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Lutherani, zwingliani, calvinisti, politici: i Monstri di Guglielmo Baldessano

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Lutherani, zwingliani, calvinisti, politici: i Monstri di Guglielmo Baldessano

Elisabetta Lurgo

To cite this version:

Elisabetta Lurgo. Lutherani, zwingliani, calvinisti, politici: i Monstri di Guglielmo Baldessano .

Rivista di Storia del Cristianesimo, Editrice Morcelliana 2009, p. 435-88. �hal-01694103�

(2)

E

LISABETTA

L

URGO

«LUTERANI, ZWINGLIANI, CALVINISTI, POLITICI»:

I MONSTRI DI GUGLIELMO BALDESSANO

*

Nel 1561 il gesuita Antonio Possevino, residente nel collegio della Compagnia di Gesù a Mondovì, chiedeva ai confratelli di Milano di inviar- gli carte geografiche del Piemonte, per potersi orientare in quelle valli dove si trovavano «tutte le macchine del demonio per fare ogni male, come in stru- menti da sfalsare le monete, non bastando loro di sfalsare la Scrittura, mate- ria da fare archibugi, libri poi tutti de i presenti heresiarchi, senza giammai ritrovarsi uno dottore santo della Chiesa, ma tutte bestemmie o catechismi o institutioni perfide di Calvino»

1

. Il collegio di Mondovì, fondato in quello stesso anno con l’appoggio del duca Emanuele Filiberto, doveva rappresen- tare, nelle intenzioni del Possevino, il primo baluardo per la riforma della Chiesa in Piemonte e per la lotta all’eresia affidate ai nuovi «apostoli» gesui- ti

2

. Identico obiettivo si poneva il gruppo di uomini devoti che il 25 gennaio 1562 si radunarono in casa di un avvocato torinese per dare vita a una com- pagnia impegnata nell’esercizio della mutua carità e nella frequenza dei sacramenti, sotto la direzione e il controllo dei gesuiti: la compagnia nacque l’anno dopo, nel 1563, come Compagnia della fede cattolica, e successiva- mente prese il nome di Compagnia di san Paolo

3

. Il modello di vita cristiana promosso dalla Compagnia era basato sull’orazione mentale, su una vita di fede nutrita dalla confessione e dalla comunione eucaristica, sulla mutua assistenza e sulla strenua opposizione all’eresia: i suoi membri dovevano agire come eredi dei primi apostoli di Cristo e della Chiesa cristiana primi- tiva, secondo un’idea della vita spirituale come christiana militia, nel nome della fede in Gesù Cristo e dell’opposizione ai falsi maestri eretici.

All’interno della Compagnia si leggevano i resoconti delle attività missiona- rie dei gesuiti guidati dal Possevino, come altrettanti successi dei nuovi apo- stoli di Cristo contro le «sette eretiche» dilaganti nelle valli e nelle città pie- montesi.

La fondazione della Compagnia di san Paolo e l’avviamento dei collegi gesuiti sul territorio del Piemonte rispondevano anche alla volontà di restau- razione religiosa di Emanuele Filiberto, nel quadro di un più ampio pro- gramma politico di riorganizzazione unitaria dello Stato e di gestione del sacro che mirava all’appropriazione dei culti civici da parte dell’autorità ducale, per spegnere le istanze autonomistiche a cui essi potevano dar voce

4

. 1. Guglielmo Baldessano: la vita e le opere

SAGGI

RSCr 6(2/2009)

(3)

Uno tra i fondatori della Compagnia di san Paolo, il sarto Nicolino Bossio

5

, fu nominato nel 1568 rettore del Collegio dei convittori, per l’edu- cazione dei giovani dei ceti più elevati: dieci anni dopo, nel 1578, il Bossio si associò nella direzione del collegio il medico Guglielmo Baldessano

6

, già da alcuni anni membro della Compagnia di san Paolo.

La figura e l’opera del Baldessano sono state finora assai trascurate dagli studiosi di storiografia ecclesiastica piemontese

7

: se ancora Angelo Paolo Carena, nei suoi Discorsi storici, gli riconosceva la capacità di scrivere con

«diligenza e giudizio, con dottrina, erudizione e criterio non volgare»

8

, nel corso dell’Ottocento e del Novecento l’opera storica del Baldessano fu scre- ditata come «di pochissimo o nessun valore»

9

e «priva di critica, farragino- sa, stucchevolissima»

10

. Questi giudizi negativi hanno impedito a lungo una corretta valutazione di quello che, in realtà, emerge come «il primo esempio di erudito subalpino che abbia raccolto in modo sistematico fonti bibliogra- fiche e documentarie in materia ecclesiastica»

11

.

Guglielmo Baldessano era nato a Carmagnola intorno al 1545 da un’a- giata famiglia di mercanti. In quegli anni la città, avamposto del marchesato di Saluzzo, era ancora sotto il dominio dei francesi: quando nel 1588 Carlo Emanuele I riuscì a occuparla con una spregiudicata azione militare, l’im- presa fu salutata con entusiasmo dal Baldessano, secondo il quale il duca aveva in questo modo messo al riparo la città dal pericolo dell’eresia

12

. Entrato molto presto nella Compagnia di san Paolo

13

e diventato rettore del Collegio dei convittori, Guglielmo Baldessano, già dottore in medicina

14

, fu ordinato sacerdote intorno al 1580, si addottorò in teologia nel 1582 e dieci anni dopo, nel 1592, fu nominato canonico della cattedrale di Torino

15

. I suoi legami con i gesuiti risalgono almeno al 1571

16

e furono tanto stretti che, negli anni seguenti, egli soggiornò per lungo tempo presso il collegio torine- se

17

. Fra il 1574 e il 1575, durante il primo dei suoi due viaggi a Roma, il Baldessano entrò in contatto con il Collegio romano dei gesuiti e con l’Oratorio di Filippo Neri, che aveva tra i suoi frequentatori anche il futuro vescovo di Saluzzo Giovanni Giovenale Ancina

18

. La cultura dell’Oratorio ebbe una profonda influenza sulla storiografia del Baldessano, che ne riecheggia l’interesse per la storia sacra, l’archeologia, la storia delle reliquie e l’agiografia come reazione alla critica protestante rappresentata dall’opera dei centuriatori di Magdeburgo coordinati da Mattia Flacio Illirico

19

. Dopo la morte di Nicolino Bossio, nel 1595, il Baldessano rimase alla guida del Collegio dei convittori insieme con il nipote del Bossio, Giovan Matteo:

morì nel 1611, lasciando tutti i suoi beni alla Compagnia di Gesù, perché fondasse un collegio a Carmagnola

20

.

La prima opera a stampa del Baldessano che ci è pervenuta è la Sacra

historia Thebea, pubblicata a Torino, in due libri, nel 1589

21

: dedicata a

Carlo Emanuele I, la Sacra historia fu tradotta in castigliano nel 1594

22

e

ristampata nel 1604, con l’aggiunta di un terzo libro e con un nuovo titolo,

Sacra historia di san Mauritio

23

. L’Historia Thebea racconta il martirio di

una legione tebea convertita al cristianesimo e guidata dal santo guerriero

(4)

Maurizio: i componenti della legione sarebbero stati uccisi nel

III

secolo, al tempo dell’imperatore Massimiano, nell’odierna Saint-Maurice d’Agaune

24

. La leggenda traeva le sue origini dalla Passio Acaunensium martyrum, attri- buita a Eucherio, vescovo di Lione vissuto alla fine del

IV

secolo. La Passio di Eucherio nominava fra i martiri tebei solo i santi Maurizio, Candido ed Esuperio; fra il

VI

e il

VII

secolo l’anonimo autore di una Passio Taurinensis aggiunse ai membri della legione tebea i martiri torinesi Avventore, Ottavio e Solutore: il ciclo agiografico fu raccolto e riordinato nel

XV

secolo da Bonino Mombrizio

25

.

San Maurizio era considerato il protettore della casa di Savoia almeno dal

XIII

secolo: a lui era stato intitolato l’ordine Mauriziano, fondato da Emanuele Filiberto nel 1572, dedicato alla lotta contro l’eresia e all’assi- stenza ospitaliera. Nella sua Historia il Baldessano identifica Carlo Emanuele con san Maurizio, al fine di assorbire il culto dei martiri tebei nel programma politico e culturale sabaudo: nel suo racconto confluiscono così altri santi venerati in area subalpina e che erano rappresentati come guerrie- ri, come Chiaffredo e Costanzo, assurti a patroni del marchesato di Saluzzo sotto Ludovico

II26

e in seguito diventati «patrocinatori della riconquista cat- tolica del Saluzzese e allo stesso tempo i tutori del nuovo assetto politico- istituzionale del marchesato»

27

. Per il Baldessano la battaglia dell’esercito sabaudo contro gli ugonotti riecheggiava la lotta contro il culto della dea Iside, combattuta dai martiri tebei sugli stessi territori: i santi protettori diventano così i difensori del ducato sabaudo e della sua religione, «un esem- pio di virtù e di nuova vita cristiana tesa alla difesa, se non all’offesa, contro il pericolo dell’eresia e del male, con la guida delle scolte avanzate dei gesui- ti»

28

.

L’ Historia Thebea si poneva anche come celebrazione della traslazione delle reliquie dei martiri tebei dal priorato di Sant’Andrea al nuovo collegio dei gesuiti a Torino, avvenuta nel 1575. L’autore ricorda inoltre il miracolo qui avvenuto nel 1537, quando i santi martiri sarebbero apparsi sui bastioni dell’abbazia di Sant’Andrea per difendere la città dall’assedio degli spagno- li

29

. Nella seconda edizione dell’Historia il Baldessano aggiunse un terzo libro con la narrazione della traslazione delle reliquie di san Maurizio da Saint-Maurice d’Agaune a Torino, nel duomo di San Giovanni: la traslazio- ne avvenne fra il dicembre e il gennaio del 1590-91, aperta da una solenne processione guidata dal vescovo di Aosta

30

.

Probabilmente anteriore alla Sacra historia Thebea, ma rimasta mano-

scritta, è la Storia dei tre imperatori Costantino il Grande, Teodosio e Carlo

Magno

31

, databile intorno al 1588

32

. In essa i tre imperatori rappresentano,

secondo una prospettiva storiografica universalistica, un modello politico di

santità per i principi cattolici d’Europa, in quanto avevano sempre subordi-

nato la propria autorità a quella della Chiesa

33

. L’ultima opera a stampa del

Baldessano è il trattato pedagogico Stimolo alle virtù proprie del giovane

christiano

34

, pubblicato nel 1592 a Roma e ristampato ad Anversa nel 1594,

a Carmagnola nel 1595 e a Colonia nel 1604

35

: esso era evidentemente desti-

(5)

nato ai giovani convittori del collegio di cui il Baldessano era rettore.

Esistono infine altre due opere del Baldessano rimaste manoscritte: la Vita del glorioso san Massimo vescovo di Torino e l’Historia ecclesiastica della più occidentale Italia e Chiese vicine

36

. La prima è una trascrizione dell’a- giografia di san Massimo, vescovo di Torino e martire, che il Baldessano inserì anche nell’ Historia ecclesiastica, con l’aggiunta di pochi episodi

37

. La seconda è quella che, nelle intenzioni del Baldessano, avrebbe dovuto rap- presentare la sua più grande impresa letteraria: la storia della Chiesa occi- dentale dalle origini fino all’inizio del

XVII

secolo.

2. Il Piemonte al centro della cristianità: l’Historia ecclesiastica

L’Historia ecclesiastica della più occidentale Italia e Chiese vicine non fu mai data alle stampe: ne sono rimasti il manoscritto autografo, probabil- mente della prima stesura, e copie anonime di alcune parti, con integrazioni più tarde

38

. Il Baldessano cominciò a compilare l’Historia intorno al 1580 e vi lavorò almeno fino al 1607, la data più tarda reperibile nell’opera.

Sebbene nel manoscritto autografo non compaiano ripartizioni, la materia è esposta in ordine cronologico, secondo il modello annalistico baroniano

39

: è molto probabile che il Baldessano avesse intenzione di contrapporre la sua Historia all’Ecclesiastica historia del luterano Flacio Illirico e dei centuria- tori di Magdeburgo, pubblicata a Basilea fra il 1559 e il 1574, e che quindi intendesse poi suddividerla in centurie

40

. I primi fascicoli sono andati per- duti: la narrazione del Baldessano inizia quindi con l’arrivo di Maria Maddalena in Gallia

41

e con il viaggio nell’Italia settentrionale compiuto da Barnaba, uno dei primi compagni di Paolo, indicato dallo storiografo di corte Filiberto Pingone come primo arcivescovo di Milano

42

.

Nell’Historia del Baldessano la storia politica ed ecclesiastica si intrec- cia indissolubilmente con la storia della dinastia sabauda, a cui la provvi- denza ha affidato le terre piemontesi per difenderle dall’eresia: la storia, infatti, per il Baldessano non è altro che un gigantesco scontro fra la verità e l’errore, fra la Chiesa e l’eresia, che ha sempre tentato, lungo i secoli, di scar- dinare la fede cattolica del popolo piemontese e la sua fedeltà al papato.

Questa dualistica concezione della lotta fra bene e male, pienamente aderen-

te alla cultura espressa dai gesuiti, rende la storiografia del Baldessano for-

temente apologetica, improntata a una «retorica da sermone che fa del pas-

sato «un repertorio di exempla di vizi e di virtù»

43

: la Chiesa cattolica

sopravvive e progredisce, nonostante i perenni scontri con le forze del male,

grazie all’appoggio del potere laico e alla fede del popolo. A ogni offensiva

di sempre nuovi eretici corrisponde l’intervento di Dio in difesa della sua

Chiesa, attraverso i suoi portavoce, i suoi santi e i principi che governano le

nazioni sottomettendosi al potere papale. In questo quadro anche personag-

gi umili come la profetessa piemontese Caterina da Racconigi diventano pro-

tagonisti del disegno divino: la vita di Caterina viene narrata parallelamente

(6)

a quella di Lutero, e le sue visioni profetiche sulla divisione della Chiesa e sulla necessità di una riforma morale del clero si intrecciano con le più ampie vicende della cristianità occidentale dilaniata dai conflitti di religione

44

.

Uno dei temi maggiormente sentiti dai membri della Compagnia di san Paolo era, come si è visto, la frequenza ai sacramenti: nell’Historia eccle- siastica si insiste apologeticamente sul culto eucaristico, che nutre la fede del popolo e si pone come un baluardo in difesa dell’ortodossia. Le tesi di Lutero, Calvino e Zwingli si contrappongono, nelle sue pagine, alla devo- zione per il corpo di Cristo di Margherita Dalfino, un’altra profetessa che, alla morte di Caterina da Racconigi, la sostituisce come espressione della volontà divina che guida la storia cristiana. In questo modo un’oscura mona- ca domenicana, la cui fama profetica e taumaturgica non avrebbe mai vali- cato i confini piemontesi, diventa il mezzo attraverso cui la provvidenza divi- na mostra al suo popolo gli errori che gli eretici propagandano nell’intera cri- stianità occidentale

45

.

La prospettiva regionale con cui il Baldessano racconta la sua Historia mira a presentare modelli di santità radicati nei territori dello Stato sabaudo, funzionali al programma politico, religioso e culturale dei Savoia. Se nella Sacra historia Thebea il legame fra i martiri tebei, i Savoia e il Piemonte punta alla costruzione di «santi nazionali» tali da garantire col loro alto patronato il ruolo del potere ducale nella difesa dell’ortodossia, nell’

Historia ecclesiastica questi santi sono riuniti a tutti gli altri personaggi che, lungo i secoli, hanno contribuito al progresso della fede cattolica e alla lotta contro le eresie: il trionfo delle forze del bene è suggellato dalla nascita e dallo sviluppo della Compagnia di Gesù, con i viaggi compiuti dai nuovi apostoli gesuiti. Le imprese di Emanuele Filiberto e di suo figlio Carlo Emanuele, nella battaglia contro l’eresia ugonotta, confermavano per il Baldessano il ruolo privilegiato del ducato sabaudo nella tutela della fede cattolica: come è stato osservato, nell’Historia ecclesiastica la storia si rea- lizza soltanto quando «il disegno divino, mediato dall’autorità ecclesiastica, trova accoglienza nella pietà del principe»

46

.

Dai monstra alle Histoires prodigieuses

Guglielmo Baldessano non terminò mai l’Historia ecclesiastica: dopo la

sua morte, secondo lo scrittore astigiano Giovanni Matteo Mattei, egli avreb-

be affidato al gesuita Bernardino Rossignoli il compito di continuare l’ope-

ra, ma quest’ultimo morì poco tempo dopo, nel 1613

47

. Gli ultimi avveni-

menti che vi sono registrati sono esposti molto disordinatamente e arrivano

fino al 1607: essi fanno parte della Giunta alla Historia ecclesiastica della

più occidentale Italia e Chiese vicine inserita dal Baldessano dopo la narra-

zione di alcuni miracoli avvenuti in Piemonte nel 1595

48

. La Giunta si apre

con un Trattato dei monstri, che nelle intenzioni dell’autore doveva figurare

come la parte conclusiva nell’edizione a stampa della Historia ecclesiasti-

ca

49

: il trattatello, molto breve, è un elenco di alcuni esseri mostruosi com-

parsi nella cristianità a partire dall’imperatore Costantino fino agli ultimi

(7)

anni del

XVI

secolo.

L’opera trae ispirazione dalla trattatistica teratologica, molto diffusa nell’Europa del Cinquecento: la fonte principale del Baldessano è il trattato De monstris del teologo Arnauld Sorbin, vescovo di Nevers

50

, che il Baldessano afferma di essere stato indotto a procurarsi dopo aver letto l’ora- zione funebre che l’autore aveva composto per Margherita di Valois, moglie di Emanuele Filiberto

51

. Il trattato del Sorbin era dunque entrato a far parte della ricca biblioteca del Baldessano, che comprendeva i molti autori da lui consultati per compilare l’Historia ecclesiastica: una biblioteca in cui, accanto ai padri della Chiesa e alle cronache medievali e rinascimentali, tro- vavano spazio anche opere di autori contemporanei

52

.

Molto probabilmente Arnauld Sorbin aveva scritto il suo trattato perché facesse da contrappeso alle Histoires prodigieuses di Pierre Boaistuau, una raccolta di fatti straordinari tratti da opere di scrittori antichi e moderni, pub- blicata nel 1560

53

. Le Histoires del Boaistuau, infatti, si configuravano come una collezione di storie fantastiche senza alcuna interpretazione divinatoria:

l’autore si limitava a registrare le opinioni espresse dai dotti e dai teologi davanti a un fatto meraviglioso o a una nascita mostruosa, senza fornire una propria interpretazione, essendo più interessato alla descrizione particola- reggiata dei mostri e dei prodigi. Il De monstris del Sorbin mirava a dimo- strare la necessità di interpretare i segni dell’ira divina, che si manifesta attraverso le nascite mostruose, e i presagi di eventi futuri che i mostri prefi- gurano

54

. Pierre Boaistuau voleva rispondere al nuovo gusto del pubblico francese per i fatti prodigiosi e curiosi

55

; egli considerava le nascite mostruo- se e gli altri avvenimenti prodigiosi come semplici espressioni della maledi- zione divina che incombe sull’umanità dopo il peccato originale: essi non facevano che ricordare agli uomini la loro eterna condizione di peccatori.

Il genere delle storie prodigiose, che proprio in Boaistuau trova il suo iniziatore, avrebbe aperto la strada ai trattati teratologici della seconda metà del

XVI

secolo, i cui autori contestavano la teratomanzia rinascimentale, che vedeva i mostri come presagi di sventure e come avvertimenti divini

56

. Nell’Europa rinascimentale, infatti, e con particolare intensità in Germania e nei territori italiani, dalla seconda metà del

XV

secolo si era diffuso un gran- de interesse per le alterazioni nella natura, interpretate come prefigurazioni di eventi futuri: i signa rappresentavano gli strumenti di quella divinatio vul- garis che, grazie alla rivalutazione umanistica della divinazione classica, si era imposta come «strumentazione elementare, comune ai dotti e agli indot- ti, trasmessa oralmente e tesa a prevedere il futuro»

57

. I segni divini erano scrutati e temuti: eserciti di spiriti si combattevano furiosamente nei cieli

58

, le nascite mostruose erano accuratamente interpretate in senso escatologico, si aspettava con trepidazione un nuovo diluvio per il febbraio del 1524, anno di una prevista congiunzione di Marte e Saturno nella costellazione dei Pesci

59

.

Il tragico episodio del sacco di Roma era stato preceduto e accompa-

gnato da un profluvio di profezie e annunci di punizioni per i peccati dei cri-

(8)

stiani e della Chiesa: la dirompente avanzata ottomana e il saccheggio di Roma, rimasta inviolata dai tempi di Alarico, parvero realizzare quelle oscu- re e inquietanti predizioni

60

. I protagonisti più evidenti della «febbre di pro- fetismo»

61

che aveva scosso l’Italia del Rinascimento

62

erano stati i romiti itineranti, i profeti vestiti di sacco o di pelli, scalzi e con una lunga barba, che nelle piazze delle città annunciavano invariabilmente «moria, fame e guer- ra»

63

. Il modello a cui essi si richiamavano era Giovanni Battista, «l’uomo inviato da Dio»

64

, spesso accostato a Elia, che secondo una radicata tradi- zione pseudogioachimita sarebbe tornato sulla terra negli ultimi giorni, insie- me con Enoch

65

. Gli annunci di sventura e gli inviti al pentimento prove- nienti dai romiti discendevano da tradizioni profetiche del passato, ma trae- vano efficacia dalle condizioni del tempo. La distruzione di Roma, che parve realizzarsi con il sacco del 1527, colpì in una cristianità già stravolta dal grande scisma protestante, che dilagava nelle province tedesche e nelle città italiane, dando fiato al disagio verso l’intollerabile corruzione ecclesiastica.

Nel «nuovo profeta» vestito di bianco che avrà «il diavolo su le spale», preannunciato dall’astrologo Johannes Lichtenberger, i contemporanei rico- nobbero con facilità l’agostiniano Lutero

66

. D’altra parte i riformatori legge- vano a loro volta i segni della natura in funzione antipapale: il cosiddetto

«papa-asino», ritrovato nel Tevere dopo un’inondazione nel 1496, e il «vitel- lo monaco» nato nel 1522 in Sassonia, erano stati interpretati da Lutero e Melantone come simboli rispettivamente della Chiesa romana e del corrotto stato monastico

67

. L’interesse per la mostruosità che si manifesta nel Rinascimento è, tuttavia, differente da quello attestato per i secoli preceden- ti: le creature mostruose sottoposte a interpretazione divinatoria fra

XV

e

XVI

secolo sono percepite come creature reali, umane, anche se le descrizioni che ne vengono fornite sono chiaramente influenzate da elementi fantastici con una lunga tradizione alle spalle

68

. Negli Stati europei attanagliati dai conflit- ti di religione le tensioni apocalittiche sarebbero rimaste vive fino alla con- clusione della guerra dei Trent’anni

69

. In Francia i monstra continuarono a essere interpretati in funzione divinatoria fino a inoltrato

XVI

secolo: ma al loro significato escatologico e premonitorio si andò progressivamente sovrapponendo la necessità di venire incontro al «piacere già tardo-manieri- stico del raro e dell’esotico», al «gusto barocco delle tinte forti, dei toni drammatici»

70

. Le creature mostruose si trovarono così a svolgere un ruolo ambiguo, come instrumentum regni, di controllo sociale attraverso l’esorta- zione al pentimento, e al tempo stesso come «strumento di diletto»

71

. I let- tori dei trattati di teratologia della seconda metà del Cinquecento leggevano fantastiche descrizioni di creature mostruose, in cui si accumulavano i parti- colari curiosi: gli autori dichiaravano di voler istruire e edificare, ma in real- tà si limitavano a mescolare il gusto per il bizzarro e il grottesco a generici inviti alla penitenza, riportando le interpretazioni che in passato erano stato applicate ai mostri, senza argomentarle in modo coerente.

Narrando del parto di due gemelle unite dal tronco registrato a Verona

nel 1475, Boaistuau, dopo averle descritte con abbondanza di particolari,

(9)

osservava che «aucuns ont escrit que ce monstre, lequel est diet a monstran- do, montra et predit de merveilleuses mutations par les provinces»

72

; e così il mostro nato a Roma nel 1493, «comme Polydor escrit, prognostiquoit les mauls, playes et miseres»

73

che attendevano la cristianità sotto il papato di Alessandro

VI

. Nell’interpretazione delle due bambine unite dalla fronte, nate vicino a Worms nel 1481, il gusto per il meraviglioso si unisce all’inte- resse per le credenze popolari: il prodigio è infatti spiegato dall’autore ricor- rendo alla testimonianza raccolta dalla voce di alcune donne che abitavano vicino alla casa in cui era avvenuto. La madre delle bambine, incinta, si sarebbe fermata a chiacchierare con un’amica; un’altra vicina, sopraggiun- gendo, avrebbe urtato le due donne, facendo sbattere le loro teste l’una con- tro l’altra: la puerpera «s’estonna, duquel estonnement son enfantement depuis a rendu tesmoignages»

74

.

Il teologo Arnauld Sorbin rigettava il gusto del grottesco di Pierre Boaistuau, che con le sue descrizioni dettagliate incoraggiava la vana curio- sità dei suoi contemporanei. Nell’epistola dedicatoria del trattato, indirizza- ta al cardinale d’Armagnac, egli criticava aspramente la curiosità per i fatti prodigiosi e le creature mostruose: secondo il futuro vescovo di Nevers, i let- tori non riflettevano abbastanza sulle sventure che seguivano sempre le nascite mostruose e sul messaggio che attraverso di esse Dio voleva tra- smettere alla cristianità. Nel De monstris egli ammetteva che tali nascite avessero cause naturali; ma questo non impediva che i mostri creati dalla natura potessero essere la prefigurazione della mostruosità morale degli ere- tici. La provvidenza divina continuava a inviare messaggi agli uomini perché si pentissero e riconoscessero i loro errori prima che fosse troppo tardi: i parti mostruosi si moltiplicavano con l’aumento delle eresie e delle divisio- ni nella cristianità. Secondo il Sorbin occorreva credere all’esistenza dei signa per riconoscerli, dal momento che è proprio la capacità di riconoscere i segni inviati da Dio che rafforza la fede. Sorbin era profondamente convin- to che la fine del mondo fosse vicina: negli ultimi tempi i signa si erano mol- tiplicati, erano state avvistate comete, in molti luoghi erano stati uditi tuoni e fuochi erano scesi dal cielo

75

. Nell’opera del Sorbin, è stato detto, la natu- ra è concepita come uno specchio che offre agli uomini la traduzione in immagini dei destini delle anime e del mondo

76

.

Il «Breve trattato dei monstri»

In area italiana la curiosità per il particolare esotico e grottesco e il col- lezionismo laico di mirabilia, slegati da qualsiasi prospettiva escatologica e profetica, si manifestarono piuttosto tardi rispetto alla Francia: la Monstro- rum historia che Ulisse Aldovrandi scrisse alla fine del Cinquecento, con la sua viva curiosità per la natura extraeuropea unita a un’«ansia ancora uma- nistico-rinascimentale di conoscenza»

77

, fu data alle stampe soltanto nel 1642

78

.

Dopo l’incoronazione imperiale di Carlo

V

a Bologna e le speranze di

conciliazione e di pace da essa suscitate, la tensione profetica negli Stati ita-

(10)

liani era andata esaurendosi: contemporaneamente, lo sconvolgimento porta- to all’interno della Chiesa dalla Riforma protestante aveva spinto gli eccle- siastici a «far quadrato intorno alle istituzioni» ispirando «maggior cautela nella predicazione e nella diffusione di visioni e dottrine spirituali» poten- zialmente eversive

79

. È stato osservato come nella seconda metà del Cinquecento i mostri fossero ancora interpretati, nei territori italiani, come un segno di peccato, «ma di un peccato privato, anzi il più privato di tutti»

80

, come la conseguenza di una trasgressione sessuale commessa dai genitori della creatura mostruosa, in particolare dalla madre, che avrebbe avuto rap- porti sessuali durante il periodo delle mestruazioni

81

. Il trattato Dei monstri di Guglielmo Baldessano dimostra però che accanto a questa interpretazione sopravviveva, in un territorio di frontiera come il Piemonte sabaudo

82

, la let- tura tradizionale, legata alle profezie di eventi catastrofici e alla prefigura- zione dei conflitti all’interno della cristianità.

«Alcuni anni dunque avanti che successe il mostro parigino, un altro ne nacque nel ducato di Beri in Francia, di cui era duchessa la serenissima madama Margherita di Valois, moglie del serenissimo duca di Savoia Emanuele Filiberto; e subito ne fu dato ragguaglio a detti prencipi con la par- ticolare descrittione del mostro, la quale vidi più volte perché fu data alla stampa e distribuita per varie provincie, onde ne toccò anco la sua parte al Piemonte, dove faceva residenza la detta duchessa»

83

. Questo mostro, nato nel Berry pochi anni prima dei due gemelli uniti dal ventre partoriti a Parigi nel 1570, era stato rappresentato in fogli volanti esattamente come i mostri rinascimentali: e la sua immagine circolava anche in Piemonte. Intorno a questo mostro che «fra le spalle, nella parte di sopra, haveva il mento, la bocca e sommità del naso e il rimanente del volto verso la schiena alla rove- scia»

84

, secondo il Baldessano, si erano scontrate le interpretazioni dei pro- fessori dell’Università di Torino. Coloro che «erano dotati di zelo della reli- gione catolica accompagnato da luce sopranaturale»

85

avevano però compre- so subito che il mostro era un avvertimento che Dio inviava alla duchessa, moglie di Emanuele Filiberto, alla cui corte erano ospitate persone che

«introducevano anche secretamente opinioni repugnanti alla fede catoli- ca»

86

.

Una critica così scoperta può forse stupire in un autore come il Baldessano, il cui fervore antiereticale si confonde costantemente con l’ap- poggio ideologico al disegno politico e culturale di Emanuele Filiberto e del suo successore Carlo Emanuele

I

. Ma nell’Historia ecclesiastica non rara- mente il teologo Baldessano ha la meglio sullo storiografo ossequiente verso la dinastia regnante

87

. A suo avviso i peggiori nemici della cristianità erano i politiques, che spingevano a un compromesso e alla conciliazione con i protestanti. I politiques si opponevano alla guerre di religione, perché per essi la suprema legge dello Stato era l’obbedienza al re, garante della pace:

mentre secondo il Baldessano essi non facevano altro che spianare la strada

ai calvinisti, che già stavano dilagando alla corte francese e tentavano di insi-

nuarsi in quella sabauda, approfittando della buona fede della duchessa. Ai

(11)

suoi occhi era «la ragione di Stato dei politici, che fomenta la neutralità»

88

il più grande ostacolo al definitivo trionfo del cattolicesimo in Europa. Il pen- siero del Baldessano si incontra qui con quello di letterati francesi come Jean Dorat, poeta di corte di Carlo

IX

e maestro di Pierre Ronsard, il quale aveva scritto componimenti latini ispirati alla nascita del mostro parigino, deplo- rando il tentativo di conciliazione fra ugonotti e cattolici rappresentato dalla pace di Saint Germain e prefigurato dal parto dei due gemelli

89

.

Margherita di Valois, la «preciosa Margarita»

90

, ospitava alla corte sabauda gli «occulti politici e calvinisti»

91

, che secondo il Baldessano lavo- ravano in segreto per conquistare alla loro fede anche il duca di Savoia. Pur partecipando alla messa cattolica, la duchessa proteggeva personaggi con forti simpatie ugonotte, tra i quali il suo medico personale, Carlo Rochefort, corrispondeva con noti eterodossi come Pietro Carnesecchi e inviava rego- larmente aiuti finanziari agli italiani rifugiatisi a Ginevra

92

. E proprio grazie alla mediazione della duchessa Emanuele Filiberto aveva firmato nel giugno 1561 il patto di Cavour con i valdesi della valle di Luserna

93

, una di quelle

«nuove e dannevoli prattiche» che ostacolavano le «totali vittorie» della fede cattolica

94

.

Secondo il Baldessano i dotti dell’Università di Torino si erano affanna- ti a interpretare anche la nascita di un vitello mostruoso, avvenuta «nel con- tado di Torino

95

», le cui tre teste, rivolte l’una contro l’altra, erano state viste da alcuni come la prefigurazione dell’eresia antitrinitaria diffusa in Piemonte e in Europa dal saluzzese Giorgio Biandrata

96

; altri avevano applicato le tre teste alle tre diverse dottrine eucaristiche, vale a dire la luterana, la zwin- gliana e la cattolica, «dettata e instituita da Christo e insegnata dalli aposto- li e loro successori al christianesimo»

97

; infine, una terza interpretazione aveva visto nei tre capi del vitello le tre forme di governo su cui si basavano il cattolicesimo, il luteranesimo e il calvinismo. Le tre teste erano state tagliate e portate a Emanuele Filiberto, che le aveva fatte ritrarre da un pit- tore e aveva ordinato che fossero conservate, anche se il Baldessano precisa che l’ordine non era stato rispettato «per trascuraggine»

98

e che nessuno aveva ottemperato al messaggio che Dio aveva inviato attraverso il mostruo- so parto, tentando di impedire la «dannevole pace procurata tra catolici e heretici»

99

con il matrimonio fra Enrico di Navarra e Margherita di Valois.

La nascita del mostro nel ducato di Berry era stata prefigurata, secondo il

Baldessano, dalle «moltiplicate comete comparse a Fossano», dalle «nume-

rose schiere di cavallieri vedute presso Centallo» e dal «sangue piovuto a

Pancalieri e in altri luoghi del Piemonte»

100

, i signa escatologici che trova-

vano le loro radici nella Scrittura e sviluppati attraverso i secoli da una com-

plessa tradizione apocalittica

101

. Negli stessi anni Filiberto Pingone, lo sto-

riografo ufficiale di Emanuele Filiberto, registrava nella sua Augusta

Taurinorum, sotto l’anno 1561, che nel giugno i torinesi avevano visto nei

cieli «cometes et circum solem circulus varii coloris, nunc ignei nunc san-

guinei (halos vocant astrologi): mox sequuta pestis per circumvicina fere

omnia oppida, et per Italiam et Galliam grassatur, Taurino fere unico quasi

(12)

sole, volentibus superis, intacto et illaeso»

102

. Le comete e i raggi rosso san- gue erano dunque signa dell’imminente peste, che avrebbe miracolosamen- te risparmiato Torino, sede della corte sabauda. Anche l’incendio avvenuto nel 1533 a Chambéry, dove era custodita la Sindone, era stato interpretato, secondo il Pingone, come presagio di tragici eventi, prefigurati da «prodi- giorum varie species, monstra terris, non tam corporum quam sectarum enata»

103

.

Il mostro nato a Livorno Ferraris, nel Monferrato, nell’anno 1583 era, secondo i giudizi riportati da Guglielmo Baldessano, un ammonimento divi- no contro le mire di Enrico di Navarra, che ambiva al trono di Francia, soste- nuto dagli ugonotti della corte francese

104

: una donna aveva partorito un bambino che dal ventre in giù aveva le sembianze di un’anitra e al posto delle braccia due ali mozzate

105

. È chiara, nella descrizione fornita dal Baldessano, l’influenza di elementi tradizionali, in particolare l’influsso del- l’iconografia del «mostro di Ravenna», nato nel 1512 e rappresentato fra l’altro con una zampa palmata e due ali di pipistrello

106

. Ma l’autore aggiun- ge particolari originali, quali il fatto che il mostro si era messo a camminare appena uscito dal ventre materno, e che la madre, spaventata, lo aveva subi- to nascosto. Alcune vicine, però, che avevano assistito al parto, avevano descritto il mostro al pittore Giacomo Rossignolo, inviato da Emanuele Filiberto perché ne facesse un ritratto, il quale, a sua volta, aveva riferito tutto al Baldessano. Giacomo Rossignolo, originario proprio di Livorno Ferraris, era piuttosto conosciuto: pittore di corte di Emanuele Filiberto, aveva lavo- rato anche a Roma, dove era noto come «Giacomo delle grottesche», in quanto particolarmente abile nella raffigurazione di esseri ibridi e mostruo- si

107

. Non sembra ci sia motivo di ritenere, come è stato ipotizzato

108

, che il Baldessano abbia semplicemente confuso le grottesche in cui era specializ- zato il Rossignolo con ritratti di parti mostruosi, né che il pittore si ispirasse a dicerie popolari per dipingere i suoi soggetti fantastici. Emanuele Filiberto aveva già incaricato il Rossignolo di ritrarre il vitello con tre teste nato qual- che anno prima

109

, e il Baldessano conosceva personalmente il pittore, che gli aveva anche fornito notizie sul sacco di Roma, cui aveva assistito da bam- bino

110

. Anche il mostro di Livorno Ferraris è, quindi, interpretato come un presagio delle «machinationi» degli ugonotti alla corte di Enrico

III

e nello Stato sabaudo

111

, anche se, secondo il Baldessano, la provvidenza divina si sarebbe ancora una volta servita dei gesuiti, che «iscoprono le simulationi e machinationi di queste sorti di genti nemiche della sincerità cristiana»

112

, per introdurre la fede cattolica alla corte del nuovo re di Francia, Enrico di Borbone.

Se il mostruoso parto di Livorno è ancora letto in chiave esplicitamente

politica, l’ultimo mostro descritto dal Baldessano è interpretato come ammo-

nimento rivolto alla madre, che aveva infranto una promessa di matrimonio

per contrarre nozze più prestigiose. La sua ambizione era stata punita da Dio

prima con la sterilità, poi con la nascita di un bambino, uscito morto dal

grembo materno, «che haveva ogni altra sembianza eccetto di creatura huma-

(13)

na»

113

. Un’altra nascita mostruosa, inserita in un primo tempo dal Baldessano nel suo trattato e poi cancellata, è di nuovo connessa a un pec- cato sessuale della madre: il frutto dell’adulterio è un bambino «con le corna in capo e con le mani, piedi e altri membri che rappresentavano un demo- nio»

114

. Questo feto deforme e privo di vita ha tuttavia perso ogni connota- zione profetica e polemica, per ridursi a un messaggio rivolto esclusivamen- te a chi lo ha messo al mondo. A differenza degli ammonimenti inviati da Dio ai politiques e ai «falsi christiani», il signum, trasformato in strumento di controllo dei comportamenti individuali, non era rimasto inascoltato: per- ché, «quanto più monstruoso fu il parto, tanto più pretioso effetto produs- se»

115

nei genitori, che sarebbero infine venuti a morte dopo una vita dedi- cata alle «opere pie» raccomandate dai “nuovi apostoli” gesuiti.

Nel trattato di Guglielmo Baldessano, dunque, convivono l’interpreta- zione politica e religiosa delle nascite mostruose e la loro riduzione ad ammonimenti relativi a trasgressioni sessuali. Alla corte dei Valois e nelle città francesi si assisteva alla lotta tra la fazione ugonotta e il partito dei cat- tolici, ai tentativi di pacificazione incoraggiati dai politiques e alla violenta opposizione di chi vedeva in ogni accordo con i protestanti un patto contro natura, «monstruoso e inutile»

116

; l’esasperata conflittualità incoraggiava una lettura politica dei signa divini, oggetto di aspre controversie. Nello Stato sabaudo si seguivano con trepidazione le vicende d’oltralpe, mentre le autorità ecclesiastiche tentavano di arginare la penetrazione delle idee rifor- mate nel ducato. Lo spirito di controversia e l’instabilità politica alimenta- vano ancora tensioni apocalittiche e fermenti profetici, espressione di un pro- fondo turbamento delle coscienze, che sarebbe perdurato ben oltre la fine del

XVI

secolo.

ABSTRACT

Guglielmo Baldessano, medico e prete legato ai gesuiti torinesi, fu auto- re nella seconda metà del

XVI

secolo di opere a carattere storico-agiografi- co che esaltavano il programma politico e culturale della dinastia sabauda:

ci ha lasciato, inoltre, un’opera imponente, rimasta inedita, l’Historia eccle-

siastica della più occidentale Italia e delle chiese vicine. In essa il

Baldessano colloca il Piemonte sabaudo al centro della cristianità: ai

Savoia la provvidenza divina ha assegnato il compito di difendere le terre

piemontesi dall’eresia, nella gigantesca lotta fra verità ed errore che per-

corre la storia cristiana. Il manoscritto che ci ha conservato l’Historia eccle-

siastica si chiude con un curioso trattato Dei Monstri, in cui l’autore, traen-

do ispirazione dalla trattatistica teratologica rinascimentale, elenca una

serie di esseri mostruosi comparsi nella cristianità dai tempi di Costantino

fino agli ultimi anni del Cinquecento. Nell’opera del Baldessano convivono

l’interpretazione religiosa e politica delle nascite mostruose e la loro ridu-

zione ad ammonimenti relativi a trasgressioni individuali: essa dimostra che

(14)

lo spirito di controversia e l’instabilità politica alimentavano ancora tensio- ni apocalittiche, espressione di un turbamento delle coscienze che sarebbe perdurato ben oltre il

XVI

secolo.

Desidero ringraziare il prof. Massimo Firpo dell’Università di Torino per la paziente e attenta revisione del testo. Abbreviazioni usate:

AsTo: Archivio di Stato di Torino BrTo: Biblioteca Reale di Torino

BS: Bibliotheca Sanctorum, Roma 1961-1970 DBI: Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1960-

DSp: Dictionnaire de Spiritualité: ascétique et mistique, doctrine et histoire, Paris 1953-1994

1

Mario Scaduto, Le missioni di Antonio Possevino in Piemonte. Propaganda calvinista e restaurazione cattolica, 1560-1563, in «Archivum Historicum Societatis Iesu»

XXVIII

(1959), p. 146, citato in Pier Giorgio Longo, «Un antemurale contra questi confini»: duca e città alle origini dei Gesuiti a Torino, in Bruno Signorelli (ed.), I Santi Martiri: una chiesa nella storia di Torino, Compagnia di San Paolo,Torino 2000, p. 41.

2

Sulle origini della presenza gesuita in Piemonte e a Torino cfr. P. G. Longo, «Un ante- murale contra questi confini», cit., pp. 39-69; B. Signorelli-Pietro Uscello (ed.), La Compagnia di Gesù nella provincia di Torino dagli anni di Emanuele Filiberto a quelli di Carlo Alberto, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Torino 1998; Achille Erba, La Chiesa sabau- da tra Cinque e Seicento. Ortodossia tridentina, gallicanesimo savoiardo e assolutismo duca- le (1580-1630), Herder Editrice, Roma 1979, p. 393; sui primi collegi gesuiti nel Piemonte Orientale si veda Giuseppe Griseri (ed.), La Compagnia di Gesù nel Piemonte meridionale (secoli

XVI

-

XVIII

), Società per gli studi storici archeologici e artistici della provincia di Cuneo, Cuneo 1995.

3

Inzialmente la Compagnia si era affidata alla guida spirituale dei domenicani, ma dopo l’avviamento del collegio gesuita di Torino, nel 1566, passò sotto la sua protezione. Sulla fon- dazione della Compagnia di san Paolo e sulle sue caratteristiche e finalità cfr., oltre a Emanuele Tesauro, Istoria della venerabile Compagnia della Fede Cattolica sotto l’invocazione di S.

Paolo nell’Augusta città di Torino, Torino 1701, Walter E. Crivellin-B. Signorelli (eds.), Per una storia della Compagnia di san Paolo (1563-1853), Compagnia di San Paolo, Torino 2004,

I

; A. Erba, La Chiesa sabauda tra Cinque e Seicento, cit., pp. 248-258; Anna Cantaluppi, La Compagnia di san Paolo: mercanti e funzionari nell’élite torinese tra Cinque e Seicento, in Mariarosa Masoero-Sergio Mamino-Claudio Rosso (eds.), Politica e cultura nell’età di Carlo Emanuele

I

, Olschki, Firenze 1999, pp. 81-94; P.G. Longo, «Un antemurale contra questi con- fini» cit., pp. 42-44; Id. P.G. Longo, Città e diocesi di Torino nella Controriforma, in Giuseppe Ricuperati (ed.), Storia di Torino,

III

, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), Einaudi, Torino 1998, pp. 514-516.

4

Sul processo di assimilazione attraverso cui l’autorità sabauda, con Emanuele Filiberto e soprattutto con Carlo Emanuele

I

, tentò di inglobare la religione civica e di assorbire l’iden- tità cittadina nel contesto statale, si veda Paolo Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia.

Religione, devozioni e sacralità in uno Stato d’età moderna (secoli

XVI

-

XVII

), Il Mulino, Bologna 2006.

5

Cfr. P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 43, n. 18; Per una sto- ria della Compagnia di san Paolo cit., p. 106; A. Cantaluppi, La Compagnia di san Paolo, cit., pp. 87-88.

6

P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., p. 50; Id., Città e diocesi di Torino nella Controriforma, cit., p. 501.

7

La sola monografia dedicata al Baldessano è quella di Rita Dotta, Guglielmo Baldessano

storico della Chiesa nell’età della Controriforma, Giovanni Oggero editore, Carmagnola

1991; un breve profilo biografico con un’essenziale analisi delle sue opere è in P. Cozzo, Fra

militanza cattolica e propaganda dinastica. La storiografia di Guglielmo Baldessano (1543-

(15)

1611) nel Piemonte sabaudo, in Massimo Firpo (ed.), «Nunc alia tempora, alii mores». Storici e Storia in età postridentina, Olschki, Firenze 2005, pp. 397-414. Accenni al Baldessano si tro- vano in Giovanni Tabacco, Erudizione e storia di monasteri in Piemonte, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» (1967), p. 198; P.G. Longo, Città e e diocesi di Torino, cit., pp. 499-505 e 519-520; lo stesso autore si sofferma sul Baldessano in relazione ai suoi rapporti con la Compagnia di san Paolo e con i gesuiti in «Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 50- 51 e 62-69. Sulla figura del Baldessano all’interno della storiografia sabauda della seconda metà del

XVI

secolo si veda R. Dotta, La storiografia ecclesiastica sabauda, in in M. Masoero- S. Mamino-C. Rosso (eds.), Politica e cultura nell’età di Carlo Emanuele

I

, cit., pp. 95-104.

8

È il giudizio di Angelo Paolo Carena sulla Historia ecclesiastica del Baldessano, espres- so nei Discorsi storici, opera del 1766 conservata manoscritta nella Biblioteca Reale di Torino:

il passo è citato da R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 11.

9

Fedele Savio, Gli antichi vescovi d’Italia dalle origini al 1300 descritti per regione. Il Piemonte, Fratelli Bocca editori, Torino 1898, p. 281.

10

Carlo Cipolla, Monumenta Novaliciensa vetusti ora. Raccolta degli atti e delle crona- che riguardanti l’Abbazia della Novalesa, Forzani e C.,

II

, Roma 1901, p. 64.

11

R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 11.

12

P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia, cit., pp. 121-122; R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit , p. 20; sull’annessione del marchesato di Saluzzo al ducato sabau- do cfr. Marco Fratini (ed.), L’annessione sabauda del marchesato di Saluzzo tra dissidenza religiosa e ortodossia cattolica (secc.

XVI

-

XVIII

), Claudiana, Torino 2004; in particolare sul- l’invasione del marchesato da parte di Carlo Emanuele e sulla dominazione sabauda nel

XVII

secolo cfr. Pierpaolo Merlin, Saluzzo, il Piemonte, l’Europa. La politica sabauda dalla con- quista del marchesato alla pace di Lione, ibi, pp. 15-61.

13

P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 50-51.

14

R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 30, n. 16; P.G. Longo, Città e diocesi di Torino nella Controriforma, cit., p. 501, n. 66, afferma che la laurea in medicina del Baldessano risa- le al 1569.

15

R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 25.

16

P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., p. 51, n. 85.

17

R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 22.

18

P. Cozzo, Fra militanza cattolica e propaganda dinastica, cit., p. 399; sui soggiorni a Roma del Baldessano, fra il 1574 e il 1580, cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 23.

Sull’Ancina, che fu vescovo di Saluzzo fra 1602 e il 1604, si veda Silvia Mostaccio, L’oratoriano Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo e la riforma del clero, in Maurizio Sangalli (ed.), Per il Cinquecento religioso italiano. Clero, cultura, società, Edizioni dell’Ateneo, I, Roma 2003, pp. 255-263.

19

Sulla cultura espressa dall’Oratorio romano cfr. Simon Ditchfield, Leggere e vedere Roma come icona culturale (1500-1800 circa), in Luigi Fiorani-Adriano Prosperi (eds.), Storia d’Italia, Annali 16, Einaudi, Torino 2000, pp. 31-72; sull’influenza della cultura oratoriana sul Baldessano cfr. P. Cozzo, Fra militanza cattolica e propaganda dinastica, cit., pp. 401-403.

20

Cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., pp. 26-27, che colloca la morte nella notte fra il 13 e il 14 ottobre 1611, basandosi su quanto afferma C. Cipolla nei suoi Monumenta Novaliciensa vetustiora,

II

, Roma 1901, p. 55; anche il Tesauro indica il 14 ottobre come data della morte: E. Tesauro, Istoria della Venerabile Compagnia della Fede Cattolica, cit., p. 111.

Sui diversi testamenti a favore dei gesuiti, stilati dal Baldessano fra il 1581 e il 1592, cfr. P.G.

Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., p. 54, n. 103. L’avviamento del collegio di Carmagnola fu interrotto su istanza di Carlo Emanuele

I

nel 1625 e l’eredità del Baldessano fu riutilizzata a beneficio della nuova Università di Torino: cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 27; P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 54-56.

21

Sacra historia Thebea del sig. Guglielmo Baldesano di Carmagnola, dottor theologo,

divisa in due libri, ne quali si narra la persecutione e martirio di tutta la illustrissima legione

Thebea e de suoi invitti campioni, l’infelice e vituperosa morte de loro persecutori e l’essalta-

tione della istessa in tutte le parti del mondo, Torino 1589.

(16)

22

Historia sacra de la illustrissima legion tebea, compuesta por el doctor Guillelmo Baldesano, traduzida de italiano en lengua castellana por don Fernando de Sotomayor, Madrid 1594.

23

La Sacra historia di san Mauritio arciduca della legione thebea et de suoi valorosi campioni, del R. S. Guglielmo Baldesano canonico e theologo della Chiesa metropolitana di Torino, Torino 1604.

24

Per un’analisi dettagliata dell’Historia Thebea del Baldessano si veda P. Cozzo, Antichi soldati per nuove battaglie, Guglielmo Baldessano e la riscoperta del culto tebeo nelle «valli infette», in «Bollettino della Società di Studi Valdesi» 188(2001), pp. 3-23; R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., pp. 51-77; sulle radici storiche del culto dei martiri tebei cfr.

Franco Bolgiani, La leggenda della legione tebea, in Giuseppe Sergi (ed.), Storia di Torino.

I

. Dalla preistoria al comune medievale, Einaudi, Torino 1997, pp. 330-336; sulla Passio attri- buita ad Eucherio cfr. Donald Woods, The Origin of the Legend of Maurice and the Theban Legion, in «Journal of ecclesiastical History» 55(1994), pp. 385-395; F. Bolgiani, I Santi Martiri Torinesi Avventore, Ottavio e Solutore, in I Santi Martiri: una chiesa nella storia di Torino, cit., pp. 18-21 (si veda l’intero contributo, pp. 15-37, per il culto dei martiri torinesi della legione tebea); sulla Passio Taurinensis cfr. ibi, pp. 20-25.

25

Sul Mombrizio cfr. Serena Spanò Martinelli, Bonino Mombrizio e gli albori della scien- za agiografica, in Gennaro Luongo (ed.), Erudizione e devozione. Le raccolte di vite di santi in età moderna e contemporanea, Viella, Roma 2000, pp. 3-18.

26

Sul culto di Chiaffredo e Costanzo nel marchesato di Saluzzo e la loro trasformazione in santi sabaudi operata dal Baldessano cfr. P. Cozzo, Una leggenda che cambia. Chiaffredo e Costanzo da patroni del marchesato di Saluzzo a legionari sabaudi, in «Annali dell’Istituto storico Italo-germanico di Trento» 26(2000), pp. 641-653.

27

P. Cozzo, La geografia celeste dei duchi di Savoia, cit., p. 127.

28

P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 65-66.

29

Sulla traslazione delle reliquie dei martiri tebei nel collegio gesuita si veda P.G. Longo,

«Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 62-69; sulla descrizione della traslazione delle reliquie fatta dal Baldessano cfr. Giuliano Gasca Queirazza, La devozione dei Santi Martiri Solutore, Avventore ed Ottavio in epoca di Antico Regime, in I Santi Martiri. Una chiesa nella storia di Torino, cit., pp. 89-93.

30

Cfr. P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., pp. 52 e 66; R. Dotta, La storiografia ecclesiastica sabauda, cit., p. 99.

31

Storia dei tre imperatori Costantino il Grande, Teodosio e Carlo Magno, AsTo, Biblioteca antica, manoscritti, Jb.

IX

.12.

32

P.G. Longo, Città e diocesi di Torino, cit., p. 501, n. 67; l’opera, come osserva R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 38, doveva essere già ultimata o perlomeno abbozzata quando l’autore scrisse la prima edizione della Sacra Historia Thebea, perché il Baldessano fa riferi- mento alla sua Vita di Costantino in un inciso nel corso della narrazione: Sacra Historia Thebea, Torino 1589, p. 183.

33

Sulla Storia dei tre imperatori cfr. P. Cozzo, Fra militanza cattolica e propaganda dina- stica, cit., pp. 403-405; R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., pp. 83-104.

34

Stimolo alle virtù proprie del giovane christiano partito in tre parti. La prima contra l’intemperanza, la seconda dell’honestà, la terza delle altre virtù, Roma 1592; ne esiste anche una traduzione latina, Stimuli virtutum adolescentiae libri tres, Colonia 1594: su questo tratta- to cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., pp. 107-128.

35

Cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 37; P.G. Longo, Città e diocesi di Torino, cit., p. 501, nn. 66 e 67; Id., «Un antemurale contra questi confini», cit., p. 69.

36

Rita Dotta ha segnalato un altro manoscritto del Baldessano di cui sembrano essersi perse le tracce, una Vita di san Secondo martire e altri santi martiri della legione thebea pro- tettori di questa città, che sarebbe stata offerta al Comune di Torino dal Baldessano nel 1604:

R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 37 e p. 39, n. 1.

37

Vita del glorioso san Massimo vescovo di Torino descritta dal sig. Guglielmo Bal-

dassano, canonico e teologo della Metropolitana della sudetta città, manoscritto conservato in

(17)

BrTo, Miscellanea manoscritti 95/7: cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 38; P.G.

Longo, Città e diocesi di Torino, cit., p. 501, n. 67. Su Massimo di Torino, morto fra il 408 e il 423, cfr. F. Bolgiani, Massimo di Torino, la sua personalità, la sua predicazione, il suo pub- blico, in Storia di Torino.

I

, cit., pp. 255-269.

38

Il manoscritto autografo del Baldessano, Historia ecclesiastica della più occidentale Italia e Chiese vicine. Con una giunta alla detta Historia, la quale comprende le cose più nota- bili occorse in dette provincie doppo il secolo sesto decimo, si trova in AsTo, Materie politiche per rapporto all’interno, Storia della real casa, Storie generali, categoria II, mazzo 22. In AsTo si conserva anche una trascrizione anonima raccolta in 3 volumi: Istoria ecclesiastica della più occidentale Italia e de’ paesi vicini dal secolo

XIII

al sec.

XIV

, Biblioteca antica, manoscritti, H.

III

. 3/4/5. In BrTo sono conservate due trascrizioni: una in tre volumi, Della storia ecclesiasti- ca della più occidentale Italia e de’ paesi vicini, St. P. 933, e l’altra in un solo volume, intito- lato Storia ecclesiastica del Piemonte dal 1230 al 1254, St. P. 444.

39

Negli anni in cui scriveva il Baldessano, Cesare Baronio stava dando alle stampe i suoi Annales ecclesiastici, pubblicati fra il 1588 e il 1605.

40

Sull’Historia ecclesiastica si veda R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., pp. 131-167;

P. Cozzo, Fra ortodossia cattolica e propaganda ecclesiastica, cit., pp. 404-405 e 409-414.

41

Sulle varie tradizioni agiografiche che confluirono nella legenda di Maria Maddalena cfr. Victor Saxer, Maria Maddalena, in «Bibliotheca Sanctorum» 8, Roma 1967, coll. 1078- 1104.

42

R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., p. 135; su Filiberto Pingone, barone di Cusy e storiografo ufficiale di Emanuele Filiberto, cfr. R. Dotta, La storiografia ecclesiastica sabau- da, cit., pp. 95-98; A. Griseri, Nuovi programmi per le tecniche e la diffusione delle immagini, in Storia di Torino.

III

, cit., pp. 295-301; Maria Luisa Doglio, Principe e dinastia. Dal Pingone al Bucci, ibi, pp. 619-624.

43

P.G. Longo, Città e diocesi di Torino, cit., p. 503.

44

Cfr. R. Dotta, La storiografia ecclesiastica sabauda, cit., p. 101; Id., Guglielmo Baldessano, cit., pp. 141-143. P.G. Longo, Città e diocesi di Torino, cit., p. 503, ha notato che nella Historia del Baldessano «ad ogni potenza negativa, di errori e di mali contro la cattolici- tà romana, si oppone una presenza apologetica all’interno della Chiesa stessa». Su Caterina da Racconigi. terziaria domenicana venerata già in vita per le sue doti profetiche e taumaturgiche, protetta da Claudio di Savoia-Racconigi e da Gianfrancesco Pico della Mirandola, cfr.

Gabriella Zarri, Caterina da Racconigi, in Il Grande Libro dei Santi.

I

. San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, pp. 390-394; Elisabetta Lurgo, Caterina da Racconigi (Racconigi 1486- Caramagna 1547): per una storia delle fonti, in «Sanctorum» 4(2007), pp. 241-264.

45

La vita di Margherita Maria Dalfino, monaca domenicana ad Alba, si intreccia con quella di Calvino e di Zwingli e con il racconto della diffusione del calvinismo: il Baldessano vede l’intensa devozione eucaristica della monaca come una risposta di Dio alle dottrine dif- fuse dai seguaci di Calvino e Zwingli; cfr. Historia ecclesiastica della più Occidentale Italia, fasc. M6: «In quello tempo che costoro [i calvinisti] con la vita e perversa dottrina loro impu- gnavano insieme col venerabile sacramento e preparatorio sacrificio del unigenito figliolo di Dio tutta la christiana honestà e prudentia, nonché la castità delli ecclesiastici oltre alli dotti scritti de’ dottori catholici, oppose a questi nuovi Sardanapali e Cafarnaiti una prattica nelle parti del Piemonte contraria affatto alli loro falsi dogmi e scandalosi costumi, la quale mostra- va in effetto che quello che appresso di loro era con la castità perpetua nella Chiesa catholica era molto facile mediante la vertù e efficacia di quel agnelo immaculato che diede se stesso in cibo a suoi fedeli sotto le specie sacramentali, cosa da loro cotanto impugnata come si è detto.

Scelse per fare vedere più apertamente questa prattica non persone grandi e segnalate, ma una giovanetta semplice della terra di Garessio detta Anna Delfini». Margherita Maria Dalfino, entrata nel monastero di Santa Maria Maddalena ad Alba nel 1553 e morta nel 1589, era stata figlia spirituale del vescovo di Mondovì Michele Ghisleri: in vita ebbe fama di profetessa e tau- maturga. Sulla sua interessante figura, che presenta ancora le caratteristiche delle profetesse

«di corte» rinascimentali, non è stata ancora oggetto di uno studio adeguato; su di lei si veda

E. Lurgo, Margherita Maria Dalfino da Garessio (1528-1589): fra profetismo mistico e rifor-

(18)

ma tridentina, in «Bollettino della Società di Studi storici della provincia di Cuneo»

138(2008), pp. 133-146. Sulle cosiddette «profetesse di corte», donne a cui erano attribuiti doni mistici e che erano protette anche dai signori delle corti regionali italiane, cfr. G. Zarri, Le sante vive. Profezia di corte e devozione femminile fra ‘400 e ‘500, Rosenberg & Sellier, Torino 1990, in particolare le pp. 51-85 e 87-163.

46

P. Cozzo, Fra militanza cattolica e propaganda dinastica, cit., p. 414.

47

La notizia è contenuta nella lettera dedicatoria a Caterina d’Austria, moglie di Carlo Emanuele

I

, che Giovanni Matteo pose come proemio alla Vita della beata suor Caterina Matthei di Racconigi, monaca del terzo ordine di s. Domenico, pubblicata ad Asti nel 1613. La lettera fu ristampata nella Vita della Beata Caterina Mattei da Racconisio, monaca del terzo ordine di S. Domenico, curata dal fratello dello scrittore, Giovanni Giacomo Mattei, e pubbli- cata a Torino nel 1622; cfr. ibi, senza indicazione di pagina: «ne scrisse il s. Guglielmo Baldessano teologo della cated. di Torino, nell’Historia ecclesiastica di Piemonte [...]; morì parimente due mesi sono in Torino il p. Bernardino Rossignolo della Compagnia di Giesù, à cui il detto Baldessano suo confidente [...] rimesse l’opera sudetta». Su Bernardino Rossignoli, nominato rettore della Compagnia di san Paolo nel 1585, cfr. Manuel Ruiz Jurado, Rossignoli Bernardino, in Dictionnaire de Spiritualité, Ascétique et Mystique 13, Paris 1988, coll. 999- 1001.

48

La Giunta occupa dal fasc T10 al fasc. Hxj dell’Historia ecclesiastica, ai quali si aggiungono alcune carte sciolte.

49

G. Baldessano, Historia ecclesiastica della più occidentale Italia e Chiese vicine, fasc.

T10, f. 1r: «Ai discreti lettori sopra il trattato seguente dei monstri tralasciato nella Ecclesiastica historia e qui aggiunto per sodisfattione loro e compimento di essa Historia»; cfr.

anche l’annotazione sul bordo sinistro esterno dello stesso foglio: «Appendice alla Historia ecclesiastica molto utile per la intelligenza di essa». Sul trattatello Dei monstri cfr. R. Dotta, Guglielmo Baldessano, cit., pp. 149-155.

50

Arnaldi Sorbini Tholosanorum theologi et regi ecclesiastae, Tractatus de monstris quae a temporibus Constantini hucusque ortum habuerunt, ac iis quae circa eorum tempora misere acciderunt, ex historiarum cum Graecarum tum Latinarum testimoniis, apud H. de Marnef et G. Cavellat, Monte D. Hilari 1570. Il trattato fu tradotto in francese da Claude de Tesserant e inserito nel quinto volume delle Histories prodigeuses, extraictes des plusieurs fameux auteurs grecs et latins, sacrez et prophanes pubblicate ad Anversa nel 1594. Arnauld Sorbin fu vesco- vo di Nevers dal 26 maggio 1578 fino alla morte, nel marzo del 1606: cfr. Conradus Eubel, Hierarchia catholica,

III

, Monasterii 1923, p. 260. Sul trattato De monstris si veda Jean Céard, La nature et les prodiges. L’insolite au

XVI

siècle en France, Librairie Droz, Genève 1977, pp.

265-272. Su Claude de Tesserant cfr. La nature et les prodiges, cit., p. 319, n. 7, e ibi, p. 265, n. 89, sulla sua traduzione del De monstris.

51

G. Baldessano, Trattato dei monstri, cit., f. 1v: «Con quella occasione havendo scoper- to dall’oratione la pietà dell’autore, lessi anco un trattato composto dal medesimo pochi anni avanti, intitolato De monstris, quale mi diede occasione di fare un breve discorso di tale mate- ria da me dianzi tralasciata». L’orazione di Arnauld Sorbin fu pronunciata nella chiesa di Notre-Dame a Parigi nel 1575 e data alle stampe subito dopo con il titolo Oraison funebre de Madame Marguerite de France, Duchesse de Savoye, prononcée en l’Eglise de Nostre- Dame en Paris, le vingt-neufième jour de mars mil cinq cens septante-cinq, par M. Arnauld Sorbin, docteur theologal de Thoulouse et predicateut ordinaire du Roy, chez G. Chaudière, Paris 1575.

52

Il Baldessano lasciò la sua biblioteca ai gesuiti, perché la collocassero accanto alla biblioteca del collegio torinese: una piccola parte di questa biblioteca si trova ora alla Biblioteca Nazionale di Torino: cfr. P.G. Longo, «Un antemurale contra questi confini», cit., p. 54, n. 103.

53

Sulle Histoire prodigieuses del Boaistuau cfr. J. Céard, La nature et les prodiges, cit., pp. 252-265.

54

A tal proposito J. Céard ha osservato che «Boaistuau cherchait à édifier. Sorbin veut

amender»: La nature et les prodiges, cit., p. 265.

(19)

55

Sulla «lunga stagione della curiosità» dell’epoca tardo-rinascimentale e barocca per i mirabilia, slegata da qualsiasi fine devozionale, cfr. Giuseppe Olmi, L’inventario del mondo.

Catalogazione della natura e luoghi del sapere nella prima età moderna, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 165-192.

56

Sui trattati teratologici di area francese e inglese nella seconda metà del

XVI

secolo e nel

XVII

cfr. Katharine ParkLorraine Daston, Unnatural conceptions: the study of Monsters in sixteenth and seventeenth century France and England, «Past and Present» 92(1981), pp. 20- 54; L. Daston, Wonders and the order of nature (1150-1750), Zone Books, New York 1998.

57

Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell’Italia del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari 1987, p. 48. Sull’interpretazione divinatoria delle nascite e dei ritrovamenti mostruosi nel Rinascimento, con particolare attenzione all’area italiana, cfr. ibi, pp. 47-87; per l’area france- se si veda J. Céard, La nature et les prodiges, cit., pp. 60-84.

58

Sul motivo dell’ «esercito furioso» si veda O. Niccoli, Profeti e popolo, cit., pp. 89-121.

La credenza nell’esercito furioso è legata al mito germanico dell’esercito dei morti guidato dal dio Wotan: con la cristianizzazione del mito si aggiunsero ai morti sul campo di battaglia, che vagavano la notte senza trovare pace, gli spiriti di coloro che erano morti suicidi o senza esse- re battezzati. Il mito dell’esercito dei morti era diffuso in Germania ancora nel

XVI

secolo e sicuramente conosciuto in area padana: a esso la Niccoli ha collegato le visioni di battaglie fra eserciti nei cieli attestate a Verdello, vicino a Bergamo, nel 1517.

59

La discussione sul diluvio del 1524 era scaturita dalla pubblicazione delle Ephemerides di Johann Stöffler nel 1499: cfr. O. Niccoli, Profeti e popolo, cit., pp. 185-215.

60

Sulle profezie che precedettero e accompagnarono il sacco si veda lo studio di M.

Firpo, Dal sacco di Roma all’Inquisizione. Studi su Juan de Valdes e la riforma italiana, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1998; cfr. inoltre Marjorie Reeves, A Note on Prophecy and the Sack of Rome (1527), in Ead., Prophetic Rome in the high Renaissance Period. Clarendon Press, Oxford 1992, pp. 271-278; O. Niccoli, Profeti e popolo, cit., pp. 224-230.

61

L’espressione è usata da Roberto Rusconi, Da Costanza al Laterano: la «calcolata devozione» del ceto mercantile-borghese nell’Italia del Quattrocento, in Gabriele De Rosa- Tullio Grégory-André Vauchez (eds.), Storia dell’Italia religiosa. I.A. Vauchez (ed.), L’Anti- chità e il Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 511, a proposito della diffusione del profeti- smo fra le domenicane della fine del

XV

secolo.

62

Sulla profezia itinerante nell’Italia del Rinascimento lo studio di riferimento più recen- te è quello di O. Niccoli, Profeti e popolo, cit.; in particolare sui profeti itineranti fra

XV

e

XVI

secolo cfr. ibi, pp. 125-138. Si veda anche l’importante articolo di Giampaolo Tognetti, Note sul profetismo nel Rinascimento e la letteratura relativa, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo» 82(1970), pp. 129-157.

63

La frase è tratta dal Diario di Tommaso di Silvestro ed è citata da O. Niccoli, Profeti e popolo, cit., p. 130.

64

Gv 1,6. Anche il Baldessano ricorda uno di questi profeti che, nei giorni precedenti il

sacco, si ispiravano al Battista; Historia ecclesiastica cit., fasc. E6, f. 2v: « Fu predetto quello

severo castigo contra i peccati di quella città se non si emendava, alquanto tempo avanti che

accadesse da un certo vecchio detto Giovanni Battista di natione francese, il quale mentre si

leggeva la bolla In cena Domini la giobbia santa, salito in luogo eminente a San Pietro, disse

al pontefice e alli altri prelati che prestamente si convertissero perché altrimenti soprasta loro

il furore della divina giustitia. E essendo reputato fuorsennato, non ostante che protestasse che

tal officio faceva da parte di Dio, tornò di giorno di Pasca nello stesso luogo e di nuovo essor-

tò tutti a penitenza, protestando che altrimente perirebbe il giusto con l’empio. Ma in luogo di

emendarsi, prendendo il vecchio lo condussero in prigione, trattandolo da fanatico. Mentre che

lo menavano predisse loro che la sua prigioni e la loro auttorità finirebbe tosto: il che verificò

la subita venuta dei nemici, che d’indi a poco assalirono e presero la città e la trattarono tanto

male quanto difficilmente si potrebbe credere nonché esprimere, cavando di prigione il vec-

chio, il quale predisse loro parimente che tosto vomitarebbero le cose che involavano con tanta

ingordigia, il che si verificò nella peste che subito assalì quel sacrilego essercito, e ne fece una

strage grandissima».

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