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Neil Ker, Copying an Exemplar (1979)

In un intervento – datato 1979 – dal titolo «Copying an Exemplar»,17 il paleografo britannico Neil Ker conduce un raffronto puntuale tra due testimoni del commentario di San Girolamo sul profeta minore Abacùc, legati tra loro da un rapporto di descriptio.

Il primo codice è siglato Trin.18 Si tratta di un manoscritto pergamenaceo di 144 carte, redatto da una sola mano di ottimo livello grafico; Ker ne definisce la scrittura

«admirable»19 e propone l’identificazione dello scriba con Eadmero di Canterbury, scrittore, storico, teologo e monaco del monastero benedettino della cattedrale di Canterbury. Sulla base di questa attribuzione, lo studioso ritiene sia possibile datare il testimone tra la fine del secolo XI e l’inizio del secolo XII. Trin è latore del secondo volume dei commentari di San Girolamo ai profeti minori. Nonostante la sua vetustà e l’elegante mise en page, il codice sarebbe caratterizzato – almeno nella sezione dedicata al profeta Abacùc – da molti errori grossolani.

Il suo descriptus – siglato Cant20 – è un frammento di sole due carte, redatto da una sola mano definita da Ker come «admirably skilful».21 Il lacerto – secondo lo studioso grossomodo – alla totalità della porzione testuale tràdita da Cant. Come vedremo, il codex descriptus presenta un tasso di variazione assolutamente contenuto: Cant – infatti – differisce da Trin per dodici parole solamente (pari circa allo 0,5% della porzione testuale considerata). Qui di seguito riporterò – in forma di tavola di collazione – i luoghi di variazione discorsivamente presentati da Ker nel suo saggio; mi riserverò, quindi, di formulare alcune brevi considerazioni. I loci saranno suddivisi in categorie (spelling

17 Ker 1979.

18 Trin = CAMBRIDGE, Trinity College, B. 3.5.

19 Ker 1979, p. 203.

20 Cant = CANTERBURY, Canterbury Cathedral, X.1.11.a.

21 Ker 1979, p. 205.

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variations, errors e deliberate changes), compatibilmente con i giudizi formulati dall’autore nel proprio saggio.

Tav. 1. Innovazioni di Cant rispetto a Trin

Spelling variations

avariciam Trin] avaritiam Cant paradyso Trin] paradiso Cant iusticię Trin] iustitię Cant Haec Trin] Hęc Cant

Completum Trin] Conpletum Cant Ecclesiam Trin] Aecclesiam Cant

Errors

arcum Trin] [arcum] Cant

concussione Trin] concussionem Cant terrena Trin] terrᶒna Cant

fluviis Trin] fluvus Cant

pręsentibus Trin] presentibus Cant

Deliberate changes

Frugiferam Trin] fructiferam Cant

Come ho già anticipato, le categorie nelle quali ho suddiviso le singole varianti corrispondono verbatim alle interpretazioni dei luoghi fornite dallo stesso Ker. Come si sarà notato, sei delle dodici innovazioni censiti si configurano come banali varianti formali: tre di esse consistono nell’introduzione o nello scioglimento di un segno d’abbreviazione (ę) per il dittongo latino ae, due nel passaggio dal nesso -ci- al nesso -ti-, una nella differente resa grafica del nesso consonantico nasale + labiale (completum >

conpletum), una nella sostituzione di un solo grafema (paradyso > paradiso).

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L’autore presenta inoltre un elenco di cinque lectiones indubitabilmente erronee tràdite dal descriptus. Anche in questo caso, la maggior parte delle varianti si rivela essere di lieve o lievissima entità. Il passaggio concussione > concussionem è – ad esempio – da intendersi come un’errata concordanza morfologica; l’erronea introduzione dell’abbreviazione ę in terręna è un lapsus calami di facilissima formazione; il passaggio fluviis > fluvus si configura come un errore paleografico che risulta dalla trasformazione del (facilmente fraintendibile) digramma -ii-; la grafia presentibus (in luogo di praesentibus) potrebbe infine riflettere la pronuncia dello scriba di Cant e sarebbe – dunque – da considerarsi alla stregua di una variante grafica. L’unico errore significativo è rappresentato dall’omissione del sostantivo arcum.

Interessante è anche il passaggio fructiferam > frugiferam. È questa, con buona probabilità, una variante adiafora: entrambi i termini hanno infatti lo stesso significato (‘fruttifero’, ‘fertile’) e – da una rapida consultazione dei corpora online –22 appaiono entrambi ampiamente attestati lungo tutto il medioevo. Il luogo si configura però come una ripresa puntuale del salmo 106:34 («terram fructiferam in salsuginem a malitia inhabitantium ea»); Ker ipotizza dunque – ed è opinione condivisa da chi scrive – che lo scriba di Cant conoscesse a memoria il versetto citato e che si possa trattare quindi di un caso di contaminazione “per memoria”.

Una simile fenomenologia non è estranea alla maggior parte dei codices descripti della Commedia di Dante, al cui studio attenderò nei prossimi capitoli; le varianti scrutinate da Ker – pur rinvenute in un testo latino del secolo XII – afferiscono a tipologie ben documentate anche nei codici in volgare del Tre e Quattrocento italiano.

Ker conclude la sua disamina osservando come «except when he had opinions of his own about spellings and abbreviations or wished to make a change at a line-end by abbreviating a word or writing it out in full, [the scribe] tried to follow his exemplar exactly». Il copista di Cant commette un solo errore nel torno di 2243 parole; in un solo caso – inoltre – interviene attivamente ad alterare il testo del proprio exemplar: non è però possibile arguire se egli operasse la sostituzione di frugiferam con fructiferam

22 Segnalo, in particolar modo, il corpus corporum. Repositorium operum Latinorum apud universitatem Turicensem (http://www.mlat.uzh.ch).

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coscientemente, o se piuttosto introducesse la variante – senza avvedersene – già nella fase del dettato mentale.

Il contributo di Ker – nel complesso – fornisce una descrizione attenta e scrupolosa del codex descriptus Cant. Appare però evidente come lo studioso sia più interessato ad aspetti eminentemente codicologici e paleografici che ad un’analisi puntuale (filologica) delle varianti: grande attenzione è infatti rivolta ad aspetti materiali quali la rigatura, la mise en page, le dimensioni dei rispettivi specchi di scrittura e la spaziatura tra le parole;

per contro, si fa solo breve menzione della varia lectio e si rileva una certa superficialità nella distinzione tra errori e varianti formali. In definitiva, manca una valutazione scalare dell’errore; appare cioè evidente come, ai fini di un’indagine sulla fenomenologia dell’errore nella copia manoscritta, non si possa attribuire lo stesso peso ad un’errata concordanza morfologica ed all’omissione di una o più parole (anche fondamentali per la costruzione del significato).

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2. N

EW

P

HILOLOGY

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LA NOZIONE DI VARIANCE COME QUALITÀ