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Academic year: 2022

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Il Gattopardo

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Il Gattopardo è un romanzo storico, l'unico scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L'autore trasse ispirazione da vicende della sua antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del Risorgimento e noto anche per le sue ricerche astronomiche e per l'osservatorio astronomico da lui realizzato.

Scritto tra la fine del 1954 e il 1957, fu presentato all'inizio agli editori Einaudi e Mondadori, che ne rifiutarono la pubblicazione, avvenuta poi dopo la morte dell'autore da Feltrinelli con la prefazione a cura di Giorgio Bassani. Nel 1959 ricevette il Premio Strega, nel 1963 Luchino Visconti lo tradusse in un film omonimo.

Il nome del romanzo ha l'origine nello stemma di famiglia dei Tomasi ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»

Trama

Il libro inizia con questa frase: "Nunc et in hora mortis nostrae. amen

Come detto il Gattopardo si ispira alla vita dell'antenato dello stesso autore, che nel romanzo prende il nome di Don Fabrizio Corbera, Principe di Casa Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia (a Palermo e nel feudo ragusano di Donnafugata).

Don Fabrizio è padre di sette figli ed è esponente di un casato che per secoli "non aveva mai saputo fare neppure l'addizione delle proprie spese e la sottrazione dei propri debiti" . Il principe possedeva forti inclinazioni alle matematiche; aveva applicato queste all'astronomia e ne aveva tratto sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private. All'inizio del primo capitolo si parla di un cadavere rinvenuto nel giardino di Casa Salina “il cadavere di un giovane soldato del quinto battaglione cacciatori, che ferito nella zuffa di san Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto a morire, solo, sotto un albero di limone. Lo avevano trovato bocconi nel fitto trifoglio, il viso affondato nel sangue e nel vomito, le unghia confitte nella terra, coperto dai formiconi; e di sotto le bandoliere gl'intestini violacei avevano formato pozzanghera.”

Nel maggio 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, Don Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine del suo ceto. La classe aristocratica capisce che ormai è prossima la fine della sua supremazia: infatti approfittano della nuova situazione politica gli amministratori e i mezzadri, la nuova classe sociale in ascesa. Don Fabrizio, appartenente ad una famiglia di antica nobiltà, viene

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rassicurato dal nipote Tancredi, che, pur combattendo nelle file garibaldine, cerca di far volgere gli eventi a proprio vantaggio. Quando, come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è arricchito ed ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che in precedenza aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore del principe, si innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che infine sposerà, abbagliato sicuramente dalla sua bellezza, ma attratto anche dal suo patrimonio.

È Tancredi, nel comunicare al Principe la decisione di unirsi alle truppe piemontesi, che dice la famosa frase: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!"

Un altro episodio significativo è l'arrivo a Donnafugata di un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d'Italia. Il principe però rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano. E cercando di raccontare al suo ospite la capacità di adattamento che i siciliani, sottoposti nel corso della storia all'amministrazione di molti governanti stranieri, hanno dovuto giocoforza sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è emblematica: "...E dopo sarà diverso, ma peggiore."

La vita del principe da allora prosegue in modo monotono e sconsolato, fino alla sua morte che lo coglie in un'anonima stanza di albergo nel 1883, mentre tornava da Napoli, viaggio intrapreso per sottoporsi a visite mediche. Nella sua casa rimarranno le tre figlie nubili, inacidite da una vita chiusa e solitaria.

Curiosamente, anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa morì in una modesta camera d'albergo, lontano da casa, in un viaggio intrapreso per cure mediche.

Il significato dell'opera

L'autore compie all'interno dell'opera un processo narrativo che è sia storico che attuale. Parlando di eventi passati, Tomasi di Lampedusa parla di eventi del tempo presente, ossia di uno spirito siciliano citato più volte come gattopardesco. Nel dialogo con Chevalley, il principe di Salina spiega ampiamente il suo spirito della sicilianità; egli lo spiega con un misto di cinica realtà e rassegnazione.

Spiega che i cambiamenti avvenuti nell'isola più volte nel corso della storia, hanno adattato il popolo siciliano ad altri "invasori", senza tuttavia modificare dentro l'essenza e il carattere dei siciliani stessi.

Così il presunto miglioramento apportato dal nuovo Regno d'Italia, appare al principe di Salina come un ennesimo mutamento senza contenuti, poiché ciò che non muta è l'orgoglio del siciliano stesso.

Egli infatti vuole esprimere l'incoerente adattamento al nuovo, ma nel contempo l'incapacità vera di modificare sé stessi, e quindi l'orgoglio innato dei siciliani.

In questa chiave egli legge tutte le spinte contrarie all'innovazione, le forme di resistenza mafiosa, la violenza dell'uomo, ma anche quella della natura.

La figura di Concetta, nel capitolo ottavo, riveste un'importanza che, dalla critica e dagli scritti sul romanzo, non viene bene evidenziata[. Inoltre Visconti,nel film omonimo, elimina gli ultimi due

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capitoli ma, mentre la morte del principe viene ombreggiata dal suo vagheggiarla e "corteggiarla"

durante tutta l'opera ma soprattutto alla fine, la figura di Concetta viene estremamente ridotta e ridimensionata. Nell'ultimo capitolo, quando il senatore Tassoni ricorda a Concetta l'affetto di Tancredi per lei, facendo riferimento al capitolo secondo e ricordando l'episodio sull'assalto al convento di clausura, inventato dal giovane per far colpo su Angelica appena conosciuta, Concetta collega quell'episodio alle suppliche di Tancredi, il giorno seguente perché lo zio gli permettesse di accompagnarlo nel convento della Beata Corbera. Concetta capisce cinquant'anni dopo che quelle suppliche del cugino erano state" parole d'amore verso di lei... parole non comprese" e che nel suo amore verso Tancredi "non vi erano stati nemici, ma una sola avversaria, essa stessa; il suo avvenire era stato ucciso dalla propria imprudenza". Il significato piu profondo quindi, le triste realtà,l'amara dichiarazione di poetica, celato nel brano è dunque che; "tutto cambia ma non per la sicilia, in lei tutto resta com'è..."

Romanzo storico

La vicenda descritta nel Gattopardo può a prima vista far pensare che si tratti di un romanzo storico ma è proprio questo il primo equivoco da eliminare per una comprensione dell'opera. Cioè: il Tomasi ha certamente tenuto presente tutta una tradizione narrativa siciliana dalla novella Libertà di Verga a I Viceré di De Roberto. a I vecchi e i giovani di Pirandello ispirata al fallimento risorgimentale che, proprio in Sicilia, là dove cioè erano più vive le speranze di rinnovamento, più drammaticamente era stato avvertito. Ma mentre De Roberto, che fra i tre citati è, per questa tematica, il più significativo, del fallimento indaga le motivazioni con una complessa rappresentazione dell’opposte forze in giuoco, Tomasi riduce la vicenda risorgimentale ad una machiavellica operazione della classe dirigente che in estremis si mette all'occhiello la coccarda tricolore convinta che se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi. Rappresentazione ceno semplicistica se si pensa, solo per fare un esempio, che il 1860 vide anche la rivolta dei contadini di Bronte, stroncata nel sangue da Bixio (di cui alla citata novella di Verga). Da questo punto di vista quindi le forti carenze dei Gattopardo come romanzo storico del Risorgimento in Sicilia sono evidentissime. Ha ottimamente osservato Mario Alicata: “Una cosa è cercare di comprendere come e perché si affermò nel processo storico risorgimentale una determinata soluzione politica, cioè la direzione di determinate forze politiche e sociali, un'altra cosa é credere, o far finta di credere che ciò sia stato una sorta di presa in giro condotta dai furbi (dai potenti di ieri e di sempre) ai danni degli sciocchi (coloro che si illudono che qualche cosa di nuovo possa accadere non solo sotto il sole di Sicilia ma sotto il sole tout court)”. Resta da vedere però se la prospettiva del romanzo storico è la più pertinente chiave di lettura di quest'opera.

Sterilità e morte.

In realtà Il Gattopardo non va visto - anche se talvolta lo scrittore indulge in un certo gusto di stampa dell'Ottocento (il primo capitolo, ad esempio) - come un grande affresco storico. Anzitutto anche il modulo narrativo - il romanzo procede per blocchi, con una sequenza di episodi che, pur facendo capo ad un personaggio principale, potrebbero avere ciascuno una propria autonomia - è lontano dai grandi

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esempi del romanzo storico. Il fallimento risorgimentale descritto, poi, non è un esempio di uno scarto tra speranze e realtà nella storia degli uomini, ma è la norma, la costante delle vicende umane che non possono approdare che al fallimento: gli uomini - re Ferdinando o Garibaldi sono nient'altro che mosche cocchiere che solo si possono illudere di influire sul torrente delle sorti che invece fluiva per conto suo, in un'altra vallata. La negazione della storia, la sterilità dell'agire umano: questo uno dei motivi più autentici del libro: ed in questa prospettiva di remota lontananza dalle storicistiche fiducie il Risorgimento può ben diventare una rumorosa, romantica commedia con qualche macchiolina di sangue sulla veste buffonesca e Marx un ebreuccio tedesco di cui al protagonista sfugge il nome e la Sicilia, più che una realtà che storicamente si è fatta attraverso secoli di storia può ben diventare un'astratta categoria, immutabile ed eterna una metafisica «sicilianità» che coincide in definitiva con la sublime indifferenza, col decadente distacco, con la sfiducia dell'autore la Sicilia di Tomasi è soltanto una localizzazione geografica del suo sentire. (E d'altra parte, nella descrizione del fallimento risorgimentale si poteva intravedere - in filigrana, quasi - un'altra riconferma della legge e degli uomini: il fallimento resistenziale che, negli anni in cui scriveva, Tomasi e molti altri non potevano che constatare: l'uno senza drammi, quasi con l'animo dello scienziato che vede riconfermata una legge, gli altri - il Bassani delle Storie ferraresi, ad esempio - con ben differente disposizione d'animo).

Correlativo a questo è il tema del fluire del tempo, del decadere, della morte (e non si può fare a meno di richiamare almeno Proust e Mann) che non è solo esemplificato nella morte di una classe - quella nobiliare dei Gattopardi che sarà sostituita dalla scaltrita borghesia affaristica dei Sedara - ma permea di sé tutta l'opera: si pensi alla descrizione del ballo, al capitolo - secondo certa critica, il punto più alto dei romanzo - della morte di don Fabrizio, alla polvere del tempo che si accumula sulle tre sue figlie e sulle loro cose o, sul piano stilistico, « all'insistenza di talune parole come lutto, funereo che costituiscono i musicali fortissimo dell'orchestrazione fantastico verbale dei romanzo » (F. Felcini).

La verità è che fra la tradizione del romanzo storico - siciliana ed europea - di fine Ottocento e Il Gattopardo è passato il decadentismo con le sue stanchezze, le sue sfiducie, la sua contemplazione della morte e l'opera di Tomasi d'altra parte cadeva proprio in un momento di ripiegamento e di crisi sia dei recenti ideali della società italiana, sia di quella letteratura che si era sforzata di dare voce artistica a quegli ideali. da ciò le polemiche, le avversioni, il rifiuto di Vittorini, ma anche gli entusiasmi suscitati da questo romanzo.

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