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Indizi materiali di dipendenza di Est da Po

Presento qui di seguito una serie di cinque casi nei quali il copista di Po omette una o più parole, lasciando – in corrispondenza della porzione testuale omessa – uno spazio bianco, forse con l’intento di sanare la lacuna ricorrendo alla consultazione di un codice di controllo. Il copista di Est – in questi casi – rispetta le lacune, inserendo apposite finestre.

Di particolare interesse sono, a mio avviso, i casi relativi a Pg XXXIII 96 e Pd X 137-138, dei quali si avrà modo di discorrere all’interno della tavola preposta.

Tav. 30. Lacune e spazi bianchi in Po riflessi graficamente in Est attraverso l’inserimento di apposite finestre

2.33.96 come bevesti di Letè ancoi;

A Pg XXXIII 96, il copista di Po omette il sintagma «di Letè», copiando però comunque la prima lettera della preposizione semplice di. Il codex descriptus – oltre a rispettare fedelmente lo spazio bianco osservabile nell’antigrafo – riporta anche quella lettera d-, che allo scriba doveva apparire senz’altro priva di significato alcuno: ciò mi pare testimoni efficacemente l’atteggiamento di assoluta fedeltà tenuto da questo scriba nei confronti del proprio exemplar. La sua è infatti una riproduzione del modello che mira ad essere fotografica, anche quando questo riporti lectiones visibilmente erronee.

3.1.32 delfica deïtà dovria la fronda

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3.10.137-138 che, leggendo nel Vico de li Strami, / silogizzò invidïosi veri»

Po omette qui di copiare il secondo emistichio di Pd X 137 e tutto il verso 138; lo scriba riprende quindi a copiare da Pd X 139 («Ivi, chome orobogio che ne chiami»).

Come si nota, il copista ha lasciato in bianco una linea di scrittura (riservata, probabilmente, ad accogliere il secondo emistichio del verso 137, ma insufficiente ad ospitare la totalità della porzione testuale omessa). Coerentemente con quanto osservato nell’exemplar, il copista di Est omette parimenti di copiare la sequenza «Vico de li Strami» (Pd X 137); egli, tuttavia – probabilmente avvedutosi di una evidente violazione della catena rimica – riserva un’ulteriore linea di scrittura, funzionale a contenere il verso mancante. L’omissione di un verso e mezzo in Est – fatto assolutamente inusuale, e che non mi è capitato di rinvenire in altre coppie exemplar-descriptus – si spiega con la peculiare mise en page del proprio modello.

3.22.132 che lieta vien per questo etera tondo

3.25.2 al quale ha posto mano e cielo e terra,

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Qui di seguito riporto tre casi nei quali correzioni apportate al testo di Po (forse operate per mano dello stesso copista, o comunque in epoca anteriore al confezionamento di Est) hanno prodotto un’incertezza di lezione nel codex descriptus.

Tav. 31. Correzioni in Po che spiegano innovazioni di Est

1.2.22-23 la quale e 'l quale, a voler dir lo vero, / fu stabilita per lo loco santo

A If II 22, la lectio originariamente a testo in Po è sicuramente ricevibile. In un secondo momento, però, il copista (o un anonimo correttore) – forse confondendo «’l quale» per un caso di dittografia – ha cassato il sintagma, apponendovi dei punti di espunzione. Non stupisce che il revisore non si sia accorto della evidente ipometria: la mise en page di Po, che vede ciascun verso occupare due linee di scrittura, espone lo scriba a frequenti violazioni del metro (numerosissimi, ad esempio, i casi di ipermetria per omissione di troncamento). Come da consuetudine, l’apografo riproduce solo il secondo strato di scrittura, omettendo quindi l’apparente ripetizione «’l quale»; il copista di Est dovette però rendersi conto di come un simile aggiustamento producesse un verso ipometro, e continuò a copiare il verso successivo sullo stesso rigo. Anche questo fraintendimento si spiega agevolmente con l’anomalo layout del codice Poggiali. Ad ogni

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modo, lo scriba di Est si accorse presto anche di questa anomalia, e cassò quindi in scribendo la corruttela appena prodotta.

Un caso di questo tipo rientra tra quelli che il filologo classico Aubrey Diller chiamava incipient errors o forme di autocorrezione, unanimemente considerate prove soddisfacenti di derivazione. Diller sintetizzava così: «Incipient repetitions and omissions and all other forms of self-correction in a manuscript are especially useful as evidence of its derivation, since they often prove direct copying from a particular archetype».235 1.11.95 diss' io, «là dove di' ch'usura offende

Analogamente a quanto già osservato a Pd X 137, Po omette di copiare il secondo emistichio di If XI 95. Una mano recenziore – che opera lungo tutto il codice – marca la lacuna con una X. Da If X 96, il testo riprende senza ulteriori omissioni né alterazioni nell’ordine dei versi. È difficile, in questo caso, immaginare cosa possa essere accaduto durante il processo di copia di Est. Il copista riporta la prima metà del verso 95, commettendo peraltro una banale inversione («diss’io: “là dove» > «”là dove”, diss’io»);

egli passa quindi a copiare – senza andare a capo – il verso 101 del medesimo canto (che nel codice Poggiali è il primo della colonna successiva). Nonostante non sia possibile offrire una spiegazione più dettagliata del fenomeno, è evidente come l’omissione a If XI 95 abbia influenzato il copista del codice estense, causando questo evidente errore di distrazione.

3.3.100 perché fino al morir si vegghi e dorma

235 Diller 1983, p. 321.

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Tav. 32. Una correzione in scribendo in Est che si spiega con un’innovazione di Po 3.14.92-95 l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi /esso litare stato accetto e fausto; / ché con tanto lucore e tanto robbi / m'apparvero splendor dentro a due raggi

A Pd XIV 92, è osservabile in Po la lectio erronea «l’ardor del desiderio et tanto robbi», consistente in una banalizzazione (desiderio in luogo di sacrificio) e nell’anticipo dell’emistichio «et tanto robbi», mutuato dal verso 95. È superfluo ricordare come anche in questo caso la mise en page di Po contribuisca a produrre corruttele che coinvolgano un solo emistichio, in luogo dell’intero verso. Est accoglie senza riserve l’innovazione a

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testo nel proprio exemplar. Dopo aver trascritto il verso 92, lo scriba commette un classico saut du même au même (salta cioè da quel «et tanto robbi» impropriamente a testo al verso 92, al medesimo sintagma «et tanto robbi» presente al verso 95), e ricomincia a copiare da Pd XIV 96. Avvedutosi dell’errore, egli ha quindi cassato il verso, riprendendo a copiare da Pd XIV 93. È chiaro come una simile correzione in scribendo si spieghi principalmente in virtù di quell’errore di anticipo commesso a Pd XIV 92; il fatto poi che la medesima innovazione sia presente anche nel proprio antigrafo (e che coinvolga – ancora una volta – un solo emistichio) avvalora l’ipotesi di una derivazione recta via di Est da Po.

Ad abundantiam, presento un caso nel quale Est riproduce pedissequamente una postilla posta, nel proprio exemplar, a margine di Pg IX 76. Nonostante non si tratti, in questo caso, di una prova schiacciante a sostegno della descriptio, vale comunque la pena di sottolineare come questa sia l’unica postilla marginale osservabile nel codice estense (se si eccettua la presenza a cornice della prima redazione dell’Ottimo Commento all’Inferno, già a testo in Po).

Tav. 33. Una postilla marginale in Po riprodotta fedelmente in Est 2.9.76 Introytus Purgatorii vidi una porta, e tre gradi di sotto

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