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Introduzione ........................................................................................................... 1 1. Infermieristica narrativa: un nuovo modo di assistere .................................. 4

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Academic year: 2022

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Introduzione ... 1

1. Infermieristica narrativa: un nuovo modo di assistere ... 4

1.1 L’Infermieristica Narrativa ... 4

1.2 Il diario del paziente in terapia intensiva ... 11

2. Il diario narrativo nella letteratura scientifica infermieristica ... 16

2.1 Background ... 16

2.2 Obiettivi della revisione ... 19

2.3 Strategia di ricerca ... 20

2.4 Risultati ... 21

2.4.1 L’impatto del diario narrativo sulla qualità della vita del paziente durante il ricovero ... 23

2.4.2 L’impatto del diario narrativo sull’outcome dei pazienti ... 24

2.4.3 Le implicazioni dell’uso del diario per la pratica infermieristica ... 27

2.5 Discussione ... 28

2.7 Considerazioni conclusive ... 32

3. Il diario narrativo in terapia intensiva: uno studio esplorativo ... 35

3.1 Obiettivi dello studio ... 35

3.2 Materiali e metodi ... 36

3.3 Descrizione del campione ... 38

3.3.1 L’esperienza del Policlinico “Tor Vergata” ... 39

3.3.2 L’esperienza dell’Ospedale “S. Giovanni Bosco” ... 40

3.4 Analisi dei dati ... 42

3.5 Risultati e discussione dei dati ... 44

3.5.1 Esperienza nell’uso del diario in terapia intensiva ... 54

3.5.2 Contributo del diario alla pratica infermieristica ... 56

3.5.3 Il diario, strumento usato per erogare un’assistenza olistica ... 57

3.5.4 Influenza del diario sulla relazione con il paziente ... 58

3.5.5 Influenza del diario sulla relazione con il parente ... 60

3.5.6 Ostacoli nell’implementazione del diario in Italia ... 62

3.5.7 Consigli a chi si approccia al diario e all’infermieristica narrativa ... 63

3.6 Considerazioni conclusive ... 64

Conclusioni e sviluppi futuri ... 66

Appendice 1 – Tabella di sintesi della strategia di ricerca della letteratura .. 69

Appendice 2 – Sinossi degli studi revisionati ... 73

Appendice 3 – Informativa e dichiarazione di consenso ... 84

Appendice 4 – Traccia dell’intervista semi-strutturata e scheda di rilevazione dei dati socio-demografici ... 88

Appendice 5 – Trascrizione verbatim delle interviste ... 90

Bibliografia ... 128

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Introduzione

L’argomento affrontato in questo lavoro riguarda l’utilizzo del diario narrativo ed in modo più generico l’approccio narrativo nell’assistenza infermieristica dei pazienti ricoverati in terapia intensiva.

La terapia intensiva nell’immaginario comune viene descritta come un piccolo laboratorio dove si trovano tanti piccoli tecnici, gli infermieri, che lavorano continuamente con strumenti e macchine tecnologiche; l’infermiere in quest’ottica perde di umanità sia nei rapporti con i pazienti che con i famigliari.

Per compensare l’operatore di questa mancanza di relazione con l’altro e per rendere la pratica infermieristica del prendersi cura più completa, l’approccio narrativo è stato integrato con la parte clinica in modo complementare, individuando come prospettiva il prendersi cura non solo dei corpi ma anche delle storie.

Gli obiettivi che stanno alla base di questo lavoro sono:

- indagare se i diari utilizzati in terapia intensiva apportino dei miglioramenti sulla qualità della vita dei pazienti diminuendo la Sindrome Post Traumatica da Stress (PTSD).

- ottenere evidenze empiriche per sostenere il concetto di infermieristica narrativa nel contesto italiano;

- verificare e valutare l’uso del diario narrativo come strumento per il miglioramento dei processi comunicativi e relazionali.

La tesi è strutturata in tre capitoli.

Il primo capitolo si concentra sui due grandi temi:

- l’Infermieristica Narrativa, approccio nuovo nel contesto italiano rispetto ad altri paesi, sopratutto scandinavi, dove tale pratica ha radici profonde sia per quanto riguarda l’esperienza clinica sia per quanto riguarda la ricerca scientifica; in questo paragrafo verrà tratta la nascita di tale approccio e la sua evoluzione nel tempo.

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- Il diario narrativo è il secondo tema; nel capitolo viene delineato questo strumento descrivendo le varie modalità in cui viene usato, la struttura che cambia in base alla realtà ospedaliera e culturale dove viene adottato, la modalità di consegna del diario, i suoi uso durante la fase di riabilitazione del paziente.

Nel secondo capitolo si passa in rassegna lo stato dell’arte della letteratura scientifica sull’argomento.

La ricerca è stata effettuata sulle banche dati Pubmed ed ILISI.

Le fonti reperite provengono soprattutto da studi condotti nel Nord Europa, Danimarca, Svezia, Gran Bretagna, Irlanda.

L’obiettivo principale è stato identificare se i diari di terapia intensiva incidano sulla qualità della vita del paziente.

La revisione ha messo in evidenza che l’unità di terapia intensiva è un luogo stressante e traumatico per i pazienti ricoverati e hanno un rischio maggiore di incorrere in sequele psicologiche anche gravi, come la PTSD. Dare al paziente questo diario con informazioni personali e coerenti con la storia del suo ricovero è stato associato ad una minore incidenza di PTSD; questo è dovuto al fatto che il diario restituisce al paziente il senso di controllo sulla propria vita, reintegrando la percezione del tempo vissuto con dettagli che possono agganciarsi ai ricordi frammentati creando un racconto coerente.

Il terzo capitolo si snoda sul lavoro svolto sul campo. La parte empirica del lavoro ha coinvolto in uno studio qualitativo esplorativo sei infermieri provenienti da due realtà italiane differenti: la terapia intensiva del Policlinico “Tor Vergata” di Roma, e l’unità di terapia intensiva dell’Ospedale “S. Giovanni Bosco” di Torino.

L’indagine ha utilizzato come strumento di lavoro l’intervista semi-strutturata corredato da un breve questionario per la raccolta dei dati socio-demografici dei partecipanti. Le interviste sono state audio registrate e poi trascritte verbatim. I dati sono stati analizzati e discussi ricorrendo alla triangolazione con i dati emersi dalla revisione.

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Dall’analisi dei dati è emerso che il diario influisce positivamente sulla relazione degli infermieri con i pazienti e con i parenti; crea legami più forti, umanizza le cure ed è un mezzo che permette all’infermiere di entrare in relazione con la persona di cui ci si sta prendendo cura.

Il limite principale del presente studio sta nel mancato riscontro sul campo di infermieri con un’esperienza significativa di sperimentazione dello strumento in terapia intensiva. Essendo uno strumento introdotto solo di recente in Italia le esperienze non sono particolarmente significative sia in termini di tempo che di numero di pazienti e nessuna esperienza ha approfondito l’impatto dell’uso di questo strumento sia nel periodo di degenza che nel follow-up.

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1. Infermieristica narrativa: un nuovo modo di assistere

“Quando curi una persona puoi vincere o perdere quando ti prendi cura di una persona puoi solo vincere.”

Patch Adams Nel presente capitolo viene affrontato il tema riguardante la nascita dell’Infermieristica Narrativa cercando di scoprire le radici di questo approccio e la sua utilità nella pratica infermieristica. Si descrive in modo dettagliato il processo di introduzione del diario del paziente nel reparto di terapia intensiva, presentando questo strumento operativo che attualmente fa parte della programmazione dell’assistenza dei pazienti critici in diverse realtà ospedaliere soprattutto scandinave.

1.1 L’Infermieristica Narrativa Come affermano Ceruti et al. (2008)

“ognuno di noi ogni giorno racconta qualcosa: raccontiamo noi stessi agli altri, raccontiamo avvenimenti del nostro passato, raccontiamo le nostre aspettative per il futuro, raccontiamo con i gesti e con le parole, con il corpo e con la voce”.

La narrazione dell’esperienza personale dovrebbe avere un ruolo significativo nelle relazioni di cura, non solo in quelle interpersonali, perché è necessario che la sofferenza venga inserita in racconti reali così da diventare condivisibile e trasformarsi in risorsa. Le professioni sanitarie hanno compiuto grandi progressi in termini di ricerca scientifico-tecnologica, ma ci si è resi conto che questo non è sufficiente poiché le scienze basate sull’evidenza non tengono conto degli aspetti emotivo-relazionali che caratterizzano la persona e influiscono sullo stato di salute.

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L’Infermieristica Narrativa nasce proprio dal tentativo di risolvere questa mancanza, rivolgendosi sia al paziente che al professionista della salute poiché entrambi sono persone e, come tali, si relazionano tra di loro. L’infermieristica Narrativa è un’innovativa tecnica di comunicazione infermieristica che pone attenzione alle storie di malattia per comprendere in modo più approfondito i pazienti e i loro bisogni, collocandoli nel loro specifico contesto. La narrazione, oltre che restituire ai pazienti la centralità, offre agli infermieri la possibilità di avere una visione più completa e approfondita dei loro bisogni. Questo metodo si avvale di strumenti e modalità di agire qualitative che hanno come obiettivo assistere la persona malata dal punto di vista olistico.

L’Infermieristica Narrativa fa parte del più ampio approccio denominato Medicina Narrativa. La medicina basata sulla narrazione ha diversi "fondatori" e origini su vari fronti: antropologico, sociologico, psicologico, fenomenologico e medico. Di fatto nasce anche come reazione a una visione considerata troppo rigida della moderna medicina basata sulle evidenze, quel tentativo iniziato da David Sackett di convogliare la medicina in una dimensione maggiormente scientifica con valutazioni e studi sui grandi numeri, con precise metodologie condivise, basate su trial clinici sui malati e i sani, valutazione dei sintomi e formulazione di una diagnosi. La medicina narrativa ha anche una "madre", Rita Charon, un medico clinico, autrice di libri e corsi di formazioni specifici alla Columbia University. A lei si deve la "sistematizzazione" di quella che vuole essere la Medicina narrativa basata sull'evidenza. "Una pratica clinica rinforzata dalle parole", dirà la Charon in un'intervista al giornalista Paganelli (2011), "al fine di riconoscere, assorbire, interpretare, onorare, metabolizzare e infine lasciarsi guidare dalla storia con cui ci si confronta verso un certo tipo di azione medica". Non solo empatia più tecnica, ma un approccio culturale di ascolto e di rispetto legato al singolo malato per migliorare comunicazione, aderenza alla terapia ma anche il sistema dell'assistenza

Un’altra corrente di pensiero che ha influito la nascita e lo sviluppo dell’Infermieristica Narrativa è la fenomenologia, corrente che ebbe origine a metà Ottocento con l’obiettivo, così come lo concepì il caposcuola Edmund Husserl (1859-1938), di descrivere i fenomeni così come si presentano alla coscienza andando oltre la concezione tradizionale di scienza. I concetti

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principali del pensiero di Husserl sono stati recuperati da alcune studiose del nursing, come Josephine Paterson e Loretta Zderad, intorno agli anni ‘60 e ‘70 del Novecento.

L’analisi narrativa, l’agenda del paziente e il colloquio sono stati visti come strumenti per studiare la struttura nascosta dell’esperienza vissuta di malattia; tali strumenti possono avere importanti implicazioni nel modo di concepire l’assistenza infermieristica. L’infermiere non solo è protagonista-narratore di storie, ma anche interprete di storie narrate. La letteratura infermieristica è ricca di riferimenti alla fenomenologia come approccio alla ricerca di tipo qualitativo e al colloquio e alla narrazione come strumenti privilegiati di raccolta dati.

Riconoscere che le storie personali, le emozioni e le percezioni soggettive devono essere oggetto dell’attenzione del professionista della salute, in questo caso specifico dell’infermiere, significa passare dalla prospettiva del curare (to cure) a quella del prendersi cura (to care); significa inoltre spostarsi dalla concezione della malattia come insiemi di segni e sintomi (disease) a quella di esperienza vissuta (illness), concezione che ci porta a prendere in considerazione anche le emozioni, i desideri, le aspettative e il contesto sociale dell’individuo (Marcadelli e di Taranto, 2011). L’introduzione di strumenti per indagare la malattia come esperienza esistenziale e per ricercarne il significato costringe poi a riflettere sulla validità di questi strumenti, sul contributo che possono apportare alla professione e sul miglioramento della qualità dell’assistenza.

Contrariamente al modello quantitativo di ricerca, che è formale, oggettivo, sistematico e si propone di descrivere diverse variabili per poi esaminare le relazioni che esistono tra loro, la base filosofica della ricerca qualitativa è di tipo interpretativo, umanistico e naturalistico (Artioli G. 2007). La ricerca qualitativa si prefigge di comprendere le esperienze umane e le risposte emotive degli individui alle varie situazioni descrivendo le loro esperienze di vita. Per la persona malata, la malattia è vissuta come presente sul corpo ma, per chi soffre, il corpo non è semplicemente un oggetto fisico o uno stato fisiologico: è una parte essenziale del sé. Il corpo è soggetto, il fondamento stesso della soggettività. Da una parte sta il corpo malato, l’oggetto di cognizione e studio, dall’altra la presenza della malattia nella vita di una persona. L’esperienza di malattia e di guarigione risuona, per il soggetto concreto, secondo una gamma ben più ampia di

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significati rispetto a quelli che gli strumenti conoscitivi, oggi più comunemente utilizzati, sono in grado di rilevare. Emerge allora come la dimensione bio- fisiologica non sia altro che una fra le possibili modalità secondo le quali la malattia è messa in prospettiva. Se tale dimensione diventa l’unica depositarie della verità sull’evento patologico, rischia di mettere a tacere ciò che di propriamente umano si esprime nell’esperienza di malattia. Oggi, infatti, si devono formare professionisti sanitari che pensino non solo in termini esclusivamente biologici ma che tengano conto del fatto che dietro l’organismo di cui ci si sta prendendo cura c’è una persona con tutto il mondo dei suoi valori, dei suoi sentimenti, delle sue idee e del contesto.

La scienza infermieristica è specifica e singolare in quanto attribuisce valore al significato che la malattia assume per il paziente e dà voce al non detto attraverso la pratica dell’ascoltare ciò che hanno da raccontare le storie personali di malattia, di scrivere in modo empatico su ciò che succede al paziente. La narrazione, insieme ad altri strumenti di matrice qualitativa, si offrono al professionista quale strumento di conoscenza dei vissuti delle persone nell’affrontare percorsi dolorosi, dei cambiamenti intervenuti nell’esistenza, dei sentimenti scaturiti nel ricovero e nelle diverse esperienze di cura, delle ricadute esistenziali della sofferenza e della malattia. Si tratta quindi di un lavoro che sceglie di intensificare il legame tra scienza ed esistenza, le ragioni del curare con le istanze del prendersi cura proponendo strumenti e metodologie qualitative (diari, narrazioni, storie di vita, colloqui ecc.) che permettono di indagare il corpo vissuto, fatto di desideri, aspettative, progetti esistenziali e sentimentali.

Oggi il rapporto tra personale sanitario e paziente sta andando affievolendosi e raffreddandosi. Il paziente viene visto più come un insieme di dati, e non come una persona con una storia alle spalle e dei bisogni. In questo senso l’Infermieristica Narrativa propone una soggettivizzazione del paziente, visto in tutta la sua complessità e unicità psicosomatica. Le storie sono importanti nell’iter terapeutico- assistenziale della persona perché offrono l’occasione di contestualizzare dati clinici e soprattutto bisogni, e permettono di leggere la propria storia con gli occhi degli altri, apportando una ricchezza e una pluralità di prospettive oggi assenti. La scrittura permette al paziente di sentirsi non isolato,

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ma al centro della struttura, e questo offre, a sua volta, agli operatori ospedalieri la possibilità di avere una visione più completa dei problemi.

La narrazione della patologia del paziente al medico e all’infermiere è considerata al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa.

Fare Infermieristica Narrativa non significa solo raccontare se stessi attraverso la scrittura o la parola. Per raccontare la propria esperienza si possono utilizzare tecniche alternative: si può narrare il proprio stato d’animo con delle poesie, attraverso dei disegni, con delle fotografie.

L’infermieristica narrativa non si riduce a una semplice ricezione di una storia di malattia, richiede competenze “interpretative”, ossia di attribuzione di significato e, soprattutto, capacità di rispondere narrativamente a tale storia (Marcadelli S. 2010). La narrazione non è mai il prodotto del solo soggetto narrante, la narrazione chiama infatti a una reciprocità, ossia una co-costruzione della storia.

Questo significa che, in questa prospettiva conoscitiva, non può esistere un uditore-­‐osservatore distaccato dal processo di costruzione della conoscenza: uditore e narratore come soggetto conoscente e soggetto conosciuto, concorrono entrambi alla creazione del significato. L’approccio narrativo prevede una comunicazione ed una relazione diretta tra chi racconta e chi ascolta. È quanto sostiene Zannini (2008) che evidenzia come chi ascolta una storia di malattia, ne risponde a sua volta narrativamente, e in questo senso non può essere passivo, ma un soggetto che partecipa attivamente alla costruzione del racconto dell’esperienza di malattia. Si ritiene che la pratica narrativa si sviluppi all’interno di una relazione a tu per tu, in cui entrambi, professionista e narratore, sono, appunto, soggetti attivi. Comunque, l’approccio narrativo, è legato alle pratiche autobiografiche sia dei professionisti che dei pazienti.

La persona racconta la sua esperienza di malattia sempre inserita in un contesto di vita, creando una rapporto di circolarità tra soggetto conoscente e soggetto conosciuto, tale circolarità mette in luce la dimensione di partecipazione e di interpretazione che caratterizza il processo di costruzione della conoscenza.

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Come detto, la narrazione chiama a una reciprocità, ossia a una co-­‐costruzione del la storia: questo significa che occorre dimostrare interesse, partecipazione consape vole e sincera,che occorre “vedere” con gli occhi dell’assistito quanto si presenta ai nostri occhi di “colui che assiste”, cogliere i vissuti secondo una dimensione di comprensione e di vicinanza che si può instaurare solo nella dimensione della comprensione e vicinanza empatica. A partire

dall’accoglienza che sospende

il giudizio (epochè), all’ascolto attivo,alla partecipazione vera e consapevole, la c ostruzione di “buone” storie di cura, prevede l’esercizio dell’empatia. Quella dimensione di consapevolezza che l’infermiere può attuare tenendo in considerazione quello che si sviluppa stante la prossimità corporea e, per certi versi, la purezza con cui si avvicinano le persone alla situazione assistenziale. In questo senso gli infermieri si trovano in una condizione di vantaggio relazionale rispetto al medico: proprio a loro è più facile che le persone raccontino in modo più compiuto sensazioni, dubbi, preoccupazioni ed aspettative. In estrema sintesi, l’Infermieristica Narrativa, vicina al modello biopsicosociale, propone un’integrazione tra la dimensione Narrative Based e quella Evidence Based: tra la commensurabilità dell’approccio biomedico e l’incommensurabilità del vissuto della persona assistita e di chi si prende cura.

Bisogna a questo punto sottolineare che l’Infermieristica Narrativa si può applicare anche in contesti acuti come Pronto soccorso, Area Critica, Terapia Intensiva e Rianimazione. Quest’affermazione è supportata dalle esperienze dei

“Diari del paziente” in Terapia Intensiva molto diffusi nei paesi nord europei, in particolare quelli scandinavi. In particolare il concetto di co-costruzione della storia di malattia può essere applicato nei contesti di counseling di follow- up, di competenza infermieristica, in cui il diario fa parte di una strategia e di una relazione di aiuto che, tramite il confronto e la discussione con il paziente sui contenuti del diario, sono finalizzati a co-costruire la storia dell’esperienza di ricovero.

La narrazione stimola sempre emozione, ci coinvolge e ci fa sentire dentro una storia. I racconti degli infermieri riescono a ridare senso all'azione e consentono di imparare nel ripensamento e nella focalizzazione dei momenti significativi; i

pazienti possono ritrovare se stessi e dare un senso a periodi critici della loro vita.

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1.2 Il diario del paziente in terapia intensiva

È generalmente acquisito che il campo d’interesse dell’Area Critica non può limitarsi al momento acuto e alla permanenza nei reparti di Rianimazione e di Terapia Intensiva, ma che esso deve considerare anche gli elementi che favoriscono od ostacolano il percorso di riabilitazione seguente la dimissione. Tra gli strumenti che possono concorrere a rispondere ai bisogni del paziente nel suo percorso di riabilitazione, in alcune strutture sanitarie soprattutto estere, è utilizzato il “Diario del paziente” di Terapia Intensiva.

Diffusosi prima in area scandinava e poi in Nord Europa, l’utilizzo di “Diari del paziente” in Terapia Intensiva è entrato a far parte, con il tempo, di un’ampia ed estensiva pianificazione delle cure intensive, che utilizza tale strumento nel follow-up e nella riabilitazione psico-sociale del paziente dimesso. Viene riferito che le prime esperienze di “Diario del paziente” sono state realizzate nel 1984 in Danimarca e che attualmente il 40% delle terapie intensive danesi utilizzano i diari. Essi sono stati introdotti non tanto come un trattamento formalmente riconosciuto, ma, ci sembra di poter dire, come un’iniziativa pragmatica, frutto di un sapere empirico e di un’intuizione empatica da parte del personale infermieristico. Le promotrici di tale prassi sembrano, infatti, essere principalmente le infermiere.

Le ricerche su quanto questo strumento influisca sul percorso di riabilitazione sono state finora effettuate su campioni abbastanza piccoli e non si è giunti a delle conclusioni certe, anche se i risultati sono molto incoraggianti. Un tale tipo di strumento sarebbe in linea, senza nulla togliere alla necessità d’interventi specialistici di tipo psichiatrico, con modelli di interpretazione del PSTD che sottolineano una relazione tra risoluzione della sindrome e capacità di costruire una rappresentazione autobiografica coerente del proprio vissuto.

Il “Diario del paziente” in Terapia Intensiva è un documento contenente informazioni di livello semplice su ciò che accade al paziente durante il ricovero in Area Critica. La struttura e i modelli di diario variano secondo la struttura sanitaria dove sono sviluppati: in termini generali, nel diario non sono presenti

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informazioni cliniche ma osservazioni e descrizioni d’eventi, anche minimi, che riguardano il paziente. Alcuni centri hanno portato avanti progetti di diario retrospettivo, compilato a posteriori sulla scorta della documentazione clinica dal personale di reparto, ma la maggior parte dei diari sono di tipo prospettico, cioè redatti durante il ricovero.

Come iniziativa spontanea, simile a tante iniziative che sono prese dal personale infermieristico, la redazione dei diari è stata realizzata per molto tempo come un gesto gratuito di cura e d’attenzione e non tanto come una prestazione assistenziale “ufficiale”. Probabilmente, la necessità di preservare l’aspetto di dono di questi atti (come di tanti altri comportamenti, ad esempio il toccare affettivamente il paziente, la scrittura spontanea da e verso i pazienti, etc.) ha permesso a queste iniziative di diventare prassi anche consolidate. C’è voluto invece un po’ di tempo perché esse siano diventate destinatarie di ricerche finalizzate a migliorarne le modalità di realizzazione e a verificarne gli eventuali effetti in termini di salute. Questi interventi sono stati spesso effettuati in base alla percezione soggettiva, da parte del personale di cura, di un bisogno a cui rispondere, non tanto, almeno finora, in base ad aspettative certe, determinate da evidenze scientifiche. L’evidenza e il senso di necessità sono invece i risultati di una sensibilità empatica e di un’intelligenza emotiva del personale infermieristico.

In alcune strutture sanitarie, l’intero diario è lasciato al letto del paziente; in altre si appronta un raccoglitore a fogli singoli rimovibili, cambiati di giorno in giorno e poi conservati in un luogo sicuro del reparto. Il testo è redatto principalmente dal personale sanitario, infermieristico e medico, in modo volontario. In alcuni centri, i parenti/visitatori, insomma tutti quelli che sono coinvolti nella cura, sono incoraggiati a leggere il diario e a contribuire con riflessioni, pensieri, commenti e notizie, ad esempio su quello che succede a casa, sulle persone che hanno chiesto del paziente, su altre notizie considerate importanti per il paziente (anche i risultati sportivi); se ci sono bambini, si includono nel diario disegni e letterine scritte da loro. In alcune strutture, una commissione interna al reparto rivede e approva il contenuto del diario in fase finale, in alcuni casi fornendo anche una consulenza medico-legale circa l’opportunità della consegna.

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Lo scrivere è un atto volontario, che in ogni caso va sottoscritto con la firma.

Questo strumento, rivolto al paziente, viene messo a disposizione dei professionisti e del familiare. Nel reparto di Terapia Intensiva, il paziente si trova spesso nell’impossibilità di comunicare personalmente ed è il familiare che lo deve “sostituire” nel rapporto con il personale infermieristico, vivendo spesso situazioni di grande stress emotivo. Il diario inoltre ha cambiato l’utente: non più il paziente, ma le persone a lui vicine che in quei momenti in cui non possono comunicare con il loro caro, sentono la necessità di comuncarsi a lui. Si tratta quindi di storie con un intenso carico emotivo. Spesso non si tratta di un racconto o di un riepilogo di eventi, ma piuttosto di brevi sfoghi legati alle situazioni vissute. Grazie alla presenza quasi continua dei famigliari, si riesce a conoscere meglio le persone che vengono assistite. Non sono i pazienti che scrivono, ma sono i loro famigliari. Le pagine del diario raccolgono storie d'attesa, di speranza, di gratitudine, di conforto; ma anche di delusione, di paura, di incredulità. Con grande naturalezza, chi vuole scrive quello che vuole. E' un modo per non sentirsi soli, per condividere, oppure solo per scaricare ansia e tensione. Gli infermieri, leggendo il diario scritto dai familiari imparano a conoscere il mondo affettivo dei pazienti.

Si cerca di utilizzare un linguaggio semplice e diretto. Lo stile di scrittura deve essere per lo più distaccato e che si deve evitare un tono confidenziale (ad es.

alcune strutture non incoraggiano l’utilizzo di termini quali “Dear”, per evitare il paternalismo). Solitamente, sono i familiari ad utilizzare un linguaggio più emotivo e colorato affettivamente.

Nei diari troviamo la dimensione chiave della condivisione (sharing): della storia di ricovero; della presenza costante, sia di chi scrive che del paziente; delle emozioni e dei sentimenti dei familiari e del personale di cura; della voglia di essere di supporto alla guarigione del paziente, tramite incoraggiamenti, messaggi di buon augurio, supporto reciproco tra chi scrive. Nei diari c’è qualcosa di più di una semplice narrazione di eventi: essi sono un’attività del prendersi cura. Il concetto di condivisione evoca quindi la dimensione comune e condivisa del prendersi cura, tramite una narrazione partecipata e collettiva. L’utilizzo di un linguaggio chiaro e comprensibile può essere visto come un atto di cura, come qualcosa fatto espressamente per il paziente. Il diario può considerarsi come la

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parte scritta di una “caring conversation”, che continuerà verbalmente dopo le dimissioni, dove la persona sofferente trova uno spazio dove riottenere la propria autostima. Il diario costituisce anche una verifica/conferma della presenza dei propri cari accanto a sé e una conferma del proprio valore in forza della testimonianza circa la sollecitudine del personale di cura.

Una delle fonti di spaesamento per il paziente dimesso dalla Terapia Intensiva riguarda il non riuscire a rendersi conto della gravità delle condizioni né dell’estensione e dell’intensità delle cure subite. Le fotografie sono utilizzate a volte come ausilio, insieme all’esame dei contenuti del diario, durante il counseling di follow-up con il paziente. C’è la possibilità di utilizzare le fotografie come strumento d’elaborazione della realtà del vissuto di ricovero e di definizione degli obiettivi di riabilitazione. L’esecuzione di fotografie è concordata con i parenti, dai quali si cerca il consenso informato (verbale o scritto secondo i centri) dopo aver loro spiegato i benefici di tale pratica e l’assoluta tutela nei termini della privacy. Alcune sperimentazioni hanno ritenuto importante per i pazienti l’inclusione nelle fotografie del personale di cura e dei visitatori, per rendere evidente il fatto che non erano stati lasciati da soli. Si è abbastanza concordi nell’utilizzare con accortezza e prudenza tale strumento, ma, in alcuni casi, si è scelto di ovviare al problema della riservatezza includendo fotografie generiche dell’unità di degenza.

Le modalità di redazione sono nella maggior parte dei casi definite a priori con fogli informativi o con Linee guida per il personale curante, con indicazioni circa il tipo di notizie e informazioni che vanno inserite. Le Linee guida, se presenti, possono definire anche: il tipo di paziente per il quale attivare questo strumento, solitamente in base alla prognosi; la modalità di restituzione al paziente; di conservazione; di eventuale trasmissione; di distruzione. Non esiste una formazione specifica sulla competenza alla scrittura, cosa che va rilevata in considerazione delle diverse resistenze che l’atto di scrivere può comportare, soprattutto quando questo abbia dei significati non direttamente professionali (registrazione degli atti e dei dati clinici ed assistenziali, etc.) ma più propriamente narrativi e discorsivi.

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Il diario è consegnato al paziente con modalità che variano in base al tipo d’organizzazione dei percorsi assistenziali, al momento o della dimissione dalla Terapia Intensiva e del trasferimento in reparto di degenza ordinaria, o durante il follow-up. In alcune esperienze, la consegna si compie durante un incontro con il paziente e l’operatore principale; in altri casi la consegna del diario e l’incontro con il personale avvengono in due momenti distinti. I pazienti esprimono spesso una profonda gratitudine nel ricevere il diario, che è visto come un dono gratuito e di grande significato; anche per i familiari dei pazienti deceduti, questo strumento può aiutare l’elaborazione del lutto e costituire un mezzo di conforto. Per molti pazienti, la lettura del diario è un’azione che richiede tempo: per alcuni di loro, la possibilità di ripensare e affrontare la narrazione scritta dell’esperienza può richiedere anche qualche mese. La lettura dei fatti concreti accaduti durante il ricovero è riferita dai pazienti come un ausilio per elaborare l’esperienza, andare avanti e, in un certo senso, mettere da parte per quanto possibile l’esperienza. Il diario è volto al supporto dei pazienti e dei loro familiari in momenti così intensi quali quelli che vengono vissuti in un reparto di terapia intensiva. L’infermiere e gli altri professionisti della salute si occupano in modo particolare dell’umanizzazione dei processi di cura. Il personale sanitario del reparto di Terapia Intensiva è particolarmente attento al rapporto infermiere- famigliare/paziente, trovandosi a vivere situazioni spesso drammatiche. Il diario è uno strumento che permette un migliore confronto con i familiari dei pazienti, presenza costante nel reparto. L’uso del diario, viene inserito in una strategia comunicativa pianificata dagli operatori presenti.

La rispettosa condivisione del materiale raccolto può aiutare a far comprendere l’importanza di un miglior rapporto tra paziente/familiare e il personale ospedaliero.

Forse questa “infermieristica narrativa” è un po' particolare, ma spiegare che esiste un modo più vicino al malato di fare assistenza può essere utile. Credo che il passo successivo debba essere quello di condividere in qualche modo il materiale raccolto, e magari riuscire a trarne qualche insegnamento.

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2. Il diario narrativo nella letteratura scientifica infermieristica

“La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé.”

(O.Wilde)

Il presente capitolo è dedicato a evidenziare i principali risultati che emergono nella letteratura scientifica infermieristica circa l’uso del diario narrativo.

Dalla revisione effettuata è emerso che gli infermieri sono gli operatori più coinvolti nella scrittura di questi diari, di meno invece i medici e gli altri operatori sanitari. Di conseguenza, il ruolo infermieristico in questo ambito risulta molto importante poiché, essendo lui l’operatore quotidianamente a contatto con il paziente, è in grado di vedere ogni suo cambiamento, leggere il suo stato d’animo, entrare in empatia con lui. La scrittura del diario di un paziente incosciente è una sfida per l’infermiere, che ha un ruolo attivo e richiede esperienza e tanto impegno; il linguaggio deve essere tenuto in un tono professionale, evitando l'intimità con il paziente e nello stesso tempo deve raccogliere qui momenti che rappresentano una parte importante per il paziente.

2.1 Background

Tra gli esiti auspicabili di un ricovero in Terapia Intensiva si considerano già da un po’ di tempo non solo la sopravvivenza del ricoverato rispetto alle condizioni acute e la prevenzione di sequele patologiche secondo un’ottica biomedica, ma anche la qualità della sua vita successiva secondo un modello biopsicosociale (Greco M. M. et al. 2010). All’ampliamento temporale del campo d’interesse (ad es. pianificazione del follow-up e dei percorsi di riabilitazione), si è aggiunta quindi l’estensione di esso ad istanze psicosociali, che sono state riconosciute importanti per il recupero a lungo termine e per il benessere anche del contesto

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sociale e familiare d’appartenenza. All’attenzione alla dimensione disease (la malattia nel senso strettamente fisiopatologico) si è affiancata quindi, come per altre branche della clinica e dell’assistenza, l’attenzione alla dimensione illness (la malattia come è vissuta dal paziente e dalla sua rete di relazioni sociali). Tra gli elementi che concorrono a determinare la qualità della vita successiva alla dimissione, nonché la velocità e l’efficacia del percorso di riabilitazione, vi è la possibilità di ricordare ed elaborare il vissuto del periodo trascorso nei reparti critici. Come alcune ricerche hanno chiarito diversi autori (Egerod I. e Bagger C.

2010, Colucci S. 1998, Gramberg A. et al. 1998), le persone ricoverate in terapia intensiva e che vi trascorrono un lungo periodo in stato di incoscienza, hanno dei ricordi frammentati e confusi dell’esperienza. Questa indeterminatezza del ricordo influenza anche la consapevolezza circa la gravità delle condizioni di salute, circa la complessità delle cure e il tempo necessario per completare la convalescenza con successo (Egerod I. et al. 2011, Akerman E. et al. 2010). In molti casi, i pazienti ricordano con maggior chiarezza le proprie allucinazioni riguardo al ricovero, anche in termini visivi, piuttosto che i fatti concreti che hanno vissuto (Jones C. et al. 2001, Bergbom et al. 1999). Sono ricordate anche sensazioni auditive, gustative, cinestesiche e propriocettive senza che queste siano attribuibili ad eventi o a fenomeni chiari nella coscienza del paziente (gli odori pungenti, i rumori delle apparecchiature, i cambi posturali vissuti in passività, etc.).

La temporalità, ossia il tempo com’è vissuto e percepito soggettivamente, risulta anch’esso leso dall’esperienza del ricovero in terapia intensiva, per la difficoltà di reintegrare la percezione frammentata e obnubilata del tempo vissuto in ospedale e di correlare i ricordi frammentati e spesso onirici in una linea temporale coerente . Nei racconti dei pazienti dimessi dalla terapia intensiva, il registro metaforico e immaginifico può essere letto come un tentativo di dare un senso e una rappresentabilità di un’esperienza vissuta non solo nel terrore e nella sofferenza, ma soprattutto nel disorientamento e nella passività. La difficoltà nel ricostruire il vissuto del ricovero è messa in relazione spesso, dopo la dimissione e durante la convalescenza, a problemi psicologici ( Jones C. et al. 2001, Jones C. et al. 2010) che possono costituire a lungo termine un ulteriore problema di salute fino ad arrivare ad una possibile diagnosi di Disturbo da Stress Post -traumatico (PTSD) (Myhren H. et al. 1010, Backman C. G. et al. 2010, Samuelson K. e

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Corrigan I. 2009). In alcuni studi sono stati inoltre evidenziati il “bisogno di sapere” dei pazienti e il beneficio che possono trarre dal poter accedere a informazioni riguardanti il loro soggiorno in area critica; la possibilità di ricostruire gli eventi che si sono vissuti nell’inconsapevolezza e nell’incoscienza è in grado, secondo alcuni studi (Combe D. 2005, Backman C. G. e Walter S. M.

2001, Bergbom E. I. et al. 1999), di compensare e in molti casi risolvere le sequele allucinatorie, gli attacchi di panico frequenti nel lungo termine e la sindrome PSTD. Oltre all’aspetto individuale, tutto il sistema sociale attorno al paziente è messo sotto pressione dal “bisogno di sapere”, come fa notare Griffiths (2001): spesso i familiari sono interrogati dal paziente dimesso circa gli eventi del

ricovero e sono costretti a ritornare più volte a raccontare ricordi dolorosi.

Nello studio di Backman si può parlare non solo di “bisogno di sapere”, ma anche di “bisogno di raccontarsi”, di restaurare quello spazio di rappresentazione narrativa di se stessi che indirizza e costituisce il nostro senso d’identità e d’integrità del sé. Si tratta quindi di ripristinare e garantire il “diritto alla propria autobiografia” laddove questo sia stato espropriato da un’esperienza di passività, frammentazione del sé e spaesamento (Colucci S. 1988), come può essere considerata la condizione di paziente di Area Critica. Precedenti studi, condotti in diversi paesi dell’Europa, hanno suggerito che i diari scritti al letto del paziente da parte del personale sanitario e dalle famiglie per fornire un resoconto quotidiano riguardo le condizioni del paziente e le terapie intensive, aiutano i pazienti e le loro famiglie a ricordare, comprendere e affrontare in modo migliore l’esperienza in terapia intensiva dopo che il paziente viene dimesso (Bergbom I. et al. 1999, Backman C. G. et al. 2001, Combe D. 2005).

Ad oggi, tuttavia, non sono stati raccolti significativi dati quantitativi sugli effetti che questi diari potrebbero avere sull’incidenza delle psicopatologie.

Il “Diario del paziente” in Terapia Intensiva è un “documento di vita” contenente informazioni di livello semplice su ciò che accade al paziente durante il ricovero in Area Critica. Dal 1980 (Egerod and Bagger C. 2010, Egerod I. et al. 2006) gli infermieri hanno scritto diari per pazienti ricoverati in terapia intensiva con lo scopo di aiutarli a capire la loro malattia e di accettare le loro esperienze dopo la dimissione. La struttura e i modelli di diario variano secondo la struttura sanitaria

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dove sono sviluppati: in termini generali, nel diario non sono presenti informazioni cliniche ma osservazioni e descrizioni di eventi, anche minimi, che riguardano il paziente. L’utilizzo di questa pratica, assodata da tempo in molti paesi scandinavi, è agli albori negli ospedali italiani ( Greco M.M. et al. 2009);

non si hanno, dunque, Linee Guida nel nostro paese riguardo l’applicazione di questo nuovo strumento di assistenza infermieristica, che viene impiegato attualmente in via sperimentale nell’Azienda Ospedaliera Universitaria

“Policlinico Tor Vergata” a Roma. Questa prassi ancora poco conosciuta in Italia mi porta a indagare meglio l’argomento per individuare se i diari apportano miglioramenti reali sulla qualità della vita dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva, proporzionati all’impegno che richiedono sia al personale infermieristico che ai parenti, in termini di tempo da dedicare alla loro compilazione e lavoro da svolgere per quanto riguarda il modo di scrivere e la selezione dei contenuti più significativi per il paziente.

2.2 Obiettivi della revisione

Gli obiettivi principali della presente revisione sono:

- Identificare quale impatto ha il diario sulla qualità della vita del paziente durante il ricovero.

- Identificare l’impatto sull’outcome dei pazienti in termini di miglioramento della qualità della vita (recupero psicologico e/o riduzione dell’incidenza di disturbo post-traumatico da stress -DPTS- ) dopo la terapia intensiva.

L’obiettivo intermedio dello studio è:

- Identificare le implicazioni dell’uso del diario per la pratica infermieristica in terapia intensiva;

Il quesito che sta alla base della presente revisione della letteratura è:

“L’utilizzo del diario nella terapia intensiva come strumento per migliorare la qualità della vita del paziente durante il ricovero e la fase di riabilitazione.”

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2.3 Strategia di ricerca

La revisione della letteratura elaborata è di tipo critico-narrativa. Per la revisione della letteratura sono stati utilizzati articoli scientifici infermieristici e medici provenienti dalle banche dati scientifiche Medline - Pubmed ed ILISI, e da ricerche su motori di ricerca generici. Sono stati selezionati venticinque articoli utilizzando le seguenti strategie di ricerca:

- Sulla banca dati ILISI la ricerca è stata condotta attraverso l’indicazione

“Seleziona risorsa”. I parametri utilizzati sono i seguenti:

Tipo: Journal article;

Categoria: Assistenza infermieristica;

Collezione: Scenario;

Keyword: Assistenza infermieristica - area critica.

Tra i 47 articoli ottenuti è stato selezionato un unico articolo pertinente all’obiettivo dello studio e alla domanda di ricerca bibliografica.

- Sulla banca dati Medline - Pubmed la ricerca è stata svolta utilizzando le seguenti strategie di ricerca:

1° strategia di ricerca: sono state utilizzate le parole chiave “intensive cure unit” e “diary”; è stato utilizzato l’operatore booleiano AND; è stato utilizzato il testo libero. Risultati: 41 referenze.; di queste sono state selezionate 15 referenze.

2° strategia di ricerca: sono state utilizzate le parole chiave “posttraumatic stress” ed “intensive care unit”. È stato utilizzato l’operatore booleiano AND; è stato utilizzato il testo libero. Risultati: 136 referenze; sono state selezionate 2 referenze.

3° strategia di ricerca: sono state utilizzate le parole chiave “diaries” ed

“intensive care”. È stato utilizzato l’operatore booleiano AND; è stato

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utilizzato il testo libero. Risultati: 50 referenze; sono state selezionate 4 referenze.

Nella selezione sono stati presi in considerazione:

- gli articoli con abstract attinenti al quesito e gli articoli più recenti;

- sono stati esclusi gli articoli senza abstract, con abstract insufficienti;

- sono stati esclusi gli articoli che non rispondevano al quesito;

- sono stati esclusi tutti gli articoli che non erano studi o revisioni della letteratura e quelli per cui non è stato possibile reperire il full text.

Sui motori di ricerca generici è stata svolta una ricerca generica utilizzando diverse parole chiave, quali: stato confusionale acuto; intensive care unit and ICU syndrome; intensive care diaries and follow-up. Sono stati scelti tre articoli. La ricerca è stata svolta dal 17-maggio al 10-agosto del 2011.

Una tabella riassuntiva delle strategie di ricerca e dei relativi risultati è riportata in Appendice.

2.4 Risultati

La letteratura considera l’unità di terapia intensiva un luogo stressante e traumatico per i pazienti ricoverati; non sorprende, quindi, che sia stata associata a delirio, alla sindrome PTSD e altri disturbi di ansia e depressione sia durante che dopo la degenza. Le malattie multi-sistemiche critiche, le procedure diagnostiche e gli interventi terapeutici applicati possono generare preoccupazione, incertezza, paura e disforia. Condizioni come disorientamento, confusione, amnesia e agitazione frequentemente complicano il decorso delle cure intensive (Mihren H.et al. 2010, Colucci S. et al. 2008, Jones C. et al. 2001, Granberg A. et al. 1998, Jones C. et al. 1998).

Negli articoli selezionati si è esaminato l’utilizzo del diario narrativo, con l’obiettivo di dimostrare se questo nuovo strumento sia realmente efficace nel migliorare la qualità della vita dei pazienti durante il ricovero e durante la fase di riabilitazione dopo terapia intensiva.

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Sono stati analizzati i vantaggi e gli svantaggi dei diari narrativi. I risultati sono stati per la maggior parte a favore dell’inserimento di questo strumento nei reparti di terapia intensiva; poche, ma non trascurabili, sono state le referenze che hanno messo in dubbio lo strumento e che hanno sollevato qualche domanda riguardo l’eticità della tenuta e della compilazione del diario, sull’efficacia nell’miglioramento della qualità della vita dei pazienti e sulla modalità di consegna del diario (Egerod I. et al. 2007, Backam C.G. e Waltr S. M. 2001, Bergbom I. et al. 1999).

Gli articoli reperiti sono sia studi primari sia revisioni della letteratura basati su evidenze scientifiche.

Tabella 1 - Tipologia di referenze selezionate

Tipo di referenza Numero totale delle referenze

Studio primario 23

Revisione della letteratura 2

Totale referenze 25

Le pubblicazioni sono provenienti principalmente dai paesi scandinavi. Tutti gli articoli sono provenienti da paesi europei.

Tabella 2 - Distribuzione delle refernze selezionate per paese

Paese Studi Revisioni

Svezia 7 0

Danimarca 5 0

Norvegia 4 0

Gran Bretagna 3 1

Italia 1 1

Svizzera 1 0

Altri paesi europei 2 0

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Tra gli studi primari analizzati alcuni si sono basati su metodi di ricerca qualitativi, altri su metodi di ricerca quantitativi.

Tabella 3 - Distribuzione degli studi primari per metodo di studio

Studi primari Studi quantitativi Studi qualitativi

23 7 16

2.4.1 L’impatto del diario narrativo sulla qualità della vita del paziente durante il ricovero

La terapia intensiva è stata associato a delirio e altri disturbi d'ansia e depressione, sia durante che dopo la degenza in terapia intensiva (Egerod I. et al. 2011, Backmann C.G. et al. 2010, Engström A. et al. 2009, Roulin M.J. et al. 2007, Rattray J.E. e Hull A.M. 2007). La possibilità di ancorare le percezioni confuse con ricordi concreti e fattuali può rivestire un profondo significato sia per il paziente che per i suoi cari, che vivono, durante il ricovero, il bisogno di essere rassicurati sul fatto che il paziente sia stato il più possibile curato e confortato (Bergbom I. et al. 1999). In quest’ottica i diari assumono doppia valenza:

rappresentano una documentazione dell’assistenza fornita durante il ricovero e nello stesso tempo sono terapeutici per il paziente (Roulin M.J. et al. 2007, Combe D. 2005, Backam C.G. et al. 2001). Il diario affianca le cartelle cliniche, rappresentando la parte complementare a loro. Lo studio di Egerod I. (2010) mostra che i diari: hanno una forma narrativa continua, sono i soli documenti indirizzati principalmente ai pazienti, raccontano una storia completa che tiene conto anche dei famigliari e del contesto in cui vivono, sono strumenti di terapia e assistenza infermieristica utilizzati durante il ricovero. La descrizione dell’assistenza è stata percepita come un elevato senso di sicurezza e di comfort.

Le azioni di assistenza infermieristica possono essere visti come fattori vitali nei pazienti per superare le terribili esperienze che hanno vissuto.

Il testo è redatto principalmente dal personale sanitario, soprattutto infermieristico, in modo volontario. In alcuni centri, i parenti/visitatori, insomma

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tutti quelli che sono coinvolti nella cura, sono incoraggiati a leggere il diario e a contribuire con riflessioni, pensieri, commenti e notizie, ad esempio su quello che succede a casa, sulle persone che hanno chiesto del paziente, su altre notizie considerate importanti per il paziente (anche i risultati sportivi); se ci sono bambini, si includono nel diario disegni e letterine scritte da loro. Roulin (2007), analizzando i contenuti di alcuni diari, ha messo in luce la dimensione chiave della condivisione (sharing): della storia di ricovero; della presenza costante, sia di chi scrive che del paziente; delle emozioni e dei sentimenti dei familiari e del personale di cura; della voglia di essere di supporto alla guarigione del paziente, tramite incoraggiamenti, messaggi di buon augurio, supporto reciproco tra chi scrive. Così commenta Roulin: “Nei diari c’è qualcosa di più di una semplice narrazione di eventi: essi sono un’attività del prendersi cura” (They are a caring activity). Il concetto di condivisione evoca quindi la dimensione comune e condivisa del prendersi cura, tramite una narrazione partecipata e collettiva. Storli (2002), in un suo studio fenomenologico, mette in luce come l’utilizzo di un linguaggio chiaro e comprensibile può essere visto come un atto di cura, come qualcosa fatto espressamente per il paziente. Il diario può considerarsi come la parte scritta di una “caring conversation”, che continuerà verbalmente dopo le dimissioni, dove la persona sofferente trova uno spazio dove riottenere la propria autostima. Il diario costituisce anche una verifica/conferma della presenza dei propri cari accanto a sé e una conferma del proprio valore in forza della testimonianza circa la sollecitudine del personale di cura (Storli S. L. 2009).

2.4.2 L’impatto del diario narrativo sull’outcome dei pazienti

Come alcune ricerche hanno chiarito (Egerod I et al. 2010, Colucci S. et al. 2008, Roulin M.J. et al. 2007, Bergbom I et at. 1999, Granberg A. et al. 1998), le persone ricoverate in Terapia Intensiva che vi trascorrono un lungo periodo in stato di incoscienza, hanno dei ricordi frammentati e confusi dell’esperienza. In alcuni studi sono stati evidenziati il “bisogno di sapere” dei pazienti e il beneficio che possono trarre dal poter accedere ad informazioni riguardanti il loro soggiorno in area critica. Alcune ricerche hanno così formulato l’ipotesi che dando al paziente dimesso informazioni personalizzate circa il passato ricovero si riesca a

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restituire il senso di controllo sulla propria vita, reintegrando la percezione del tempo vissuto con dettagli che possono agganciarsi ai ricordi frammentati creando un racconto coerente. L'impatto di una storia di malattia critica sul benessere psicologico dei pazienti può essere profondo: può aiutarli a ricordare quanto in precedenza non riuscivano a ricordare. Ma, come sostengono vari autori, sono importanti anche il modo in cui viene scritto e consegnato il diario, la presenza o meno di un infermiere esperto che affrontino il racconto insieme ai pazienti dimessi, il rispetto dei tempi fisiologici dei pazienti per affrontare i racconti. È stato suggerito che i ricordi precisi e chiari delle cure in terapia intensiva possono proteggere da PTSD e altri disturbi di ansia (Jones C. et al. 2001, Jones C. et al.

2010); d'altra parte, i pazienti hanno dichiarato che erano imbarazzati quando hanno appreso informazioni sul loro comportamento involontario mentre erano confusi (Karin AM et al. 2009, Egerod I. Et al. 2007). Questo indica che chi compila l’agenda dovrebbe raccontare con cautela tali episodi di cura ed evitare di enfatizzare i dettagli sulla natura involontaria di tale comportamento. La ricerca di Bergbom (1999) su un piccolo campione di pazienti ha confermato la capacità del diario di aiutare il paziente a ricostruire temporalmente gli eventi; questa visione è coerente con la tesi iniziale di questa revisione, cioè che la narrazione promuove il recupero; l’autore stesso afferma che è necessaria in ogni modo una verifica su campioni quantitativamente e qualitativamente più importanti, soprattutto sugli effetti misurabili di tale pratica. Combe (2005) ha descritto i vantaggi maggiori del diario prospettico rispetto al diario retrospettivo, basandosi sugli studi di Backman e Walther (2001) che esaminano l’utilizzo dei diari in Svizzera e usano l’analisi qualitativa per capire le dinamiche individuali delle esperienze umane. I diari retrospettivi, compilati a posteriori sulla scorta della documentazione clinica dal personale di reparto, sono stati considerati dalla maggioranza dei pazienti impersonali; i diari prospettici, invece, sono stati considerati molto centrati sul paziente e comprendenti notizie più significative rispetto ai primi.

I risultati del primo studio randomizzato e controllato sull’effetto dei diari scritti al letto del paziente sull’ansia e depressione dopo terapia intensiva sono stati pubblicati nel 2000 da Knowless e Tarrier. Secondo questo studio nel gruppo sperimentale, al quale fu fornito il diario e un’ora di consulenza con un’infermiera durante il follow-up, l’incidenza di sequele psicologiche è stata di molto inferiore

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rispetto al gruppo di controllo al quale è stato fornito solo il diario. Dunque, Knowless e Tarrier hanno fornito soltanto la prima prova quantitativa dell’effetto

“utilizzo del diario-diminuzione delle sindromi psicologiche”, senza descrivere il meccanismo di questo effetto. Anche altri studi (Backman C. G. et al. 2001, Combe D. 2005) si sono basati sull’utilizzo del diario ed incontri di follow-up, senza separare gli effetti reali di ciascuno sull’incidenza di psicopatologie post- ICU. I risultati di un secondo studio sperimentale controllato randomizzato su un campione di 352 pazienti in sei paesi europei sono stati pubblicati di recente (Jones C. et al. 2010); i risultati mostrano una diminuzione dell’incidenza di PTSD nel gruppo di intervento, al quale è stato consegnato il diario nel follow-up, rispetto al gruppo di controllo, trattati senza diario. A parte i pochi studi sperimentali, finora, i benefici dei diari sono stati studiati quasi esclusivamente qualitativamente; i pazienti (e i loro famigliari) hanno indicato i diari come fonte di aiuto per accettare, capire ed adeguarsi alla loro grave malattia, all’esperienza della terapia intensiva e per richiamare alla memoria le informazioni riguardo la degenza nel reparto di terapia intensiva; la lettura di tali eventi li ha aiutati a collegare i loro ricordi con i racconti dei diari e a realizzare quello che è realmente accaduto. (Egerod I. et al. 2011, Mihren H. 2010, Akeman E. et al. 2010, Rattray J.E. e Hull A.M. 2007, Storli et al., 2004). Alcuni diari hanno integrato la parte scritta con fotografie del paziente o, dei famigliari, del personale e dell’ambiente.

Avere la possibilità di confrontarsi con una fotografia è stato descritto da alcuni pazienti come un mezzo utile per questa presa di coscienza (Egerod I. et al. 2011, Jones C. et al. 2010, Gjengedal E. et al. 2010, Samuelson K. e Corrigan I. 2009, Backam C. et al. 2001). Le fotografie sono utilizzate come ausilio, insieme all’esame dei contenuti del diario, durante il counseling di follow-up con il paziente. Non sono riportati particolari effetti negativi, ma anzi si pone l’accento sulla possibilità di utilizzare le fotografie come strumento d’elaborazione della realtà del vissuto di ricovero e di definizione degli obiettivi di riabilitazione. Una ricerca qualitativa sulla percezione da parte dei pazienti di questi diari con le fotografie ha dato risultati particolarmente positivi: i commenti dei pazienti hanno messo in luce la possibilità di utilizzare le fotografie per raccontare e condividere con i loro cari la condizione vissuta, altrimenti difficile da spiegare (Backam C. et al. 2001). La ricerca di Bergbom (1999) sull’apprezzamento da parte dei pazienti del diario, pur riguardando un piccolo campione, ha messo in luce come fosse

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sentita la mancanza delle fotografie. Alcune sperimentazioni hanno ritenuto importante per i pazienti l’inclusione nelle fotografie del personale di cura e dei visitatori, per rendere evidente il fatto che non erano stati lasciati da soli (Combe D. 2005). I pazienti hanno espresso una profonda gratitudine nel ricevere il diario, visto come un dono gratuito e di grande significato (Storli S.L. et al. 2009, Engstrom A. et al. 2009); anche per i familiari dei pazienti deceduti, questo strumento si è rivelato di aiuto nell’elaborazione del lutto e come mezzo di confort (Roulin M.J. et al. 2007, Bergbom I. et al. 1999). La lettura dei fatti concreti accaduti durante il ricovero è riferita dai pazienti come un ausilio per elaborare l’esperienza, andare avanti e, in un certo senso, mettere da parte per quanto possibile l’esperienza (Combe D. 2005). Per molti pazienti, la lettura del diario è un’azione che richiede tempo: per alcuni di loro, la possibilità di ripensare e affrontare la narrazione scritta dell’esperienza può richiedere anche qualche mese. Nello studio di Bergbom, il 20% dei pazienti ed il 12,5% dei familiari non trovano il diario utile. Nello studio di Backman e Walther, il 33% dei partecipanti considera il diario indifferente. Nello studio di Combe, l'11% delle famiglie ha rifiutato di tenere un diario, le famiglie destinate a ricevere il diario sono diminuite del 20% per l’avvento del decesso dei pazienti e tre pazienti hanno aspettato più di 3 mesi prima di leggere i loro diari. Le ragioni di questi risultati (rifiuti, e ritardi) non sono note, ma è doveroso tenere presente che ogni individuo risponde agli stressors in modo diverso dagli altri. I professionisti della salute hanno il dovere di tenere conto delle esigenze di ogni singolo paziente, e rispondere in modo personalizzato ai suoi bisogni.

2.4.3 Le implicazioni dell’uso del diario per la pratica infermieristica

Tra gli articoli revisionati alcuni hanno studiato diari compilati esclusivamente dal personale sanitario, principalmente infermieri, altri sia dal personale di cura che dai famigliari. All’infermiere viene riconosciuto, in ogni modo, un ruolo attivo nella applicazione del diario in quanto è responsabile della tenuta dello stesso; è lui a scriverlo, ad analizzarlo e a decidere quando sia il momento opportuno di consegnarlo all’interessato, sia che si tratti del paziente che dei parenti dell’interessato. Le modalità di redazione sono nella maggior parte dei casi

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definite a priori con fogli informativi o con Linee guida per il personale curante, con indicazioni circa il tipo di notizie e informazioni che vanno inserite. Le Linee guida, se presenti, possono definire anche: il tipo di paziente per il quale attivare questo strumento, solitamente in base alla prognosi; la modalità di restituzione al paziente; di conservazione; di eventuale trasmissione; di distruzione. Nelle esperienze descritte nella letteratura esaminata non si parla esplicitamente di una formazione del personale sulla competenza alla scrittura, cosa che va rilevata in considerazione delle diverse resistenze che l’atto di scrivere può comportare, soprattutto quando questo abbia dei significati non direttamente professionali (registrazione degli atti e dei dati clinici ed assistenziali, etc.) ma più propriamente narrativi e discorsivi. La sfida che ancora rimane riguarda un maggiore coinvolgimento nella compilazione di questo strumento degli altri professionisti della salute (medici, fisioterapisti, etc.) e dei parenti, fondamentali in questo contesto.

2.5 Discussione

L’ipotesi iniziale di questa revisione riguarda lo studio dell’impatto del diario narrativo sulla qualità della vita del paziente ricoverato in terapia intensiva. Alla luce dell’analisi degli articoli e delle revisioni, è possibile affermare che la maggior parte dei lavori ritengono che l’adozione dei diari dei pazienti in terapia intensiva sia efficace e vantaggiosa nel recupero psicologico e nella riabilitazione, riducendo l’impatto della sindrome PTSD sulla qualità della vita dei pazienti a lungo termine (Hale M. et al. 2010, Karin A.M. and Corrigan I. 2009, Rattray J .E. and Hull A.M. 2008, Roulina M. J. and Spirig R. 2006) . Diversi studi hanno messo in evidenza il fatto che i campioni presi in considerazione erano molto ristretti e che i dati ottenuti non possono essere generalizzati ( Egerod I. et al 2010, Egerod I. et al 2007, Bergbom I. et al. 1999). Inoltre si è sentita l’esigenza di incoraggiare a studiare l’argomento con altri studi per definire su larga scala delle Linee Guida per la redazione, tenuta ed analisi dei diari (Bergbom I. et al.

1999, Egerod I. et al. 2007).

I diari retrospettivi studiati da Combe (2005) sollevano perplessità riguardo il consumo di tempo per compilare questo tipo di documento. Inoltre sono ritenuti

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impersonali e incompleti, proprio perché il tempo porta a dimenticare alcuni eventi o a non dare più l’importanza reale ai momenti passati. La maggior parte dei diari citati negli articoli scientifici riguarda invece una tipologia prospettica, secondo la quale il diario è redatto durante il ricovero. Questi ultimi possono essere considerati più personali rispetto ai primi e, anche, più facili da scrivere in quanto vengono compilati a poco a poco da più persone durante tutto il periodo della degenza.

Il ruolo infermieristico è indiscutibilmente il più importante per attuare questo nuovo strumento. Infatti l’infermiere è costantemente a contatto con il paziente, riesce a capire le sue esigenze, riconosce i momenti di maggior bisogno, anche se il paziente non lo riferisce espressamente, è a conoscenza di tutto quello che succede al paziente. Ma, nonostante l’infermiere rappresenti la figura centrale dell’applicazione dei diari dei pazienti, si è sempre sentita l’esigenza di coinvolgere anche gli altri operatori del team ed i famigliari del paziente per assistere il paziente dal punto di vista olistico, abbracciando tutti gli aspetti importanti della vita di una persona (Hale M. et al. 2010, Karin A.M. et al. 2009, Rattray J .E. and Hull A.M. 2008). In particolare nella revisione si è riscontrato che gli infermieri norvegesi e danesi hanno vissuto il diario come qualcosa di accessibile solo a loro e da custodire con riguardo fino alla consegna, con lo scopo di proteggere la privacy dei pazienti (Egerod I. Et al. 2007, Storli S. et al. 2003);

questo atteggiamento, tuttavia, potrebbe rappresentare un ostacolo per la guarigione del paziente all’interno del contesto famigliare.

Anche se Egerod I. (2010) ha dimostrato che i diari sono personali e raccontano una storia più vicina al paziente, rispetto alle cartelle cliniche, non si può negare l’importanza di quest’ultime nell’iter terapeutico dei pazienti ed i diari non possono che essere considerati come parti complementari ad esse in quanto trattano da un punto di vista diverso il paziente, e completano l’approccio olistico al paziente.

La presente revisione ha evidenziato un fattore non incluso negli obiettivi, perché non previsto, cioè l’impatto del diario narrativo sui famigliari dei pazienti.

Bergbom I. (1999) ha evidenziato nel suo studio l’importanza dei diari anche per i parenti dei pazienti deceduti durante l’iter terapeutico, per quanto riguarda il loro

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adattamento alla vita quotidiana e la comprensione dello stato grave in cui vessavano i loro cari al momento del decesso. Altri studi ancora hanno sottolineato l’importanza dei famigliari ( Egerod I. et al. 2011, Egerod I. et al.2010, Greco M.M. et al. 2009, Samuelson K. e Corrigan I. 2009, Backam C.G.

e WWalter S.M. 2001): essi sono coloro che stanno vicino al paziente durante tutto il percorso in terapia intensiva e il periodo di riabilitazione; compilano il diario, lì dove le strutture lo consentono, designando un quadro molto più vicino al paziente, ma non per questo in contrasto con quello dei professionisti della salute; altre volte, vivendo il e nel dramma del paziente, vanno incontro alla sindrome PTSD loro stessi. Di conseguenza, si è scoperto che i diari rappresentano anche per essi uno strumento di sostegno. Come per i pazienti anche per i parenti il confronto con la storia raccontata nel diario è vissuta come un processo di catarsi che avvia verso il recupero.

Lo studio di Knowless e Tarrier (2000), anche se importante, perché è il primo studio sperimentale che conferma il rapporto tra incidenza di PTSD ed intervento dl diario, presenta come principale debolezza il fatto che non è stato escluso che i pazienti possano aver beneficiato della sola consulenza di follow-up con l’infermiera, piuttosto che del diario di per sé, non essendo stato isolato l’intervento del diario dalla consulenza. Inoltre, vi è il rischio di bias in quanto il metodo di assegnazione casuale non è descritto in modo chiaro ed il ricercatore principale, che ha assegnato in modo casuale i pazienti ai gruppi, si è occupato anche della misurazione dei risultati, quindi lo studio non è stato svolto in cieco per l'assegnazione di gruppo. Altri studi ancora (Backman C. G. et al. 2001, Combe D. 2005) si sono basati sull’utilizzo del diario ed incontri di follow-up, ma senza separare gli effetti reali di ciascuno. Se studi futuri provassero che i soli incontri di follow-up abbiano gli stessi effetti dell’utilizzo dei diari si risparmierebbe il tempo e lo sforzo richiesto per tenere queste agende. D’altro canto, il diario rappresenta uno strumento di bassa tecnologia, basso costo e di agevole attuazione, e per questo può rappresentare una prima via di facile implementazione per affrontare le conseguenze dell’esperienza in Terapia Intensiva durante la riabilitazione dei pazienti.

Ci si chiede, infine, se gli infermieri siano in grado veramente di comprendere adeguatamente il paziente, oppure hanno necessariamente bisogno dei parenti

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