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I fatti di interferenza in lingua italiana

1 Impostazione generale della ricerca

1.4 I fatti di interferenza in lingua italiana

1.4 I fatti di interferenza in lingua italiana

Nei paragrafi precedenti si sono descritte le tipologie di alcuni fatti di interferenza affrontati in questo lavoro. Ci si è esplicitamente ben guardati dall’esprimere dei giudizi sull’acquisizione di questo o quel costrutto in quanto ciò esula dai nostri obiettivi e soprattutto dal taglio scientifico della ricerca. Eppure, volendo introdurre i fatti di interferenza in lingua italiana, non è superfluo ricordare brevemente19 l’’iter’ che ha portato, gradualmente, a prediligere un approccio descrittivo piuttosto che normativo nei confronti delle neoformazioni in generale e dei fatti di interferenza in particolare. Un paragrafo è pure dedicato ai tratti caratteristici del contatto e un’attenzione particolare al meccanismo che sembra essere all’origine di gran parte dei calchi sintattici in italiano: la familiarità passiva.

1.4.1 Un approccio descrittivo ai fenomeni di interferenza

Luigi D’Arcangelo identifica nel periodo del dopoguerra quella svolta linguistica che avrebbe spinto alla coniazione di espressioni come ‘lingua selvaggia’. Il monopolio televisivo della Rai cui si accompagnò una romanizzazione della lingua unita alle rivendicazioni sessantottine, che vedevano nella lingua un ennesimo strumento egemonico a scapito delle classi inferiori, sarebbe stato l’inizio di una visione al ribasso della lingua che, secondo questo autore, si protrae ancora oggi. Scrive a tale proposito D’Arcangelo:

Nulla era intervenuto a colmare il deficit di vitalità espressiva venutosi a creare con l’abbandono demagogico di quella cultura umanistica che aveva sostenuto l’italiano unitario.[…] L’impegno, già prerogativa di scrittori e intellettuali più o meno organici, passò nelle mani di cantanti, comici e conduttori, divenuti maîtres à penser e predicatori domenicali. La situazione è fondamentalmente quella di oggi, con l’ascesa di una ‘nuova classe’, padrona incontestata dell’attuale Bühnenaussprache:

il bla televisivo (2003:27-28).

Tuttavia, rileva ancora l’autore, citando Bruno Migliorini (Devoto, Migliorini et al 1962:47), mentre il purismo riguardava soprattutto la lingua letteraria, il neopurismo ha preso di mira i linguaggi specialistici la cui diffusione rende più probabile che un prestito passi nella lingua standard. Un’attenzione particolare era stata rivolta, in realtà, a questi ed altri fenomeni, ma con intento per lo più descrittivo, dallo stesso Migliorini e da Giacomo Devoto nella rivista Lingua Nostra, fondata nel 1939 e sensibile alle esigenze comunicative.

19 Per un quadro più esaustivo rimandiamo, oltre ai testi già citati in introduzione, a quello di D’Arcangelo (2003).

Negli ultimi anni, questa tendenza a privilegiare uno studio attento dei fenomeni di deviazione dall’uso dei parlanti a un atteggiamento allarmistico nei confronti della trasandatezza stilistica della lingua italiana si è andata sempre più affermando20. Le ricerche si sono quindi estese anche a quei testi -i giornali- che ormai vengono considerati come l’espressione di una formalità media che si avvicina all’astrazione teorica chiamata ‘italiano standard’ (Berruto 1987). Tre opere pubblicate tra il 1993 e i primi mesi del 1994 danno ampio spazio anche all’analisi di fenomeni nuovi che caratterizzano l’italiano contemporaneo (Sobrero 1993;

Dardano 1994; Mengaldo 1994). Esse sono indubbiamente una riprova del rinnovato interesse per uno studio descrittivo piuttosto che normativo della lingua italiana. Di questo stesso taglio, corredato di un impianto generativista semanticizzato, è la Grande grammatica di consultazione di Renzi (Renzi, Salvi et al 1988-1995) e la, seppur breve, ma più aggiornata Nuova grammatica italiana di Giampaolo Salvi e Laura Vanelli (2004). Anche il lessico-grammatica di Simonetta Vietri (2004) si mantiene su un piano descrittivo, proponendo pure l’originale paradigma teorico del lessico-grammatica che si è andato consolidando dalla metà degli anni Settanta con le ricerche di Maurice Gross.

Questo approccio più moderato si estende anche ai fenomeni di interferenza e si può in parte attribuire alla “coscienza che le dimensioni quantitative del fenomeno del prestito appaiono, nella lingua di tutti i giorni, più limitate di quanto generalmente si pensi” (Cortelazzo 2000:12). Come si evince dalle considerazioni introduttive degli autori del Lessico di Frequenza dell’italiano parlato infatti, i prestiti (o esotismi) in italiano parlato non sarebbero superiori allo 0,1% del corpus preso in considerazione. Questi dati spingono gli autori ad affermare: “Ciò contraddice clamorosamente l’immagine, divulgata da alcuni, di un italiano ridotto a pidgin profondamente esotizzato” (De Mauro, De Palo et al 1992:116). Sarà utile ricordare che tali affermazioni trovano riscontro in dati empirici provenienti dal campo lessicale, che è quello più facilmente analizzabile. Studi più recenti invece, come è stato illustrato nella sezione introduttiva (cfr. § 0.2), propendono per una maggiore vigilanza in questo campo. È questo il parere, ad esempio di Claudio Giovanardi e Riccardo Gualdo (2003), secondo i quali i fenomeni di prestito sono andati aumentando in questi ultimi anni e non dovrebbero essere sottovalutati. Per contro, secondo Cortelazzo, l’insofferenza di molti letterati nei confronti dell’influsso delle lingue straniere sarebbe da riallacciare ad un generale atteggiamento di biasimo nei confronti dello scadere dell’idioma gentile. In altre parole, l’insofferenza legata all’incuria con la quale alcuni professionisti della lingua scrivono oggi, si

20 Anche se ancora c’è chi non esita a criticare aspramente certe tendenze, come Preti: “La lingua dunque può essere salvata solo se viene sottratta all'influenza di una cultura da talk show o da stadio [...].” (Preti, Pontani et al 2000) p. 264

estenderebbe poi all’importazione di tale termine o tale formazione sintattica da una lingua straniera.

L’intuizione di Cortelazzo situa allora la questione al livello più generale delle linee di tendenza dell’italiano contemporaneo: il motore della trasformazione della lingua, in questa prospettiva, sarebbe da un lato, il travaso di varianti grammaticali proprie al parlato nello scritto (cfr. §1.5.1.2) e dall’altro, l’appiattimento qualitativo delle produzioni scritte, indipendentemente dall’influsso dei modelli alloglotti. Questa consapevolezza spinge alcuni autori quasi a negare l’esistenza di un vero e proprio influsso straniero, assolutizzando il filone endogeno. Quest’ultimo sarebbe infatti caratterizzato da un ripescaggio di “tratti, repressi per secoli e tuttavia ampiamente attestati in opere scritte del passato, [che]

riemergono oggi con forza sotto la pressione incalzante di masse di parlanti che impongono le loro scelte linguistiche e travalicano gli argini che qualcuno crede ancora di dover difendere”

(Lo Duca 2004:108). In altre parole, almeno a livello lessicale, non ci troveremmo di fronte a un influsso duraturo dei modelli stranieri, ma a uno snaturamento secondo alcuni, un rinnovamento secondo altri, endogeno della lingua italiana. Eppure, i dati emersi nel corso della ricerca sembrano smentire questo genere di posizioni. La presenza di processi alloglotti in atto all’interno dello standard è stata segnalata dal rinvenimento dei calchi sintattici in una varietà fortemente influenzata dal contatto con le lingue straniere e molto vicina all’italiano delle traduzioni: le traduzioni invisibili (cfr. § 1.5.1.3.2).

1.4.2 Il contatto linguistico: moventi, meccanismi e impatto

Prima di descrivere cosa si intende nella presente ricerca per traduzioni invisibili sarà opportuno introdurre brevemente il contatto linguistico. In questa ricerca prenderemo le mosse da una definizione molto generale : l'accesso a più di una lingua nello stesso momento e nello stesso luogo. Questa definizione comprende anche situazioni in cui i locutori delle due (o più) lingue non siano entrambi fisicamente presenti. È questo il caso, ad esempio, dell'influsso di un testo scritto in una lingua straniera su un traduttore o un giornalista. Non si può affermare che vi siano due locutori fisicamente presenti nello stesso momento (t0) e nello stesso spazio (l0), ma il testo X ‘convive’, se così si può dire, con il locutore della lingua Y in t0 e l0, dal momento che quest'ultimo comincia a leggerlo.

Come è stato anticipato nel § 0.1, in passato si sono spesso fatte delle ipotesi sul tipo di elementi che potevano essere interessati dall’interferenza. Oggi invece, sulla base dell’osservazione di innumerevoli situazioni di contatto, si è constatato che non vi sono limiti al tipo di elementi linguistici che possono passare da una lingua a un’altra. Per queste ragioni,

oggi i ricercatori protendono piuttosto per la presentazione di vari scenari di interferenza linguistica, scenari che differiscono tra loro sulla base dell’intensità del contatto (cfr. § 1.4.2.3) e, conseguentemente, delle categorie linguistiche di cui questo contatto consente il trasferimento. L’attenzione dei ricercatori si è quindi rivolta alle motivazioni, ai moventi (cfr.

§ 1.4.2.1) del contatto e ai suoi meccanismi (cfr. § 1.4.2.2). È questo stesso approccio che abbiamo adottato per descrivere i fatti di interferenza qui di seguito21.

1.4.2.1 I fattori sociolinguistici

Il fattore alla base di ogni contatto linguistico è la sua intensità. Se questa è uguale a zero infatti, non si avranno fenomeni di interferenza; se invece è debole, media o forte, l’impatto del modello alloglotto sulla lingua ne rispecchierà la gradazione. Eppure l’intensità del contatto non è di facile definizione in quanto dipende tanto dagli atteggiamenti dei locutori (fattore statistico o sociale) quanto da altri fattori, come la percentuale di locutori del modello alloglotto che sono perfettamente bilingui nella lingua straniera. Secondo Thomason, mentre una persona non deve parlare correntemente una lingua straniera per prenderne in prestito qualche parola, una certa padronanza sarà necessaria per prenderne in prestito dei tratti sintattici22.

Tuttavia, anche se, secondo il rapporto dell'INRA (2001), la stragrande maggioranza degli italiani non ha un'ottima padronanza dell'inglese (che è pure all’origine di buona parte dei prestiti rilevati), ciò non esclude che sia in grado di comprendere alcune strutture, appropriandosene. È utile qui precisare che questa comprensione intuitiva dell'inglese (come di altre lingue), se è sicuramente motivata dal suo prestigio nella penisola italiana è spesso il frutto di imperativi economici, professionali o accademici. È questo il movente del contatto, che potremmo definire il fattore sociolinguistico.

1.4.2.2 I meccanismi: la familiarità passiva

Quali che siano i moventi dell’interferenza o la sua intensità, concretamente il contatto avviene attraverso dei meccanismi ben precisi che, combinandosi, danno luogo o meno all’adozione dei prestiti o dei calchi sintattici. Per ogni lingua poi, a seconda del contesto storico, linguistico, economico, vi saranno dei fattori più importanti di altri. La lista proposta da Thomason (2001; 2003) comprende un'ampia gamma di meccanismi: il code-switching,

21 Si è scelto di seguire fedelmente la scala proposta da Thomason (2001).

22 Ciò, come dice Thomason, non è sempre vero. Infatti, in alcune culture l'assimilazione di termini stranieri non è vista di buon occhio, mentre quella delle strutture non pone particolari problemi.

l'alternanza del codice, la familiarità passiva, la negoziazione, le strategie di apprendimento 2L (della seconda lingua), le strategie di apprendimento della prima lingua da parte dei bilingui, la decisione deliberata. Ognuno di questi offre ricchi spunti di ricerca: con le loro decisioni deliberatamente esterofile, ad esempio, molti scrittori italiani, hanno indubbiamente contribuito a creare una certa dimestichezza con i modelli stranieri se non, addirittura, a introdurre dei moduli specifici. Citeremo qui Beppe Fenoglio che, nelle sue opere, ha saputo unire passione per la letteratura e cultura inglese e impegno politico (fu partigiano durante tutta la Resistenza). La lingua di Il partigiano Johnny (id. 2005) pubblicato postumo, ad esempio, è una “stesura vorticante di neologismi e di slang americano” (Contini 1968:1012) che dall'agile penna di Dante Isella (2005) sono diligentemente classificati e descritti. Si tratta qui di un campo di fecondi spunti per la ricerca di calchi sintattici, spunti, tuttavia, che restano invenzioni effimere nell'ottica del presente lavoro, (cfr. 1.3.2.3) finché non vengano passati al vaglio delle analisi qui proposte. Per il momento, la ricerca si è principalmente soffermata su un altro meccanismo e quindi su varietà linguistiche diverse da quella letteraria, ma è indubbio che in futuro, una descrizione più compiuta di questo fenomeno dovrà avvalersi tanto di questa quanto di altre piste, affinché il contributo di ognuna alla diffusione dei calchi sia meglio valutato. Infatti, tutti questi meccanismi possono agire indipendentemente gli uni dagli altri, ma normalmente è la loro combinazione a introdurre un’innovazione in una data lingua.

Per quanto riguarda la realtà linguistica italiana, il meccanismo che più di ogni altro sembra essere responsabile dell'introduzione dei calchi sintattici è probabilmente la familiarità passiva. È opportuno precisare che la definizione proposta in questa sede differisce sostanzialmente da quella di Thomason secondo la quale si tratta del meccanismo “according to which a speaker acquires a feature from a language that s/he understands (at least to some extent) but has never spoken actively at all.” (2001:139 grassetto nostro). In realtà, il locutore potrebbe prendere in prestito tanto elementi che conosce solo passivamente quanto elementi linguistici che ha già usato, anche se solo saltuariamente, in passato. Quindi è la definizione seguente di familiarità passiva che sembra più adatta alla realtà italiana:

meccanismo mediante il quale un locutore si appropria di un tratto caratteristico di una lingua straniera in seguito alla sua familiarità con le produzioni (scritte, parlate ecc.) di quest’ultima. In questo senso si può dire che, per la realtà italiana, la familiarità passiva spiega meglio il meccanismo del prestito (del code-switching per esempio) in quanto, come si è visto, prendendo anche una delle lingue più parlate in Italia, come l’inglese, solo il 30,4%

degli italiani lo parlano e solamente il 6% pensano di averne una discreta padronanza (INRA 2001).

1.4.2.3 Gli effetti linguistici

Il meccanismo della familiarità passiva, unito agli altri meccanismi di contatto, produce degli effetti sulla lingua replica seguendo scenari di interferenza ben definiti, riconducibili all’intensità del contatto e riscontrati in più lingue. Sulla base di questi scenari, si è osservato che il lessico è preso in prestito prima della struttura e, in particolare, il lessico non ordinario, seguito da parole più comuni, mano a mano che il contatto diventa più intenso. È infatti noto che le strutture meno integrate sono più passibili di prestito di quelle fortemente integrate (Thomason 2001:69). Questo spiega perché è più facile che venga mutuato il vocabolario non ordinario. Sappiamo infatti che nella maggior parte delle lingue, nuovi sostantivi/verbi possono essere facilmente inseriti nelle strutture indigene senza scompaginare la struttura della lingua in questione. La categoria successiva di elementi passibili di prestito è quella dei tratti fonologici e superficiali e di quelli sintattici. All'altro estremo della scala troviamo la morfologia flessionale appunto perché i suoi elementi fanno parte di una struttura altamente organizzata e quasi autosufficiente (ibidem).