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In questo paragrafo proporrò una breve interpretazione dei dati statistici illustrati nel corso del presente capitolo. Nel diagramma che segue si fornisce la composizione percentuale delle categorie di varianti inerenti alla fenomenologia della copia; si illustrano cioè tutte quelle categorie di varianti che sottolineano uno scarto (formale o sostanziale) tra il descriptus ed il proprio exemplar e che meglio si prestano a delineare l’habitus del copista.

Figura 1. Fenomenologia della copia del manoscritto Im

Come appare evidente già da una prima lettura, Im presenta una veste grafica ed una patina fonomorfologica profondamente differente da quella del proprio antigrafo; la somma delle varianti prettamente formali (grafiche e fonomorfologiche) rappresenta infatti il 90% delle varianti censite. Ciò si spiega in parte con la diversa provenienza geografica dei due scribi: lo scriba di Bol – come già accennato nella descrizione del

Varianti grafiche

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testimoniale – è probabilmente aretino, nonostante la sua attività sia forse da collocarsi in area emiliano-romagnola; Im, invece, presenta una vernice linguistica bolognese.

Per quanto riguarda i disallineamenti di natura grafica, si sottolinea l’assoluta preminenza (310 casi) di «inserzioni, omissioni o sostituzioni di un solo grafema»

(primato condiviso anche dalle altre coppie exemplar-descriptus, eccezion fatta – come si avrà modo di vedere – per il dittico LauSC-Nap): disallineamenti di questo tipo, invero scarsamente informativi ai fini di uno spoglio linguistico del testimone in esame, costituiscono il 56,1% delle varianti grafiche censite. Un altro tratto ricorrente – e che. a mio avviso, bene contribuisce a delineare le abitudini grafiche del copista di Im – è la tendenza a sciogliere i nessi consonantici latineggianti ed iperlatineggianti (73 casi, che incidono per il 13,2% sul totale delle varianti grafiche). In particolare, sottolineo il sistematico passaggio tuct* > tutt* (44 casi). L’assimilazione del nesso latineggiante non sempre però si verifica; sebbene si tratti di un fenomeno minoritario, vi sono infatti 31 casi nei quali si assiste alla reintroduzione di nessi non a testo nell’antigrafo (ad es. pronte

> prompte; sustancia > substancia; lettor > lector, ecc.). Si segnala infine la tendenza alla conservazione ed all’introduzione di h etimologiche e paretimologiche (ad es. ancor >

anchor; poco > pocho; comprender > comprehender; esca > escha, ecc.).

Ancora più evidenti sono gli scarti di natura fonomorfologica che, mi pare, meglio sottolineino la distanza geolinguistica intercorrente tra i due testimoni. Segnalo innanzitutto i 226 casi (28% delle varianti fonomorfologiche censite) nei quali sia osservabile il passaggio da /i/ ad /e/ in posizione atona, in protonia sintattica e nei pronomi clitici (ad es. di > de; rispuose > respose; disfacta > desfacta); ad essi si oppongono le numerosissime (167 casi, incidenti per il 20,7%) reazioni del tipo temendo > timendo;

verrai > virai; bestemiavano > bestimiavano, ecc. Attestatissimo è anche il fenomeno pansettentrionale della degeminazione delle geminate, qui indicato come

«scempiamento» (114 casi, che costituiscono il 14,1% delle varianti fonomorfologiche censite): nessun > nesun; serrati > serati; città > cità, ecc. Si segnalano, per contro, 66 casi di geminazione: si tratta, in gran parte, di reazioni ipercorrette (trapassar >

trappassar; desideroso > dissideroso; vidi > viddi, ecc.). Si registra infine una netta preferenza per le forme monottongate (convien > conven; lieve > leve; luogo > logo, ecc.).

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È interessante notare come, lungo le tre cantiche, si assista ad una progressiva assimilazione – nel descriptus – delle consuetudini grafiche e fonomorfologiche del proprio exemplar. Le varianti grafiche occupano il 37,5% dei versi in Inferno, il 27,2%

dei versi in Purgatorio ed il 27,1% dei versi in Paradiso. Il fenomeno è ancora più marcato per quanto riguarda i disallineamenti di natura fonetica e morfologica: essi si ritrovano nel 46,2% dei versi in Inferno, percentuale che scende al 43,2% in Purgatorio e al 30,4% in Paradiso. Come si vedrà più oltre, questa è una tendenza condivisa anche nel restante testimoniale.

Analizzo ora brevemente la composizione percentuale della categoria di varianti denominata «innovazioni poligenetiche ed altre varianti formali» (per un elenco esauriente dei loci in esame rinvio a Tav. 10). Come già accennato, si tratta in questo caso di accidenti minori che – pur configurandosi come varianti palesemente erronee – sono frequentissimi e di facile formazione; parliamo, dunque, di loci che – nell’allestimento di un’edizione o nel riordino stemmatico di una tradizione manoscritta – considereremmo inutili alla prassi filologica. Varianti di questo tenore indicano bene, a mio avviso, l’accuratezza ed il livello d’attenzione tenuti dal copista durante la confezione del proprio esemplare; per questo motivo, la loro incidenza statistica varia moltissimo da scriba a scriba. Un utile supplemento d’indagine potrebbe riguardare la distribuzione delle

«innovazioni poligenetiche ed altre varianti formali» all’interno del testo: gli esiti potrebbero forse rilevare un aumento delle innovazioni poligenetiche in corrispondenza con la fine della giornata lavorativa, momento in cui lo scriba – affaticato – sarebbe più incline a commettere errori di distrazione. Nella fattispecie, fra i testimoni da me esaminati, è Im a presentare il maggior numero di innovazioni poligenetiche (116 casi, a fronte dei 17 rilevati in Nap. XIII C3, dei 31 casi in Est. It. 747, dei 25 casi in Can. It.

115/116, per il quale manca però la cantica purgatoriale, e dei 14 in Br, che si compone del solo Inferno).

Sottolineo innanzitutto il caso statisticamente più rilevante, e cioè quello riguardante le

«varianti grafiche o fonomorfologiche che producano ipometria o ipermetria». In particolare, mi preme evidenziare come – delle 31 varianti scrutinate – ben 25 si configurino come ipermetrie per omissione di troncamento: simili violazioni del metro mi pare testimonino efficacemente la scarsa competenza e sensibilità metrica che

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dovettero contraddistinguere il copista di Im. Sono invece 28 le varianti relative a parole vuote (articoli, congiunzioni, preposizioni, ecc.) o a monosillabi ad alta frequenza:

ricorrono con maggior assiduità l’omissione della congiunzione et, e l’omissione o l’impropria sostituzione di preposizioni semplici e di pronomi personali. 28 sono anche le errate concordanze morfologiche. Meno rilevanti di quanto ci si aspetterebbe, invece, sono gli errori paleografici che risultino dalla trasformazione di un solo grafema o di un digramma (solo 6 casi, che incidono per il 5,2%). Si registrano in questo caso facili (e altrove diffusissimi) fraintendimenti paleografici, che si spiegano con la littera textualis in cui è redatto Bol: un > im (un piano > impiano); v > n (vostro > nostro); ri > n (or faria

> orfana). È evidente come nessuna delle varianti più sopra elencate possa dirsi attribuibile all’arbitrio del copista: l’intento dello scriba è quello di produrre una copia il più possibile fedele al proprio exemplar, e simili corruttele – frutto di banalissimi lapsus – hanno come unico risultato quello di obliterare il senso della proposizione o di violare il metro del verso.

Solo l’1% delle varianti che marcano un disallineamento del descriptus rispetto al proprio exemplar rientrano nella categoria denominata «innovazioni e varianti sostanziali»; di queste 13 innovazioni, inoltre, solo 4 si configurano come errori significativi. In altri termini, il copista di Im commette un errore di sostanza in media ogni 125 versi. Un errore significativo (un’innovazione, cioè, verosimilmente monogenetica e qualificata a svolgere nella prassi filologica il ruolo di leitfehler)177 occorre in Im ogni 406 versi. In nessuno di questi loci (per i quali rimando alla Tav. 9) mi pare vi siano gli estremi per ipotizzare una volontà del copista di riscrivere o modificare le lezioni a testo nel proprio exemplar.

L’ultima categoria di varianti relative alla fenomenologia della copia riguarda quelle innovazioni presenti a testo nell’exemplar che risultino corrette – ope ingenii o per contaminazione – nel descriptus. Ho censito 22 casi nei quali Im emenda – ancorché spesso arbitrariamente – una corruttela a testo in Bol: nel dettaglio si registrano 16 loci nei quali il copista di Im ripristina il corretto computo sillabico, 5 in cui ripristina una corretta catena rimica (anche armonizzando, ope ingenii, gli esiti a testo nell’exemplar),

177 Maas 2017, p. 61 e sgg.

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un caso nel quale la sostituzione di un solo grafema contribuisce a sanare una lectio erronea. In tutti i sopraccitati casi (si veda Tav. 11) si tratta però sempre di aggiustamenti minimi, per i quali è difficile intuire se si configuri la possibilità di emendationes consapevoli. Al contrario, considerata la scarsa competenza metrica del copista di Im e la generale arrendevolezza con la quale egli rinuncia a sanare corruttele anche banali presenti nell’antigrafo (si veda Tav. 7), sorge piuttosto il dubbio si possa trattare – in molti casi – di sviste inconsapevoli, nient’altro che ulteriori innovazioni poligenetiche che – in maniera affatto casuale – abbiano avuto come esito quello di restaurare la lectio genuina.

Ciò accade molto spesso – a mio avviso – nei casi di «ripristino (anche arbitrario) del corretto computo sillabico»; in più occasioni infatti, Im, rimedia all’ipermetria del modello presentando forme sincopate (ad es. diriççato > driçato; medesimo > medesmo;

spiriti > spirti, ecc.) che sono caratteristiche dell’usus scribendi del suo copista e che sono pertanto attestatissime lungo tutto il manoscritto.

Ad abundantiam, do qui notizia di un caso di interpolazione178 rinvenuto in Im. Il copista del codex descriptus fa seguire a Pg XV 39 i tre versi iniziali del Te Deum: «Te Deum laudamus, te Deum / confitemur, te eternum patre / omnis terra veneratur». L’intervento sul testo dimostra una qualche continuità tematica con i versi Pg XV 38-39 («e ‘Beati misericordes!’ fue / cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’»), nei quali si cita dapprima la quinta delle beatitudini di Matteo e, in seconda battuta, un passo che «non ha riscontro preciso nella Scrittura ed è quindi di incerta spiegazione».179 Nonostante sia difficile immaginare quali siano le ragioni che hanno spinto il copista di Im ad operare una simile interpolazione, sottolineo come questa costituisca un caso assolutamente isolato.

In conclusione – se si eccettua l’interpolazione cui si è appena brevemente accennato – mi pare di poter affermare che non si possa definire il copista di Im un “copista rifacitore”.

Im presenta una veste formale profondamente differente da quella del proprio antigrafo, e varianti di ragione geolinguistica devono talora aver indotto lo scriba in errore. Il copista

178 Per interventi (anche sostanziali) sul testo dantesco, si considerino i casi – talora bizzarri – di Handschriften mit Versinterpolationen, enumerati in Roddewig 1984 (p. 405). Curioso è il caso di Bol.

Arch. A 322: è qui apprezzabile l’interpolazione di dieci terzine apocrife alla fine di If XXIX, nei quali versi si condanna in qualità di falsario tale «Çambon da Villanuova», verosimilmente personalità invisa al copista o al committente.

179 Chiavacci Leonardi 1994 (20052), II, p. 444.

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dimostra inoltre di aver scarsa dimestichezza con il metro della Commedia, come testimoniano i 31 casi di «varianti grafiche o fonomorfologiche che producano ipometria o ipermetria». Nonostante la spiccata propensione a commettere errori triviali, solamente l’1% dei versi è – in Im – interessato da innovazioni sostanziali; solo lo 0,2% dei versi è, infine, interessato da errori significativi. Il copista di Im accoglie acriticamente gli errori a testo nel proprio exemplar, anche banali corruttele facilmente reversibili. I casi, invece, in cui Im restaura la lectio genuina destano perplessità: vi è infatti il dubbio che la maggior parte delle varianti scrutinate si configurino come ulteriori innovazioni poligenetiche, e non come consapevoli migliorie apportate al testo dell’exemplar. Im riflette infine graficamente le rasure e i danni meccanici presenti in Bol, testimoniando un approccio alla copia imitativo, quasi fotografico.

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6. I

L MANOSCRITTO

G

AMB E IL SUO CODEX DESCRIPTUS

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AN