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Submitted on 7 Jun 2018
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La religione come professione e come vocazione.
Guillaume Silhol
To cite this version:
Guillaume Silhol. La religione come professione e come vocazione. : Costruire competenze e legittimare
gli insegnanti di religione cattolica. Scuola democratica, Il Mulino, 2017. �hal-01809746�
La religione come professione e come vocazione: costruire competenze e legittimare gli insegnanti di religione cattolica
di Guillaume Silhol
1Title: Religion as a Profession and as a Vocation: Constructing Competences and Legitimizing Catholic Religious Education Teachers
ABSTRACT: This article is based on a research on Catholic Religious Education teachers in Italian State schools and their careers, mainly through in-depth interviews and observations in Piedmont. The aim is to analyse how religious identity is intertwined with and evolves according to self-definition in professional terms and constraints to alternate between conformity to the religious institution and the role of a teacher. In the first typical phase of a career, ‘religious culture’ is constructed as an individual competence in conformity with specific means of institutional control. In the second typical phase, the Religious Education teacher tends to identify to the role of a colleague in a school, to downplay confessional discourse and to emphasise their own precariousness. This logic leads to an eventual third phase of reconversion, stressing the broader issue of costs and gratifications in reconverting one’s professional dispositions in religious terms as well as the opposite.
KEYWORDS: Religious Education, Career, Roles, Precariousness.
Introduzione
Nella letteratura sull’analfabetismo religioso dei giovani, l’insegnamento della religione cattolica (d’ora in poi IRC) viene spesso descritto con dei giudizi di valore, che gli attribuiscono una responsabilità causale nel cosiddetto problema pubblico (Naso, 2014).
Molti altri aspetti dell’IRC restano trascurati: poche sono le ricerche empiriche, distinte sia dai discorsi critici che dai discorsi istituzionali della Conferenza episcopale italiana (d’ora in poi CEI), sulla costruzione della categoria socioprofessionale degli insegnanti di religione cattolica, oggi, nella vasta maggioranza, dei laici cattolici. Questo articolo propone di analizzare l’investimento pratico di attori sociali nell’IRC, attraverso uno studio qualitativo delle fasi di definizioni di un’identità religiosa e dei modi di appartenenza all’istituzione cattolica e alla scuola degli insegnanti laici. Il concetto interazionista di carriera (Darmon, 2008), diverso dalla nozione manageriale, consente di concepire l’agire sociale in una serie tipica di status oggettivi, di posizioni, di ruoli, di responsabilità e di vicende. Questa serie tipica rende anche conto dei cambiamenti nelle percezioni che gli attori sociali hanno della loro situazione (Hughes, 2010: 144), in termini di vocazione o di esperienza sul campo (Béraud, 2007: 154-171). Le fasi della carriera nell’istituzione
1 Guillaume Silhol, Dipartimento di Scienza Politica, Sciences Po Aix-en-Provence, guillaume.silhol12@gmail.com
religiosa condizionano i modi in cui i docenti, nei loro discorsi di docenti, giustificano la loro posizione rispetto al discorso ufficiale sul «servizio che la Chiesa rende alla scuola».
Senza negare la diversità delle traiettorie, l’analisi delle carriere nell’istituzione religiosa permette di reintrodurre sia delle determinanti sociali che delle biforcazioni legate alle temporalità della scuola, della chiesa e di altri campi dell’investimento individuale.
Di conseguenza, l’identità religiosa e i suoi rapporti con la ‘cultura religiosa’, costruita come competenza individuale e come giustificazione professionale, sono concepiti in termini dinamici rispetto alle pratiche professionali e all’investimento in due ruoli, quello di cattolico esemplare e quello di ‘collega’ nella scuola. La ricerca presentata si concentra sull’analisi dell’ingresso e del perseguimento nella carriera d’insegnante di religione, sulla base di un’indagine qualitativa svolta tra il 2013 e il 2017 per una tesi di dottorato in sociologia sulla costituzione socio-storica della categoria degli insegnanti di religione cattolica dagli anni ’70 a oggi. I materiali sono costituiti da 25 interviste approfondite, prevalentemente dei racconti di vita, con insegnanti ed ex-insegnanti di religione cattolica e da osservazioni sulla base di un campionamento ‘a valanga’, principalmente in Piemonte e secondariamente in Lazio come casi di controllo. Le osservazioni in classe e in altri contesti sono state realizzate con l’accordo verbale degli insegnanti in due scuole, di responsabili amministrativi e di organizzatori di formazioni. L’analisi non pretende di essere rappresentativa dell’Italia: mette in rilievo delle regolarità contestualizzate, delle sequenze tipiche e non univoche. Nel preambolo presenterò in breve le ricerche sugli insegnanti di religione cattolica. Le parti successive analizzano le tre fasi tipiche nell’investimento in una carriera di insegnante di religione cattolica: in primo luogo, il lavoro su di sé per accedere all’insegnamento; la ridefinizione come lavoratori precari della scuola; da ultimo, il mantenimento nell’IRC o una riconversione in altre figure professionali all’interno della scuola o in campo religioso.
1- La ricerca sugli insegnanti di religione cattolica
Oltre ai dati annuali sugli studenti che se ne avvalgono o meno, l’IRC è oggetto di
indagini ministeriali e interne alla Chiesa sugli insegnanti. Secondo l’ultima indagine
ministeriale disponibile, su un totale di 729313 insegnanti nelle scuole statali di ogni
ordine e grado nel 2009-2010, gli insegnanti di religione cattolica censiti erano 26326, fra
cui 12446 a tempo determinato e 13880 a tempo indeterminato: 6896 nelle scuole materne
e primarie e 6984 nelle scuole medie di primo e di secondo grado, mentre il Ministero
censiva 214 cessazioni di attività dei docenti di religione nel settembre 2009 nel Paese
(MIUR, 2010: VIII). Le indagini svolte dall’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto (d’ora
in poi OSReT) dagli anni ’90, raccolte tramite dei questionari compilati nelle diocesi,
consentono di contestualizzare certe evoluzioni. Per quanto riguarda la composizione degli
insegnanti di religione cattolica, la percentuale cumulata di sacerdoti, religiosi e religiose,
al 36,6 % del totale di questi insegnanti nelle scuole secondarie di primo e secondo grado
nel 1993-1994, ne rappresentava solo il 10,1 % nel 2014-2015. Benché si tratti di dati
limitati alle scuole secondarie, essi sottolineano il peso preponderante che hanno le donne
laiche cattoliche nella categoria socioprofessionale nel Centro e nel Sud, dove superano i
tre quinti del totale. Inoltre, la percentuale degli insegnanti di religione cattolica con il
monte ore completo di 18 ore nelle scuole secondarie, che rappresentava meno di un terzo
nei primi anni ’90, supera il 70 % dal 2005-2006, nelle scuole secondarie di secondo grado
ma anche nel Centro e nel Sud. I dati relativi all’assegnazione delle cattedre in una o più
scuole evidenziano una tendenza in calo: dal 72,1% dei primi anni ’90, a quote attorno al
60% dal 2006 a oggi. Infine, dopo l’attuazione della legge 186/2003 e l’unico concorso svolto finora a copertura del 70% dei posti, questi dati mostrano che ad avere lo statuto giuridico di insegnante di ruolo a tempo indeterminato sono oggi meno della metà degli interessati nelle scuole medie. Da un lato, per quanti le rilevazioni non tengano conto dell’anzianità dei docenti, o delle variazioni nelle relazioni tra lavoro precario e profilo sociale come l’età, il genere, lo statuto matrimoniale, eccetera, esse mettono in rilievo come simili caratteristiche si ritrovino nel corpo docente statale delle altre materie, tra cui la femminilizzazione (Battistella et al., 2015: 13-19). Da un altro lato, mostrano l’inserimento graduale delle ricomposizioni della divisione sociale del lavoro religioso, in particolare dei rapporti tra laici e sacerdoti, nell’organizzazione delle scuole.
Oltre alle ricerche dell’OSReT sull’apprendimento degli studenti (Castegnaro, 2009), quattro indagini nazionali interne sull’IRC, pubblicate nel 1991, 1996, 2005 e 2017, sono state realizzate dall’Università Salesiana su dei campioni di studenti e di insegnanti, e inizialmente anche di genitori e di ‘colleghi’. Per quanto riguarda gli insegnanti, emerge la tematica della loro ‘doppia identità’, pur in termini di vocazione e di servizio di formazione religiosa nelle motivazioni espresse nei questionari. Il disagio espresso da alcuni docenti nell’indagine del 1996 a proposito della ‘reciproca indifferenza’ tra scuola e diocesi scompare nel discorso di sintesi, in parte autoreferenziale, sul rafforzamento professionale e la soddisfazione espressa, che appiattisce delle differenze generazionali e la diversità delle traiettorie non raccoglibili nei questionari (Malizia e Pieroni, 2017: 133- 140). L’ultima ricerca, svolta con dei questionari distribuiti in 176 diocesi a 2279 insegnanti di scuole statali e paritarie, sottolinea alcune caratteristiche rilevanti come l’età media dei docenti più elevata dalla scuola media in poi, o una prevalenza della catechesi e del volontariato fra gli impegni ecclesiali nella maggioranza degli intervistati. La parte relativa alle motivazioni nella carriera, differenziate tra l’obiettivo della formazione religiosa, il tempo libero lasciato dal lavoro, la necessità di lavorare, l’interesse culturale e la vocazione, è però articolata in modo positivistico sulle dichiarazioni: l’indagine trascura gli effetti di autocensura, e tratta la precarietà solo come uno dei motivi che inducono a cambiare mestiere (Montagnini, 2017). Invece, le relazioni di potere, la legittimazione rispetto all’ora alternativa e all’uscita dalla scuola (Palmisano, 2009), e il mantenimento nell’IRC appaiono nelle poche monografie esterne dedicate allo studio di tale categoria socioprofessionale in Emilia-Romagna (Cappello e Maccelli, 1994) e a Caltanissetta (Canta, 1999). L’analisi delle carriere degli insegnanti di religione cattolica si inserisce nel campo di ricerca della sociologia generalista.
2- Entrare nella scuola attraverso la Chiesa
La questione dell’inserimento nella carriera di insegnante di religione cattolica, a
prescindere dagli stereotipi sulla ‘scorciatoia’ o il ‘ripiego’, può essere formulata in termini
di disposizioni, di relazioni interdipendenti e di condizioni d’ingresso. In questo modo, le
carriere sono legate al mantenimento di un processo centrale che l’analisi deve restituire
diversamente dal discorso dell’istituzione religiosa e dalle parole degli intervistati
(Darmon, 2008: 152-161), cioè la continuità dell’IRC come disciplina scolastica,
legittimata dai suoi operatori nelle scuole statali e controllata dalla Chiesa cattolica. Di
conseguenza, si tratta di mettere in rilievo le condizioni sociali e le motivazioni che fanno
sì che insegnare religione cattolica costituisca un’opzione credibile, gli effetti che tale
investimento sul lavoro ha sulla propria persona e sulla percezione della propria situazione
in quanto docente di religione.
2.1. Partecipare alle ricomposizioni della divisione sociale del lavoro religioso
Il lungo processo di revisione del Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, che sfocia nella definizione degli Accordi di Villa Madama del 18 febbraio 1984 firmati dal Presidente del Consiglio Bettino Craxi e dal cardinal Agostino Casaroli, nonché le intese di attuazione, tra cui le tre intese sull’IRC tra il Ministero dell’Istruzione e la CEI (1985, 1990, 2012), non si esaurisce in una riforma giuridica. Costituisce anche un
‘evento’, oggetto di narrazioni e di percezioni contradditorie, che interferisce con dei processi anteriori nella Chiesa e nelle scuole. Come altri settori delle istituzioni cattoliche italiane nel dopo-Vaticano II, l’IRC è oggetto di tentativi di ridefinizione pedagogica e professionale. Da un lato, le critiche formulate alla catechesi danno luogo ad una serie di documenti della CEI come Il rinnovamento della catechesi (1970), ad alcune teorizzazioni nel contesto delle riforme scolastiche, tra cui la rivista Religione e Scuola fondata nel 1972 e alle proposte degli storici Luciano Pazzaglia e Pietro Scoppola di istituire una materia di
‘cultura religiosa’ (Giorda e Saggioro, 2011:36-43; Pajer, 2017: 60-62). Da un altro lato, mentre i discorsi ufficiali delle istituzioni cattoliche puntano al mantenimento della
‘distinzione e complementarietà’ tra la catechesi svolta in parrocchia e l’insegnamento scolastico della religione, per insegnare nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, e poi nelle scuole primarie, le diocesi cominciano ad assumere dei laici, in modo sostenuto ma non coordinato (Caimi, 2013: 239-248). Contemporaneamente, alcuni insegnanti di religione partecipano ai tentativi di riqualificazione dell’insegnamento della religione come disciplina di ‘cultura religiosa’ inserita nelle finalità della scuola, e si mobilitano per ottenere uno statuto giuridico più vicino a quello degli insegnanti di ruolo delle altre materie. Di conseguenza, il regime neo-concordatario e le nuove giustificazioni ufficiali all’IRC ormai non obbligatorio, cioè il riconoscimento del ‘valore della cultura religiosa’ e l’inclusione dei ‘principi del cattolicesimo [come facente] parte del patrimonio storico del popolo italiano’ (art. 9.2), contribuiscono a politicizzare la materia prima delle riforme ufficiali e dei cambiamenti formali di questo corpo docente (Butturini, 1987: 187-228).
La gradualità delle priorità istituzionali sull’IRC prima e dopo il 1984 emerge chiaramente nei racconti dell’inizio delle carriere individuali di docenti di religione cattolica entrati prima della revisione del Concordato. Nel contesto piemontese e torinese, l’impegno parrocchiale e sociale verso gli operai, appoggiato dalla diocesi soprattutto durante i mandati di Michele Pellegrino (1965-1978) e di Anastasio Ballestrero (1978- 1989), si traduce anche nell’offrire degli incentivi di formazione (Bolgiani et ali, 1988: 41- 52). Le strutture parrocchiali costituiscono un luogo di socializzazione religiosa e di acquisizione di competenze nel contesto post-conciliare, in una regione segnata sia dalla militanza laica che dal cattolicesimo sociale e dall’associazionismo (Diotallevi, 1999). Le relazioni intrattenute in parrocchia e il volontariato degli animatori contribuiscono a rendere credibile un lavoro spesso percepito come temporario. Il caso di Vittoria
2, che insegna religione cattolica dal 1977 e lavora in un solo istituto tecnico dalla metà degli anni ’80, immessa in ruolo negli anni 2000, corrisponde a questo tipo di inserimento della prima generazione. Nata in una famiglia meridionale operaia, immigrata in provincia di Torino per il lavoro del padre nella FIAT, dopo la maturità al liceo linguistico, Vittoria si iscrive alla facoltà di medicina e nel contempo comincia a lavorare a tempo parziale come interprete. Nello stesso periodo, inseritasi nell’ambiente parrocchiale con un gruppo di amici, segue dei corsi serali di scienze religiose per cinque anni. Nell’intervista, Vittoria
2 Tutti i nomi di insegnanti ancora in posto sono fittizi.