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AaVv, La libera ricerca di Cesare Bermani. Culture altre e mondo popolare nelle opere di un protagonista della storia militante. DeriveApprodi Edizioni, Roma, 2013, 192 pages

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HAL Id: hal-01412746

https://hal-amu.archives-ouvertes.fr/hal-01412746

Submitted on 25 Jan 2017

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AaVv, La libera ricerca di Cesare Bermani. Culture

altre e mondo popolare nelle opere di un protagonista

della storia militante. DeriveApprodi Edizioni, Roma,

2013, 192 pages

Andrea Brazzoduro

To cite this version:

Andrea Brazzoduro. AaVv, La libera ricerca di Cesare Bermani. Culture altre e mondo popolare nelle opere di un protagonista della storia militante. DeriveApprodi Edizioni, Roma, 2013, 192 pages. Zapruder. Storie in movimento, 2013, XI (31), pp.156. �hal-01412746�

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Aa.Vv., La libera ricerca di Cesare Bermani. Culture altre e mondo popolare nelle opere di

un protagonista della storia militante, Roma, DeriveApprodi, 2012, pp. 123, euro 16,00

Il modo migliore per cominciare questo libro è nel mezzo, dove c’è un bellissimo inserto fotografico di oltre trenta pagine. Vi compaiono, in ordine sparso, luoghi e volti di una storia a cui appartiene a suo modo – ultima venuta – anche «Zapruder»: Gianni Bosio, Roberto Leydj, il «Festival dei due mondi» (Spoleto 1964), Giovanni Pirelli, Franco Coggiola, Dante Bellamìo, il Festival di «Re nudo» (Pavia 1973), Giu-seppe Morandi, Sandro Portelli, Sergio Bologna, Mario Dondero, Primo Moroni, Giovanna Marini, Fausto Amodei, Ivan della Mea... E poi naturalmente c’è Cesa-re Bermani: in veste di tennista, sciatoCesa-re, politico, cantoCesa-re, intervistatoCesa-re, storico, ricercatore sociale in lavallière e bicicletta o che fa l’hula hoop («Orta San Giulio, cortile casa Bermani, anni novanta», recita la didascalia).

In una fotografia molto bella di Carlo Leidi si vede, dall’alto, una lunghissima tavo-lata alla cascina del “Micio” (Gianfranco Azzali), a Pontirolo di Voltido (Piadena). È il 1985 e dal “Micio” e i suoi – insieme a Portelli, Bermani e Cartosio – c’è tutto un gruppo di esecutori di musica popolare appalachiana. Questo libro, che è un omaggio a Cesare Bermani per i suoi 75 anni, mi fa pensare a quella tavolata, nel senso che anche se vi si discute con rigore dell’importante contributo che Bermani ha dato alla conoscenza delle classi subalterne italiane, è qualcosa di più degli atti di un convegno di studiosi di storia sociale. Gli interventi raccolti nel volume, infat-ti, condividono tutti un’idea e una pratica di ricerca come scelta partigiana, benché mai serva. Così il collettivo Calusca City Lights di Milano parla della sua «opero-sa amicizia» con Bermani, radicata nell’esigenza comune di conoscere la propria storia per potersi situare nel presente con la complessità dei rapporti sociali che lo contraddistingue.

Non è possibile dar conto qui della sterminata produzione bibliodiscografica di Bermani (cfr. http://www.omegna.net/bermani), che annovera lavori come

Espe-rienze politiche di un ricercatore di canzoni nel Novarese (1964), Al lavoro nella Germania di Hitler. Racconti e memorie dell’emigrazione economica italiana 1937-45 (1998), Intro-duzione alla storia orale (1999-2001), «Guerra guerra ai palazzi e alle chiese». Saggi sul canto sociale (2003)... E poi soprattutto Pagine di guerriglia (1995-2000), la

monumen-tale ricerca (più di 200 interviste, 1.200 pagine) sui garibaldini della Valsesia. È su questo lavoro che si concentrano forse alcuni degli interventi più stimolanti che compongono il volume (tra gli altri Bruno Cartosio, Giovanni Contini e Santo Peli), e sarebbe utilissimo, partendo da qui, tentare un bilancio collettivo più ampio e approfondito di una ricerca durata 35 anni (1965-2000), e che resta largamente igno-rata dalla storiografia italiana, anche la migliore, come Una guerra civile. Saggio

sto-rico sulla moralità nella Resistenza di Claudio Pavone (1991).

Bermani? «Uno dei miei ricordi più cari, in tanti anni che lo frequento e lo sto a sentire – racconta Portelli –, è di quando Cesare venne a Roma per fare il concorso per professore associato in Storia contemporanea. E, allo stesso tempo, era in gra-duatoria per fare il bidello nelle scuole elementari. Naturalmente io pensavo che fosse molto più pericoloso fargli fare il bidello che il professore, e naturalmente non venne accettato né come professore né come bidello» (p. 31).

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