « in ogni pagina, in ogni riga / che scrivevo, nell’esilio di Rebibbia, // c’era quel fervore » (p. 841) dell’impegno. L’esperienza della borgata, insomma, ha trasformato il poeta in un « rivoluzionario // nel cuore e nella lingua » (p. 842), nell’anima e nella poesia, in un uomo che veramente « fioriva » (p. 842).

Tuttavia, dopo il corso drammatico che ha preso la « storia » nel 1956 – a febbraio, durante il XX Congresso del Partito comunista sovietico, la denuncia da

42 Nella sua accezione più basilare il concetto di ‘evento’ (event) consiste nella rappresentazione della trasformazione da una situazione semantica iniziale ad una situazione semantica finale diversa da quella iniziale (cfr. « [An] event is any change of state explicitly or implicitly represented in a text » (PETER HÜHN, Event and Eventfulness, in the living handbook of narratology, a cura di Peter Hühn et alii, Hamburg, Hamburg University, http://www.lhn.uni-hamburg.de/article/event-and-eventfulness, consultato l’11 giugno 2019)).

43 PIER PAOLO PASOLINI, Il pianto della scavatrice, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 841.

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parte di Chruscev dei crimini di Stalin, che doveva dare avvio alla cosiddetta

‘destalinizzazione’,44 e poi invece nell’autunno la repressione nel sangue delle rivolte popolari in Polonia e in Ungheria – si manifestano rapidamente le delusioni nei con- fronti dell’ideologia comunista, rappresentate in modo emblematico dal gesto pas- sionale del vecchio operaio in Una polemica in versi:

un vecchio si leva

dalla testa bianca il berretto,

afferra nella nuova ventata di passione una bandiera retta sulle spalle

da uno che gli è davanti, al petto se la stringe, e poi mentre cantano tutti, affratellati intorno alle gialle trombe paesane, si pianta

sulle vacillanti gambe, e scuote al tempo la bandiera a lui santa sopra le teste cantando con voce rauca, di povero manovale ubriaco.

Poi il canto, che s’era levato

gioioso, disperato, cessa, e il vecchio lascia cadere la bandiera, e lento, con le lacrime agli occhi, si ricalca in capo il suo berretto.45

In esso Pasolini riconosce « la nostalgia / dei vecchi tempi [...] / [...] che spira tanta malinconia » (p. 857). Ma, conclude il poeta, « in questa malinconia è la vita » (p.

857): nel finale del poemetto si riafferma dunque in modo emblematico l’autentica passione del popolo contro le delusioni dell’ideologia. Da questo punto di vista l’« itinerario ideologico »46 e poetico svolto dal protagonista delle Ceneri di Gramsci, alter ego poetico di Pasolini, si rivela come un processo ‘circolare’: si evolve dall’

« estetica passione »,47 dalla « pura passione » (p. 826) ad una forma mai ortodossa di ideologia e di poesia civile, per tornare infine al « vecchio paradiso »,48 al « paradiso interiore » (p. 863). Infatti, proclama il poeta in una delle ultime terzine della Terra di Lavoro:

Se misuri nel mondo, in cuore, la delusione senti ormai che essa non conduce

a nuova aridità, ma a vecchia passione.49

44 In ciò consiste la « speranza – che, vecchio leone / puzzolente di vodka, dall’offesa // sua Russia giura Krusciov al mondo » (ivi, p. 846).

45 PIER PAOLO PASOLINI, Una polemica in versi, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 857.

46 NICCOLÒ SCAFFAI, Il poeta e il suo libro, cit., p. 96.

47 PIER PAOLO PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 820.

48 PIER PAOLO PASOLINI, La Terra di Lavoro, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 862.

49 ibidem.

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Se Le ceneri di Gramsci costituiscono un Bildungsroman in versi, allora si tratta di una specie di Bildungsroman ‘rovesciato’, in cui il plot non procede linearmente, bensì circolarmente.

In conclusione, Le ceneri di Gramsci sono la ‘messa in pratica’ pasoliniana dello sperimentalismo teorizzato sulle pagine di « Officina »: ad un’innovazione a livello del contenuto – una poesia capace di confrontarsi con i « fenomeni del mondo »50 – corrisponde una sperimentazione tecnica – la mescolanza e contaminazione di linguaggi e registri, e l’adozione di forme metriche, stilistiche e discorsive pre- novecentesche, tramite le quali la poesia si apre al ragionamento, alla polemica e alla narratività. All’interno del dibattito negli anni Cinquanta sulla necessità di superare la tradizione poetica ‘novecentista’ – chiusa a se stessa, autoreferenziale – Pasolini con Le ceneri di Gramsci fornisce l’esempio di una poesia alternativa: una poesia in cui il soggetto poetico gradualmente « mette se stesso in rapporto col mondo »51 e racconta lo sviluppo di tale rapporto, senza escludere aperture alla dimensione lirica, ma collocandola sempre in una ‘cornice’ narrativa.

« Essere fàtico, fàtico, / e così esprimere, al grado più basso, il tutto ». Pasolini oltre

Le ceneri di Gramsci

: dalla

Religione del mio tempo

(1961) a

Trasumanar e organizzar

(1971)

Quando Pasolini chiude Le ceneri di Gramsci con la constatazione che « la delusione » nel « mondo », ovvero la delusione nella storia come ideologia, « non conduce / a nuova aridità, ma a vecchia passione », il poeta si riferisce alla « vecchia passione » per l’autenticità mitica di un popolo non ancora corrotto dalla storia-ideologia, identificato prima nell’universo contadino friulano e poi nel sottoproletariato della

« meridionale periferia »52 delle borgate romane. Quando tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, con l’avvento del boom economico, quel popolo amato con « violento / e ingenuo amore sensuale »53 è sempre più attratto « dal miraggio di un omologante benessere che lo spoglierà delle sue antiche virtù »,54 fino al suo ingresso nell’« entropia »55 borghese, Pasolini cerca un’alternativa al mondo

50 PIER PAOLO PASOLINI, La libertà stilistica, in IDEM, Saggi sulla letteratura e sull’arte, I, cit., p.

1237.

51 MARCO ANTONIO BAZZOCCHI, Pasolini: autoritratto in forma di poesia, in Autobiografie in versi.

Sei poeti allo specchio, cit., p. 99.

52 PIER PAOLO PASOLINI, Il pianto della scavatrice, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 837.

53 PIER PAOLO PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 819.

54 FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XLI. Cfr. « la massa, non il popolo, la massa / decisa a farsi corrompere / al mondo ora si affaccia, / e lo trasforma [...] / [...] / E s’assesta là dove il Nuovo Capitale vuole » (PIER PAOLO

PASOLINI, Il glicine, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 1059).

55 Cfr. l’Apologia alla polemica in versi Il Pci ai giovani!!, pubblicata nel 1968 su « Nuovi Argomenti » e successivamente inserita in Empirismo eretico; ora in PIER PAOLO PASOLINI, Saggi sulla letteratura e sull’arte, I, cit., p. 1440-1450: « Insomma, attraverso il neocapitalismo, la borghesia sta diventando un’entropia. Chi è nato in questa entropia, non può in nessun modo, metafisicamente, esserne fuori. È finita » (p. 1448). Negli Scritti corsari Pasolini chiama tale « omologazione-massifi- cazione panborghese » (ANTONIO PIETROPAOLI, Le strutture dell’antipoesia: saggi su Sanguineti, Pasolini, Montale, Arbasino, Villa, Napoli, Guida, 2013, p. 97) una vera e propria « “mutazione” antropologica

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italiano ormai completamente corrotto dall’ideologia neocapitalistico-borghese – cui si riferisce in Poesia in forma di rosa con il termine « Nuova Preistoria »56 – rivolgendosi ai popoli abitanti dei paesi del Terzo Mondo: « la Preistoria arcaica del Sud ».57 Non a caso, nell’aprile del 1960 Pasolini conclude il Frammento alla morte, poesia inserita l’anno dopo nella Religione del mio tempo (1961),58 con il grido enfatico: « Africa! Unica mia / alternativa… ».59 Dopo aver sperimentato tutto (« Sono stato razionale e sono stato / irrazionale: fino in fondo » (p. 1050)), dopo l’irrazionalità dell’« Eden friu- lano »60 e il tentativo deluso di inserirsi in un mondo storico e razionale, il mondo dell’impegno ideologico degli anni Cinquanta, delle Ceneri di Gramsci, l’unica alter- nativa che rimane al poeta è la fuga da questo mondo verso un mondo ancora incontaminato dalla civiltà neocapitalistica e borghese, un mondo in cui si può ancora essere « vivi, soltanto vivi, nel calore / che fa più grande della storia la vita ».61 La manifestazione più palese di questa alternativa in poesia è costituita dal componimento La Guinea in Poesia in forma di rosa (1964):62 « nel paese africano il poeta ha ritrovato sensazioni simili a quelle che gli suscitava l’amata, umile Italia di cui il neocapitalismo sta cancellando le vestigia ».63 Pasolini infatti paragona l’autenticità della Guinea a quella dell’Italia meridionale o del Friuli di una volta:

La Guinea... polvere pugliese o poltiglia padana, riconoscibile a una fantasia così attaccata alla terra, alla famiglia,

» del popolo italiano (PIER PAOLO PASOLINI, Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia, in IDEM, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 309).

56 Cfr. « Non sapete? Proprio / insieme al Barocco del Neo-Capitalismo / incomincia la Nuova Preistoria » (PIER PAOLO PASOLINI, Poema per un verso di Shakespeare, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 1167; corsivo nel testo); «Si apre come un’aurora / Roma [...] / [...] // nell’incendio di una Nuova Preistoria » (PIER

PAOLO PASOLINI, Poesia in forma di rosa, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 1135); « L’età è la nostra, solo più prossima alla fine, / ed è l’inizio della Nuova Preistoria » (PIER PAOLO PASOLINI, Pietro II, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 1149). Si veda anche l’intervista Voto Pci per contribuire a salvare il futuro, rilasciata a Paolo Spriano e pubblicata sull’ « Unità » del 20 aprile 1963: « Una orrenda “Nuova Preistoria” sarà la condizione del neocapitalismo alla fine dell’antropologia classica, ora agonizzante » (PIER PAOLO PASOLINI, Voto Pci per contribuire a salvare il futuro, in IDEM, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1566).

57 Cfr. l’intervista rilasciata ad Alberto Arbasino in cui Pasolini alla domanda dell’intervistatore cosa vede nel presente storico risponde: « Due Preistorie: la Preistoria arcaica del Sud, e la Preistoria nuova del Nord. [...] La coesistenza delle due Preistorie [...] mi rende un uomo solo, davanti ad una scelta ugualmente disperata: perdermi nella preistoria meridionale, africana, nei reami di Bandung, o gettarmi a capofitto nella preistoria del neocapitalismo, nella meccanicità della vita delle popolazioni ad alto livello industriale, nei reami della Televisione. [...] Nel mio prossimo futuro, conto di andarmene. Nella preistoria classica » (PIER PAOLO PASOLINI, Intervista rilasciata ad Alberto Arbasino, in IDEM, Saggi sulla politica e sulla società, cit., pp. 1572-1575).

58 PIER PAOLO PASOLINI, La religione del mio tempo, Milano, Garzanti, 1961; ora in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., pp. 889-1060.

59 PIER PAOLO PASOLINI, Frammento alla morte, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 1050.

60 FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XXXIII.

61 PIER PAOLO PASOLINI, La Terra di Lavoro, in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., p. 863.

62 PIER PAOLO PASOLINI, Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1964; ora in IDEM, Tutte le poesie, I, cit., pp. 1079-1256. Della raccolta esistono due edizioni: la prima uscita nell’aprile del 1964, la seconda nel giugno dello stesso anno, con notevoli cambiamenti strutturali e varianti testuali e presentata come « Seconda edizione riveduta ». Il testo riprodotto nel Meridiano è quello di giugno.

63 FERNANDO BANDINI, Il “sogno di una cosa” chiamata poesia, in PIER PAOLO PASOLINI, Tutte le poesie, I, cit., p. XLIX.

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