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Museo e Sistema

Giuseppe Di Liberti

To cite this version:

Giuseppe Di Liberti. Museo e Sistema. Studi di estetica, Mimesis Edizioni, 2012, Il museo oggi, pp.173-181. �hal-01394034�

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Giuseppe Di Liberti. « Museo e Sistema », Studi di estetica, 45, 2012, Il museo oggi, pp.173-181.

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Museo e sistema di Giuseppe Di Liberti

Premesse L’articolata vicenda storica dell’idea di museo, da Alessandria ad oggi,

potrebbe essere costruita in costante e stretta relazione con le evoluzioni storiche del sistema dei saperi. Anzi, le forme del museo potrebbero essere considerate come forme di rappresentazione dell’organizzazione dei saperi, come spazializzazioni di quei cataloghi, classificazioni e sistemi che hanno regolato i rapporti tra le discipline. In questa prospettiva, i musei ci raccontano anche qualcos’altro: rappresentando le logiche sottese ai diversi modelli di organizzazione dei saperi, ci raccontano la storia dei nostri sguardi sulle cose e ci mostrano la relazione necessaria tra i nostri schemi categoriali e l’esperienza degli oggetti esposti. Queste assunzioni preliminari piuttosto ovvie impongono però almeno due domande non prive di interesse. La prima sarebbe: cosa espongono del sistema i musei? O ancor meglio, quali aspetti di un sistema di saperi possono, attraverso il museo, essere considerati come senso comune? La seconda domanda è una diretta conseguenza della prima: che interazione sussiste tra museo e sistema? Potremmo riscontrare un feedback tra ciò che storicamente il sistema elabora come senso comune e la costruzione di un sistema complesso di idee o di saperi?

Mi limiterò qui ad affrontare principalmente alcune questioni proprie ai musei dedicati alle arti e agli sviluppi del sistema delle arti, senza però trascurare due semplici accorgimenti. Il primo è che una riflessione sistemica può coinvolgere ogni tipologia di museo. Il secondo accorgimento è di carattere storico. A monte e a valle della moderna nozione di museo – scelgo come date miliari il 1749 e il 1949, dirò poi perché – così come a monte e a valle del sistema moderno delle arti, sussiste la necessità epistemologica di un’integrazione del sistema delle arti in un più ampio sistema dei saperi. Fino a Batteux le classificazioni delle arti erano generalmente integrate in più ampi sistemi dei saperi; Batteux, volendo fare come “i veri fisici”, risponde all’esigenza di costiuire un sistema autonomo delle belle arti che possa di buon grado affincare i sistemi della natura dei suoi contemporanei; dalla teoria generale dei

sistemi ad oggi non possiamo trascurare che ogni sistema simbolico complesso non può essere

trattato isolatamente, non può non interagire con altri sistemi simbolici complessi.

I presupposti teorici che possono legittimare il parallelismo storico tra l’idea di museo e la nozione di sistema sono almeno due.

Anzitutto, il museo è una forma organizzata dell’esperienza sensibile intesa come modalità diretta e privilegiata di conoscenza e tale esperienza, nell’intenzioni del museo, deve essere accessibile al maggior numero possibile di persone. In secondo luogo, per quanto tale forma di organizzazione sia un’interpretazione, ogni museo deve necessariamente misurarsi con quella che potremmo chiamare – parafrasando la nozione di Artworld di Danto1 – “una teoria generale e diffusa delle arti”: un sistema più o meno esplicito, più o meno formalizzato, che caratterizza, in un dato luogo e in una data epoca, l’idea di arte.

Lo scopo di queste poche osservazioni è molto semplice e piuttosto ovvio: I musei e la loro organizzazione ci permettono di analizzare e verificare quella che chiamerò una default

1 Cfr. Arthur Danto, “The Artworld”, in The Journal of Philosophy, Vol. 61, No. 19, American Philosophical

Association Eastern Division Sixty-First Annual Meeting. (Oct. 15, 1964), pp. 571-584; trad. it. di F. Bollino, “Il mondo dell’arte”, in Studi di Estetica, III serie, anno XXXI, N. 27, 2003, pp. 65-86.

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position sulle arti2: quasi un senso comune ma non proprio un senso comune (almeno non nell’accezione scozzese del termine). Oltre ad essere una macchina cosciente, il museo è anche una macchina incosciente che finisce col rappresentare anche ciò che non arriva a teorizzare. In altri termini, vorrei qui evidenziare ciò che il museo afferma, convalida o costruisce come certezza3 – certezza storica e culturale, certo – piuttosto che ciò che il museo critica o interpreta.

Due tappe storiche. Sistema vs classificazione, sistema aperto vs sistema chiuso Non potendo

qui percorrere le storie incrociate di musei e sistemi, mi limiterò a due casi cruciali, uno a valle e uno a monte, per mostrare come il paradigma moderno del museo da un lato nasca contro la semplice classificazione e dall’altro muti nella necessità di aprirsi a modelli complessi di conoscenza.

Nel 1749, mentre Diderot è imprigionato a Vincennes per la sua Lettre sur les aveugles e Condillac pubblica il Traité des systèmes, Buffon dà alle stampe i primi tre volumi dell’Histoire naturelle, générale et particulière, grazie anche al suo collaboratore Daubenton. Nel terzo volume, una Description du Cabinet du Roi illustra gli scopi e l’organizzazione della collezione: «Nulla è capace di contribuire all’avanzamento della storia naturale, quanto la vista continua degli oggetti che essa comprende e che ci colpiscono con molta più forza e verità delle descrizioni più esatte e delle figure più precise»4. E prosegue: «Ad ogni occhiata, non soltanto si prende conoscenza reale dell’oggetto considerato, ma si scoprono i rapporti che esso può avere con ciò che lo circonda. Le rassomiglianze indicano il genere, le differenze segnano la specie: questi caratteri più o meno rassomiglianti, più o meno differenti, comparati insieme, presentano alla mente e incidono nella memoria l’immagine della natura»5.

Si tratta, a ben guardare, della risposta fattuale di Buffon a Linneo: la natura vivente va pensata come unità sintetica di rapporti, sottoposta ad una costante (e omogenea) variabilità morfologica, la cui profonda continuità è garantita dalla permanenza delle specie. L’osservazione della natura consente all’uomo di cogliere le differenze individuali, di scoprire i rapporti reali, l’ordine delle cose stesse e non un ordine imposto dall’osservatore. Il rigore astratto delle tassonomie di Linneo, secondo Buffon, non poteva dare conto di questa complessità di rapporti né della sintesi necessaria per considerare la natura come un tutto6. Vorrei considerare questa “descrizione”, come documento esemplare della nascita del museo in senso moderno: non più semplice raccolta di rarità e curiosità, non più soltanto collezione corrispondente ad una classificazione, ma un insieme di oggetti integrati in un sistema di rapporti. Il museo diviene un ambiente che prova a strutturarsi a partire dai rapporti tra gli oggetti. Esporre – quasi nel senso per cui una pellicola si espone alla luce7 – implica rivelare rapporti, rapporti ai quali l’osservatore non può sottrarsi. Nell’atto di esporre, anche il museo

2 John Searle sottolinea la centralità di una default position (in particolare sulla realtà e sul suo rapporto con la

verità) come argomento decisivo in favore del realismo. Cfr. J. Searle, Mente, linguaggio, società (1998), trad. it. di E. Carli e V. Bramè, Milano, Raffaello Cortina, 2000, pp. 10-13.

3 L’uso che qui si fa del termine “certezza” è fortemente determinato dalla riflessione dell’ultimo Wittgenstein.

Cfr. L. Wittgenstein, Della Certezza (1969), trad. it. di A. Gargani, Torino, Einaudi, 1999.

4 Georges-Louis Leclerc, comte de Buffon, Oeuvres complètes avec les description anatomiques de Daubenton,

par Lamouroux et Desmarets, Paris, Verdière et Ladrange, 1824-1832, 40 vol. in-8, avec 720 pl. lithogr., col. XIV, p. 155 [ove non indicata l’edizione italiana, le traduzioni sono dell’autore del presente articolo].

5 Ibid., p. 158.

6 Cfr. J. Roger, Les sciences de la vie dans la pensée française au XVIIIe

siècle, Paris, Armand Colin, 1963 (II edizione Paris, Albin Michel, 1993); Id., Buffon: un philosophe au jardin du roi, Paris, Fayard, 1989; Emile Guyénot, Les Sciences de la vie aux XVIIe et XVIIIe siècles. l’idée d’évolution, Paris, Albin Michel, 1941.

7 Sul concetto di esposizione e sul rapporto tra esposizione (mostra) e museo si veda H. Damisch, L’amour

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si espone: ciò che circonda un oggetto implica l’esposizione di un’ipotesi sulla sua finalità e sui suoi rapporti.

1949. Thomas Munro pubblica The Arts and their Interrelations8, testo che, a mia conoscenza, può essere considerato come l’ultimo tentativo coerente e – almeno nelle intenzioni – esaustivo, di sistema delle arti. A quella data, Munro, oltre ad essere il presidente della American Society of Aesthetics e il direttore del Journal of Aesthetics and Art Criticism, da lui fondati entrambi nel 1943, è anche conservatore al museo di Cleeveland, dato non trascurabile, considerato che il sistema da lui tracciato voleva proprio rispondere alle esigenze di organizzazione del museo. La prospettiva adottata da Munro può essere bene sintetizzata da un paragrafo di un suo saggio del 1943, An Outline for Descriptive Analysis: «In senso stretto, gli ingredienti di un’opera d’arte non sono realmente nell’oggetto (per esempio, una pittura) come cosa fisica, ma soprattutto nei comportamenti degli umani intorno ad esso. La gente risponde a un dato tipo d’arte in un modo più o meno simile, a causa delle somiglianze nelle loro strutture innate e a causa del condizionamento culturale, e tendono a proiettare queste risposte sull’oggetto che li sollecita, come fossero attributi dell’oggetto stesso»9.

La posizione di Munro è sintomatica: la classificazione delle arti – come emerge dal volume del 1949 – ha o delle finalità pratiche (soprattutto pedagogiche e museologiche) oppure è finalizzata ad un’integrazione dei saperi artistici in più ampi sistemi filosofici e scientifici (con particolare riguardo per la biologia). L’opera d’arte è per Munro – che risente profondamente dell’influenza di Dewey – strumento dell’esperienza estetica e la caratterizzazione stessa dell’opera dipende da un lato dalle strutture percettive, dall’altro dalle costruzioni culturali. Sempre nella linea di Dewey, Munro coniuga la tensione verso un paradigma scientifico per le arti di forte impronta morfologica (ricordo Scientific Method in

Æsthetics del 1928 e la raccolta di saggi del 1956 Toward science in aesthetics in cui si

delinea il progetto di un’estetica sperimentale10), con la convinzione della funzione educativa delle arti nella costruzione della società democratica.

L’ultimo sistema delle arti come insieme chiuso di saperi artistici lascia dunque il posto ad ipotesi di sistemi aperti di idee. Come scriveva nel 1968 Willoughby Sharp, artista e curatore di riferimento della ricerca artistica americana degli anni Settanta: «The old art was an object, the new art is a system»11.

Molto si potrebbe discutere dei meriti e dei limiti dei pragmatismi estetici, ma certo è che, negli ultimi tre decenni, i musei d’arte hanno sempre messo l’accento più sull’esperienza del fruitore e sulle funzioni socio-economiche dell’istituzione che sulla collezione. Basti pensare ai dibattiti suscitati dal Mouvement International pour la Nouvelle Muséologie12, sull’organizzazione degli ecomusei, degli interventi sociali attraverso i musei; le discussioni

8 T. Munro, The Arts and their Interrelations, New York, Liberal Art Press, 1949.

9 Id., “An Outline for Descriptive Analysis”, in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, Vol. 2, No. 8

(Autumn, 1943), pp. 5-26, p. 13.

10 L’intera riflessione di Thomas Munro è incentrata sul rapporto tra arte e scienza. Si vedano T. Munro,

Scientific Method in Æsthetics, New York, W.W. Norton & Company, 1928 (ripreso in Munro, 1956); Id., Toward Science in Aesthetics, New York, Liberal Arts Press, 1956 (di questa raccolta di saggi, si segnalano in particolare Form in the Arts. An outline of Aesthetic Morphology, The Morhology of Art as a branch of Aesthetics e, per ciò che riguarda il museo The Place of Aesthetics in the Art Museum); Id., Evolution in the Arts and Other Theories of Culture History, Cleveland, Cleveland Museum of Art, and H. N. Abrams, 1963; Id., Form and Style in the Arts: an Introduction to Aesthetic Morphology, Cleveland, Press of Case Western Reserve University, 1970.

11 W. Sharp, Luminism and Kineticism, in G. Battcock (ed.), Minimal Art: a Critical Anthology, New York,

Dutton, 1968, p. 318.

12 Il sito del MINOM (http://www.minom-icom.net/) contiene una sezione con i testi di riferimento per la nuova

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dell’ICOM sulla perdita di centralità della collezione fino ai musei virtuali13; le critiche mosse

nel corso degli anni Novanta dalle pagine della rivista Texte zur Kunst alle distinzioni tradizionali tra musei d’arte, musei etnografici e musei di arti decorative14; o ancora i

contribuiti al numero monografico di Artforum dell’estate 2010 intitolato appunto Museum

Revisited fortemente orientati verso l’idea di museo come luogo di scambi sociali fondante

per una comunità. Ovviamente, questi non sono che alcuni esempi di un dibattito attuale estremamente vivace e articolato. Una conseguenza evidente dei mutamenti in corso è la cosiddetta “dichiarazione di Calgary”, la modifica di statuto adottata a Vienna nel 2007 dall’ICOM sulla definizione di museo15: «Un museo è un’istituzione permanente senza fine di

lucro al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, conserva, studia, espone e trasmette il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità e del suo ambiente a dei fini di studio, educazione e diletto». Nello statuto del 1951 mancavano i termini “società”, “patrimonio immateriale” e “ambiente” e il fine principale del museo era quello di conservare e studiare una collezione16.

Default position e conclusioni Malgrado questi mutamenti, possiamo osservare un interessante paradosso, sul quale concluderò.

Eilean Hooper-Greenhill, nel suo I musei e la formazione del sapere sottolinea come «nel complesso, l’attuale struttura del museo, con i suoi rigidi rapporti interni, è data per scontata»17. Aggiungerei che, per molti versi, la struttura del museo deve necessariamente essere data per scontata. Il museo non deve creare ostacoli al suo fruitore, deve guidarlo senza urti – a differenza di quanto può fare una mostra – verso una contemplazione allo stesso tempo individuale e collettiva, facendo leva su tutto che può considerarsi come non in

discussione. Una default position appunto, uno “Sfondo cognitivo”, per riprendere ancora un

termine di Searle, ben distinto dalle opinioni del senso comune. Questo sfondo è, a mio avviso, costituito da due elementi:

(1) La persistenza del paradigma storico: ogni oggetto culturale è storicamente determinato. Sorprende, entrando alla Tate Modern nel suo recente riallestimento, un grande pannello con la cronologia delle principali correnti artistiche dall’inizio del Novecento ad oggi, con tanto di riferimenti sinottici ai principali eventi storici extra-artistici.

(2) La centralità del paradigma percettivo: ciò che si espone va compreso sensibilmente e il percorso deve articolarsi sulle attese percettive del fruitore. I pattern (i percorsi) del museo devono corrispondere ai nostri pattern (alle nostre configurazioni percettive).

Si tratta di due ovvietà, di una sorta di “grado zero” rappresentato nei musei e che si impone alla riflessione.

Ritorniamo così al sistema, o meglio alla sistematica. Proprio su questi due elementi – la dimensione storica da un lato e le strutture della percezione dall’altro – si fondava il progetto

13 Cfr. il dossier “The Future of Collection”, Icom News, vol 59, n. 4, 2006 e il dossier “Virtual Museums”, Icom

News, vol. 57, N. 3, 2004.

14 Di recente è stata pubblicata in francese una ricca antologia di articoli che bene evidenziano le posizioni

espresse in texte zur Kunst (C. Chevalier, A. Fohr, a cura di, Une anthologie de la revue Texte zur Kunst de 1990 à 1998, Dijon-Zurich, Les presses du réel, JRP Ringier, 2010.

15 Per una ricostruzione del dibattito sulla dichiarazione di Calgary si veda F. Mairesse, A. Desvallées, a cura di,

Vers une redéfinition du musée?, Paris, L’Harmattan, 2007.

16 La definizione di museo, nello statuto del 1951 dell’ICOM recita: «(1) La parola museo designa qui ogni

istituto permanente, amministrato nell’interesse generale al fine di conservare, studiare, valorizzare in modi diversi e essenzialmente esporre per il diletto e l’educazione del pubblico, un insieme di elementi di valore culturale: collezioni di oggetti artistici, storici, scientifici e tecnici, giardini botanici e zoologici, acquari. (2) Saranno assimilati a dei musei le biblioteche e i centri d’archivio che mantengono in permanenza delle sale d’esposizione» (http://icom.museum).

17 Eilean Hooper-Greenhill, I musei e la formazione del sapere (1992), trad. it. di G. Bernardi, Milano, Il

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di una sistematica dei problemi artistici discussa dalla scienza dell’arte nei primi tre decenni del Novecento, in particolare da Panofsky e Wind. Il progetto di una sistematica dei problemi artistici nasceva dall’esigenza di strutturare rigorosamente il discorso sulle arti all’interno di una più ampia riflessione sulle grammatiche delle forme simboliche di conoscenza.

Questa esigenza rimane, a mio avviso, di grande attualità e una riflessione su una default

position, sullo sfondo cognitivo rappresentato dal museo, potrebbe garantire il passaggio dal

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